Il santo curato d’Ars
Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga
Fonte: Rivista In Camper, n.154 del 2013
“IO TI INSEGNERÒ LA STRADA DEL CIELO”
[…] Il Santo Curato è stato proclamato “celeste patrono di tutti i parroci dell’universo” (1929) e un’immersione in quel frammento di cielo che, grazie a lui, è divenuto un anonimo villaggio di campagna, è una medicina corroborante di straordinaria efficacia. In un tempo in cui si discute sull’identità del sacerdote e sul significato della sua missione, che cosa di meglio che vedere questo sublime ideale incarnato nella vita di un parroco il quale, senza inventare nulla di straordinario, ha fatto quello che ogni sacerdote è chiamato a fare (S. Messa, Catechismo, Confessioni) con una tale forza di fede e di convinzione da attirare pellegrini anche dai paesi più lontani; mentre, dispiace dirlo, montava l’insofferenza e l’ostilità nei suoi confronti dei sacerdoti della regione. […]
“SEMBRAVA AVESSE SCELTO LA CHIESA COME DOMICILIO”
[…] Il Santo Curato ha compreso come pochi l’importanza della chiesa parrocchiale come centro propulsore della vita cristiana. Essa è il cuore che batte incessantemente e che tiene viva la fede a coloro che la frequentano, mentre richiama con la sua sola presenza quelli che la disertano. È strano, ma entrando in Ars ho avuto questa grazia di cogliere improvvisamente l’importanza della chiesa come dimora di Dio in mezzo a noi. Questo pensiero non mi era venuto neppure a Medjugorje, dove, per altro, la Madonna al riguardo aveva dato un messaggio particolare, nel quale diceva che “la Chiesa è la casa di Dio… dove Dio, che si è fatto uomo, sta dentro di essa giorno e notte”. S. Giovanni Maria Vianney attribuiva una grande importanza a tutto quello che si riferiva al culto divino e ben presto la piccola chiesa malandata della sua nuova parrocchia diviene l’oggetto di una ricostruzione energica.
[…] Qui si trova il campo di battaglia dove l’uomo di Dio, con una sapiente strategia, ha disposto le postazioni dalle quali lanciare i suoi strali micidiali contro la serpe infernale. Infatti, le cappelle laterali sono per lo più concepite in funzione del sacramento della penitenza che, per lo zelante sacerdote, era il momento della liberazione e della rinascita delle anime. I fedeli si preparavano alla confessione nella cappella dell’”Ecce Homo”, che il Curato aveva fatto ristrutturare nel 1834 per questo scopo, abbellendola con decorazioni che ricordano la passione di Gesù.
[…] Guardo con emozione quelle assi di legno sgualcito, dove un’antica stola color viola è lì ancora a testimoniare la presenza viva di quel guerriero di Dio. Il Cielo solo conosce le grandi battaglie dello spirito che lì sono state combattute e il numero delle anime strappate dalle fauci fameliche del dragone infernale.
Quasi a sostenerlo in questo epico duello ecco la cappella di S. Filomena, la santa che egli prediligeva e che era solito chiamare “la sua incaricata d’affari presso Dio”, e quella dedicata ai Santi Angeli, con le statue degli Arcangeli Michele e Gabriele e dell’Angelo custode che accompagna un’anima rappresentata da un bambino. L’aiuto più efficace egli lo aspetta però dalla Santa Vergine, nella cui cappella si trova il quadro che fece dipingere in occasione della consacrazione della parrocchia alla sua Immacolata Concezione. Successivamente, dopo l’apparizione della Medaglia Miracolosa nel 1830, compera una statua della Vergine di legno dorato e fa cesellare un cuore in argento dorato sul quale sono incisi tutti i nomi dei suoi parrocchiani. La Madonna, afferma il Santo Curato “è la mia più vecchia passione” e “l’ho amata prima ancora di conoscerla”.
Mi rendo conto, mentre mi muovo in quegli spazi ristretti, di leggere un trattato scritto dallo stesso dito di Dio sulla dignità e la missione del sacerdote. In particolare mi colpisce il rilievo dato alla confessione, dove S. Giovanni Maria Vianney vedeva la manifestazione della divina misericordia, che guarisce l’uomo da quel male assoluto che è il peccato.
“Se non fossi stato prete, non avrei mai saputo che cos’è il peccato… Non c’è che Dio che sappia cos’è il peccato”, affermava; poi precisava: “Non è il peccatore che ritorna a Dio per chiedergli perdono, ma è Dio che corre dietro al peccatore e lo fa ritornare a lui”. “Il Buon Dio – soleva ripetere – vuol farci felici e noi non lo vogliamo… Una persona che è nel peccato è sempre triste. Ha un bel darsi da fare, è disgustata, annoiata da tutto. Questi poveri peccatori saranno dunque sempre infelici, in questo mondo e nell’altro”. E tuttavia è l’infinito amore di Dio per le anime che non si stanca di sottolineare: “Quando il prete dà l’assoluzione – spiega – non bisogna pensare che a una sola cosa: che il sangue del Buon Dio scorre sulla nostra anima per lavarla e renderla bella com’era dopo il battesimo… Non si parlerà più di peccati perdonati. Sono cancellati, non esistono più… Non c’è niente che offenda tanto il Buon Dio come la mancanza di speranza nella sua misericordia”.
Mi chiedo se l’uomo d’oggi, apparentemente così evoluto rispetto a quei semplici contadini dell’Ottocento, voglia sentire parole diverse da queste. Il vangelo, quando è autentico, è eterno, dico a me stesso mentre guardo i due modesti ma efficacissimi pulpiti dai quali il Santo Curato si rivolgeva alla gente. Da quello più alto ogni domenica rivolgeva la parola ai fedeli, prendendo lo spunto per l’omelia dal vangelo del giorno. A quella gente che lavorava la campagna, amava parlare della bellezza della natura, invitandola a benedire e ad amare Dio creatore. Usava per i suoi uditori un linguaggio comprensibile, semplice e concreto, con immagini tratte dalla vita quotidiana, come quello delle parabole evangeliche. “Colui che non prega – disse una volta – è come una gallina o un tacchino che non può innalzarsi nell’aria. Se volano un po’, ricadono subito e, razzolando nella terra, vi affondano, vi si coprono e sembrano trarre piacere solo da questo”. Dall’altra parte del pulpito, sotto la nicchia della Vergine col Bambino, vi è la “cattedra del catechismo delle ore 11”, attorno alla quale ogni giorno facevano ressa i bambini della “Provvidenza” e i pellegrini.
Il confessionale e il pulpito dunque, ma soprattutto l’altare e il tabernacolo. È questa la triade entro la quale S. Giovanni Maria spendeva gran parte della sua giornata. Non si stancava di parlare della Santa Eucaristia e ne faceva accenno in tutte le lezioni dicatechismo. “Egli è là e vi ascolta”, diceva mentre si voltava verso il tabernacolo, con un’espressione che era ancora più eloquente delle sue parole. Quando recitava il breviario, di tanto in tanto lo vedevano guardare il tabernacolo col volto inondato di una gioia misteriosa.
“Invece di fare chiasso sui giornali, fatene alla porta del tabernacolo” affermò in un’occasione, e mi chiedo se questa raccomandazione non sia sufficiente a guarire la Chiesa da tutti i mali che la affliggono in questi tempi travagliati. Uno potrebbe sostare anche un giorno intero nello spazio angusto della vecchia chiesa di Ars senza affatto stancarsi e lì apprenderebbe assai più che durante un anno presso una facoltà di teologia. Così, infatti, avviene quando è lo Spirito che istruisce le anime.
LA CANONICA MUSEO
[…] “Oh, figli miei, – diceva ai suoi parrocchiani – com’è triste! Tre quarti dei cristiani lavorano solo per soddisfare questo cadavere che presto marcirà sotto terra. Mancano di spirito e di buon senso!” Filosofia estremamente realistica, che persino un ateo potrebbe sottoscrivere.
È interessante sottolineare al riguardo che il Santo Curato non era affatto un prete ignorante, come a volte si pensa, a causa delle difficoltà incontrate in seminario, soprattutto a causa del latino. Lo dimostra la sua notevole biblioteca ricca di 246 monumentali volumi, per metà ereditati da Don Balley, suo maestro. Egli aveva un grande interesse per la lettura e lo studio, vi dedicava tutto il tempo necessario per la preparazione delle sue omelie e per meditare sugli esempi dei santi.
Dalla camera alla chiesa e viceversa la sua giornata era tutta protesa alla ricerca della comunione con Dio e al suo servizio. In evidenza su un tavolo il breviario e il rosario con i quali alimentava la sua vita spirituale. Oggi le esigenze della vita moderna e la molteplicità degli impegni sembrano dettare ai sacerdoti altri ritmi e una diversa distribuzione del tempo.
In realtà S. Giovanni Maria Vianney ricorda a tutti i sacerdoti del mondo che senza preghiera rischiano di essere dei cembali squillanti. Essa è l’anima di ogni apostolato. “L’anima che smette di pregare muore di fame”, ammoniva. “Se all’inferno si potesse pregare – affermava – l’inferno non esisterebbe più”. Ma questo uomo di preghiera era anche santo dalle iniziative sociali. Lo dimostra, accanto alla canonica, un edificio sulla facciata del quale ancora oggi si legge l’iscrizione “La Providence”.