“Lager” di oggi: i famigerati laogai cinesi
Posté par atempodiblog le 28 janvier 2020
“Lager” di oggi: i famigerati laogai cinesi
I campi di concentramento non sono solo una triste realtà del passato ma, in diverse varianti, continuano ad esistere ancora oggi. Non si parla più di veri e propri campi di concentramento che, pure, sono ricomparsi durante la guerra nella ex Jugoslavia, ma di campi di lavoro o di rieducazione, come quelli ancora oggi in funzione in Corea del nord o nella Repubblica Popolare Cinese.
di Giovanna Fraccalvieri – Laogai.it
Nella foto: prigione Xinyuan-Sichuan
I Laogai. I campi di concentramento cinesi risalgono a Mao che li volle per recludere, in primis, i dissidenti politici e, poi, i criminali comuni. Questo sistema concentrazionario è attivo ancora oggi e viene definito Laogai, col qual termine si intende “rieducazione attraverso il lavoro”. All’interno di queste strutture si consumano, ogni giorno, gravi violazioni dei diritti umani. Qui, milioni di persone, subiscono detenzioni arbitrarie, torture, condanne a morte, espianto d’organi.
Controllo totale. Lo scopo principale dei Campi è quello di portare avanti un sistematico “lavaggio del cervello” degli internati al fine di controllarne anche il pensiero. Dopo lunghe ore di lavoro forzato, gli internati devono seguire delle “sessioni di studio” giornaliere finalizzate, appunto, all’indottrinamento. C’è poi, il momento del “mea culpa”,durante il quale bisogna mostrare la propria lealtà al Partito, “confessando” pubblicamente i propri errori e denunciando amici e parenti che, pure, si sono dimostrati “infedeli” allo Stato.
La Laogai Research Foundation, è stata la fondazione che ha messo in luce il sistema dei campi di lavoro in Cina soprattutto, Harry Wu, un dissidente politico che vi è stato detenuto e che, una volta liberato, ha fondato la Laogai Research Foundation di Washington, un’organizzazione che da oltre20 anni raccoglie informazioni sui campi di lavoro cinesi. Harry Wu fu arrestato poco prima dell’inizio della Rivoluzione culturale ed è stato rinchiuso nei Laogai per 19 anni. Qui lavorava 18 ore al giorno ed era costretto a lunghi periodi di isolamento forzato, abbandonato senza cibo e torturato col metodo della deprivazione del sonno.
Non solo numeri. Secondo la Laogai Research Foundation, in Cina sono presenti 1422 Laogai. Amnesty International e Human Rights Watch stimano che vi sono state segregate decine di milioni di persone. Un numero così elevato è determinato dal fatto che, secondo il sistema giudiziario cinese, chiunque può subire la detenzione amministrativa senza passare per un processo. Un altro numero aberrante è quello che riguarda i decessi. Dalla loro nascita, che risale agli anni ’50 del Novecento, diversi milioni di reclusi sarebbero morti di stenti, malattie e in seguito ad esecuzioni sommarie nei Laogai.
Lavoro forzato. Gli scopi di questi Campi sono fondamentalmente due: “riabilitare i criminali“ attraverso la rieducazione politica obbligatoria e utilizzare i prigionieri come manodopera a costo zero o quasi nullo, a seconda dei reati commessi, sottoponendoli a ritmi di lavoro al limite dello schiavismo. Tutto ciò è reso possibile anche dal fatto che la Cina non ha mai ratificato la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ONU) del 25 giugno 1957 che vieta il lavoro forzato. I Laogai, dunque, oltre ad essere uno strumento per il controllo delle coscienze, rappresenta anche uno dei pilastri dell’economia cinese.
Torture. Nei “Gulag” cinesi i prigionieri sono sottoposti a torture e maltrattamenti di ogni genere: seviziati con scariche elettriche, incatenati in posizioni dolorose, picchiati con bastoni e manganelli, legati con manette e catene alle caviglie, privati di cibo e sonno, costretti a ritmi di lavoro disumani. Vittime “privilegiate” dei Laogai sono le donne che, molto spesso, subiscono violenze sessuali e, in caso di gravidanza, sono costrette ad abortire, anche nell’ultimo periodo di gestazione.
Traffico d’organi. In Cina, e non solo, viene ancora praticata la pena capitale. Secondo Amnesty International, la Cina da sola giustizia più persone di tutto il resto del mondo messo insieme. Tra le altre efferatezze che vengono attribuite ai Laogai, c’è anche l’accusa di traffico degli organi dei reclusi condannati a morte. Il governo cinese ha ammesso la pratica dell’espianto sui condannati, ma ha negato che venga eseguito senza il loro consenso. Dalle ultime indigini condotte da due osservatori indipendenti, David Matas (avvocato internazionale dei diritti umani ed ex membro di Amnesty International) e David Kilgour (ex parlamentare e segretario di Stato del governo del Canada), sembrerebbe che le accuse mosse alla Repubblica cinese siano fondate.
La comunità mondiale. Oltre che dalle ONG, sono giunte ferme condanne al sistema dei Laogai dai parlamenti di Australia, Italia, Germania, dal Congresso Statunitense e, naturalmente, anche da parte della Stampa Internazionale. Anche il Parlamento Europeo è intervenuto sulla questione affermando che «condanna l’esistenza dei campi di lavoro Laogai sparsi nel Paese, nei quali la Repubblica Popolare Cinese detiene attivisti favorevoli alla democrazia ed ai sindacati e membri di minoranze senza un giusto processo, costringendoli a lavorare in terribili condizioni e senza cure mediche. Su ogni bene esportato la Cina deve dare garanzia scritta che non è prodotto nei Laogai e, in mancanza di quest’assicurazione, la Commissione deve proibirne l’importazione nell’UE». Nonostante la riprovazione internazionale, i Laogai continuano ad essere una vergognosa realtà che sta segnando l’alba del Terzo Millennio. Bisogna impegnarsi di più, per far sì che la “Forma Campo” diventi solo un lontano ricordo di un passato ignobile.
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