Morto Phillip Johnson, padre del Disegno Intelligente
Posté par atempodiblog le 8 novembre 2019
Morto Phillip Johnson, padre del Disegno Intelligente
E. Johnson è morto all’età di 79 anni. Nel suo Darwin on Trial mette in discussione la teoria darwiniana con un bombardamento di domande. E’ uno dei padri dell’Intelligent Design, secondo cui “alcune caratteristiche dell’universo e delle cose viventi vengono spiegate meglio dall’esistenza di una causa intelligente che non da un processo cieco qual è la selezione naturale”
di Marco Respinti – La nuova Bussola Quotidiana
È da 30 anni esatti che ogni qual volta compaia l’espressione «intelligent design» il pensiero dominante vi appiccica pavlovianamente sopra il bollino rosso “pseudoscienza”, laddove il pensiero dominante è la socializzazione di quel «divieto di fare domande» con cui, ne Il mito del mondo nuovo (trad. it., introduzione di Mario Marcolla [1929-2003], Rusconi, Milano 1970), il filosofo della politica tedesco-americano Eric Voegelin (1901-1985) stigmatizzava la cifra del mondo contemporaneo, l’intelligent design è la beata ostinazione a porsi domande su tutto, a partire dal principio di ogni cosa, e così scoprire con stupore e tremore che «alcune caratteristiche dell’universo e delle cose viventi vengono spiegate meglio dall’esistenza di una causa intelligente che non da un processo cieco qual è la selezione naturale» e la pseudoscienza è tutto ciò che spaccia per verità vera e prova provata quel che invece è solo al massimo una ipotesi di lavoro, spesso anche una forzatura ideologica e non di rado persino uno stratagemma propagandistico. Per esempio l’evoluzionismo darwinista, quello che al più è appunto una ipotesi e che tale resterà, cioè indimostrato, finché continuerà a sottrarsi alla verifica di quel metodo scientifico, canonizzato da mezzo millennio nella sua forma galileiana e come tale adottato da tutti gli specialisti, che non può prescindere dall’osservazione di un dato (fenomeno) e dalla verifica sperimentale che conferma o confuta la tesi elaborata inizialmente per spiegarlo.
L’espressione intelligent design, o ID, dà però fastidio perché rompe le uova nel paniere, mettendo in crisi una costruzione mentale che nessuno ha interesse a discutere, soprattutto da quando l’evoluzionismo darwinista è stato arruolato come pezza giustificativa del positivismo e adoperato come puntello di ogni sorta di materialismo. Ora, fintantoché non presenterà fenomeni verificati sperimentalmente anche l’ID resterà nel campo delle ipotesi, né più né meno dell’evoluzionismo cui si oppone nel quadro del dibattito scientifico. Ma quando spiegasse sistematicamente meglio l’apparire di certi fenomeni, diventerebbe un’ipotesi plausibile. E quando offrisse fatti inoppugnabili, sarebbe inoppugnabilmente scienza.
Per molti è un difetto, ma uno dei suoi pregi è l’essere naturalmente un ponte fra scienza e filosofia, ovvero sapere ricondurre a quell’unità del sapere che è patrimonio di tempi più civili dei nostri pur mantenendo distinti gli ambiti. Del resto è così anche per l’evoluzionismo e per ogni materialismo: non si utilizza forse la scienza per inferenze in ambito filosofico? In questo modo l’ID si rivela imparentato con la filosofia aristotelica della causa e dell’effetto, mai sazio di essere bambino davanti alle cose, chiedendosi continuamente “perché?”
Trent’anni fa l’espressione «intelligent design» compariva per la prima volta nel manuale scolastico Of Pandas and People: The Central Question of Biological Origins di Percival Davis e Dean H. Kenyon, pubblicato nel 1989 dalla Foundation for Thought and Ethics di Richardson, in Texas, a cura di Charles Thaxton, poi riedito nel 1993 e ripubblicato nel 2008 con il titolo The Design of Life: Discovering Signs of Intelligence in Biological Systems (ISI Books, Wilington [Dealware]. Da allora il suo centro propulsore è il Discovery Institute di Seattle, meglio ancora il suo Center for Science and Culture (CSC), diretto da Stephen C. Meyer, geofisico e filosofo della scienza.
Ma uno dei padri indiscussi di quello che nel tempo è cresciuto anche come movimento di opinione è senza dubbio Phillip E. Johnson (1940-2019), statunitense, scomparso il 2 novembre a 79 anni. Docente di Diritto nell’Università della California di Berkeley e co-fondatore del CSC, Johnson attraversò da giovane una fase di crisi profonda dovuta a un divorzio e alla polverizzazione della sua famiglia che lo condusse, a 38 anni, a una conversione profonda al cristianesimo. La fede cristiana lo portò quindi a interrogarsi filosoficamente sul senso delle cose e sulle cause del reale, in rotta di collisione con l’insufficienza strutturale delle spiegazioni materialiste. Fu questa la scintilla dell’ID come domanda sul reale realtà che però non mette il carro davanti ai buoi, pretendendo si spiegare con la fede ciò che la ragione non vede, ma esattamente il contrario: adoperando una la ragione che non si accontenta dei razionalismi.
Se poi interrogarsi sulla possibilità di un progetto intelligente nella natura porti a chiedersi chi sia il progettista è certo cosa lecita, ma è cosa altra. Qualora si volesse pure disinteressare dell’identità del progettista, uno scienziato serio mai potrebbe censurarsi davanti all’evidenza di un progetto intelligente. Questa e non altra è stata la sfida di Johnson al mondo che ha smesso di farsi domande.
Fanno testo le sue numerose pubblicazioni, anzitutto il fondamentale Darwin on Trail (Regnery, Washington) del 1991, prima vera pietra nello stagno. È su quelle pagine che l’infondatezza dell’assunto darwiniano viene messo alla sbarra in un incalzare di domande che esigono risposte. Del resto è il darwinismo che si perita di essere la soluzione trovata, annichilendo qualsiasi altra ipotesi: perché dunque, come la sfinge, non risponde, sfuggendo sistematicamente all’unico banco di prova accettato dalla comunità scientifica?
Perché non lasciare allora che ognuno si spieghi, senza preventivamente voler squalificare una delle due parti, ovvero una delle ipotesi possibili di lavoro? A Johnson questo sarebbe più che bastato. Ora che Johnson non c’è più, restano le sue domande. Tutte varianti dell’unica seria: la vita è il prodotto del caso cieco oppure è il frutto di un disegno? Il resto è letteratura, ma la scienza ha il compito statutario di non mentire mai quando indaga la natura. E di arrendersi all’evidenza, quale che essa sia. Sì, Phillip Johnson è più vivo che mai.
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