Ricevere la Comunione nella mano non può essere banalizzato
Posté par atempodiblog le 5 mars 2018
Un commento di monsignor Malnati sul tema della ricezione dell’eucaristia
Ricevere la Comunione nella mano non può essere banalizzato
di Ettore Malnati, Vicario episcopale per il laicato e la cultura – diocesi di Trieste – Vatican Insider
Mentre papa Francesco sta commentando nella catechesi del mercoledì le varie parti della celebrazione eucaristica, da alcuni ambienti a Lui vicini si crea – speriamo sine dolo - perplessità tra il «popolo di Dio» circa scelte fatte da interi episcopati e accolti ed effettuati proprio dai pontefici romani, come Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, lo stesso Benedetto XVI e papa Francesco, come quello di ricevere devotamente l’ostia santa, che è la transustanziazione nelle apparenze del pane, del corpo, sangue, anima e divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
Accogliere le sacre specie nel palmo delle mani poste in forma di croce, per poi nutrirsi del «pane eucaristico», non può essere banalizzato e, penso, tanto meno discriminato al punto da porre nella mente dei fedeli il dubbio che ricevendo la santa eucarestia nella mano si compia un atto irrispettoso verso le sacre specie.
E si scrive: «Perché ci ostiniamo a comunicare in piedi e sulla mano? Perché questo atteggiamento di mancanza di sottomissione a Dio? Che nessun sacerdote osi pretendere di imporre la propria autorità su questa questione rifiutando e maltrattando coloro che desiderano ricevere la comunione in ginocchio sulla lingua».
Tre sono le communio da osservare: fidei, sacramentorum et disciplinae.
Non si tratta di ostinazione, bensì di obbedienza alle disposizioni di interi episcopati.
Si è sempre detto che l’obbedienza soprattutto nelle disposizioni liturgiche è fonte di comunione e di «obsequium» su ciò che di più sacro ha la Chiesa: la liturgia che è la sua lex orandi.
Mi porto in animo due ricordi.
Il giorno in cui cessava l’antico modo di celebrare la messa nel rito latino dopo il Concilio di Trento ed entrava in vigore il messale di Paolo VI, il vescovo di Trieste monsignor Santin, che era vescovo dal 1933 e quindi tutto il suo ministero sacerdotale ed episcopale lo aveva svolto con l’antico modo, celebrò con commozione l’ultima messa e con spirito veramente di fedeltà alla Chiesa fu poi fedele all’equilibrata riforma liturgica accompagnata con responsabilità in tutte le comunità della sua diocesi, in fedeltà a Pietro e al Concilio. Fece le sue osservazioni, sia nella Conferenza episcopale regionale, sia in quella nazionale, ma fu fedele.
L’altro ricordo ce l’ho da un corso accademico alla Pontificia Università di S. Tommaso (Angelicum) di Roma, tenuto dal professor Fuente, che ci fece alcune lezioni sulla teologia delle mani. Quelle mani che con la loro fatica guadagnano il pane materiale per la famiglia, quelle mani che donano tenerezza ai figli o alla sposa, quelle mani che aiutano un anziano o un sofferente, quelle mani che nel momento della malattia grave vengono unte dall’olio santo, quelle mani sono, con il cuore, le membra degne di toccare e ricevere il corpo di Cristo.
Tutti nella Chiesa, soprattutto coloro che hanno delle particolari responsabilità «ratio munere», hanno diritto di esprimere suggerimenti e anche disposizioni, purché non certo in contraddizione aperta con le indicazioni date dai legittimi pastori delle Chiese particolari e soprattutto con l’approvazione del Santo Padre.
Portare confusione tra il popolo di Dio, sapendo di volerlo fare, è un grave «attentato» alla comunione ecclesiale e anche alla serenità della fede del popolo di Dio.
È preferibile seguire con consapevolezza la normale prassi nel ricevere l’Eucarestia che portare l’acqua a dubbi che creano conflitti di coscienza e divisioni nel popolo di Dio. È meglio una santità feriale, fondata su umiltà e obbedienza, che una «rivoluzione» che lacera il tessuto dell’unità anche «solo» rituale.
Certo che non si negherà la recezione dell’eucarestia a chi la desidera in ginocchio e non in mano, purché non sia provocazione e «sconfessione» della bontà delle disposizioni della Comunione in mano volute da interi episcopati.
La santità non sta nel rito ma nella disposizione del cuore di chi lo compie. Il rigorismo non genera santi, ma spesso paranoici.
È nell’equilibrio che sta la virtù.
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