Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare
Posté par atempodiblog le 30 décembre 2016
Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare
Dal Burkina Faso, 18 anni, sbarcato a Trapani con il sogno di fare il meccanico per la Ducati: legato a mani e piedi dagli scafisti dopo che sul barcone aveva urlato terrorizzato delle onde. Ferite andate in setticemia, arti tagliati. Inchiesta della Procura
di Alessandro Fulloni – Corriere della Sera
Non aveva mai visto il mare Aruna, diciotto anni dal Burkina Faso e un sogno: fare il meccanico di moto in Italia. (Esattamente: aggiustare le moto Ducati). Per questo quando si è trovato sballottato da quei cavalloni alti chissà quanto poche ore dopo essera salpato dalla Libia (qualche giorno fa, prima di Natale) ha gridato per il terrore. Un terrore incontrollabile. Chissà se davvero con quelle urla aveva spaventato anche gli altri migranti a bordo, come poi è stato raccontato. Fatto sta che gli scafisti per risolvere quello che pareva loro un problema non hanno fatto altro che prendere Aruna, immobilizzarlo, legarlo (meglio: incaprettarlo) e sbatterlo giù nella stiva, tra fetore e scarichi dei diesel, dove è rimasto due giorni (senza bere, nè mangiare. I bisogni addosso). Corde strettissime, a caviglie e polsi, che si sono trasformate in lame che gli hanno scarnificato la pelle. Nel prosieguo della navigazione verso la Sicilia il barcone è poi finito alla deriva.
Setticemia e cancrena
Una chiamata d’allarme ha allertato il soccorso. La nave Gregoretti, della Guardia costiera, arrivata dopo poco, ha agganciato l’imbarcazione e effettuato il trasbordo dei migranti da salvare. Il ragazzo è stato portato all’hotspot di Trapani «Milo» dove è rimasto tre giorni. Solo nel trasferimento successivo alla struttura di accoglienza cui era stato destinato, la «Piccola Famiglia dell’Esodo Decollatura» – una comunità religiosa a mille metri di altezza sulla Sila che in queste ore è imbiancata da una fitta neve – ci si è accorti di quanto stesse male. «Era in condizioni disperate, febbre altissima, piedi neri e gonfi: sono corso in ospedale senza stare a pensarci su» racconta padre Benedetto Marani, il direttore del centro arrivato a Trapani apposta per prelevare il ragazzo. Le ferite agli arti erano in setticemia, la cancrena era al galoppo. Per salvarlo sono state necessarie tre operazioni nel giro di settantadue ore. Tutte concluse con amputazioni. L’ultima mercoledì. Aruna adesso non ha più piedi, il taglio è avvenuto a metà polpaccio. Anche le mani sono ridotte a moncherini. Delle dita restano solo i metacarpi. Falangi, falangine e falangette sono state tranciate, con ossa e pelle irrecuperabili per la necrosi.
Il calvario del diciottenne
Sono stati i medici di Catanzaro, oltre a padre Benedetto, a ricostruire il calvario del diciottenne. In sala operatoria già al primo intervento avevano notato lividi, escoriazioni e tagli dovuti agli stretti legacci. Aprendo una delle ferite per disinfettarla hanno trovato i resti di una corda. Per questo a Trapani Aruna piangeva di continuo per il dolore. Non riusciva nemmeno a raggiungere il bagno, strisciava appoggiandosi sui gomiti. O veniva aiutato da qualche amico, lo stesso che gli porgeva cucchiaio e forchetta alla bocca perché lui con le mani oramai non era più in grado di sorreggere nulla, men che meno di lavarsi. Suor Benedetta Giordano, superiora alla Piccola Famiglia, racconta che il ragazzo è arrivato in Libia dopo aver attraversato a piedi la parte algerina del deserto del Sahara. Un viaggio durato sei mesi, costato (compreso il «biglietto» per imbarcarsi) una cifra attorno ai 3.500 euro.
Aruna (lo chiamano tutti così per cognome come si usa in Africa, ma il suo nome è Widraou) è orfano, ultimo di sette fratelli. Di quasi tutti non ha più notizie. Solo di uno ha il telefono e si sono sentiti in questi giorni. È in Costa d’Avorio e fa il meccanico di moto. Erano assieme quando Aruna – pazzo per le moto italiane, la superiora dice che la sua passione sono le Ducati – ha deciso di incamminarsi verso un destino differente. Che comprendesse magari quel sogno delle «rosse» a due ruote.
La sottoscrizione
La storia di Aruna ha commosso il personale dell’ospedale di Catanzaro. Che si è prodigato per avviare una sottoscrizione che possa consentire l’acquisto delle protesi necessarie per consentirgli di sperare in una vita normale. «Il nostro è un lavoro non solo scientifico e tecnico ma prima di tutto emozionale – racconta l’infermiera Maria Rosaria Costantino, tra le prime ad avviare l’iniziativa -. Quando è arrivato qui, le sue condizioni erano persino difficili da raccontare. Abbiamo subito pensato di attivare la macchina degli aiuti per prima cosa attraverso un bollettino postale. Lui è un ragazzo coraggioso. Per noi è già come un figlio. Gli altri ospiti della Onlus, che parlano lingua francese, fanno i turni in ospedale per fargli compagnia». Il personale medico ha anche indirizzato, con una lettera aperta, un appello a Comune, Provincia e Regione. «Ci saranno da sostenere, tra le altre cose – dicono – le spese per le protesi e per la riabilitazione per questo ragazzo rimasto completamente solo». La prefettura ha risposto immediatamente. Una volta dimesso effettuerà il recupero in una struttura a carico del Servizio sanitario nazionale, come accadrebbe a tutti i cittadini italiani.
L’inchiesta
Ora però resta da chiarire perché nessuno si sia accorto per tempo, una volta sbarcato, della gravità delle sue condizioni. Risposte che cercheranno alla procura di Catanzaro, dove è stata aperta un’inchiesta contro ignoti. Padre Benedetto racconta che sul referto medico rilasciato a Trapani c’è scritto che il ragazzo presentava edemi agli arti. Nient’altro. E poi aggiunge lo hanno caricato a braccia sulla corriera che lo ha portato a Catanzaro perché lui non riusciva nemmeno a stare in piedi. Dopo l’ultima operazione «ho chiesto ad Aruna di cosa avesse bisogno: lui mi ha risposto che voleva una rivista che parlasse delle moto Ducati». Richiesta rimbalzata sulla stampa calabrese. E giovedì qualcuno ha portato delle riviste e una maglietta di Valentino Rossi. Aruna ha pronunciato una sola parola, in italiano: «Grazie».
Per chi volesse dare una mano
Suor Benedetta vuole aggiungere unicamente una cosa. Questa: «Per chi volesse dare una mano, il conto corrente postale è il 71662753 ed è intestato alla Piccola Famiglia dell’Esodo onlus, la causale è “Amici di Aruna”»
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