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Morto il rabbino Giuseppe Laras. Un maestro «figlio della Shoah»

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2017

Morto il rabbino Giuseppe Laras. Un maestro «figlio della Shoah»
Nato a Torino nel 1935, da piccolo era scampato allo sterminio. Operò con il cardinale Martini per il dialogo interreligioso. Era una delle maggiori autorità spirituali ebraiche
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

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«La distruzione degli ebrei d’Europa ha sfiorato la mia esistenza, segnandola per sempre. Misteriosamente, grazie alla forza e al coraggio di mia madre, il Santo e Benedetto ha voluto che sopravvivessi agli orrori e alle ceneri della Shoah». Rav Giuseppe Laras, scomparso il 15 novembre a 82 anni, sapeva che stava per morire: «La mia malattia sta avanzando inesorabilmente», ha scritto nel testamento spirituale destinato agli amici. Così, negli ultimi giorni, il suo pensiero è tornato all’istante muto che ha deciso il corso della sua vita.

È stato un maestro, un’autorità in Europa e nel mondo, per venticinque anni rabbino capo di Milano. L’amicizia con il cardinale Carlo Maria Martini — fece arrivare un sacchetto di terra da Israele per posarlo nella sua tomba — ha segnato forse il punto più avanzato del dialogo tra ebrei e cristiani. La vita di fede ne ha fatto uno dei massimi studiosi di filosofia ebraica, in particolare di Maimonide, fino al capolavoro Ricordati dei giorni del mondo (Edb, 2014), summa in due volumi di un pensiero plurimillenario dalla Bibbia ad Hannah Arendt.

Eppure, prima di tutto questo, c’è stata quella mattina del 2 ottobre 1944, il giorno della cattura. Aveva nove anni e stava nascosto con sua madre in casa della nonna, a Torino. «Era il primo giorno di scuola, un lunedì», raccontava al «Corriere». «Una volta le scuole ricominciavano in ottobre». Non per gli ebrei, nell’Italia delle leggi razziali. «Dalle persiane chiuse vedevo alcuni bambini con le cartelle». Più tardi i fascisti bussarono alla porta. «Era stata la portinaia a fare la spia, pagavano cinquemila lire a ebreo».

Il rabbino Laras ne parlava di rado, la voce arrochita. «Quando ci ripenso rivivo quell’atmosfera, è come se fossi sempre stato lì. Mi si chiude la gola, mi viene da piangere». I fascisti erano due, «mia madre aveva da parte ventimila lire e trenta pacchetti di sigarette, glieli diede e disse: lasciate andare il bambino. Loro si misero tutto in tasca e ci portarono via».

Uno degli aguzzini teneva per mano il bambino nel percorso lungo via Madama Cristina verso l’Hotel Nazionale, dove aveva sede la Gestapo. Il momento che Laras avrebbe ricordato per tutta la vita fu all’incrocio con corso Vittorio Emanuele, nient’altro che uno scambio di sguardi. «L’accordo era che mi lasciasse andare, ma quell’uomo sembrava non allentare la presa. Guardai mia mamma, mi liberai con uno strattone e corsi via: fu l’ultima volta che le vidi, lei e la nonna».

Giuseppe Laras non ha mai smesso di essere quel bambino. Nel testamento si definisce «figlio della Shoah», ricorda «la commozione e l’euforia» per la nascita di Israele nel 1948, ma anche «le angosce che assalirono me, come molti altri tra noi, sino all’ora presente, in relazione alla sopravvivenza del nostro piccolo Stato». Da allora, «nel silenzio o nella nescienza delle più grandi nazioni, abbiamo assistito alla persecuzione e alla cacciata di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi islamici, ove molti di costoro risiedevano da secoli, talora ben prima dell’avvento dell’Islam».

Il tono è angosciato: «Oggi sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemitismo, specie nella sua ambigua forma di antisionismo, del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettuale e morale della civiltà occidentale. Nuove sfide e nuove angosce si stanno proiettando sul nostro mondo». Anche il dialogo ebraico cristiano, «se vuole continuare, deve progressivamente uscire dalle ambiguità su Israele».

La stessa Giornata della Memoria, celebrata il 27 gennaio, va «ripensata» rispetto «all’attualità dell’antisemitismo contemporaneo», alla sua complessità: «È necessario ricordare, anche a taluni nostri intellettuali e storici che contribuiscono all’aumento dell’assordante confusione, che l’antisemitismo non è né una forma particolare di razzismo o intolleranza, né, tantomeno, risulta confinato ai soli totalitarismi di “destra”. L’antisemitismo è specifico».

Qualche anno fa, raccontava Laras, andò a vedere il lager nazista dove avevano ucciso la madre e la nonna. «Per tanto tempo non mi era riuscito. Mia figlia mi ha detto: papà, ti accompagno io. Lì ho scoperto che la mamma è morta il 29 dicembre del 1944. Di Ravensbrück non è rimasto quasi niente. Lo hanno smantellato. Accanto c’era questo laghetto, carino, con le barche. Un contrasto che faceva male. Ma sono contento di esserci andato».

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