L’educazione è prima di tutto una testimonianza
Posté par atempodiblog le 6 mars 2018
L’educazione è prima di tutto una testimonianza
di Franco Nembrini, Figli liberi di padri liberi – Breve stralcio tratto dall’intervento di apertura alla “Scuola popolare”
Se vedrò mio padre in paradiso (lui è su, io non sono sicuro di andarci), lo ringrazierò per l’eternità perché si è occupato della sua santità, non della mia. Perché mio padre aveva questo genio, come mia madre, ma come tanti dei nostri genitori, perché descrivendo i miei genitori penso che riconosciate un po’ anche i vostri. Mio padre aveva questo genio educativo.
Faccio riferimento a due esempi e a una citazione tratta dalla Bibbia per spiegare cos’è l’educazione come testimonianza.
Primo esempio. Quando eravamo piccolini, vivevamo in un appartamento di sessantadue metri quadrati, con una cucina dove c’era un tavolo di un metro quadrato che era una specie di altoforno a ciclo continuo, perché (per fortuna) gli orari erano diversi tra asilo, elementari e medie, per cui prima mangiavano quattro, poi altri quattro, poi altri quattro, e quando gli ultimi avevano finito i primi cominciavano a far merenda, a ritmo continuo. C’era la stanza dei maschietti (sei), la stanza delle femminucce (tre) e il piccolino nel lettone. La stanza dei maschietti comprendeva due letti a tre piani, la mamma metteva gli abiti nei sacchi della spazzatura dietro la porta, perché non c’era posto sufficiente per riporli nell’armadio. Né posto, né soldi.
Quando mio padre alla sera veniva a far pregare noi bambini, che ci tiravamo i cuscini come tutti i bambini, lui non entrava sbraitando: «Dovete pregare!». Pregava lui, si metteva in ginocchio e cominciava «Padre nostro…». Potevamo avere tre anni o sei, ma questa immagine ce l’ho stampata in testa, perché io che stimavo così tanto mio papà, quando lo vedevo inginocchiarsi, mi chiedevo chi fosse così grande da meritarsi mio padre in ginocchio.
Chi è quell’essere misterioso che si merita mio padre in ginocchio? Deve essere una cosa gigante. Mi veniva la curiosità di saper chi fosse uno così grande da meritarsi mio padre in ginocchio, un po’ come mi succedeva con la mamma quando mi portava a Messa.
È questo il secondo esempio: Quando la mamma andava alla prima Messa, quella delle cinque del mattino (non l’ha mai persa una volta se non quand’era malata), sceglieva un figlio diverso tutte le mattine per accompagnarla. Quando sceglieva uno di noi, il prescelto ci sentiva onoratissimo di questo, ci commuovevamo per essere scelti. In questo certamente ha avuto una parte la cioccolata con la panna, che vedevi solo in quell’occasione lì, per cui ti nasceva l’idea del cristianesimo come suprema convenienza della vita, un’idea tutt’altro che sciocca. Quando doveva spiegare le cose al popolo, Gesù
faceva così: il Regno dei cieli veniva descritto come uno che ha perso una roba e la ritrova, come uno che ha trovato un tesoro e perciò vende tutto quello che ha, acquista il campo e prende il tesoro. Gesù descriveva il Regno dei cieli come il centuplo quaggiù: non male, con gli interessi che corrono oggi, la
promessa del centuplo quaggiù e della vita eterna. Gesù parlava sempre di una convenienza.
I nostri papà facevano così, ti educavano a una convenienza della fede. Ma la cosa che mi è rimasta più impressa non è la cioccolata con la panna, è mia madre quando tornava dalla comunione. Perché lei ti stava vicino tutta la Messa, ti faceva pregare e ti aiutava a capire, poi andava a far la comunione, col
suo velo, e la cosa che mi impressionava era che quando tornava tra i banchi si inginocchiava con il viso tra le mani e, per cinque minuti, non c’era più.
Allora mi affiorava alla mente la stessa domanda che emergeva con mio padre: Chi è che si porta via mia madre in questi cinque minuti per cui è come se
non esistesse più niente intorno a lei? Ricordo che andavo lì, con discrezione, per cercar di capire cosa facesse, cosa dicesse, dove guardasse, per essere così rapita cinque minuti al giorno e aver poi come esito quella letizia per tutto il giorno, con la vita che faceva (dieci figli senza elettrodomestici, non so
come abbia fatto). In una letizia continua, perenne, sempre, lieta, cantava.
Mio padre fischiava, mia madre cantava. Allora se tu vieni su con due genitori così, cominci a capire, lo dico un po’ ironicamente nel libro, che il segreto dell’educazione è non avere il problema dell’educazione. Avere il problema della propria educazione, e basta. Poi i figli fanno il loro mestiere, cioè guardano, scelgono, decidono, rischiano.
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