• Accueil
  • > Archives pour le Dimanche 4 août 2019

Il Papa scrive ai sacerdoti: “Grazie per il vostro servizio”

Posté par atempodiblog le 4 août 2019

Il Papa scrive ai sacerdoti: “Grazie per il vostro servizio”
La lettera di Francesco nel 160° anniversario della morte del Curato d’Ars: sostegno, vicinanza e incoraggiamento a tutti i preti che nonostante fatiche e delusioni ogni giorno celebrano i sacramenti e accompagnano il popolo di Dio
di Sergio Centofanti – Vatican News

Il Papa scrive ai sacerdoti: “Grazie per il vostro servizio” dans Fede, morale e teologia Sacerdoti-durante-la-celebrazione-dell-Eucaristia
Sacerdoti durante la celebrazione dell’Eucaristia

Papa Francesco scrive ai sacerdoti ricordando il 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, patrono dei parroci del mondo. Una lettera che esprime incoraggiamento e vicinanza ai “fratelli presbiteri, che senza fare rumore” lasciano tutto per impegnarsi nella vita quotidiana delle comunità; a quelli che, lavorano in “trincea”; a quelli che ogni giorno ci mettono la faccia senza darsi troppa importanza, “affinché il popolo di Dio sia curato e accompagnato”. “Mi rivolgo a ciascuno di voi – scrive il Papa – che, in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione, assumete la missione come un servizio a Dio e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino, scrivete le pagine più belle della vita sacerdotale”.

Dolore
La lettera papale si apre con uno sguardo allo scandalo degli abusi: “Negli ultimi tempi abbiamo potuto sentire più chiaramente il grido, spesso silenzioso e costretto al silenzio, dei nostri fratelli, vittime di abusi di potere, di coscienza e sessuali da parte di ministri ordinati”. Ma – spiega Francesco – pur senza “misconoscere il danno causato”, sarebbe “ingiusto non riconoscere tanti sacerdoti che in maniera costante e integra offrono tutto ciò che sono e che hanno per il bene degli altri”. Quei preti “che fanno della loro vita un’opera di misericordia in regioni o situazioni spesso inospitali, lontane o abbandonate, anche a rischio della propria vita”. Il Papa li ringrazia “per il coraggioso e costante esempio” e scrive che i “tempi della purificazione ecclesiale che stiamo vivendo ci renderanno più gioiosi e semplici e in un futuro non troppo lontano saranno molto fruttuosi”. Invita a non scoraggiarsi, perché “il Signore sta purificando la sua Sposa e ci sta convertendo tutti a sé. Ci sta facendo sperimentare la prova perché comprendiamo che senza di Lui siamo polvere”.

Gratitudine
La seconda parola chiave è “gratitudine”. Francesco ricorda che la “vocazione, più che una nostra scelta, è risposta a una chiamata gratuita del Signore”. Il Papa esorta a “ritornare a quei momenti luminosi” in cui si è sperimentata la chiamata del Signore a consacrare tutta la vita al suo servizio, a “quel “sì” cresciuto nel seno di una comunità cristiana”. Nei momenti di difficoltà, di fragilità, di debolezza, “quando la peggiore di tutte le tentazioni è quella di restare a rimuginare la desolazione”, è cruciale – afferma – “non perdere la memoria piena di gratitudine per il passaggio del Signore nella nostra vita” che “ci ha invitato a metterci in gioco per Lui e per il suo popolo”. La gratitudine “è sempre un’arma potente. Solo se siamo in grado di contemplare e ringraziare concretamente per tutti i gesti di amore, generosità, solidarietà e fiducia, così come di perdono, pazienza, sopportazione e compassione con cui siamo stati trattati, lasceremo che lo Spirito ci doni quell’aria fresca in grado di rinnovare (e non rattoppare) la nostra vita e missione”.

Francesco ringrazia i fratelli sacerdoti “per la fedeltà agli impegni assunti”. È “veramente significativo” – osserva – che in una società e in una cultura “gassose”, ci siano delle persone che scoprono la gioia di donare la vita. Dice grazie per la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia e per il ministero del sacramento della Riconciliazione, vissuto “senza rigorismi né lassismi”, facendosi carico delle persone e “accompagnandole nel cammino della conversione”. Ringrazia per l’annuncio del Vangelo fatto “a tutti, con ardore”. “Grazie per tutte le volte in cui, lasciandovi commuovere nelle viscere, avete accolto quanti erano caduti, curato le loro ferite… Niente è più urgente come queste cose: prossimità, vicinanza, essere vicini alla carne del fratello sofferente”.

Il cuore del pastore – afferma Francesco – è quello che “ha imparato il gusto spirituale di sentirsi uno con il suo popolo, che non dimentica di essere uscito da esso… con stile di vita austero e semplice, senza accettare privilegi che non hanno sapore di Vangelo”. Ma il Papa ringrazia e invita a ringraziare anche “per la santità del popolo fedele di Dio”, espressa “nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere”.

Coraggio
La terza parola è “coraggio”. Il Papa vuole incoraggiare i sacerdoti: “La missione a cui siamo chiamati non implica di essere immuni dalla sofferenza, dal dolore e persino dall’incomprensione, al contrario ci chiede di affrontarli e assumerli per lasciare che il Signore li trasformi e ci configuri di più a Lui”. Un buon test per sapere come si trova il cuore del pastore – scrive Francesco – “è chiedersi come stiamo affrontando il dolore”. A volte infatti può capitare di comportarsi come il levita o il sacerdote della parabola del Buon Samaritano, che ignorano l’uomo che giace a terra, altre volte ci si avvicina al dolore intellettualizzando e rifugiandosi in luoghi comuni (“la vita è così, non si può far nulla”), finendo per dare spazio al fatalismo. “Oppure ci si avvicina con uno sguardo di preferenze selettive generando così solo isolamento ed esclusione”.

Il Papa mette anche in guardia da quello che Bernanos ha definito il “più prezioso elisir del demonio”, cioè “la tristezza dolciastra che i Padri dell’Oriente chiamavano accidia. La tristezza che paralizza il coraggio di proseguire nel lavoro, nella preghiera”, che “rende sterili tutti i tentativi di trasformazione e conversione, propagando risentimento e animosità”. Francesco invita a chiedere “allo Spirito che venga a risvegliarci”, a “dare uno scossone al nostro torpore”, per sfidare l’abitudinarietà e “lasciarci smuovere da ciò che succede intorno a noi e dal grido della Parola viva del Risorto”. “Durante la nostra vita, abbiamo potuto contemplare come con Gesù Cristo sempre rinasce la gioia”. Una gioia – precisa il Pontefice – che “non nasce da sforzi volontaristici o intellettualistici ma dalla fiducia di sapere che le parole di Gesù a Pietro continuano ad agire”.

È nella preghiera – spiega ancora il Papa – che “sperimentiamo la nostra benedetta precarietà che ci ricorda il nostro essere dei discepoli bisognosi dell’aiuto del Signore e ci libera dalla tendenza prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze”. La preghiera del pastore “si nutre e si incarna nel cuore del popolo di Dio. Porta i segni delle ferite e delle gioie della sua gente”. Un affidamento che “ci rende tutti liberi dal cercare o volere risposte facili, veloci o prefabbricate, permettendo al Signore di essere Lui (e non le nostre ricette e priorità) a mostrarci un cammino di speranza”. Dunque “riconosciamo la nostra fragilità, sì; ma permettiamo che Gesù la trasformi e ci proietti in continuazione verso la missione”.

Per mantenere il cuore coraggioso, il Papa osserva che non vanno trascurati due legami costitutivi. Il primo con Gesù. È l’invito a non trascurare “l’accompagnamento spirituale, avendo un fratello con cui parlare, confrontarsi, discutere e discernere il proprio cammino”. Il secondo legame è con il popolo: “Non isolatevi dalla vostra gente e dai presbiteri o dalle comunità. Ancora meno non rinchiudetevi in gruppi chiusi o elitari… un ministro coraggioso è un ministro sempre in uscita”. Il Papa chiede ai sacerdoti di “essere vicini a coloro che soffrono, per stare, senza vergogna, vicini alle miserie umane e, perché no, viverle come proprie per renderle eucaristia”. Di essere “artigiani di relazione e comunione, aperti, fiduciosi e in attesa della novità che il Regno di Dio vuole suscitare oggi”.

Lode
L’ultima parola proposta nella lettera è “lode”. È impossibile parlare di gratitudine e incoraggiamento senza contemplare Maria che “ci insegna la lode capace di aprire lo sguardo al futuro e di restituire speranza al presente”. Perché “guardare Maria è tornare a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”. Per questo – conclude il Papa – “se qualche volta ci sentiamo tentati di isolarci e rinchiuderci in noi stessi e nei nostri progetti proteggendoci dalle vie sempre polverose della storia, o se lamenti, proteste, critiche o ironia si impadroniscono del nostro agire senza voglia di combattere, di aspettare e di amare … guardiamo a Maria affinché purifichi i nostri occhi da ogni ‘pagliuzza’ che potrebbe impedirci di essere attenti e svegli per contemplare e celebrare Cristo che vive in mezzo al suo popolo”.

“Fratelli – sono le parole finali della lettera – ancora una volta, continuamente rendo grazie per voi … Lasciamo che sia la gratitudine a suscitare la lode e ci incoraggi ancora una volta alla missione di ungere i nostri fratelli nella speranza. Ad essere uomini che testimoniano con la loro vita la compassione e la misericordia che solo Gesù può donarci”.

Publié dans Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Riflessioni, Sacramento dell’Ordine | Pas de Commentaire »

Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli

Posté par atempodiblog le 4 août 2019

Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli
Il ringraziamento di Papa Francesco al servizio quotidiano di tanti sacerdoti che in ogni parte del mondo accompagnano il popolo di Dio
di Andrea Tornielli – Vatican News

Una lettera ai fratelli preti per incoraggiarli e sostenerli dans Andrea Tornielli Sacerdoti-in-una-comunit-indigena-in-Brasile
Sacerdoti in una comunità indigena in Brasile

Il dramma degli abusi, il grido sgomento delle vittime, che li hanno subiti da chi mai avrebbero immaginato, pesa come un fardello sulle spalle di ogni sacerdote. Ci sono preti che vengono guardati con sdegno, con sospetto, per colpe che non hanno, ma che rimangono ferite sanguinanti per l’intero corpo ecclesiale.

Con la lettera ai sacerdoti in occasione del 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars, modello di prete consumatosi nel servizio al popolo di Dio, Papa Francesco – che pure non si è certo tirato indietro di fronte al dovere della denuncia e del rimprovero, quando necessario – risponde ringraziando l’esercito silenzioso dei sacerdoti che non hanno tradito né la fede né la fiducia. In questa lettera, firmata da San Giovanni in Laterano, sede del Vescovo di Roma, come a sottolineare di averla scritta proprio come pastore e Vescovo di Roma, il Papa manifesta vicinanza, incoraggiamento, sostegno, conforto a tutti i sacerdoti del mondo. A quei preti che ogni giorno, spesso con fatica, sfidando la delusione e l’incomprensione, tengono aperte le chiese e celebrano i sacramenti. A quei preti che vincendo la tristezza e l’abitudinarietà, continuano a mettersi in gioco nell’accogliere chi ha bisogno di una parola, di conforto, di accompagnamento. A quei preti che quotidianamente visitano la loro gente, donandosi senza riserve, piangendo con chi è nel pianto e gioendo con chi è nella gioia. A quei preti che vivono “in trincea”, che a volte rischiano la propria vita per essere vicini al loro popolo. A quei preti che devono percorrere giorni e giorni di canoa per raggiungere qualche villaggio sperduto per andare a trovare le pecore isolate del loro gregge.

C’è una grandezza poco raccontata nella vita ordinaria della Chiesa. Una grandezza capace di fare la storia anche se mai conquisterà le pagine dei manuali o le luci della ribalta. È la grandezza del servizio nel nascondimento, di chi si dona senza protagonismi, confidando soltanto nella grazia di Dio. È la grandezza della vita regalata agli altri da quei preti «peccatori perdonati», come  il Papa definisce anche se stesso,  che avendo sperimentato e continuando a sperimentare la misericordia, lasciano a Dio l’iniziativa e lo seguono nel servizio alle loro comunità.

C’era bisogno di una parola di incoraggiamento, di stima, di vicinanza. C’era bisogno di un ringraziamento come quello contenuto nelle pagine della lettera papale. Perché il dolore provocato al corpo ecclesiale dalle infedeltà di pochi – come accaduto con la tremenda piaga degli abusi – non rischiasse di far dimenticare la fedeltà di molti, vissuta nonostante le tante fatiche e i limiti umani. Per questo Papa Francesco ha voluto rendere grazie a chi ancora oggi offre tutta la propria esistenza a Dio servendolo nella sua gente, e rinnova quell’iniziale “sì” della propria vocazione facendo memoria della chiamata ricevuta.

Publié dans Andrea Tornielli, Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Sacramento dell’Ordine | Pas de Commentaire »

Il santo curato d’Ars

Posté par atempodiblog le 4 août 2019

Il santo curato d’Ars
Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga
Fonte: Rivista In Camper, n.154 del 2013

Il santo curato d’Ars dans Angeli Santo-Curato-d-Ars

“IO TI INSEGNERÒ LA STRADA DEL CIELO”
[…] Il Santo Curato è stato proclamato “celeste patrono di tutti i parroci dell’universo” (1929) e un’immersione in quel frammento di cielo che, grazie a lui, è divenuto un anonimo villaggio di campagna, è una medicina corroborante di straordinaria efficacia. In un tempo in cui si discute sull’identità del sacerdote e sul significato della sua missione, che cosa di meglio che vedere questo sublime ideale incarnato nella vita di un parroco il quale, senza inventare nulla di straordinario, ha fatto quello che ogni sacerdote è chiamato a fare (S. Messa, Catechismo, Confessioni) con una tale forza di fede e di convinzione da attirare pellegrini anche dai paesi più lontani; mentre, dispiace dirlo, montava l’insofferenza e l’ostilità nei suoi confronti dei sacerdoti della regione. […]

“SEMBRAVA AVESSE SCELTO LA CHIESA COME DOMICILIO”
[…] Il Santo Curato ha compreso come pochi l’importanza della chiesa parrocchiale come centro propulsore della vita cristiana. Essa è il cuore che batte incessantemente e che tiene viva la fede a coloro che la frequentano, mentre richiama con la sua sola presenza quelli che la disertano. È strano, ma entrando in Ars ho avuto questa grazia di cogliere improvvisamente l’importanza della chiesa come dimora di Dio in mezzo a noi. Questo pensiero non mi era venuto neppure a Medjugorje, dove, per altro, la Madonna al riguardo aveva dato un messaggio particolare, nel quale diceva che “la Chiesa è la casa di Dio… dove Dio, che si è fatto uomo, sta dentro di essa giorno e notte”. S. Giovanni Maria Vianney attribuiva una grande importanza a tutto quello che si riferiva al culto divino e ben presto la piccola chiesa malandata della sua nuova parrocchia diviene l’oggetto di una ricostruzione energica.

[…] Qui si trova il campo di battaglia dove l’uomo di Dio, con una sapiente strategia, ha disposto le postazioni dalle quali lanciare i suoi strali micidiali contro la serpe infernale. Infatti, le cappelle laterali sono per lo più concepite in funzione del sacramento della penitenza che, per lo zelante sacerdote, era il momento della liberazione e della rinascita delle anime. I fedeli si preparavano alla confessione nella cappella dell’”Ecce Homo”, che il Curato aveva fatto ristrutturare nel 1834 per questo scopo, abbellendola con decorazioni che ricordano la passione di Gesù.

[…] Guardo con emozione quelle assi di legno sgualcito, dove un’antica stola color viola è lì ancora a testimoniare la presenza viva di quel guerriero di Dio. Il Cielo solo conosce le grandi battaglie dello spirito che lì sono state combattute e il numero delle anime strappate dalle fauci fameliche del dragone infernale.

Quasi a sostenerlo in questo epico duello ecco la cappella di S. Filomena, la santa che egli prediligeva e che era solito chiamare “la sua incaricata d’affari presso Dio”, e quella dedicata ai Santi Angeli, con le statue degli Arcangeli Michele e Gabriele e dell’Angelo custode che accompagna un’anima rappresentata da un bambino. L’aiuto più efficace egli lo aspetta però dalla Santa Vergine, nella cui cappella si trova il quadro che fece dipingere in occasione della consacrazione della parrocchia alla sua Immacolata Concezione. Successivamente, dopo l’apparizione della Medaglia Miracolosa nel 1830, compera una statua della Vergine di legno dorato e fa cesellare un cuore in argento dorato sul quale sono incisi tutti i nomi dei suoi parrocchiani. La Madonna, afferma il Santo Curato “è la mia più vecchia passione” e “l’ho amata prima ancora di conoscerla”.

Mi rendo conto, mentre mi muovo in quegli spazi ristretti, di leggere un trattato scritto dallo stesso dito di Dio sulla dignità e la missione del sacerdote. In particolare mi colpisce il rilievo dato alla confessione, dove S. Giovanni Maria Vianney vedeva la manifestazione della divina misericordia, che guarisce l’uomo da quel male assoluto che è il peccato.

“Se non fossi stato prete, non avrei mai saputo che cos’è il peccato… Non c’è che Dio che sappia cos’è il peccato”, affermava; poi precisava: “Non è il peccatore che ritorna a Dio per chiedergli perdono, ma è Dio che corre dietro al peccatore e lo fa ritornare a lui”. “Il Buon Dio – soleva ripetere – vuol farci felici e noi non lo vogliamo… Una persona che è nel peccato è sempre triste. Ha un bel darsi da fare, è disgustata, annoiata da tutto. Questi poveri peccatori saranno dunque sempre infelici, in questo mondo e nell’altro”. E tuttavia è l’infinito amore di Dio per le anime che non si stanca di sottolineare: “Quando il prete dà l’assoluzione – spiega – non bisogna pensare che a una sola cosa: che il sangue del Buon Dio scorre sulla nostra anima per lavarla e renderla bella com’era dopo il battesimo… Non si parlerà più di peccati perdonati. Sono cancellati, non esistono più… Non c’è niente che offenda tanto il Buon Dio come la mancanza di speranza nella sua misericordia”.

Mi chiedo se l’uomo d’oggi, apparentemente così evoluto rispetto a quei semplici contadini dell’Ottocento, voglia sentire parole diverse da queste. Il vangelo, quando è autentico, è eterno, dico a me stesso mentre guardo i due modesti ma efficacissimi pulpiti dai quali il Santo Curato si rivolgeva alla gente. Da quello più alto ogni domenica rivolgeva la parola ai fedeli, prendendo lo spunto per l’omelia dal vangelo del giorno. A quella gente che lavorava la campagna, amava parlare della bellezza della natura, invitandola a benedire e ad amare Dio creatore. Usava per i suoi uditori un linguaggio comprensibile, semplice e concreto, con immagini tratte dalla vita quotidiana, come quello delle parabole evangeliche. “Colui che non prega – disse una volta – è come una gallina o un tacchino che non può innalzarsi nell’aria. Se volano un po’, ricadono subito e, razzolando nella terra, vi affondano, vi si coprono e sembrano trarre piacere solo da questo”. Dall’altra parte del pulpito, sotto la nicchia della Vergine col Bambino, vi è la “cattedra del catechismo delle ore 11”, attorno alla quale ogni giorno facevano ressa i bambini della “Provvidenza” e i pellegrini.

Il confessionale e il pulpito dunque, ma soprattutto l’altare e il tabernacolo. È questa la triade entro la quale S. Giovanni Maria spendeva gran parte della sua giornata. Non si stancava di parlare della Santa Eucaristia e ne faceva accenno in tutte le lezioni dicatechismo. “Egli è là e vi ascolta”, diceva mentre si voltava verso il tabernacolo, con un’espressione che era ancora più eloquente delle sue parole. Quando recitava il breviario, di tanto in tanto lo vedevano guardare il tabernacolo col volto inondato di una gioia misteriosa.

“Invece di fare chiasso sui giornali, fatene alla porta del tabernacolo” affermò in un’occasione, e mi chiedo se questa raccomandazione non sia sufficiente a guarire la Chiesa da tutti i mali che la affliggono in questi tempi travagliati. Uno potrebbe sostare anche un giorno intero nello spazio angusto della vecchia chiesa di Ars senza affatto stancarsi e lì apprenderebbe assai più che durante un anno presso una facoltà di teologia. Così, infatti, avviene quando è lo Spirito che istruisce le anime.

LA CANONICA MUSEO
[…] “Oh, figli miei, – diceva ai suoi parrocchiani – com’è triste! Tre quarti dei cristiani lavorano solo per soddisfare questo cadavere che presto marcirà sotto terra. Mancano di spirito e di buon senso!” Filosofia estremamente realistica, che persino un ateo potrebbe sottoscrivere.

È interessante sottolineare al riguardo che il Santo Curato non era affatto un prete ignorante, come a volte si pensa, a causa delle difficoltà incontrate in seminario, soprattutto a causa del latino. Lo dimostra la sua notevole biblioteca ricca di 246 monumentali volumi, per metà ereditati da Don Balley, suo maestro. Egli aveva un grande interesse per la lettura e lo studio, vi dedicava tutto il tempo necessario per la preparazione delle sue omelie e per meditare sugli esempi dei santi.

Dalla camera alla chiesa e viceversa la sua giornata era tutta protesa alla ricerca della comunione con Dio e al suo servizio. In evidenza su un tavolo il breviario e il rosario con i quali alimentava la sua vita spirituale. Oggi le esigenze della vita moderna e la molteplicità degli impegni sembrano dettare ai sacerdoti altri ritmi e una diversa distribuzione del tempo.

In realtà S. Giovanni Maria Vianney ricorda a tutti i sacerdoti del mondo che senza preghiera rischiano di essere dei cembali squillanti. Essa è l’anima di ogni apostolato. “L’anima che smette di pregare muore di fame”, ammoniva. “Se all’inferno si potesse pregare – affermava – l’inferno non esisterebbe più”. Ma questo uomo di preghiera era anche santo dalle iniziative sociali. Lo dimostra, accanto alla canonica, un edificio sulla facciata del quale ancora oggi si legge l’iscrizione “La Providence”.

Publié dans Angeli, Fede, morale e teologia, Libri, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Sacramento dell’Ordine, Santo Curato d'Ars | Pas de Commentaire »