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Il muratore che entrò in chiesa ateo e uscì cristiano

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2017

Il muratore che entrò in chiesa ateo e uscì cristiano
La storia di conversione del capocantiere che ha lavorato al restauro della Cattedrale di Carpi: era ateo, ma cinque anni di lavoro nel tempio ferito dal terremoto del 2012 lo hanno avvicinato alla fede. Entrato nel tempio per restaurarlo è stato a sua volta « restaurato » nell’anima. Potenza di un luogo, la chiesa, che non è solo uno spazio umano, ma in cui vibra il divino perché vi abita.
di Andrea Zambrano – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

Il vescovo di Carpi con alcune maestranze che hanno lavorato in Cattedrale

Cadde ateo, si rialzò cristiano. Bisogna scomodare la straordinaria conversione dell’ebreo Ratisbonne per mostrare come la Madonna operi ancora oggi questi prodigi. All’ebreo anticlericale poi araldo della Medaglia miracolosa, bastò entrare una sola volta nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte. Qui, in questo lembo di Emilia rossa e volontà di ferro, ci sono voluti cinque anni, ma il risultato è stato lo stesso: un cuore totalmente rinnovato a contatto con quel Dio che prima non interessava.

E anche qui, come nella storia di Ratisbonne, il mezzo della conversione è una chiesa.

Quella chiesa che spesso si trasforma in un’aula per l’affermazione illusoria della propria superiorità umana dimenticando Dio, è invece il luogo che, custodendo il bene più prezioso per l’umanità, è in grado di parlare al cuore dell’uomo non dai muri, ma da quel padrone di casa del quale spesso, affaccendati nel nostro narcisismo, dimentichiamo la presenza o, peggio ancora, ignoriamo la sovranità.

Siamo a Carpi in provincia di Modena, dove il 2017 fatimita ha portato in dono ai fedeli e al loro vescovo Francesco Cavina il dono della riapertura della Cattedrale dell’Assunta, danneggiata dal tremendo terremoto del maggio-giugno 2012. Doppia festa per la diocesi di Carpi, che in questi cinque lunghi anni ha compiuto con speranza e non senza dolore la lunga traversata nel deserto di chi non ha avuto dove posare il capo né per dormire né per pregare, costantemente alla ricerca di mezzi di fortuna, che nella maggior parte dei casi sono stati i container. Prima l’inaugurazione della Cattedrale con il segretario di Stato Pietro Parolin, poi la visita di Papa Francesco che proprio nella infreddolita e affollata piazza Martiri ha lanciato il suo appello di vicinanza a tutte le popolazioni colpite da terremoti.

Ma dentro la grande storia della riapertura della Cattedrale e di come il vescovo che la notte della prima scossa era arrivato a Carpi da appena tre mesi sia riuscito a far risorgere dalle macerie il tempio più importante della diocesi, ci sono anche le storie piccole e anonime che non conquistano le prime pagine delle cronache locali, ma che sono invece il segno di una potenza che il braccio di Dio ha spiegato nel nascondimento del lavoro quotidiano.

Quando le troupe televisive sono entrate a filmare i marmi e le scagliole della piccola San Pietro, nessuno immaginava che quel luogo avesse già parlato ad un cuore in particolare che era ferito come lo sono tutti quelli che sono lontani da Dio, ma che è stato sanato da quelle pietre a loro volta ferite e da lui sanate. Un mistero della misericordia di Dio, se ci pensiamo, che concede il dono più grande della fede a chi con pazienza e laboriosità si è trovato a riparare le ferite del tempio di Dio e ha ricevuto in cambio molto più dello stipendio mensile che gli spettava per quel lavoro.

Lui è un muratore della cooperativa Cmb di Carpi. Un nome che rimanda ai primi del ‘900 quando le coop non avevano tonalità cromatiche né rosse né bianche e il loro nome, “muratori e braccianti”, rimandava soltanto alla solidarietà del lavoro che si faceva comunità, ma che presto avrebbe assunto una connotazione ideologica molto vicina al partito comunista.

Ebbene: lui, muratore della cooperativa da una vita, perché la cooperativa da queste parti è come la mamma, ti accompagna ovunque, inizia a prestare la sua professionalità al servizio di quel gigante di pietra dolorante. Un lavoro come un altro, un appalto importante. Inizialmente, appare come una delle tante opere da tirare su. Ma non è così. C’è un fuoco dentro quel tempio che la caduta dei calcinacci non ha spento. Una chiesa non è un supermercato perché dentro vi riaccade sempre un fatto, quello della redenzione dell’uomo.

Questo il muratore non lo sapeva, ma qualcuno lo stava ad aspettare per prenderlo per mano. Una Madonna in mandorla con i cherubini festanti, che qui è il simbolo della fede popolare e della devozione mariana di un popolo che non ha smesso di pregare nei momenti più bui del post sisma. E’ la statua della Madonna che campeggia sull’altare maggiore del Duomo cittadino che durante i lavori ha fatto compagnia a questo uomo indifferente a Dio, ma già fisicamente così vicino. Quella vicinanza costante con le cose di Dio, con il suo mistero invisibile, ma presente della redenzione che si protrae nei secoli grazie alla messa, ha lavorato, cementando i mattoncini di una domanda di senso che il suo cuore gli poneva.

Di mattone in mattone, quella fede alla fine si è appalesata ed è diventata un fatto, un’evidenza di cemento armato fin troppo chiara anche gli occhi di questo uomo che, proprio come Ratisbonne, si inginocchiò indifferente col martello pneumatico sul freddo e duro pavimento della chiesa e si rialzò cristiano.

Quella storia fa ancora commuovere il vescovo Cavina che nel giorno dell’inaugurazione e dedicazione l’ha ricordata ai fedeli e alle autorità, proprio per mostrare che nulla è impossibile a Dio, ricostruire il l tempio di mattoni e soprattutto il tempio dell’anima lontana.

«Caro Monsignor vescovo - ha letto Cavina al termine nel corso del saluto al segretario di Stato – in questi ultimi giorni sto cercando di immaginare come sarà per la prima volta che entrerò nella cattedrale come un semplice fedele. Lo so già, essendo un sentimentale, una lacrima di nostalgia bagnerà il mio viso. Mi verranno in mente tutte le emozioni vissute in un’esperienza durata cinque anni e che ha cambiato la mia vita. Auguro a tutti coloro che ne sentono il bisogno una volta entrati in questo luogo sacro di abbandonare aspettative e recriminazioni e di godere unicamente dell’abbraccio della Madonna, l’amore della nostra santa Madre illuminerà il nostro cammino».

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L’Italia smarrisce il senso del sacro e si riduce il numero dei cattolici

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2017

L’Italia smarrisce il senso del sacro e si riduce il numero dei cattolici
I risultati della ricerca condotta da “Community Media Research” per La Stampa. In 20 anni è aumentato soltanto il numero di coloro che non si riconoscono in nessuna fede
di Daniele Marini – La Stampa

L’Italia smarrisce il senso del sacro e si riduce il numero dei cattolici dans Articoli di Giornali e News Ricerca_condotta_da_Community_Media_Research

Le festività natalizie fanno scattare, nel discorso mediatico, un meccanismo consolidato: come andranno le spese delle famiglie in regali, cibo e vacanze? Come andranno i consumi?

Non solo a causa delle difficoltà di quest’ultimo decennio il Natale è annoverato fra gli indicatori dell’andamento dell’economia. La dimensione religiosa della ricorrenza, e non sempre, si declina nell’intimità familiari, nel privato o confinato alle comunità dei credenti. Eppure, la religiosità, così come l’ideologia politica, costituiva un universo di valori per le persone. Un insieme di norme che contribuiva a guidare l’azione dei singoli. Permetteva la costruzione di un senso comune. Offriva un obiettivo condiviso per la costruzione della società e del suo futuro.

Religiosità e ideologie erano le narrazioni delle comunità che (e di come) si sarebbero dovute costruire. L’uso dei verbi al passato non è casuale. Perché tali pilastri hanno perso la loro valenza. La dimensione religiosa è attraversata da tensioni profonde. Già all’inizio degli Anni 60 il sociologo Sabino Acquaviva evidenziò un’«eclissi del sacro». All’orizzonte comune dei valori religiosi di riferimento si è sostituita una declinazione individuale che definiremmo «tailor made», dove ognuno ritaglia su di sé la morale religiosa in una sorta di «fai-da-te». Tant’è che siamo in presenza di «un singolare pluralismo» morale e religioso, così come definito da una ricerca curata da Garelli, Guizzardi e Pace (Mulino) nel 2000.

Un limbo collettivo
A distanza di quasi 20 anni da quell’indagine sono ancora mutate la religiosità e la spiritualità degli italiani? Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per «La Stampa», ha ripercorso alcuni dei temi sugli orientamenti religiosi degli italiani. Pur con le cautele del caso, tuttavia il raffronto con quanto rilevato all’inizio del secolo evidenzia come i processi di trasformazione allora rilevati si siano approfonditi. E, in generale, la società italiana mostri evidenti segni di una progressiva erosione della dimensione del sacro. Le dichiarazioni di appartenenza religiosa raccontano che la maggioranza della popolazione si dichiara ancora oggi cattolica (60,1%). Largamente minoritari sono quanti appartengono ad altre famiglie religiose (dagli islamici ai buddisti, dagli ebrei alle altre cristiane o non cristiane: complessivamente il 6,5%). Per contro, un italiano su tre (33,4%) non sente di appartenere ad alcuna confessione religiosa.

Fin qui, dunque, l’Italia parrebbe un Paese popolato da cattolici. Se è così, tuttavia, tale quota decresce significativamente dal 2000 di 19,1 punti percentuali, quando allora era stimata al 79,2%. Tale travaso, però, più che andare a vantaggio di altri gruppi religiosi, va ad alimentare l’area della non-appartenenza: il 33,4%, contro il 18,8% del 2000. Quindi, la religiosità cattolica coinvolge ancora una larga fetta della società italiana, ma è in contrazione. Non a vantaggio di altre culture religiose, quanto di una sorta di limbo. Un ulteriore riflesso della minore tensione all’appartenenza religiosa è riscontrabile nella frequenza ai riti e alle funzioni religiose. Gli «assidui»” (partecipano tutte le domeniche o almeno più volte al mese) sono il 25,6%, in calo di 24 punti percentuali rispetto al 2000 (erano il 49,6%). Crescono sia i «saltuari» (partecipano solo ad alcune occasioni o ogni 4-5 mesi: 47,0%, dal 34,9% del 2000) sia chi non frequenta mai (27,4%, era il 15,5% nel 2000).

Così, a una diminuzione del senso di appartenenza, consegue un minor grado di partecipazione ai riti delle comunità religiose. È interessante poi osservare come anche all’interno delle famiglie religiose le due dimensioni (appartenenza e partecipazione) non siano così scontate. Fra i cattolici solo il 39,4% è presente in modo assiduo ai rituali, quota però più cospicua rispetto a quanti appartengono ad altri gruppi religiosi (26,2%). I cattolici, quindi, paiono più fedeli, ma è una (larga) minoranza a partecipare con costanza ai momenti comunitari.

Vita spirituale
I processi erosivi della trascendenza nella vita quotidiana si colgono analizzando quanti ritengono di avere una vita spirituale e di credere in un’entità soprannaturale. In entrambi i casi otteniamo che un’ampia minoranza si riconosce nelle due dimensioni: il 45,4% sente di avere propria una vita spirituale, il 40,4% è religioso. Sommando queste affermazioni, identifichiamo quattro profili di religiosità. Il gruppo prevalente è dei «materialisti» (46,3%), che dichiara di non avere né una vita spirituale né religiosa, particolarmente presenti fra i 40enni (64,5%), assai più che fra i giovani (44,5%). Le caratteristiche opposte le troviamo nei «credenti» (34,5%), che sono il secondo gruppo, più diffuso fra gli adulti (oltre 55 anni: 43,4%). Fra questi due insiemi incontriamo quanti hanno una «spiritualità soggettiva» (11,1%), ma non riconoscono alcuna entità superiore. E, viceversa, chi ha un’appartenenza religiosa ispirata dalle consuetudini: la «religiosità culturale» (8,1%). Va sottolineato come la metà fra i cattolici (51,1%) rientri nel gruppo dei «credenti» e il 29,0% alberghi fra i «materialisti».

I processi di secolarizzazione proseguono la loro marcia. La perdita di intensità della dimensione del sacro lascia spazio a una materialità individuale e nelle relazioni, come denunciato dallo stesso Papa Francesco. Eppure il fenomeno dell’eclissi (del sacro) adombra come il lato oscuro nasconda un’altra realtà, che fatichiamo a vedere. Il pluralismo religioso e spirituale emerso dalla rilevazione è anche indice di una ricerca a fronte della perdita del tradizionale orizzonte di valori. È una nuova domanda di senso per l’epoca di trasformazioni che stiamo attraversando. Che richiede una grande opera di discernimento.

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Buon Natale di cuore a tutti!

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2017

Gli uomini del Natale dans Fede, morale e teologia Natale-albero-bimni

«Nel racconto della nascita di Gesù, quando gli angeli annunciano ai pastori che è nato il Redentore dicono loro: “Questo sarà per voi il segno, troverete un bambino appena nato avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia…”. Questo è il segno: l’abbassamento totale di Dio.

Il segno è che, questa notte, Dio si è innamorato della nostra piccolezza e si è fatto tenerezza, tenerezza verso ogni fragilità, verso ogni sofferenza, verso ogni angoscia, verso ogni ricerca, verso ogni limite.

Il segno è la tenerezza di Dio e il messaggio che cercavano tutti coloro che sentivano disorientati, anche quelli che erano nemici di Gesù e lo cercavano dal profondo dell’anima, era questo: cercavano la tenerezza di Dio. Dio fatto tenerezza, Dio che accarezza la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza».

Jorge Mario Bergoglio – Omelia della veglia di Natale (24 dicembre 2004)

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È morto padre Piero Gheddo, fondatore di AsiaNews

Posté par atempodiblog le 20 décembre 2017

È morto padre Piero Gheddo, fondatore di AsiaNews
Bernardo Cervellera – AsiaNews

È morto padre Piero Gheddo, fondatore di AsiaNews dans Articoli di Giornali e News Padre_Piero_Gheddo

P. Piero Gheddo, missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) è morto oggi nella casa Ambrosiana di Cesano Boscone, alla periferia di Milano. Aveva 89 anni ed era ammalato da tempo. Riconosciuto internazionalmente come “il missionario della carta stampata”, p. Gheddo ha lavorato per tutta la vita nel mondo della comunicazione per la diffusione del Vangelo. Nel 1986 aveva fondato AsiaNews, e ha continuato ad essere collaboratore anche quando essa è passata sul web.

Nato nel 1929 a Tronzano Vercellese, ha frequentato il seminario diocesano di Moncrivello (Vercelli); entrato nel Pime nel 1945, è stato ordinato sacerdote nel 1953. Il suo sogno era partire missionario per l’India, ma dalla sua ordinazione in poi gli è stato sempre chiesto di impegnarsi nella stampa. Lui stesso ricordava che per tanto tempo ha domandato di continuo ai superiori di poter andare in missione, ma senza successo. In compenso ha girato il mondo forse come nessuno e ha conosciuto il mondo missionario in tutti i suoi aspetti e a tutte le latitudini.

Convinto che la missione universale è responsabilità di ogni fedele, nel 1961 è stato fra i fondatori del Centro missionario Pime di Milano, dove con p. Amelio Crotti e p. Giacomo Girardi, hanno diffuso cultura, informazione e impegni sulla missione in Italia e nel mondo. Le campagne del Centro Pime contro la fame nel mondo, per i profughi vietnamiti e cambogiani, per la pace in Libano, la Veglia missionaria per la Giornata missionaria mondiale hanno segnato la vita di molte generazioni di giovani.

Fanno parte di questo impegno la fondazione di “Mani tese” nel 1964 e dell’Editrice Missionaria Italiana (Emi) nel 1955.

Dal 1959 al 1994 è stato direttore della rivista mensile “Mondo e Missione”, uno degli strumenti più preziosi per aprirsi alle problematiche mondiali e comprendere il contributo cristiano all’edificazione della Chiesa e allo sviluppo. In un periodo di grandi conflitti ideologici egli ha coniugato una netta identità ecclesiale insieme all’apertura e all’impegno nelle piaghe sociali del mondo, convinto del contributo insostituibile del vangelo per la piena dignità dell’uomo.

Su questa linea, che è quella del Concilio Vaticano II, andando controcorrente, egli è stato il primo a denunciare – dopo aver visto coi suoi occhi in Vietnam – l’ideologia violenta dei vietcong, osannati da tutto il mondo, testimoniando la loro oppressione verso il popolo vietnamita.

Pur valorizzando Helder Camara, il vescovo di Recife – portato in Italia proprio dal Centro Pime – è stato sempre critico sulla deriva marxista di una parte della teologia della liberazione latino-americana.

Anche sul tema della fame nel mondo egli si è distaccato dalle denunce ovvie (colonialismo, sfruttamento, ecc…) e dalle facili soluzioni (investimenti a poggia, trasferimento di tecnologie, ecc..) per mostrare che – come affermano i missionari – il sottosviluppo ha una dimensione culturale. Per vincere il sottosviluppo è necessaria l’educazione e l’evangelizzazione che riporta l’uomo e la sua dignità ad essere protagonista della storia.

Tale equilibrio è stato valorizzato anche dai papi: nel 1962, come giornalista dell’Osservatore Romano, è stato scelto da Giovanni XXIII come perito per la stesura del decreto conciliare Ad Gentes; negli anni ’90, Giovanni Paolo II lo ha scelto come estensore dell’enciclica “Redemptoris Missio”.

L’attività di p. Gheddo è stata molteplice: direttore di “Italia missionaria”, per sviluppare la sensibilità evangelizzatrice fra i ragazzi; di “Missionari del Pime”, per la comunicazione delle esperienze dirette dalle frontiere missionarie. Ha collaborato per anni con la RAI-TV  spiegando Il vangelo della domenica; alla radio Rai per un breve messaggio al mattino (“Il vangelo delle 7.18”); con Radio Maria e con diverse testate laiche: con “Gente”  e con “Il Giornale” di Indro Montanelli, del quale era divenuto un amico.

Padre Gheddo ha scritto più di novanta volumi, con una trentina di traduzioni all’estero e ha ricevuto diversi premi giornalistici.

Dal 1994 al 2010 è stato direttore dell’Ufficio storico del Pime a Roma, pubblicando diverse storie delle missioni del Pime nel mondo, oltre che biografie di alcuni membri dell’istituto. Profondamente convinto che il mondo ha bisogno di modelli e di esperienze, Gheddo ha dato anche impulso alle cause di beatificazione di diversi missionari del Pime: Giovanni Mazzucconi, Paolo Manna, Clemente Vismara, Mario Vergara (e prossimamente Alfredo Cremonesi). Ha lavorato anche per documentazione sui servi di Dio Marcello Candia, Angelo Ramazzotti, Felice Tantardini, Carlo Salerio, Egidio Biffi) e su altri quali Leopoldo Pastori e mons. Aristide Pirovano.

Una menzione speciale merita il suo impegno per la causa di beatificazione dei suoi genitori, Rosetta Franzi (1902-1934) e Giovanni Gheddo (1900-1942), voluta nel 2006 dal vescovo di Vercelli mons. Enrico Masseroni. Dopo alcune difficoltà, fra cui il fatto che un figlio non può fare la causa di beatificazione per i suoi genitori, nel 2015 il nuovo arcivescovo di Vercelli, Marco Arnolfo ha rilanciato la causa nominando una nuova postulatrice, l’avv. Lia Lafronte. I libri di p. Gheddo sui suoi genitori, “Il testamento del capitano” con le lettere di papà Giovanni dalla guerra in Russia (San Paolo 2002) e “Questi santi genitori” (San Paolo 2005) sono divenuti un best-seller fra molte famiglie.

Dal 2014, p. Gheddo, avendo bisogno di cure quotidiane, si era trasferito nella Casa Ambrosiana della diocesi di Milano a Cesano Boscone. Da lì ha lavorato quasi fino alla fine, curando il suo blog e inviando spigolature e riflessioni sulla missione (v. quella pubblicata ieri su AsiaNews, sulla sua storica segretaria, suor Franca Nava).

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“Non ci indurre in tentazione”, Papa Benedetto XVI lo spiegò 10 anni fa…

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2017

“Non ci indurre in tentazione”, Papa Benedetto XVI lo spiegò 10 anni fa…
di Cantuale Antonianum

“Non ci indurre in tentazione”, Papa Benedetto XVI lo spiegò 10 anni fa... dans Fede, morale e teologia Benedetto_XVI_e_Papa_Francesco

Per recenti parole di Papa Francesco si è riaccesa la bagarre di chi vuole cambiare anche il Padre Nostro, a proposito della “traduzione” (in realtà “un calco”) dell’espressione “non c’indurre in tentazione”.

Riproponiamo con l’occasione – a vantaggio degli smemorati cronici – le pagine del primo tomo del libro “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI che, ben 10 anni fa, spiegava per bene, senza semplificazioni televisive, i termini della questione:

E non c’indurre in tentazione

Le parole di questa domanda sono di scandalo per molti: Dio non ci induce certo in tentazione! Di fatto, san Giacomo afferma: «Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male» (1,13).

 Ci aiuta a fare un passo avanti il ricordarci della parola del Vangelo: «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1). La tentazione viene dal diavolo, ma nel compito messianico di Gesù rientra il superare le grandi tentazioni che hanno allontanato e continuano ad allontanare gli uomini da Dio. Egli deve, come abbiamo visto, sperimentare su di sé queste tentazioni fino alla morte sulla croce e aprirci in questo modo la via della salvezza. Così, non solo dopo la morte, ma in essa e durante tutta la sua vita deve in certo qual modo «discendere negli inferi», nel luogo delle nostre tentazioni e sconfitte, per prenderci per mano e portarci verso l’alto. La Lettera agli Ebrei ha sottolineato in modo tutto particolare questo aspetto, mettendolo in risalto come parte essenziale del cammino di Gesù:

«Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (2,18). «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato Lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (4,15).

Uno sguardo al Libro di Giobbe, in cui sotto tanti aspetti si delinea già il mistero di Cristo, può fornirci ulteriori chiarimenti. Satana schernisce l’uomo per schernire in questo modo Dio: la sua creatura, che Egli ha formato a sua immagine, è una creatura miserevole. Quanto in essa sembra bene, è invece solo facciata.

In realtà all’uomo – a ogni uomo – interessa sempre e solo il proprio benessere. Questa è la diagnosi di Satana, che l’Apocalisse definisce «l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte» (Ap 12,10). La diffamazione dell’uomo e della creazione è in ultima istanza diffamazione di Dio, giustificazione del suo rifiuto.

Satana vuole dimostrare la sua tesi con Giobbe, il giusto: se solo gli venisse tolto tutto, allora egli lascerebbe presto perdere anche la sua religiosità. Così Dio concede a Satana la libertà di mettere alla prova Giobbe, anche se entro limiti ben definiti: Dio non lascia cadere l’uomo, ma permette che venga messo alla prova. Qui traspare già in modo sommesso e non ancora esplicito il mistero della vicarietà, che prende una forma grandiosa in Isaia 53: le sofferenze di Giobbe servono alla giustificazione dell’uomo. Mediante la sua  fede provata nella sofferenza, egli ristabilisce l’onore dell’uomo. Così le sofferenze di Giobbe sono anticipatamente sofferenze in comunione con Cristo, che ristabilisce l’onore di noi tutti al cospetto di Dio e ci indica la via per non perdere, neppure nell’oscurità più profonda, la fede in Dio.

Il Libro di Giobbe può anche esserci d’aiuto nel discernimento tra prova e tentazione. Per maturare, per trovare davvero sempre più la strada che da una religiosità di facciata conduce a una profonda unione con la volontà di Dio, l’uomo ha bisogno della prova. Come il succo dell’uva deve fermentare per divenire vino di qualità, così l’uomo ha bisogno di purificazioni, di trasformazioni che per lui sono pericolose, che possono provocarne la caduta, che però costituiscono le vie indispensabili per giungere a se stessi e a Dio. L’amore è sempre un processo di purificazioni, di rinunce, di trasformazioni dolorose di noi stessi e così una via di maturazione. Se Francesco Saverio poté pregare Dio dicendo: «Ti amo, non perché puoi donarmi il paradiso o l’inferno, ma semplicemente perché sei quello che sei – mio re e mio Dio», era stato certamente necessario un lungo percorso di purificazioni interiori per giungere a quest’ultima libertà – un percorso di maturazioni, in cui era in agguato la tentazione, il pericolo della caduta – e tuttavia un percorso necessario.

Così possiamo ora interpretare la sesta domanda del Padre nostro già in maniera un po’ più concreta. Con essa diciamo a Dio: «So che ho bisogno di prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Maligno, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non tracciare troppo ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me». In questo senso san Cipriano ha interpretato la domanda. Dice: quando chiediamo «e non c’indurre in tentazione», esprimiamo la consapevolezza «che il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è stato permesso da Dio; così che ogni nostro timore e devozione e culto si rivolgano a Dio, dal momento che nelle nostre tentazioni niente è lecito al Maligno, se non gliene vien data di là la facoltà» (De dom. or. 25).

E poi, ponderando il profilo psicologico della tentazione, egli spiega che ci possono essere due differenti motivi per cui Dio concede al Maligno un potere limitato. Può accadere come penitenza per noi, per smorzare la nostra superbia, affinché sperimentiamo di nuovo la povertà del nostro credere, sperare e amare e non presumiamo di essere grandi da noi: pensiamo al fariseo che racconta a Dio delle proprie opere e crede di non aver bisogno di alcuna grazia. Cipriano, purtroppo, non specifica poi il significato dell’altro tipo di prova: la tentazione che Dio ci impone ad gloriam - per la sua gloria. Ma in questo caso non dovremmo ricordarci che Dio ha messo un carico particolarmente gravoso di tentazioni sulle spalle delle persone a Lui particolarmente vicine, i grandi santi, da Antonio nel deserto fino a Teresa di Lisieux nel pio mondo del suo Carmelo? Tali persone stanno, per così dire, sulle orme di Giobbe come apologia dell’uomo, che è al contempo difesa di Dio. Ancor più: sono in modo del tutto particolare in comunione con Gesù Cristo, che ha sofferto fino in fondo le nostre tentazioni. Sono chiamate a superare, per così dire, nel proprio corpo, nella propria anima le tentazioni di un’epoca, a sostenerle per noi, anime comuni, e ad aiutarci nel passaggio verso Colui che ha preso su di sé il gravame di tutti noi.

Nella preghiera che esprimiamo con la sesta domanda del Padre nostro deve così essere racchiusa, da un lato, la disponibilità a prendere su di noi il peso della prova commisurata alle nostre forze; dall’altro, appunto, la domanda che Dio non ci addossi più di quanto siamo in grado di sopportare; che non ci lasci cadere dalle sue mani. Pronunciamo questa richiesta nella fiduciosa certezza per la quale san Paolo ci ha donato le parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13).

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Il Papa e la Madonna: dieci cose da sapere

Posté par atempodiblog le 9 décembre 2017

Il Papa e la Madonna: dieci cose da sapere
La devozione mariana accompagna il pontificato di Francesco sin dal suo esordio. Nel giorno del suo quinto atto di venerazione della statua dell’Immacolata in piazza di Spagna, ne ripercorriamo l’intensità e la profondità in dieci immagini.
di M. Michela Nicolais – Agenzia SIR

Il Papa e la Madonna: dieci cose da sapere dans Fatima santo-padre-francesco

Papa Francesco compie il suo quinto atto di venerazione davanti alla statua dell’Immacolata in piazza di Spagna, a Roma. La sua devozione mariana ha radici profonde: proviamo a ripercorrerla in dieci tappe.

Maria Immacolata. “Abbiamo bisogno delle tue mani immacolate, per accarezzare con tenerezza, per toccare la carne di Gesù nei fratelli poveri, malati, disprezzati, per rialzare chi è caduto e sostenere chi vacilla”. È un passo della preghiera pronunciata un anno fa, l’8 dicembre, in piazza di Spagna. All’omaggio all’Immacolata, appuntamento molto sentito dai romani, il Papa ha aggiunto la sua cifra personale visitando anche la basilica di Santa Maria Maggiore e l’icona della Salus Populi Romani, che Francesco venera anche prima della partenza per ogni viaggio apostolico e, quando possibile, anche al suo rientro. È lì, davanti al quadro della Madonna attribuito dalla tradizione a San Luca, che il Papa ha sostato il 14 marzo del 2013, il giorno dopo la sua elezione al soglio di Pietro.

La Madonna di Lujan. È stata nonna Rosa – personaggio largamente presente negli aneddoti della sua vita personale che il Papa cita spesso come esempio ai fedeli – ad introdurre il piccolo Jorge Mario Bergoglio all’amore per la Madonna. Da sacerdote e da vescovo, Francesco ha sempre celebrato i riti legati alle feste mariane. Da cardinale e arcivescovo, Bergoglio ha presieduto ogni 8 maggio le celebrazioni di Nostra Signora di Lujan, la Madonna più amata in Argentina. Nel suo stemma vescovile, cardinalizio e papale, figura in basso a sinistra una stella, simbolo della madre di Cristo e della Chiesa.

La Madonna che scioglie i nodi. Anche se devotissimo alle icone sudamericane della Vergine, è ad Augusta, in Germania, che Bergoglio ha scoperto l’immagine che avrebbe caratterizzato il suo culto mariano: la Madonna che scioglie i nodi. Nel 1986 vede un quadro, ex voto per la ricomposizione di un matrimonio in crisi, con Maria che schiaccia la testa al serpente mentre con le mani scioglie i nodi – simboli di unione coniugale – sorretta da due angeli. Nasce così la decisione di introdurre questa immagine in Argentina: nel 1996 ne incorona una riproduzione nella chiesa di San José del Talar a Buenos Aires.

Nostra Signora di Aparecida. Nel luglio 2013, in occasione del suo primo viaggio internazionale, incontrando l’episcopato brasiliano, la storia di Aparecida diventa la chiave di lettura per la missione della Chiesa. Dai tre pescatori che trovano l’immagine dell’Immacolata Concezione, secondo il Papa, si può imparare che “le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri”, come quelli della gente semplice.

La Madonna di Lourdes. Ai fedeli raccolti nei giardini vaticani per la recita del Rosario, a conclusione del mese di maggio, Papa Francesco ha suggerito un nuovo titolo con il quale rivolgersi alla Madonna. “Vergine della Prontezza”, l’ha chiamata il 30 ottobre 2014, raccogliendosi in preghiera davanti all’edicola votiva che riproduce il luogo dell’apparizione della Vergine a Lourdes. Il riferimento è il mettersi in cammino “in fretta” di Maria per far visita alla cugina Elisabetta: “Non ha perso tempo, è andata subito a servire”.

La Vergine del Rosario. In un tweet di qualche tempo fa, Francesco aveva confessato: “Il Rosario è la preghiera che accompagna sempre la mia vita; è anche la preghiera dei semplici e dei santi, è la preghiera del mio cuore”. Per il Papa, il Rosario è anche “una sintesi della Divina misericordia”, come ha spiegato al termine dell’anno giubilare. A tutte le persone che incontra, nelle udienze pubbliche e private, il Papa regala una corona del Rosario e alla preghiera del Rosario Francesco invita spesso i giovani. Contenevano un Rosario anche le “misericordine” fatte distribuire in piazza San Pietro nel novembre 2013, per una medicina che fa bene al cuore.

La Madonna di Guadalupe. “Il mio desiderio più intimo è fermarmi davanti alla Madonna di Guadalupe”. Francesco lo aveva confessato già sul volo di andata per l’Avana, in occasione del suo viaggio a Cuba e in Messico. Una volta entrato nel Santuario dedicato alla Vergine meticcia, il Papa ha sostato davanti alla sua immagine venti minuti in preghiera, da solo, prima della Messa.

La Madonna delle Lacrime. È il 5 maggio 2016, il giorno della Veglia per asciugare le lacrime, novità assoluta del calendario giubilare. Per l’occasione, a San Pietro, viene esposto il reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa. Maria, assicura il Papa, “con il suo manto asciuga le nostre lacrime” e “ci accompagna nel cammino della speranza”.

La Madonna di Fatima. Circa dieci minuti, in piedi, in silenzio davanti alla statua della “Signora”. È una delle istantanee più commoventi del viaggio del Papa a Fatima, per proclamare santi i primi bambini non martiri della storia della Chiesa. La devozione per la Madonna di Fatima risale, del resto, all’inizio del ministero petrino di Francesco: al termine della Messa in occasione della Giornata mariana, il 13 ottobre 2013, il Papa ha affidato il suo pontificato alla Madonna di Fatima.

Madre della speranza. Se c’è un’immagine ricorrente nel pontificato di Francesco, e declinata con gli accenti della tenerezza, è quella di Maria “madre della speranza”, come l’ha definita nell’udienza del 10 maggio scorso. Il suo è un “istinto di madre che semplicemente soffre, ogni volta che c’è un figlio che attraversa una passione”. “Non siamo orfani: abbiamo una madre in cielo”, che “ci insegna la virtù dell’attesa, anche quando tutto sembra privo di senso”.

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Medjugorje, è stato autorizzato il culto ufficiale! Parla l’inviato del Papa

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2017

Medjugorje, è stato autorizzato il culto ufficiale! Parla l’inviato del Papa
Jesús Colina/Aleteia Francia – Aleteia

Medjugorje, è stato autorizzato il culto ufficiale! Parla l’inviato del Papa dans Apparizioni mariane e santuari Medjugorje

Intervista esclusiva con l’inviato del Papa al santuario mariano

“Il culto di Medjugorje è autorizzato. Non è proibito e non deve svolgersi di soppiatto. La mia missione consiste precisamente nell’analizzare la situazione pastorale e nel proporre delle migliorie”, afferma mons. Henryk Hoser, arcivescovo di Varsavia-Praga in Polonia, inviato speciale di Papa Francesco per la pastorale del santuario di Medjugorje, in Bosnia-Herzegovina, luogo di presunte apparizioni mariane che dal 1981 attira milioni di persone.

“Da oggi, le diocesi e altre istituzioni possono organizzare pellegrinaggi ufficiali. Non ci sono più problemi”, continua l’arcivescovo in un’intervista accordata ad Aleteia nella sua residenza situata in un quartiere di Varsavia.

«Papa Francesco ha recentemente chiesto a un cardinale albanese di dare la sua benedizione ai fedeli presenti a Medjugorie», spiega.

Sono pieno d’ammirazione per il lavoro che i Francescani compiono laggiù. Con un’équipe relativamente ristretta – sono una dozzina – fanno un enorme lavoro di accoglienza dei pellegrini. Tutte le estati organizzano un festival dei giovani. Quest’anno ci sono stati 50mila giovani da tutto il mondo, con più di 700 preti.

Le confessioni sono massive. Hanno una cinquantina di confessionali, che non bastano. Sono confessioni molto profonde.

Questo è un fenomeno. E ciò che conferma l’autenticità del luogo è la grande quantità di istituzioni caritative che esistono attorno al santuario. E un’altra dimensione ancora: il grande sforzo che viene svolto a livello di formazione cristiana. Ogni anno organizzano congressi a più livelli, per pubblici differenti (preti, medici, genitori, giovani, coppie…)

Il decreto della precedente Conferenza Episcopale della Yugoslavia di un tempo, che prima della guerra dei Balcani sconsigliava che i vescovi organizzassero pellegrinaggi a Medjugorie, non è più in atto.

Ci sono altri casi di luoghi di apparizioni, come Kibeho, in Rwanda, dove il vescovo diocesano ha accordato il culto, da principio, e in seguito ha proseguito l’analisi per il riconoscimento delle apparizioni.

Oggi il culto di Medjugorie si estende a 80 paesi: costituisce una rete enorme.

L’arcivescovo ha rivelato che la Commissione per l’analisi delle apparizioni di Medjugorje, che Benedetto XVI aveva affidato al cardinal Camillo Ruini, avrebbe dato parere favorevole:

Ciò che trovo toccante è che tutti i veggenti si siano orientati verso la vita di famiglia. Nell’epoca in cui viviamo, la famiglia ha un’importanza enorme. Tutti vivono in famiglia. Quelle che erano adolescenti all’epoca sono già nonne: 37 anni sono volati via!

«Ma questa decisione dovrà essere presa dal Papa. Il dossier si trova ora negli uffici della Segreteria di Stato. Credo che a breve la decisione finale sarà presa», ha concluso mons. Hoser.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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Confessori, un ministero che “non fa rumore ma fa miracoliˮ

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2017

Confessori, un ministero che “non fa rumore ma fa miracoliˮ
La lettera del cardinale Piacenza ai penitenzieri delle Basiliche papali e a tutti i sacerdoti che confessano: la vostra «è un’opera realmente al servizio dell’ecologia dell’uomo»
di Andrea Tornielli – La Stampa

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«Il vostro ministero, cari amici confessori, non fa rumore ma fa miracoli! Nessuno nota ma Dio vede, ed è questo che conta!». Lo scrive il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere maggiore, nella lettera inviata in occasione dell’inizio dell’Avvento ai penitenzieri delle Basiliche papali e a tutti i confessori.

«Mentre procediamo verso la mangiatoia di Betlemme – scrive il cardinale – prepariamo il cuore alla venuta del Dio-Uomo, che continuamente “viene” nel tempo della Chiesa, per liberarci con la sua misericordia, e che verrà alla fine dei tempi, nello splendore della verità, per giudicare gli uomini secondo la loro fede operante nella carità».

«Questo “giudizio finale” – aggiunge Piacenza nella lettera – appare sempre più estraneo ad una cultura contemporanea dominata dalla “dittatura dell’istante” e sempre meno disponibile, se non apertamente ostile, nei confronti del trascendente. Eppure, noi confessori siamo testimoni privilegiati di come tale giudizio ultimo venga, in realtà, mirabilmente anticipato ogni giorno, per la salvezza di tutti gli uomini, attraverso il sacramento della misericordia».

Chi «esercita con fedeltà il ministero della riconciliazione» ha la «grazia immensa» di «potersi offrire al Dio-Uomo per la salvezza di ogni fratello, chinandosi teneramente sull’umana povertà, raggiungendo quella periferia del peccato nella quale Uno soltanto ha la forza di addentrarsi, e vedendo ciascuno risollevato dalla spirituale indigenza ed immediatamente arricchito di ciò che abbiamo più caro nel cristianesimo: Cristo stesso!».

Quella del confessore, infatti, nota ancora il cardinale, «è un’opera realmente al servizio della tanto invocata “ecologia dell’uomo”» citata dal Papa nell’enciclica Laudato si’ dalla quale «trae un invisibile, ma efficacissimo beneficio l’intera umana società. Il vostro ministero, cari amici confessori, non fa rumore ma fa miracoli! Nessuno nota ma Dio vede, ed è questo che conta!».

«Riservate sempre un ruolo privilegiato – conclude Piacenza – al servizio silenzioso, e umanamente non sempre gratificante, della confessione. Fra l’altro mi permetto di ricordare che, col sacramento della penitenza, non solo cancellate i peccati, ma dovete avviare i penitenti sulla via della santità, esercitando su di essi, in una forma convincente, un vero e proprio insegnamento, un ministero di guida e di accompagnamento».

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Giappone, 30mila morti di solitudine. Le ditte di pulizia per chiudere le vite

Posté par atempodiblog le 2 décembre 2017

Giappone, 30mila morti di solitudine. Le ditte di pulizia per chiudere le vite
Il Kodokushi colpisce gli anziani, rimasti senza parenti o amici. Il decesso per mancanza di cibo, di freddo o di malattia. Il 20% della popolazione è sopra ai 65 anni.
di Monica Ricci Sargentini – Corriere della Sera

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In Giappone nessuno ne vuole parlare ma sta diventando sempre più difficile ignorare il fenomeno del Kodokushi, la morte per solitudine che, secondo gli esperti, colpisce 30mila persone all’anno, anche se il ministero della Salute parla di 3.700 decessi nel 2013. Il fenomeno riguarda le persone anziane, il 20% della popolazione, che rimangono sole, senza parenti, amici o conoscenti e si lasciano andare piano piano in un’inedia che alla fine li uccide.

La scoperta del cadavere
È il caso di Haruki Watanabe, raccontato dalla Bbc, che è stato trovato cadavere dal padrone di casa in un sobborgo di Osaka. L’uomo era ormai in decomposizione, la casa puzzolente, piena di resti di cibo avariato. Haruki aveva solo 60 anni e non era povero ma non aveva né amici, né lavoro, né moglie o parenti. O meglio l’unico figlio non voleva più sapere nulla di lui. Così per tre mesi nessuno ha scoperto il cadavere. Se non fosse stato per il padrone di casa, esasperato dagli affitti non pervenuti, chissà quando qualcuno si sarebbe accorto della sua dipartita.

Lo sgombero delle case
Il fenomeno è così diffuso in Giappone che sono nate ditte di pulizia specializzate nella chiusura e disinfestazione degli appartamenti. Una di queste è Risk Benefit, fondata e diretta Toru Koremura, un ex broker che ha voluto cambiare vita per onorare gli anziani. La sua ditta riceve 60 richieste al mese con picchi di 10 al giorno in estate quando la decomposizione è più veloce. I costi vanno dai mille ai tremila dollari. Il lavoro non è semplice. Prima di tutto va utilizzato il disinfettante giusto perché «ci sono 40mila diversi cattivi odori nel mondo e scegliere il prodotto adatto è molto difficile». Poi c’è la raccolta degli effetti personali e degli oggetti di valore che, se non c’è famiglia, vanno al padrone di casa. Nella case si può trovare di tutto da soldi nascosti nei posti più impensabili a gatti mummificati. Koremura racconta che di Kodokushi muoiono più maschi che femmine: «Il 90% dei casi riguarda uomini. Le donne sembrano più capaci di integrarsi nella comunità» dice alla Bbc.

Anziani dispersi
In Giappone la struttura di famiglia tradizionale sta collassando. Secondo Yasuyuki Fukuhawa, psicologo alla Waseda University di Tokio, la popolazione anziana è così tanta da andare al di là «delle capacità di cura familiare». Le case di riposo costano troppo e così i vecchi si ritirano nella loro solitudine. Recentemente i burocrati giapponesi hanno ammesso di aver perso le tracce di 250mila persone che sarebbero centenarie. Ha fatto scalpore nel 2010 il caso di Sogen Kato, dichiarato a 111 anni l’uomo più vecchio del Giappone ma che invece era morto da 30 anni senza che nessuno se ne fosse accorto.

I giovani reclusi
Non è un Paese per anziani ma nemmeno per giovani. Si chiamano Hikikomori i giovani che si chiudono in casa e non escono più. Secondo il governo sono 700mila. Molti alla fine si suicidano.

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“Natale non è solo dei cristiani. In ballo c’è la nostra civiltà”

Posté par atempodiblog le 1 décembre 2017

“Natale non è solo dei cristiani. In ballo c’è la nostra civiltà”
Il filosofo: «L’indifferenza avvolge cattolici e laici, non hanno presente il significato sconvolgente della festa»
di Stefano Zurlo – Il Giornale

“Natale non è solo dei cristiani. In ballo c'è la nostra civiltà” dans Articoli di Giornali e News Messa-di-Natale

Il Natale. Massimo Cacciari è un crescendo stizzito, quasi una filastrocca di imprecazioni: «Il Natale dei panettoni, il Natale delle pubblicità, il Natale dei soldi. Il Natale oggi è una festina». E nel dirlo si avverte la smorfia di disgusto.

La cronaca è un susseguirsi di episodi mortificanti: la scuola che abolisce il presepe nel segno del politicamente corretto, il parroco che ha paura di celebrare la messa di mezzanotte, la comunità che rinuncia ai canti tradizionali per non urtare l’altrui sensibilità. Il filosofo si spazientisce di nuovo, poi taglia corto come una ghigliottina: «Sono i cristiani i primi ad aver abolito il Natale».

Professore, vuole provocare?
«No, la verità è che l’indifferenza regna sovrana e avvolge un po’ tutti: i laici e i cattolici».

D’accordo, c’è un Natale dei pacchi e dei regali e poi?
«E poi, io che non sono credente mi interrogo: c’è un simbolo che ha dato un contributo straordinario alla nostra storia, alla nostra civiltà, alla nostra sensibilità».

Che cosa è per lei il cristianesimo?
«Il cristianesimo è una parte fondamentale del mio percorso, della mia vicenda, è qualcosa con cui mi confronto tutti i giorni».

Perché laici e cattolici oggi balbettano davanti all’evento che tagliato in due la storia?
«Perché non riflettono, perché non fanno memoria di questa storia così sconvolgente».

Dio che si fa uomo.
«Capisce? Non Dio che stabilisce una relazione con gli uomini, ma Dio che viene sulla terra attraverso Cristo. Vertiginoso».

Forse per lei e pochi altri.
«Appunto. La nostra società è anestetizzata, il Natale è diventato una favoletta, una specie di raccontino edificante che spegne le inquietudini».

Insomma non si difende più il Natale, come ha scritto sul «Giornale» Alessandro Sallusti, perché non si sa più cosa è il Natale?
«Esatto. Se posso generalizzare, e so che da qualche parte ci sono le eccezioni, il laico non si lascia scalfire da questo scandalo; l’insegnante di religione non trasmette più la forza di questa storia, ma se la cava con una spruzzata di educazione civica e il prete, spesso e volentieri, declama prediche, comode comode e rassicuranti, che sono un invito all’ateismo».

Un disastro.
«Si è perso l’abc. La prima distinzione non è fra laico e cattolico, ma fra pensante e non pensante. Se uno pensa, come pensava il cardinal Martini, allora si interroga e se si interroga prima o poi viene affascinato dal cristianesimo, dal Dio che si fa uomo scandalizzando gli ebrei e l’Islam».

Siamo alle prese con uno scontro di civiltà?
«Ma che scontro. Anche dalle loro parti si è persa la portata profonda del fatto religioso. Viviamo in un mondo che dimentica la dimensione spirituale».

Da dove può partire il dialogo con le altre religioni?
«Il dialogo parte dalla consapevolezza, ma se consapevolezza non c’è, allora prepariamoci al peggio. E infatti i cristiani sono, e so che da qualche parte c’è sempre un resto d’Israele, servi sciocchi del nostro tempo».

Insomma, che cosa manca?
«Manca il brivido davanti a una vicenda cosi grande, incommensurabile. Io vedo nei musei le scolaresche che sostano davanti ai quadri con soggetto religioso».

Ce l’ha pure con i liceali?
«No, ce l’ho con i loro professori e non solo con loro. Questi giovani ricevono nozioni di natura estetica, ma poi se ti avvicini e chiedi loro: chi è quel santo? È il Battista? È Paolo? È Giovanni? Ti guardano con occhi sbarrati, non sanno nulla, sono smemorati come il nostro tempo».

Cacciari, ma lei è sicuro di non credere?
«Il filosofo non può credere».

Questo, con rispetto, lo afferma lei.
«Il filosofo non può accettare la lezione cristiana, però è inquieto e riflette».

Dunque lei prega?
«La ricerca a un certo punto si avvicina alla preghiera. Certo, il fedele è convinto che la sua preghiera sia ascoltata, il filosofo prega il nulla. Però resta stupefatto davanti al mistero. E lo assorbe, come ho fatto nel mio ultimo libro su Maria: Generare Dio. Pensi, una ragazzetta che è madre di Dio. Da non credere, anche per chi ci crede».

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