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Italiani all’estero. Migrantes: sono quasi 5 milioni. 124mila nel 2016, +15,4%. E sono soprattutto giovani che non rientreranno più

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2017

Italiani all’estero. Migrantes: sono quasi 5 milioni. 124mila nel 2016, +15,4%. E sono soprattutto giovani che non rientreranno più
Nel 2016 gli italiani espatriati all’estero sono stati più di 124mila; il 15,4% in più rispetto all’anno precedente. Attualmente sfiorano i cinque milioni. In dieci anni sono aumentati del 60.1%. La sfida è trasformare l’unidirezionalità in circolarità
di Giovanna Pasqualin Traversa – Agenzia SIR

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Fuga obbligata ma anche voglia di riscatto. Sono le motivazioni che sempre più spingono gli italiani ad emigrare all’estero. E a partire non sono solo giovani, ma anche famiglie intere e pensionati. È la fotografia scattata dal Rapporto italiani nel mondo 2017 della Fondazione Migrantes. La ricerca, giunta alla dodicesima edizione, rivela come nel 2016 le iscrizioni all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) siano state 124.076 con un aumento di oltre 16mila unità rispetto all’anno precedente (+15,4%). Ad oggi i nostri connazionali iscritti sono quasi 5 milioni, l’8% del totale della popolazione italiana. “L’emigrazione italiana è tutt’altro che un capitolo chiuso della nostra storia, è una realtà attualissima e in continuo mutamento”, afferma il direttore generale di Migrantes, don Gianni De Robertis, auspicando “un’azione coraggiosa per costruire un mondo più giusto e solidale dove nessuno sia costretto a partire ma ognuno abbia il diritto di scegliere dove costruire la propria vita”.

Oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%); un quarto tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%), rivela il video sul Rapporto realizzato da Tv2000 e presentato dal direttore Paolo Ruffini. Partenze non solo individuali ma “di famiglia”, spiega la curatrice dell’indagine Delfina Licata, intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia “allargata”, quella cioè in cui i genitori – ormai oltre la soglia dei 65 anni – diventano “accompagnatori e sostenitori” del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale).

A questi si aggiunge il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, i tanti “disoccupati senza speranza” che sperano di trovare all’estero opportunità occupazionali concrete per mantenere se stessi e la propria famiglia. Una mobilità complessiva che dal 2006 al 2017 è aumentata del 60.1% passando da poco più di 3 milioni ai 4.973.942 di iscritti all’Aire al 1° gennaio di quest’anno, l’8,2% degli oltre 60,5 milioni della popolazione nazionale, “pari ai cinque milioni di immigrati residenti”, osserva Licata.

A livello continentale, oltre la metà dei cittadini italiani emigrati (2.684.325 milioni) risiede in Europa. A seguire America, Oceania, Africa e Asia. I primi tre Paesi con le comunità più numerose sono Argentina (804.260), Germania (723.846) e Svizzera (606.578), mentre il Regno Unito, in valore assoluto, si distingue per avere la variazione più consistente (+27.602 iscrizioni nell’ultimo anno). La Lombardia, con quasi 23mila partenze, si conferma la prima regione da cui gli italiani hanno lasciato l’Italia alla volta dell’estero, seguita da Veneto, Sicilia, Lazio e Piemonte. Per mons. Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale per le migrazioni della Cei,“la libertà di partire non deve negare la libertà di restare o di ritornare nella propria patria”.

Commentando l’aumento dei giovani expat, nodo centrale “per la rinascita dell’Italia”, dice, “è l’occupazione giovanile” per la quale sono urgenti “misure concrete”. Altrimenti la mobilità, anziché essere “opportunità di crescita e arricchimento” continuerà ad essere, come negli ultimi anni, “unidirezionale” dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili. La sfida, chiosa Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri: è“trasformare l’unidirezionalità in circolarità considerando come valori la cittadinanza plurima e le identità arricchite”.

Come quelle dei “giovani italiani all’estero che vogliono vivere insieme la cultura del proprio Paese pur non rinunciando ad inserirsi nelle realtà d’accoglienza”. Per Riccardi occorre “passare dall’italnostalgia, prospettiva difensiva ma perdente nel tempo, all’italsimpatia”. Cruciale la ridefinizione della propria identità. La globalizzazione, spiega, “ha provocato la ristrutturazione di tutte le identità. A volte in modo radicale. Non ha prodotto un mondo appiattito ma un mondo di identità che riprendono forza, si misurano, si ripensano”. In questo orizzonte l’Italia deve superare il “grave ritardo storico” che le ha impedito di “ricollocarsi con una nuova identità sugli scenari internazionali, un’identità che deve essere dialogica, multipla, capace di mescolarsi con altre culture mantenendo il proprio sapore”.

Ma non solo giovani o famiglie: una mobilità alla “ricerca di luoghi fiscalmente vantaggiosi e climaticamente più favorevoli” è quella, spiega Salvatore Ponticelli (Direzione centrale pensioni Inps), dei pensionati che decidono di trasferirsi all’estero. Quasi 380mila le pensioni pagate nel 2016 dall’Inps all’estero, in 160 Paesi, soprattutto in Europa ma anche in Canada, Usa, Australia, Germania, Francia.

A tirare le fila del dibattito è il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, auspicando che la conoscenza “scientifica” dei fenomeni migratori in entrata e in uscita possa aiutare la “nostra politica ad uscire dalla cultura degli slogan”.

Riferendosi all’attualità, “la cittadinanza – spiega – non è data solo dal territorio (ius soli) o dal sangue (ius sanguinis) ma è determinata da quanto si vive e si sperimenta nel corso della propria vita”; elementi culturali che creano “identità plurime, dinamiche, in costante arricchimento”. Concetti che “è importante riscattare da un ambito meramente socioculturale per farli diventare anche cultura vissuta”. Di qui l’auspicio che il Rapporto, “importante per sé, facendoci capire alcune realtà vissute dagli italiani nel mondo, ci aiuti a guardare con occhi diversi quanti stanno qui da noi”.

(*) con la collaborazione di Raffaele Iaria

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