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IL SEGNO. Benedizione delle famiglie gesto che crea comunità

Posté par atempodiblog le 26 février 2018

IL SEGNO. Benedizione delle famiglie gesto che crea comunità
Da sempre in Quaresima e durante il Tempo pasquale i parroci benedicono le famiglie Un modo per rinnovare la fede e consolidare la fraternità e la comunione sul territorio
di Giacomo Gambassi – Avvenire

IL SEGNO. Benedizione delle famiglie gesto che crea comunità dans Benedizione delle famiglie Benedizione_famiglie

Affonda le sue radici nell’eredità del Concilio di Trento la tradizione di benedire le famiglie nel tempo di Quaresima e di Pasqua che, a distanza di quasi cinquecento anni, marca ancora la vita di una parte consistenze delle parrocchie italiane in queste settimane. Quando era nata, la benedizione annuale dei nuclei familiari rappresentava un momento per consolidare la comunità e preservarla dalle correnti ereticali.

Oggi il Benedizionale la definisce un’«occasione preziosa» che i sacerdoti e i loro collaboratori devono avere «particolarmente a cuore» per «avvicinare e conoscere tutte le famiglie» di un territorio.

Certo, ha scritto il docente di liturgia e parroco nella diocesi di Alessandria, don Silvano Sirboni, «in un contesto multireligioso come il nostro, segnato da sistemi e ritmi di lavoro che costringono alla mobilità svuotando o quasi durante il giorno interi quartieri, questa attività pastorale trova non poche difficoltà, specie nei centri urbani». Eppure, resta come un punto fermo nelle agende parrocchiali: non solo in quelle dei piccoli paesi ma anche delle grandi città. Che comunque va liberata dal tratto – dominante soprattutto in passato – che riduceva il tutto a un gesto esteriore vicino all’ambito della superstizione. Ecco perché sempre il Benedizionale tiene a precisare che «non si deve fare la benedizione delle case senza la presenza di coloro che vi abitano».

Del resto il significato di questa consuetudine può essere compreso dalle parole con cui il sacerdote introduce il rito: «Con la visita del pastore – afferma appena varcato il portone d’ingresso –, è Gesù stesso che entra in questa casa e vi porta la sua gioia e la sua pace». Proprio l’annuncio della «pace» di Cristo è il cuore di questa iniziativa.

Non è un caso che la Chiesa inviti i parroci a considerare «uno dei compiti privilegiati della loro azione pastorale la cura di visitare le famiglie», fedeli al mandato del Signore che ai discepoli raccomandava: «In qualunque casa entriate, prima dite “pace” a questa casa». Ed ecco che il primo saluto del sacerdote è oggi: «Pace a questa casa e ai suoi abitanti».

I fondamenti si trovano nella Scrittura. Perché il Dio della liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto e della Risurrezione del suo Figlio «passa» nel luogo principale della vita ordinaria, l’abitazione, per sostenere nel cammino quotidiano. Lo sottolineano anche le intenzioni di preghiera in cui si chiede al Signore di riempire la casa della sua «dolce presenza» con «la potenza dello Spirito».

Inoltre l’incontro del presbitero con le famiglie diventa opportunità per un «discreto annuncio del Vangelo». Così il rito unisce la preghiera all’ascolto della Parola che viene proposta attraverso brevi passi biblici. E la benedizione annuale è anche un richiamo a riconosce nel Signore «il principio e il fondamento sul quale si basa e si consolida l’unità della famiglia». Come icona viene indicata quella della Sacra Famiglia nel cui grembo Cristo, insieme con Maria e Giuseppe, «ha santificato la vita domestica».

Segno concreto è l’aspersione con l’acqua benedetta. Tanto che, in alcune aree della Penisola, la benedizione delle famiglie continua ad essere chiamata l’«acqua santa». Si tratta di un’occasione per fare memoria del Battesimo con il quale il Signore «aggrega la società domestica alla grande famiglia dello Spirito» e per «rinnovare» l’adesione a Cristo, dice il sacerdote mentre compie il rito.

Da ricordare che la benedizione annuale è un impulso a rinsaldare i legami con la parrocchia e a riflettere sul percorso comunitario. Ma vuol essere anche una possibilità per tastare il polso della vita spirituale fra le mura domestiche in modo da individuare le difficoltà e le sfide che una parrocchia è chiamata ad affrontare.

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Il sabato, giorno dedicato alla Madonna

Posté par atempodiblog le 24 février 2018

Il sabato, giorno dedicato alla Madonna dans Fede, morale e teologia Il_sabato_giorno_dedicato_alla_Madonna

Tra i giorni dedicati alla beata Vergine spicca il sabato, assurto al grado di memoria di santa Maria. Questa memoria risale certamente all’epoca carolingia (secolo IX), ma non ci sono noti i motivi che indussero a scegliere il sabato quale giorno di santa Maria. In seguito ne furono date numerose spiegazioni, le quali tuttavia non soddisfano pienamente i cultori della storia della pietà.

Oggi, a prescindere dalle sue oscure origini storiche, si mettono in risalto giustamente alcuni valori di questa memoria ai quali «è più sensibile la spiritualità contemporanea: l’essere cioè ricordo dell’atteggiamento materno e discepolare della “beata Vergine che ‘nel grande sabato’ quando Cristo giaceva nel sepolcro, forte unicamente della fede e della speranza, sola fra tutti i discepoli, attese vigile la Risurrezione del Signore”; preludio e introduzione alla celebrazione della domenica, festa primordiale, memoria settimanale della Risurrezione di Cristo; segno, con la sua cadenza settimanale, che la “Vergine è costantemente presente ed operante nella vita della Chiesa”».

Anche la pietà popolare è sensibile alla valorizzazione del sabato quale giorno di santa Maria. Non è infrequente il caso di comunità religiose e di associazioni di fedeli i cui statuti prescrivono di rendere ogni sabato particolari ossequi alla Madre del Signore, talora con pii esercizi composti appositamente per quel giorno.

della Congregazione per il Culto Divino  Direttorio su Liturgia e Pietà Popolare
Tratto da: Radio Maria Fb

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BAMBINO DOWN/ Il volto di Lucas scelto dalla Gerber come simbolo 2018: da abortiti a emblema della felicità

Posté par atempodiblog le 21 février 2018

BAMBINO DOWN/ Il volto di Lucas scelto dalla Gerber come simbolo 2018: da abortiti a emblema della felicità
Il volto di un bambino down è stato scelto dall’azienda di prodotti per l’infanzia Gerber come immagine simbolo della sua produzione, ecco di cosa si tratta
di Paolo Vites – Il Sussidiario

BAMBINO DOWN/ Il volto di Lucas scelto dalla Gerber come simbolo 2018: da abortiti a emblema della felicità dans Aborto Lucas_bimbo_scelto_da_Gerber

In un momento storico che vede quasi scomparsi i bimbi down, abortiti una volta che gli esami rivelano alle madri in gravidanza il loro stato (in Islanda ad esempio sono cinque anni che non ne nasce uno, mentre in Inghilterra si raggiunge una percentuale del 90% di bimbi down abortiti ogni anno), non è una notizia da poco che il volto di uno di loro sia stato scelto da una delle aziende più importanti al mondo di prodotti per l’infanzia come simbolo del 2018. Da sempre, quando è nata nel 1928, la Gerber ogni anno cambia l’immagine del bambino che apparirà per tutto l’anno su ogni suo prodotto. Negli ultimi anni, per rendere i clienti più “attaccati” l’azienda ha organizzato un concorso aperto a tutti: mandare una foto del loro bambino tra cui sceglierne uno. Nel 2017 ne sono arrivate ben 140mila, ma la Gerber ha scelto come proprio simbolo immagine l’unico bambino down, Lucas Warren, originario dello stato della Georgia in America.

A parte la bella cifra che la famiglia di Lucas si porta a casa (41mila euro) la scelta, giustificata come il sorriso più bello di tutti, ha una importanza fondamentale nel riconoscimento dei bambini down al diritto della vita. Non sappiamo se la motivazione sia stata quella o semplicemente il meraviglioso sorriso, ma sta di fatto che in questo modo la gente, forse, capirà che un bambino down è felice come tutti gli altri, anzi di più, non un povero handicappato sofferente che porterà la famiglia nella disperazione come oggi si cerca di farli passare. In realtà non è la prima volta che una azienda sceglie un down come proprio simbolo aziendale, era già successo con la Mark & Spencer nel 2012 e la Bell & Shop nel 2015. In questo 2018, per chi non lo avesse notato, i consumatori di prodotti di alimentazione, sviluppo, linguaggio vedranno Lucas sorridente in primo piano.

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Benedetto XVI e la lettera al Corriere: «Sono in pellegrinaggio verso Casa»

Posté par atempodiblog le 7 février 2018

Benedetto XVI e la lettera al Corriere: «Sono in pellegrinaggio verso Casa»
Il Papa emerito ha risposto ai tanti lettori, che chiedevano come stesse, in una missiva consegnata a mano alla sede romana del nostro giornale: «Sento scemare delle forze»
di Massimo Franco – Corriere della Sera
Tratto da: Radio Maria

Benedetto XVI e la lettera al Corriere: «Sono in pellegrinaggio verso Casa» dans Articoli di Giornali e News LETTERA_BENEDETTO_XVI_Corriere

La lettera, «Urgente a mano», è arrivata ieri mattina alla sede romana del Corriere dal «Monastero Mater Ecclesiae, V-120 Città del Vaticano»: l’eremo dentro le Sacre Mura dove il Papa emerito Benedetto XVI si è ritirato da quando si dimise, esattamente cinque anni fa. Ma sembrava arrivata da un altro mondo, molto più distante dei pochi chilometri che segnano la distanza fisica da quel luogo. Forse perché la busta conteneva un cartoncino ripiegato, e dentro un’altra busta sigillata, con un messaggio di nove righe. Ma soprattutto perché trasmetteva parole forti, vere, non formali: un gesto di squisita attenzione nei confronti di quanti, ultimamente, chiedevano sempre più spesso come stesse «Papa Benedetto»; come vivesse quello che lui stesso chiama, nel testo, «quest’ultimo periodo della mia vita».

Canale riservato
Qualche giorno fa, attraverso un canale riservato, avevamo rivolto la domanda a lui, confidando di ricevere una risposta. Dopo cinque anni in cui era praticamente scomparso dall’orizzonte pubblico, incontrando pochi amici, e diradando perfino le sue passeggiate nei giardini vaticani, aiutandosi con un deambulatore, forse pensava di essere stato dimenticato. Non sapeva che la sua figura rimane molto presente, con la suggestione epocale di un periodo in cui convivono «due Papi», espressione non proprio ortodossa ma abituale. Anzi, il mistero dei suoi giorni senza eco pubblica, con immagini sfuocate e apparizioni sempre più rare in qualche cerimonia alla quale era invitato da Francesco, ne hanno affilato e insieme ingigantito il profilo.

Quella firma a mano
Benedetto «c’è», aleggia senza volerlo. Anzi, forse è radicato nella memoria dell’opinione pubblica proprio perché ha cercato di dissolversi in un limbo esistenziale per lasciare l’intera scena al successore: quel cardinale Jorge Mario Bergoglio «che ha la calligrafia più piccola della mia», ha notato una volta Joseph Ratzinger. Ma la sua, a penna, in calce alla lettera, ormai è minuscola: quasi si rimpicciolisse insieme alle sue energie fisiche, evidenziando la difficoltà perfino a scrivere. Raccontano che in privato lo dica con una punta di tristezza: non riesce più a dedicare abbastanza tempo per costruire quei testi di grande finezza teologica che hanno tracciato per anni il percorso della Chiesa cattolica. Eppure accetta la propria fragilità. Nelle sue parole, che sono un ringraziamento e al tempo stesso quasi un commiato, se ne coglie più di un accenno.

Cinque anni dopo
Quel riferimento al «lento scemare delle forze fisiche», la confessione di essere «interiormente in pellegrinaggio verso Casa», con la c maiuscola, e il «grazie» ai «tanti lettori» del Corriere che continuano a chiedere di lui: sono poche parole misurate, che però trasmettono una grande profondità. Forse, nell’ammirazione e in una punta di nostalgia per Benedetto XVI che qui e là si avverte in alcuni settori del mondo cattolico, si indovina il trauma non del tutto digerito delle sue dimissioni, l’11 febbraio del 2013: una svolta epocale. Ma c’è anche il riconoscimento di una condotta esemplare tra lui e papa Francesco in questi cinque anni. Una convivenza non regolata da nessuna legge; affidata soltanto al carattere di questi due personaggi così diversi, nonostante una sottolineatura, a tratti un po’ d’ufficio, della continuità tra i loro pontificati.

I due Papi
Non era scontato che «due Papi» in Vaticano riuscissero a mantenere una personalità così distinta, senza per questo sovrapporsi o, peggio, trasmettere messaggi di divisione. Se per caso esistessero delle differenze, sono rimaste un segreto custodito tra di loro: come se entrambi sapessero che la cosa importante è cercare di tenere unita una Chiesa percorsa da mille tensioni. È un segno di forza spirituale e di umiltà, che sublima quando, rivolto a quanti continuano a interessarsi a lui, saluta con un tono quasi familiare: «Non posso fare altro che ringraziare».

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