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Perché volere che un bambino handicappato viva?

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2017

Perché volere che un bambino handicappato viva?
Fonte: Amici di Lazzaro
Tratto da: Una casa sulla Roccia

Perché volere che un bambino handicappato viva? dans Articoli di Giornali e News Bambini_con_disabilit

Avra’ una vita felice o infelice? Questo non dipende dalla gravità del suo handicap. Non dipende neppure dal numero di cellule del suo cervello. Dipende da chi la circonda, perché l’essenziale per essere felice – per lui, come per ciascuno di noi – è amare ed essere amato.
Il bambino non conosce tutto il dramma vissuto attorno a lui, ma lo percepisce con tutte le fibre del suo essere. Attraverso la tonalità della voce, la dolcezza o l’indifferenza dei gesti, la tranquillità o l’angoscia con cui gli si sta accanto. Egli capisce di essere accolto o rifiutato.
Anche l’handicappato più grave, se lo crediamo, è una persona. Quanti genitori – come il filosofo Emmanuel Mounier di fronte alla sua piccola Francesca, la cui intelligenza sembrava completamente spenta – hanno percepito una presenza che li chiama ad un amore, ad una speranza, ad una tenerezza più grandi.
Ma abbandonati alla loro solitudine, molti genitori sono quasi incapaci di questo amore incondizionato. Hanno bisogno di essere circondati da una rete di amici. E ciascuno di noi può diventare uno di questi amici.

Testimonianza di Anna

Quando avevo 33 anni, misi al mondo la nostra terza creatura, una bambina che avevamo scelto di chiamare Maria. Un quarto d’ora dopo la sua nascita, il pediatra venne a comunicarmi che la bambina era affetta da trisomia 21, il nome scientifico del mongolismo. Niente aveva fatto presagire questo handicap: non rientrando nella fascia di età considerata «a rischio», non avevo ritenuto utile sottopormi alle analisi diagnostiche preventive. Ad ogni modo, mio marito ed io avevamo deciso che, anche se uno dei nostri figli fosse stato colpito da un handicap, avremmo rifiutato l’aborto. Dopo la notizia, mi ha sollevato per lo meno il pensiero che, non essendo stato rilevato nulla nella fase prenatale, avevo almeno potuto trascorrere una gravidanza serena.
Sul momento, per merito sicuramente di una grazia particolare, non ho sentito il mondo crollarmi addosso. Mi ero già occupata di bambini mongoloidi, sapevo che il loro handicap può anche essere lieve, che sono bambini particolarmente affettuosi e possono integrarsi molto bene in un ambiente normale. Mio marito, invece, ne fu sconvolto. Si sentiva incapace di accogliere Maria e preferiva che ce ne separassimo in modo legale al più presto… Entrambe le nostre famiglie condivisero subito la sua reazione. E anch’io fui presa dal panico: perché un figlio così? Perché a noi? Nella mia fascia di età, c’è una probabilità su 750 che un figlio nasca trisomico, ed era successo proprio a noi… Che fare? Come avrebbero reagito i nostri due figli più grandi? E la gente intorno a noi? Cosa ci riservava il futuro?

Se hai coraggio tu, l’avrò anch’io
Fortunatamente, mia madre mi indicò un’associazione cristiana che si occupa dei portatori di handicap. Telefonai subito, spiegando la situazione. Il giorno dopo una persona venne a trovarmi in clinica, e potei rivolgerle tutte le mie domande. Mi spiegò che, se anche lo sviluppo di questi bambini è più lento di quello dei bambini normali, essi possono comunque iniziare a camminare verso i due anni, tenersi puliti a due anni e mezzo e andare alla scuola materna con gli altri bambini. Sono molto socievoli, amano generalmente molto la musica – particolare molto importante in quanto mio marito è musicista – e, se anche la loro età mentale non supera gli otto anni, possono comunque seguire la scuola elementare con l’insegnante di sostegno o essere accolti in idonee strutture specializzate.

Questa persona tornò a trovarci ogni giorno. Dopo una settimana, dissi a mio marito che pensavo di avere la forza di tenere Maria. «Se tu hai questo coraggio», mi rispose, «l’avrò anch’io». Capiva che, se noi avessimo abbandonato Maria, non avrei mai più potuto essere felice come prima. Siamo dunque tornati a casa con Maria. Era una bambina molto tranquilla, che iniziò ben presto a dormire tutta la notte. Certo, le nostre famiglie furono molto sconcertate per la nostra decisione ma, fin dalla prima volta in cui andammo a trovarle, furono tutti conquistati dal simpatico visetto e dalla grazia di Maria.

Sostegni per il futuro
La nostra piccina adesso ha un anno e devo constatare che, per il momento, la vita non è più difficile di prima. Al contrario, siamo colpiti dall’attenzione e dalla delicatezza che i nostri parenti e amici hanno per lei: tutti ci chiedono sue notizie e si rallegrano per i suoi progressi.

Come vediamo l’avvenire? Senza troppa apprensione, perché ci sentiamo ben sostenuti sia a livello medico che personale. Attualmente vengono effettuate molte ricerche ed esperimenti per stimolare ed integrare i bambini trisomici: Maria beneficia, ad esempio, di sedute di fisioterapia a domicilio, che la aiutano ad irrobustire i muscoli.

Una fortuna per i nostri figli
E’ senz’altro un’esperienza paradossale scoprire che la felicità può nascere dalla prova vissuta con l’aiuto di Dio: perché noi siamo davvero felici! Maria ci porta il messaggio essenziale che, al di là di una completa riuscita intellettuale e sociale, ogni persona ha un valore in sé. I nostri figli più grandi saranno sensibilizzati da questo messaggio e questo sarà sicuramente un guadagno per il loro avvenire.

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Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2017

Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”
“La felicità dei poveri in spirito ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio. Riguardo ai beni materiali questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace: più ho più voglio”.
di AsiaNews

Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!” dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco
Immagine tratta da: Familia Cristiana

“Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su sé stesso, sulle sue ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui”. Nella domenica nella quale il Vangelo propone il discorso delle Beatitudini, papa Francesco ha voluto sottolineare in particolare il senso della beatitudine dei poveri in spirito, commentando anche che “se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”.

Alle 30mila persone presenti in piazza san Pietro per la recita dell’Angelus, il Papa ha infatti ricordato che “la liturgia di questa domenica ci fa meditare sulle Beatitudini (cfr Mt 5,1-12a), che aprono il grande discorso detto ‘della montagna’, la ‘magna charta’ del Nuovo Testamento. Gesù manifesta la volontà di Dio di condurre gli uomini alla felicità. Questo messaggio era già presente nella predicazione dei profeti: Dio è vicino ai poveri e agli oppressi e li libera da quanti li maltrattano. Ma in questa sua predicazione Gesù segue una strada particolare: comincia con il termine «beati», cioè felici; prosegue con l’indicazione della condizione per essere tali; e conclude facendo una promessa. Il motivo della beatitudine, cioè della felicità, non sta nella condizione richiesta – per esempio «poveri in spirito», «afflitti», «affamati di giustizia», «perseguitati»… – ma nella successiva promessa, da accogliere con fede come dono di Dio. Si parte dalla condizione di disagio per aprirsi al dono di Dio e accedere al mondo nuovo, il «regno» annunciato da Gesù. Non è un meccanismo automatico questo, ma un cammino di vita al seguito del Signore, per cui la realtà di disagio e di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e sperimentata secondo la conversione che si attua. Non si è beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni di Dio”.

“Mi soffermo sulla prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (v. 4). Il povero in spirito è colui che ha assunto i sentimenti e l’atteggiamento di quei poveri che nella loro condizione non si ribellano, ma sanno essere umili, docili, disponibili alla grazia di Dio. La felicità dei poveri in spirito ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio. Riguardo ai beni materiali questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace: più ho più voglio. Questa è la consumazione vorace e questo uccide l’anima”. “Nei confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura a Lui, è Lui il Signore, non io, è docilità alla sua signoria, che ha voluto il mondo per tutti gli uomini nella loro condizione di pochezza e di limite”.

“Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su sé stesso, sulle sue ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui. Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane. I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso. Questo vorrei sottolinearlo, privilegiare la comunione al possesso. La Vergine Maria, modello e primizia dei poveri in spirito perché totalmente docile alla volontà del Signore, ci aiuti ad abbandonarci a Dio, ricco di misericordia, affinché ci ricolmi dei suoi doni, specialmente dell’abbondanza del suo perdono”.

Anche quest’anno, dopo la recita della preghiera mariana, accanto a Francesco si sono affacciati due ragazzi dell’Azione cattolica delle parrocchie e delle scuole cattoliche di Roma. I ragazzi, a conclusione della ‘Carovana della Pace’, il cui slogan è Circondati di Pace, hanno letto un messaggio a favore della pace, dopo il quale dalla piazza sono stati lanciati dei palloncini colorati.

Il Papa ha infine ricordato che si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra. “Questa malattia, pur essendo in regresso, è ancora tra le più temute e colpisce i più poveri ed emarginati. È importante lottare contro questo morbo, ma anche contro le discriminazioni che esso genera. Incoraggio quanti sono impegnati nel soccorso e nel reinserimento sociale delle persone colpite dalla lebbra, per le quali assicuriamo la nostra preghiera”.

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Napoli. Don Peppino, don Angelo & gli altri: grazie a voi, preti delle periferie

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2017

Napoli. Don Peppino, don Angelo & gli altri: grazie a voi, preti delle periferie
di don Maurizio Patriciello – Avvenire

Napoli. Don Peppino, don Angelo & gli altri: grazie a voi, preti delle periferie dans Articoli di Giornali e News Santissimo_Sacramento

Ho avuto modo di conoscere e apprezzare don Giuseppe Carmelo, prete della diocesi di Napoli. Ci siamo formati nello stesso seminario, studiato nella stessa facoltà teologica. Abbiamo sognati gli stessi sogni. Dopo l’ordinazione sacerdotale le strade si dividono, ognuno va dove la Provvidenza e l’obbedienza lo invia. Con gioia e trepidazione. Coscienti dei propri limiti e dei bisogni enormi del popolo che gli viene affidato. In seminario imparammo a fidarci di Dio e delle sue sorprese. Davanti a noi si aprivano orizzonti immensi e non vedevamo l’ora di gettarci nel lavoro pastorale.

Ingenuamente pensammo di avere la chiave per risolvere i problemi. Ci pensò la vita a farci ritornare con i piedi per terra. Gesù non elimina le croci, ma le assume e chiede a noi, che liberamente abbiamo scelto di seguirlo, di fare la stessa cosa. Imparammo presto a coniugare preghiera e sete di giustizia, annuncio e denuncia, azione e contemplazione. Imparammo a distinguere il peccato che va sempre condannato dal peccatore che va sempre amato. Imparammo a non essere “imparziali” ma a stare con i più poveri. Abbiamo imparato a essere preti toccando con mano la miseria e la grandezza umana. Non è stato e ancora non è facile.

Don Giuseppe è parroco al Pallonetto di Santa Lucia, il quartiere dove pochi giorni fa sono stati arrestati diversi camorristi. Un fatto di routine a Napoli se a fare scalpore non fosse stata la scoperta di una ragazzina di otto anni impegnata a confezionare bustine di droga. Qualcuno gridò allo scandalo. Fingendo di stupirsi. Scandalosa la notizia lo era, ma non destava meraviglia. Che i bambini a Napoli vengano impiegati per simili servizi lo sappiamo e lo denunciamo da sempre. I parroci che li hanno avuti al catechismo e all’oratorio cercano in tutti i modi di strapparli a questo avvilente destino.

Don Giuseppe si dà da fare al Pallonetto, don Angelo a Forcella, don Antonio alla Sanità. Alle Salicelle c’è don Ciro, a San Pietro a Patierno don Franco, a Crispano, Comune sciolto per infiltrazioni camorristiche, don Adriano. Ringraziamo Dio per questi preti e le loro comunità che portano una sciabolata di luce dove il buio incombe. La gente vuole bene ai suoi preti. Anche chi continua a delinquere, anche quando le loro parole bruciano più della brace sulla pelle. Sanno bene che per il bene dei loro figli si farebbero ammazzare. In segreto li apprezzano, a modo loro li “proteggono”. Se solo accettassero qualche piccolo servizio impazzirebbero dalla gioia… prima di perdere per sempre la stima che hanno nei loro confronti.

Non è facile spiegare il rapporto di odio – amore – rispetto – sospetto che i camorristi hanno con i parroci dei quartieri dove “comandano”. Don Giuseppe giovedì ha chiuso la chiesa ed è andato a celebrare la Messa nei vicoli. La foto che lo ritrae con il Santissimo tra le mani nell’antico borgo di pescatori è suggestiva. Sembra che stia sussurrando al Dio nascosto: «Solo tu, Signore, puoi aiutarci. Fallo, per amore di questo popolo che hai voluto affidarmi».

Non solo preghiera, non solo Messa, non solo processione e litanie. Don Peppino ha voluto, ancora una volta, richiamare l’attenzione sul vero dramma della sua parrocchia, tanto simile al mio e a quello di decine di confratelli. Ha ricordato a chi ci governa che la mancanza di lavoro e di alternative non lascia intravedere un futuro migliore. Che la repressione non basta per migliorare il territorio.

«Dio solo sa quanto io desideri la conversione di chi ha scelto la strada dell’illegalità», dice il sacerdote pensando soprattutto ai ragazzi che fino a pochi anni fa frequentavano la parrocchia, prima che la sirena della mano nera li ammaliasse. Prima che la rassegnazione li costringesse a dire: «Questa è la nostra strada. Don Peppino, lasciaci stare, tu non puoi capire». E da quella volta hanno preso a voltare la faccia dall’altra parte quando lo vedono passare. Salvo poi mandarlo a chiamare quando vengono ingoiati dal carcere.

A questi preti delle periferie, geografiche ed esistenziali, vogliamo dire grazie. Invitarli a non demordere e assicurare loro la preghiera di tutta la Chiesa.

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Il futuro beato Don Primo Mazzolari che aiutò Oskar e la sua famiglia

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2017

Il futuro beato Don Primo Mazzolari che aiutò Oskar e la sua famiglia
Settant’anni dopo Oskar Tänzer, oggi novantenne, racconta di quel giorno che un futuro santo, Don Primo Mazzolari, lo salvò in Lombardia: «Fu lui a farci scappare»
di Carlo Baroni – Corriere della Sera

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Li chiama ancora «colpi del destino». Quelli che gli hanno salvato la vita. E bastava un niente perché la storia andasse da un’altra parte. Ha incontrato aguzzini e santi. Uno per davvero: don Primo Mazzolari che verrà beatificato tra poco. E c’è chi chiede che il suo nome venga ricordato nel Giardino dei Giusti delle Nazioni in Israele. Oskar Tänzer ha attraversato tre Paesi. E ogni volta, oggi ha 90 anni, ha saputo quale strada prendere. Un ragazzo ebreo nato nel posto sbagliato nel momento sbagliato: la Germania di Hitler.

Il trasferimento in Lombardia
Nel 1936 lascia Saarbrücken per Milano. «Pensavamo di stare al riparo dalle persecuzioni — racconta — abitavamo in corso Buenos Aires. Non conoscevamo la città e neanche la lingua. Mi ha aiutato la mia buona memoria. Mi hanno messo subito in quarta elementare». Una nuova vita, la speranza che riprende forma.

Due anni dopo, è il 1938, il regime fascista promulga le leggi razziali. Per gli ebrei è punto e a capo. I piccoli Tänzer esclusi dalla scuola. La comunità ebraica trova dei locali per farli studiare. «Una notte bussano alla porta: sono i poliziotti fascisti. Tirano giù mio padre dal letto e lo portano a San Vittore. L’accusa? È un ebreo…».

Oskar e i fratelli mettono in piedi un’attività da pellicciai: «Eravamo bravini». Poi la guerra e anche Milano diventa insicura. «Un nostro lavorante ci dice che i suoi genitori stanno a Bozzolo, nel Mantovano, lontano dagli echi della persecuzione razziale». Almeno, così sembra. I Tänzer respirano. Ma l’ombra nera del fascismo si allunga anche su quelle campagne. Il regime vuole i nomi di tutti gli ebrei che abitano a Bozzolo.

«Si presentano a casa il podestà, il maresciallo dei carabinieri e il parroco, don Primo, appunto. Non vogliono denunciarci. Ci danno tre giorni per riuscire a scappare. Dove? Don Primo trova una famiglia di contadini. Noi chiediamo: sanno i pericoli che corrono? Lo sanno». Ma non si tirano indietro. Don Primo sempre al fianco dei Tänzer. Pronto a fare argine al Male che li circonda. «Mio padre, però, pensa non sia giusto costringere quella brava famiglia mantovana a rischiare la vita».

La fuga da Milano alla Svizzera
Si riparte: Milano. E qui la portinaia li avverte dell’arrivo delle squadracce. Fuggono in Svizzera. Aiutati da una guardia di confine. Ma quando lo attraversano le autorità elvetiche non li vogliono. E ancora una volta la Storia prende la strada giusta. Passa un conoscente, persona di grandi disponibilità economiche. Li vede. Li fa restare. Settant’anni dopo Oskar Tänzer racconta di quel giorno che un futuro santo lo salvò.

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Usa. Trump taglia i fondi per l’aborto

Posté par atempodiblog le 24 janvier 2017

Usa. Trump taglia i fondi per l’aborto
Con un ordine esecutivo sancito lo stop ai finanziamenti per le Ong che praticano l’interruzione di gravidanza all’estero
Paolo M. Alfieri – Avvenire

Usa. Trump taglia i fondi per l'aborto dans Aborto Presidente_Trump
Il presidente Trump dopo la firma degli ordini esecutivi nello Studio Ovale (Ansa)

C’è anche lo stop ai fondi per le Ong che praticano aborti all’estero, o forniscono informazioni a riguardo, tra i primi atti dell’era Trump. Con un ordine esecutivo, infatti, il nuovo presidente Usa ha ripristinato un provvedimento che, da quando fu introdotto dall’Amministrazione repubblicana nel 1984, è stato revocato dalle Amministrazioni democratiche e reintrodotto da quelle repubblicane che si sono negli anni succedute.

A cancellare il bando, l’ultima volta, era stato il presidente Barack Obama nel 2009. Ora Trump ha appunto ripristinato il divieto di usare fondi del governo per sovvenzionare gruppi che pratichino o forniscano consulenza sull’aborto all’estero. Gli altri due ordini esecutivi firmati oggi da Trump riguardano il ritiro degli Usa dall’accordo commerciale Tpp e il congelamento delle assunzioni federali.

Obamacare
Nei giorni scorsi, intanto, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha preso posizione sull’abolizione dell’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Obama e criticata dai repubblicani. Il vescovo di Venice, monsignor Frank J. Dewane – che è presidente del comitato per la giustizia interna e lo sviluppo umano dell’episcopato Usa – ha inviato una lettera a tutti i membri del Congresso.

Nella missiva il presule ha rivolto un appello a tutti i parlamentari affinché “lavorino insieme per proteggere gli americani più vulnerabili” e perché conservino “gli importanti passi in avanti compiuti in tema di copertura e accesso alle cure sanitarie”. “Un’abolizione dei punti fondamentali dell’Affordable Care Act – prosegue il testo – non dovrà avvenire senza la contemporanea approvazione di un piano sostitutivo che assicuri l’accesso a cure sanitarie adeguate per quei milioni di cittadini che ora fanno affidamento su questo strumento per la tutela della loro salute”.

Il nuovo Congresso a maggioranza repubblicana ha già approvato la risoluzione sul budget che rappresenta il primo passo verso l’abrogazione di Obamacare, con la richiesta alle commissioni competenti di redigere il testo per la cancellazione entro venerdì. Secondo il Congressional Budget Office, l’abolizione dell’Obamacare senza una sua immediata sostituzione si tradurrà nella perdita dell’assicurazione sanitaria per 18 milioni di americani solo nel primo anno.

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Papa ai media: “Non macinate zizzania. Male spettacolarizzato anestetizza coscienze”

Posté par atempodiblog le 24 janvier 2017

Papa ai media: “Non macinate zizzania. Male spettacolarizzato anestetizza coscienze”
Il messaggio di Francesco per la 51esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
di Salvatore Cernuzio – Zenit

Papa ai media: “Non macinate zizzania. Male spettacolarizzato anestetizza coscienze” dans Articoli di Giornali e News Santo_Padre

Grano o zizzania. La mente umana, dicevano i Padri della Chiesa, è “una macina da mulino” che non si ferma mai e che “non può cessare di macinare ciò che riceve”. Tuttavia chi è “incaricato del mulino” ha la possibilità di decidere cosa macinarvi: il grano o la zizzania. Appunto. Parte da questa metafora tratta dall’antica tradizione ecclesiale, il messaggio di Papa Francesco per la 51esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra il prossimo 28 maggio sul tema «Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo.

Bergoglio parla in prima persona a tutti coloro che “ogni giorno ‘macinano’ tante informazioni” per incoraggiarli ad offrire un “pane fragrante e buono a coloro che si alimentano dei frutti della loro comunicazione”. Specialmente nel tempo moderno in cui “l’accesso ai mezzi di comunicazione, grazie allo sviluppo tecnologico, è tale che moltissimi soggetti hanno la possibilità di condividere istantaneamente le notizie e diffonderle in modo capillare”.

Queste notizie “possono essere belle o brutte, vere o false”: “Sta a noi decidere quale materiale fornire”, rimarca Francesco. Che esorta tutti “ad una comunicazione costruttiva che, nel rifiutare i pregiudizi verso l’altro, favorisca una cultura dell’incontro, grazie alla quale si possa imparare a guardare la realtà con consapevole fiducia”.

In particolare, secondo il Vescovo di Roma, c’è bisogno di “spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle ‘cattive notizie’ (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane). Certo – osserva – non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male”.

Anzi, al contrario – sottolinea il Papa -, tutti dovremmo cercare di “oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra, gettandoci nell’apatia, ingenerando paure o l’impressione che al male non si possa porre limite. Del resto, in un sistema comunicativo dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati, si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione”.

Papa Bergoglio indica pertanto un preciso stile comunicativo: “aperto e creativo”, “mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista”, ma che “cerchi di mettere in luce le possibili soluzioni, ispirando un approccio propositivo e responsabile nelle persone a cui si comunica la notizia”.

“Vorrei invitare tutti a offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo narrazioni contrassegnate dalla logica della ‘buona notizia’”, scrive il Pontefice. “La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata attraverso la scelta di una chiave interpretativa in grado di selezionare e raccogliere i dati più importanti”.

Inoltre, “la realtà non ha un significato univoco”. Tutto dipende dallo “sguardo” con cui viene colta, dagli “occhiali” – dice il Papa – con cui scegliamo di guardarla: “cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa”. E l’occhiale adeguato per decifrare la realtà, almeno per i cristiani, “non può che essere quello della buona notizia, a partire da la Buona Notizia per eccellenza”: il Vangelo.

Esso non è solo “un’informazione su Gesù”, ma è piuttosto “la buona notizia che è Gesù stesso”. Una notizia che “non è buona perché priva di sofferenza, ma perché anche la sofferenza è vissuta in un quadro più ampio”. In Cristo “anche le tenebre e la morte diventano luogo di comunione con la Luce e la Vita”, scrive il Papa. “Nasce così una speranza, accessibile a chiunque, proprio nel luogo in cui la vita conosce l’amarezza del fallimento”.

In questa luce, “ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire”.

A costruire quel “Regno di Dio” che “è già in mezzo a noi, come un seme nascosto allo sguardo superficiale e la cui crescita avviene nel silenzio”. “Chi ha occhi resi limpidi dallo Spirito Santo riesce a vederlo germogliare e non si lascia rubare la gioia del Regno a causa della zizzania sempre presente”, afferma il Papa. Che parla invece di speranza, quella “fondata sulla buona notizia che è Gesù ci fa alzare lo sguardo” e allarga gli orizzonti. Una speranza che “è la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita”, ma che “è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta”.

“Noi – sottolinea il Santo Padre – la alimentiamo leggendo sempre di nuovo la Buona Notizia, quel Vangelo che è stato ‘ristampato’ in tantissime edizioni nelle vite dei santi, uomini e donne diventati icone dell’amore di Dio. Anche oggi è lo Spirito a seminare in noi il desiderio del Regno, attraverso tanti ‘canali’ viventi, attraverso le persone che si lasciano condurre dalla Buona Notizia in mezzo al dramma della storia, e sono come dei fari nel buio di questo mondo, che illuminano la rotta e aprono sentieri nuovi di fiducia e speranza”.

“Attraverso la forza dello Spirito Santo possiamo essere testimoni e comunicatori di un’umanità nuova, redenta, fino ai confini della terra”, conclude Papa Francesco. Tale fiducia “ci rende capaci di operare – nelle molteplici forme in cui la comunicazione oggi avviene – con la persuasione che è possibile scorgere e illuminare la buona notizia presente nella realtà di ogni storia e nel volto di ogni persona”.

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Terremoto, vescovo Spoleto-Norcia propone giorno di digiuno

Posté par atempodiblog le 24 janvier 2017

Terremoto, vescovo Spoleto-Norcia propone giorno di digiuno
Monsignor Boccardo per il 27 gennaio: «Segno di solidarietà verso chi è provato nello spirito e nel corpo»
di Umbria24

Terremoto, vescovo Spoleto-Norcia propone giorno di digiuno dans Articoli di Giornali e News terremoto_bagnasco_boccardo

Una giornata di digiuno, «proposta a tutte le donne e gli uomini di buona volontà dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia» da tenersi venerdì 27 gennaio, «quale segno di solidarietà verso chi è provato nel corpo e nello spirito» dal susseguirsi delle scosse di terremoto, che culminerà con una preghiera alle 21 nella palestra del Sacro Cuore a Spoleto: è una delle iniziative che il vescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Renato Boccardo, proporrà ai fedeli della sua diocesi, dove i danni del terremoto, soprattutto al patrimonio religioso, sono ingenti.

La giornata di digiuno – spiega un comunicato della diocesi – vuole essere «un grido che sale al Cielo per chiedere misericordia, tranquillità e sicurezza». Lo stesso vescovo ha inoltre programmato per domenica 29 gennaio, alle 15,30 a Norcia, una processione penitenziale intorno alle mura della città: verrà portata in processione l’effige della Madonna Addolorata, estratta dalle macerie della chiesa che la ospitava, «per chiedere difesa e protezione dalle calamità naturali»

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Il silenzio ci conserva

Posté par atempodiblog le 22 janvier 2017

Il silenzio ci conserva dans Citazioni, frasi e pensieri Georges_Bernanos

Conservare il silenzio, che espressione strana! È il silenzio che ci conserva!

di Georges Bernanos – Diario di un parroco di campagna

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Minori a Napoli: urgente offrire alternative alla criminalità

Posté par atempodiblog le 21 janvier 2017

Minori a Napoli: urgente offrire alternative alla criminalità
Molte donne, ma anche bambini di 8, 12, 13 anni impiegati per preparare dosi di cocaina, hashish e marijuana, impacchettarle e venderle riscuotendo i soldi dagli acquirenti. E’ ciò che è emerso di recente nel corso delle indagini dei carabinieri riguardo all’attività del clan camorristico Elia, uno dei più potenti di Napoli. Secondo i calcoli degli inquirenti, dallo spaccio al centro storico della città, il clan riusciva a guadagnare fino a 5 mila euro al giorno. Una 40.na gli arresti seguiti alle indagini. Un fenomeno recente, l’utilizzo di minori, all’interno della criminalità organizzata? Adriana Masotti, per Radio Vaticana, lo ha chiesto a Fabio Giuliani, referente per la regione Campania dell’associazione Libera:

Minori a Napoli: urgente offrire alternative alla criminalità dans Articoli di Giornali e News Napoli_violenta

R. – Purtroppo non è un fenomeno recente, è un fenomeno che riguarda gli strumenti che queste famiglie hanno e qual è la proposta che viene fatta a questi bambini. Se l’unica proposta è quella tutta all’interno del contesto criminale, risulta quasi naturale arrivare a queste conclusioni. Sarebbe necessario poter offrire a tutte queste famiglie, a tutti questi minori, un’offerta alternativa, una proposta alternativa che esce fuori dal contesto criminale. Un po’ come è accaduto per un po’ di tempo con il bellissimo progetto dei maestri di strada: si faceva la scuola per le strade e dire “strada” a Napoli vuol dire tanto perché la strada è un fenomeno, è un agglomerato di comunità, in ogni caso con la quale bisogna interloquire… Dobbiamo ricordarci anche che le camorre non sono prodotte dalla povertà assolutamente, ma sicuramente della povertà si nutrono. E’ una produzione che avviene altrove, che avviene oltre la povertà e nei contesti più difficili invece trovano un brodo di coltura.

D. – Lei parla di offerta alternativa; in questo caso è emerso che i bambini utilizzati dal clan erano consapevoli del loro ruolo e quindi di poter fare carriera di essere qualcuno… Ecco questo potere, questo poter disporre di denaro…
R. – Come si fa a essere consapevoli ad 8 anni: in qualunque famiglia si è consapevoli delle cose che ti dicono, delle cose che ti dicono di fare e delle cose che sei abituato a vedere.

D. – Una famiglia che è improntata all’attività criminale, quindi mamma, papà, parenti, nonni, come fa da una famiglia così ad arrivare una proposta diversa? E come si fa ad avvicinare una famiglia così?
R.  Partendo molto, molto prima. Da tempo su tutto il territorio napoletano ci sono oltre 10 punti, all’interno di un progetto fatto dalla Fondazione Polis, dove si leggono libri specifici per bambini a questi bambini e alle loro mamme. Questo significa fare entrare la cultura all’interno di ogni famiglia. Noi dobbiamo provare ad usare dei grimaldelli per entrare…. Naturalmente non abbiamo la ricetta giusta, altrimenti l’avremmo già tirata fuori, però questi sono sicuramente dei tentativi da fare. Bisogna in tutti i modi provare: attraverso una scuola, attraverso una scuola che entra nelle loro case a dire che c’è un’altra strada, che c’è un’altra vita, che esiste tutto un altro mondo che dà altrettanto e sicuramente maggiori soddisfazioni sicuramente in termini di relazioni e di sentimenti.

D. – L’associazione Libera a Napoli che cosa fa in particolare per i bambini?
R. – Con i minori siamo in contatto soprattutto con l’Istituto penale minorile e con tutti quei minori “messi alla prova”, che hanno compiuto degli errori: vogliamo superare la dicotomia tra vittima e carnefice pensando che spesso il carnefice l’abbiamo costruito noi, è stata la vittima delle nostre disattenzioni, del nostro essere poco cittadini. E infine, insieme ai più piccoli, collaboriamo alla fondazione Polis, come dicevo prima, con il progetto “Leggendo crescerai”, proviamo a inserire un grimaldello di cultura all’interno di quelle famiglie che sono in difficoltà, invitando le famiglie insieme ai servizi a questi cicli di lettura.

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“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza”

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2017

“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza”
All’Angelus il Papa esorta ad «annunciare il Vangelo con mitezza, senza imposizione»

di Giacomo Galeazzi – La Stampa

“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza” dans Commenti al Vangelo Angelus_di_Papa_Francesco

Appello di Francesco ad «annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione». Conclusa la messa con l’amministrazione del battesimo ad un gruppo di bambini nella Cappella Sistina, alle 12 Francesco si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini riuniti numerosi in piazza San Pietro anche in una delle giornate più fredde dell’anno. Poi aggiunge a braccio:

«In questi giorni di tanto freddo penso e vi invito a pensare a tutte le persone che vivono per la strada, colpite dal freddo e tante volte dall’indifferenza. Purtroppo alcuni non ce l’hanno fatta. Preghiamo per loro e chiediamo al Signore di scaldarci il cuore per poterli aiutare».

«Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere – sostiene Jorge Mario Bergoglio. La Vergine Maria aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita».

Il Papa ricorda che «la vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli». Perciò, ribadisce il Pontefice, «ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore».

Francesco sottolinea che «nel contesto della festa del Battesimo del Signore, stamattina ho battezzato un bel gruppo di neonati». Ed esorta i fedeli a pregare per loro e per le loro famiglie: «Ieri pomeriggio – confida – ho battezzato un giovane catecumeno. Vorrei estendere la mia preghiera a tutti i genitori che in questo periodo si stanno preparando al Battesimo di un loro figlio, o lo hanno appena celebrato – afferma.

Invoco lo Spirito Santo su di loro e sui bambini, perché questo Sacramento, così semplice e nello stesso tempo così importante, sia vissuto con fede e con gioia. Vorrei inoltre invitare ad unirsi alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, che diffonde, anche attraverso le reti sociali, le intenzioni di preghiera che propongo ogni mese a tutta la Chiesa. Così si porta avanti l’apostolato della preghiera e si fa crescere la comunione».

Francesco commenta la liturgia della parola. «Oggi, festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo ci presenta la scena avvenuta presso il fiume Giordano: in mezzo alla folla penitente che avanza verso Giovanni il Battista per ricevere il battesimo c’è anche Gesù – afferma il Papa -; Giovanni vorrebbe impedirglielo dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te”. Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù». Ma Gesù, sottolinea il Papa, «è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso».

Per questo «chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia, cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli».

Quindi, prosegue Jorge Mario Bergoglio, «nel momento in cui Gesù, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. E nello stesso tempo lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza».

Una missione, evidenzia il Papa, «caratterizzata dallo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: “Non griderà, né alzerà il tono, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità”; ecco lo stile missionario dei discepoli di Cristo».

Dopo la preghiera mariana Francesco saluta «tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini italiani e di vari Paesi, in particolare il gruppo di giovani di Cagliari, che incoraggio a proseguire il cammino iniziato con il Sacramento della Confermazione e li ringrazio perché mi offrono l’occasione di sottolineare che la Confermazione o Cresima non è solo un punto di arrivo, ma anche e soprattutto un punto di partenza nella vita cristiana. Avanti, con la gioia del Vangelo».

Infine augura «a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci».

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La sua forza e il suo potere si chiama Misericordia

Posté par atempodiblog le 7 janvier 2017

La sua forza e il suo potere si chiama Misericordia dans Citazioni, frasi e pensieri Ges_Bambino

“Scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona.

Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce.

Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo.

Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per gli ultimi, feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama Misericordia.

Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!”.

Papa Francesco

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I Magi

Posté par atempodiblog le 4 janvier 2017

I Magi
di Mario Luzi

I Magi dans Citazioni, frasi e pensieri Adorazione_Magi

Non ha volto, si cela
dentro sé il tempo –
così ci confonde
esso, ci gioca
con i suoi inganni –
a volte
duramente,
duramente ci disorienta.

Ed ecco, in un frangente
prima non osservato
o in uno
sorpassato
dal flusso
e dimenticato
o in altro ancora
rimasto
oscuro dietro le dune,
qua o là,
qua o là, seme sepolto
in terra molto arida
e molto pesticciata,
potrebbe all’improvviso
il futuro disserrarsi
in luci, sfavillare il tempo
dove? da una qualsiasi parte.

Andavano cauti loro, i Magi,
occhiuto era il viaggio
in avanti
o a ritroso? procedendo
o tornando
ai luoghi
d’un’ignota profezia?
Sapevano e non sapevano
da sempre la doppiezza del cammino.
L’avvenire o l’avvenuto…
dove stava il punto?
e il segno?
da dove era possibile il richiamo?
Non è ricaduta
inerte nel passato
e neppure regressione
nel guscio delle cose già sapute
questo
ritorno della strada
spesso
su se medesima,
ma nuova
conoscenza, forse,
ed illuminazione
di un bene avuto e non ancora inteso –
dice
uno di loro
e gli altri lo comprendono
sì e no, ma sanno
ed ignorano all’unisono…
e proseguono
insieme,
vanno e vengono
insieme nel va e vieni del viaggio.

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La vittoria è improbabilissima. Ecco perché perdiamo a «gratta e vinci» e Superenalotto

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2017

I calcoli contro la dipendenza
La vittoria è improbabilissima. Ecco perché perdiamo a «gratta e vinci» e Superenalotto
La sfida di Diego (matematico) e Paolo (fisico): «Salviamo i malati di azzardo e lotterie spiegando quanto è difficile diventare ricchi»
di Elena Tebano – Corriere della Sera

La vittoria è improbabilissima. Ecco perché perdiamo a «gratta e vinci» e Superenalotto dans Articoli di Giornali e News Diego_Rizzuto_e_Paolo_Canova

Tutte le volte che Diego Rizzuto e Paolo Canova incontrano i ragazzi a lezione fanno un gioco (apparentemente) molto poco educativo: digitare un numero telefonico di Torino a caso e chiedere del portiere della Nazionale Gigi Buffon. Dal 2009 ha risposto un solo Gigi, e non era Buffon. «La probabilità di indovinarlo è di una su 10 milioni — dice Rizzuto —. Se sembra poco, consideri che quella di vincere al Superenalotto con la giocata minima è una su 622 milioni». Rizzuto, 36 anni, è un matematico, Canova, 40, un fisico. Torinesi, sono divulgatori scientifici: hanno iniziato usando il gioco per spiegare la matematica nelle scuole, ora li chiamano Asl, aziende ed enti locali per prevenire la dipendenza dall’azzardo con la matematica. «Per ogni gioco è possibile calcolare prima quanto si perderà. Tutti sanno che il banco vince sempre — aggiunge Canova —. Ma quasi nessuno si rende conto di quanto».

Come funziona la roulette
L’esempio più facile, anche per chi con la matematica ha poca familiarità, è la roulette francese. «Ci sono 18 numeri rossi e 18 neri: sembra un gioco equo, con le stesse probabilità di vincere e perdere. Ma non è così — spiega Rizzuto —. C’è anche lo zero: se si scommette un euro sul rosso, a ogni puntata i casi perdenti sono 19, quelli vincenti 18 (lo stesso vale per il nero). In media su 37 giocate si perde sempre una volta di più». Questa piccola discrepanza cambia tutto. «Significa che perdiamo un euro ogni 37 che giochiamo — prosegue Canova —. Che equivale 3 centesimi a giocata. Quei tre centesimi sono la perdita media a puntata della roulette francese». Ovvero il vantaggio che il banco ha su chi tenta la sorte.
Il paradosso, così, è che più si scommette più si perde: «La nostra psicologia invece ci spinge a pensare il contrario, perché maggiore è la perdita, più siamo portati a sperare nella vittoria che nella nostra mente dovrebbe risarcirci di quanto abbiamo perso».

I premi dei «gratta e vinci»
La perdita media nei giochi d’azzardo che compriamo dal tabaccaio è ancora più alta di quella della roulette. «Il gratta e vinci più popolare, il “Nuovo Il Miliardario”, costa 5 euro e ha un premio massimo di 500 mila — dice Canova —. Lì la perdita media a giocata è 30 centesimi per euro: quindi di 1,5 euro a tagliando». E in molti casi la possibilità di vincere si riduce allo zero: «Succede con i gratta e vinci a tiratura limitata dopo che qualcuno si è aggiudicato il primo premio — chiarisce Rizzuto —. Per esempio “Occasione preziosa”: un biglietto sui 3 milioni stampati permetteva di vincere 10 milioni di euro. È stato giocato a Desio a settembre. Gli altri sono rimasti in vendita, ma ora non hanno alcuna possibilità di ottenere il montepremi più alto. Ma la gente li compra lo stesso perché non lo sa. Negli Stati Uniti e in Canada i gratta e vinci rimasti vengono ritirati, in Italia no».

Scommettere sulla fortuna (con i fulmini)
E allora perché, in barba a tutte le probabilità, c’è chi vince lo stesso al Superenalotto? Due settimane fa a Vibo Valentia si sono portati a casa 163,5 milioni di euro indovinando anche il numero superstar. La probabilità che ci riuscissero era una su oltre 56 miliardi. Ma è successo. «C’è un tale, Roy Sullivan, che è stato colpito 7 volte da un fulmine. È sopravvissuto tutte e 7. Poi è morto suicida per amore a 71 anni. È un evento molto improbabile che pure si è verificato — replica Rizzuto —. Ma non basiamo la nostra vita sull’aspettativa che succeda anche a noi». Se non basta la razionalità, c’è la scaramanzia: «Basti sapere — dice Canova — che se si va in auto a comprare il Superenalotto, e si impiegano 10 minuti all’andata e 10 al ritorno, la nostra probabilità di morire in un incidente è più alta di quella di vincere».

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L’obiettivo del nuovo anno

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2017

L’obiettivo del nuovo anno dans Citazioni, frasi e pensieri Buon_2017

“L’obiettivo del nuovo anno non dovrebbe essere quello di avere un nuovo anno. Piuttosto, dovremmo avere una nuova anima e un nuovo naso; piedi nuovi, una nuova spina dorsale, nuove orecchie e occhi nuovi”.

Gilbert Keith Chesterton

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Le parole dell’anno a venire…

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2017

Le parole dell’anno a venire... dans Citazioni, frasi e pensieri T_S_Eliot

“Le parole dell’anno trascorso appartengono al linguaggio dell’anno trascorso e le parole dell’anno a venire attendono un’altra voce…”.

Thomas Stearns Eliot

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