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Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2016

Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare
Dal Burkina Faso, 18 anni, sbarcato a Trapani con il sogno di fare il meccanico per la Ducati: legato a mani e piedi dagli scafisti dopo che sul barcone aveva urlato terrorizzato delle onde. Ferite andate in setticemia, arti tagliati. Inchiesta della Procura
di Alessandro Fulloni – Corriere della Sera

Aruna, mani e piedi amputati perché aveva terrore del mare dans Amicizia Aruna

Non aveva mai visto il mare Aruna, diciotto anni dal Burkina Faso e un sogno: fare il meccanico di moto in Italia. (Esattamente: aggiustare le moto Ducati). Per questo quando si è trovato sballottato da quei cavalloni alti chissà quanto poche ore dopo essera salpato dalla Libia (qualche giorno fa, prima di Natale) ha gridato per il terrore. Un terrore incontrollabile. Chissà se davvero con quelle urla aveva spaventato anche gli altri migranti a bordo, come poi è stato raccontato. Fatto sta che gli scafisti per risolvere quello che pareva loro un problema non hanno fatto altro che prendere Aruna, immobilizzarlo, legarlo (meglio: incaprettarlo) e sbatterlo giù nella stiva, tra fetore e scarichi dei diesel, dove è rimasto due giorni (senza bere, nè mangiare. I bisogni addosso). Corde strettissime, a caviglie e polsi, che si sono trasformate in lame che gli hanno scarnificato la pelle. Nel prosieguo della navigazione verso la Sicilia il barcone è poi finito alla deriva.

Setticemia e cancrena
Una chiamata d’allarme ha allertato il soccorso. La nave Gregoretti, della Guardia costiera, arrivata dopo poco, ha agganciato l’imbarcazione e effettuato il trasbordo dei migranti da salvare. Il ragazzo è stato portato all’hotspot di Trapani «Milo» dove è rimasto tre giorni. Solo nel trasferimento successivo alla struttura di accoglienza cui era stato destinato, la «Piccola Famiglia dell’Esodo Decollatura» – una comunità religiosa a mille metri di altezza sulla Sila che in queste ore è imbiancata da una fitta neve – ci si è accorti di quanto stesse male. «Era in condizioni disperate, febbre altissima, piedi neri e gonfi: sono corso in ospedale senza stare a pensarci su» racconta padre Benedetto Marani, il direttore del centro arrivato a Trapani apposta per prelevare il ragazzo. Le ferite agli arti erano in setticemia, la cancrena era al galoppo. Per salvarlo sono state necessarie tre operazioni nel giro di settantadue ore. Tutte concluse con amputazioni. L’ultima mercoledì. Aruna adesso non ha più piedi, il taglio è avvenuto a metà polpaccio. Anche le mani sono ridotte a moncherini. Delle dita restano solo i metacarpi. Falangi, falangine e falangette sono state tranciate, con ossa e pelle irrecuperabili per la necrosi.

Il calvario del diciottenne
Sono stati i medici di Catanzaro, oltre a padre Benedetto, a ricostruire il calvario del diciottenne. In sala operatoria già al primo intervento avevano notato lividi, escoriazioni e tagli dovuti agli stretti legacci. Aprendo una delle ferite per disinfettarla hanno trovato i resti di una corda. Per questo a Trapani Aruna piangeva di continuo per il dolore. Non riusciva nemmeno a raggiungere il bagno, strisciava appoggiandosi sui gomiti. O veniva aiutato da qualche amico, lo stesso che gli porgeva cucchiaio e forchetta alla bocca perché lui con le mani oramai non era più in grado di sorreggere nulla, men che meno di lavarsi. Suor Benedetta Giordano, superiora alla Piccola Famiglia, racconta che il ragazzo è arrivato in Libia dopo aver attraversato a piedi la parte algerina del deserto del Sahara. Un viaggio durato sei mesi, costato (compreso il «biglietto» per imbarcarsi) una cifra attorno ai 3.500 euro.
Aruna (lo chiamano tutti così per cognome come si usa in Africa, ma il suo nome è Widraou) è orfano, ultimo di sette fratelli. Di quasi tutti non ha più notizie. Solo di uno ha il telefono e si sono sentiti in questi giorni. È in Costa d’Avorio e fa il meccanico di moto. Erano assieme quando Aruna – pazzo per le moto italiane, la superiora dice che la sua passione sono le Ducati – ha deciso di incamminarsi verso un destino differente. Che comprendesse magari quel sogno delle «rosse» a due ruote.

La sottoscrizione
La storia di Aruna ha commosso il personale dell’ospedale di Catanzaro. Che si è prodigato per avviare una sottoscrizione che possa consentire l’acquisto delle protesi necessarie per consentirgli di sperare in una vita normale. «Il nostro è un lavoro non solo scientifico e tecnico ma prima di tutto emozionale – racconta l’infermiera Maria Rosaria Costantino, tra le prime ad avviare l’iniziativa -. Quando è arrivato qui, le sue condizioni erano persino difficili da raccontare. Abbiamo subito pensato di attivare la macchina degli aiuti per prima cosa attraverso un bollettino postale. Lui è un ragazzo coraggioso. Per noi è già come un figlio. Gli altri ospiti della Onlus, che parlano lingua francese, fanno i turni in ospedale per fargli compagnia». Il personale medico ha anche indirizzato, con una lettera aperta, un appello a Comune, Provincia e Regione. «Ci saranno da sostenere, tra le altre cose – dicono – le spese per le protesi e per la riabilitazione per questo ragazzo rimasto completamente solo». La prefettura ha risposto immediatamente. Una volta dimesso effettuerà il recupero in una struttura a carico del Servizio sanitario nazionale, come accadrebbe a tutti i cittadini italiani.

L’inchiesta
Ora però resta da chiarire perché nessuno si sia accorto per tempo, una volta sbarcato, della gravità delle sue condizioni. Risposte che cercheranno alla procura di Catanzaro, dove è stata aperta un’inchiesta contro ignoti. Padre Benedetto racconta che sul referto medico rilasciato a Trapani c’è scritto che il ragazzo presentava edemi agli arti. Nient’altro. E poi aggiunge lo hanno caricato a braccia sulla corriera che lo ha portato a Catanzaro perché lui non riusciva nemmeno a stare in piedi. Dopo l’ultima operazione «ho chiesto ad Aruna di cosa avesse bisogno: lui mi ha risposto che voleva una rivista che parlasse delle moto Ducati». Richiesta rimbalzata sulla stampa calabrese. E giovedì qualcuno ha portato delle riviste e una maglietta di Valentino Rossi. Aruna ha pronunciato una sola parola, in italiano: «Grazie».

Per chi volesse dare una mano
Suor Benedetta vuole aggiungere unicamente una cosa. Questa: «Per chi volesse dare una mano, il conto corrente postale è il 71662753 ed è intestato alla Piccola Famiglia dell’Esodo onlus, la causale è “Amici di Aruna”»

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ARTE/ Annibale Carracci e quel pastore che davanti al Bimbo pensò a Claudel

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2016

ARTE/ Annibale Carracci e quel pastore che davanti al Bimbo pensò a Claudel
di Francesco Baccanelli – Il Sussidiario.net

ARTE/ Annibale Carracci e quel pastore che davanti al Bimbo pensò a Claudel dans Articoli di Giornali e News Annibale_Carracci_Adorazione_dei_pastori_parti

Sarà che le dimensioni contenute aiutano l’intimità della scena, sarà per le ampie possibilità di giocare con le luci e le ombre, sarà per la sua vocazione narrativa, sta di fatto che l’incisione, fin dai tempi di Schongauer e Dürer, è una delle tecniche artistiche più efficaci per la rappresentazione della nascita di Cristo. Il Seicento, in particolare, ci ha regalato prove di grande fascino, ricche di sentimento e di delicatezza, e molto originali nelle soluzioni iconografiche. 

Un esempio (risalente ai primissimi anni di quel secolo) è la “Adorazione dei pastori” di Annibale Carracci. La scena è divisa in due da un tronco d’albero che fa da sostegno al tetto della stalla: a sinistra la parte “profana”, con quattro pastori; a destra quella sacra, con il Bambino, Maria, Giuseppe e due angioletti. Il Bambino, scorciato dal basso come il “Cristo morto” di Mantegna, ha il volto realistico di un neonato insonnolito che fatica a tenere gli occhi aperti. Maria è in preghiera, al pari dei due angioletti; Giuseppe, senza distogliere gli occhi dal Bambino, dà da mangiare all’asino. I pastori riempiono completamente la parte sinistra del foglio. Quello appoggiato al tronco porta in dono un agnello; è sbalordito, non gli sembra vero di poter essere spettatore di un evento così grande. Alle sue spalle, uno più vecchio, anche lui con un agnello. Più indietro, un pastore poco più che adolescente, eccitato e confuso: il ritratto della felicità. Chiude la scena un vecchio; non sembra sentirsi degno di avvicinarsi alla mangiatoia e non ha niente da offrire; ci piace immaginare che la voce rotta dall’emozione, dagli anni, dalle fatiche, dalle delusioni, dalle occasioni sprecate, dai peccati reciti qualcosa di simile ai più umili versi della poesia religiosa di Paul Claudel: «Se vi occorrono delle vergini, Signore, se vi occorrono dei coraggiosi sotto i vostri stendardi (…), ecco Domenico e Francesco, Signore, ecco san Lorenzo e santa Cecilia! Ma se per caso aveste bisogno di un pigro e di un imbecille, se vi occorresse un orgoglioso e un vile, se vi occorresse un ingrato e un impuro, un uomo il cui cuore fosse chiuso e il cui volto fosse duro (…), vi resterò sempre io! ».

Del tutto diversa dal presepe di Annibale Carracci è la “Natività con Dio Padre e angeli” incisa da Giovanni Benedetto Castiglione nel 1647. In questa estrosa e visionaria acquaforte l’artista genovese mette da parte le soluzioni iconografiche più tradizionali. Giuseppe è assente; al suo posto c’è il Padre Eterno, che bagna di luce il Bambino. Più che una rappresentazione della nascita di Cristo è un meditare sul Verbo che si è fatto carne. Particolare è anche l’ambientazione: Maria e il Bambino non sono all’interno di una grotta o di una stalla, ma all’aperto, circondati dalle rovine di un tempio, evidente richiamo alla vittoria del cristianesimo sui culti pagani. 

Passiamo a Rembrandt e alla sua “Adorazione dei pastori” completamente immersa nella notte. Databile intorno al 1652, l’opera si presenta come un instancabile infittirsi di linee. Il buio è protagonista: l’osservatore deve armarsi di pazienza e provare a leggere i pochi particolari toccati dalla luce. Non rimarrà deluso. Scoprirà, infatti, volti di pastori (c’è chi parlotta, chi osserva senza capire, chi si leva il cappello in segno di riverenza, c’è chi si è portato con sé il proprio figlioletto) e animali e angoli di stalla. E, soprattutto, scoprirà una delicatissima rappresentazione della Sacra Famiglia: Gesù, infagottato dalla testa ai piedi, dorme sulla paglia; Maria è distesa accanto, avvolta nella stessa coperta, e osserva; Giuseppe, seduto, legge un libro. Un’istantanea di vita familiare, tanto ordinaria quanto commovente. La poesia migliore, del resto, si fa con la realtà. 

Per concludere, un’altra incisione di Rembrandt: la “Adorazione dei pastori” eseguita nel 1654. Qui la luce non manca, e i particolari si moltiplicano. I pastori venuti in visita ricevono una calorosa accoglienza. Maria solleva una parte del proprio mantello e mostra Gesù, mentre Giuseppe racconta, con fare disponibile, ciò che è successo. Un suonatore di cornamusa, una coppia di pastori con il loro bimbo e una coppia senza figli ascoltano pieni di emozione. Difficile non pensare a Renoir, che diceva di riuscire a entrare nello spirito dell’arte di Rembrandt solo ricordando quando, da ragazzo, cantava nel coro della chiesa di Saint-Eustache e, nel buio della prima messa, la luce dei ceri lasciava intravedere macellai, facchini, lattaie: «Volti d’uomini il cui mestiere è quello di uccidere, corpi abituati a portare pesi, uomini e donne che conoscono la vita e che non vengono alla messa per mostrare l’abito della festa o per motivi sentimentali. Fu lì, nel freddo di una mattina d’inverno, che compresi Rembrandt!».

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I “Santi Innocenti” del Vangelo e quelli di oggi

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2016

I “Santi Innocenti” del Vangelo e quelli di oggi
La Chiesa commemora i bambini di Betlemme fatti uccidere da Erode per eliminare il neonato Gesù. Così simili ai tanti minori violentati da guerre e manipolazioni scatenate dagli adulti. Papa Francesco ha parlato diffusamente anche di loro, nell’omelia per la notte di Natale. Mentre il Patriarca ecumenico Bartolomeo chiede che il 2017 diventi sia proclamato «Anno della sacralità dell’infanzia»
di Gianni Valente – Vatican Insider

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La Chiesa commemora i bambini di Betlemme fatti uccidere da Erode per eliminare il neonato Gesù, così simili ai tanti minori violentati da guerre e manipolazioni scatenate dagli adulti

Oggi la liturgia della Chiesa cattolica fa memoria dei santi innocenti. Sono le vittime della strage degli innocenti, i i bambini sotto i due anni che secondo il Vangelo Erode fece ammazzare nella regione di Betlemme, per essere sicuro di eliminare tra loro anche Gesù, appena nato. La Chiesa li celebra tre giorni dopo il Natale, per sottolineare che la loro vicenda tragica ha un legame misterioso con la promessa di salvezza entrata nel mondo con la nascita di Cristo. 

Ci sono tanti santi innocenti anche oggi. Le foto e i filmati dagli scenari di guerra li mostrano mentre magari giocano tra le macerie delle loro case o quando riescono a divertirsi perfino tuffandosi nelle nei crateri creati dalle bombe che si sono riempiti d’acqua, che loro usano come se fossero piccole piscine. 

Non c’è niente di più umanamente insostenibile del dolore dei bambini. E non c’è niente di più diabolico del dolore provocato ai bambini. Ne hanno accennato, nelle loro parole per il Natale, sia Papa Francesco sia Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, con una sincronia eloquente. Il Successore di Pietro, nella omelia della notte di Natale, guardando al mistero della nascita di Gesù, ha invitato a lasciarsi interpellare «anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti». I bambini «che non vengono lasciati nascere», quelli «che piangono perché nessuno sazia la loro fame», quelli «che non tengono in mano giocattoli, ma armi». 

Il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nella sua lettera enciclica per il Natale 2016, ha chiesto di proclamare il 2017 come Anno della sacralità dell’infanzia. «I bambini e le bambine di oggi – ha rimarcato il Successore di Andrea nel suo appello natalizio – non sono solo vittime delle guerre e delle migrazioni forzate», ma sono minacciati anche nei Paesi economicamente sviluppati e politicamente stabili, dove vengono manipolati dalla televisione e da internet, e da un’economia che mira solo a trasformarli «fin dalla giovane età in consumatori». Nella sua Lettera natalizia, il Primus inter pares tra i primati delle Chiese ortodosse ha riproposto le frasi del Vangelo in cui si condensa la predilezione di Gesù per i bambini: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli»; e «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». Dio – scrive Bartolomeo nella sua ultima Lettera enciclica – si rivela al mondo col «cuore puro e la semplicità di un bambino», e i bambini «comprendono verità che sfuggono alle persone sapienti». Nel suo messaggio, il Patriarca ecumenico cita anche il poeta greco Odisseas Elytis: «Si può costruire Gerusalemme solo coi bambini!» 

I Santi Innocenti del Vangelo sono i primi ad essere uccisi a causa di Cristo, anzi al posto di Cristo, senza neanche saperlo. Sono il fiore dei martiri, come scrive il poeta francese Charles Péguy nel suo Il Mistero dei Santi Innocenti. La sofferenza degli innocenti, che altri scrittori – a cominciare da Albert Camus – vedono come l’emblema del male invincibile e la prova dell’inesistenza di Dio, per Péguy può essere abbracciata solo nel mistero di una salvezza donata e ricevuta gratuitamente. Così, i Santi innocenti vanno in Paradiso senza aver avuto neanche il tempo di fare del bene. E Péguy se li immagina che giocano anche lì, usando le corone del martirio per il gioco dei cerchietti, sorprendendo e allietando così il cuore stesso di Dio. 

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Persecuzioni anticristiane. Introvigne: 90 mila uccisi nel 2016

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2016

Persecuzioni anticristiane. Introvigne: 90 mila uccisi nel 2016
La Chiesa festeggia oggi, 26 dicembre, Santo Stefano, il primo martire. La persecuzione non è un fenomeno sporadico nella storia del cristianesimo ma ha segnato profondamente la vita dei cristiani fino ad oggi, in molti Paesi del mondo. Lo stesso Papa Francesco ha più volte ribadito che le violenze verso i cristiani sono più numerose oggi che nei primi tempi della Chiesa. A dare una stima per il 2016, nell’intervista di Debora Donnini per Radio Vaticana, è il prof. Massimo Introvigne, direttore del Cesnur, Centro Studi Nuove Religioni: si parla di circa 90 mila cristiani uccisi per la loro fede, cioè uno ogni sei minuti, e di un numero che va dai 500 ai 600 milioni di cristiani che non possono professarla in modo totalmente libero:

Persecuzioni anticristiane. Introvigne: 90 mila uccisi nel 2016 dans Articoli di Giornali e News Persecuzioni

R. – L’autorevole Center for Study of Global Christianity il mese prossimo pubblicherà la sua statistica 2016, che parla di 90 mila cristiani uccisi per la loro fede, un morto ogni 6 minuti, un po’ diminuiti rispetto ai 105 mila di due anni fa. Di questi il 70 per cento, cioè 63 mila, sono stati uccisi in conflitti tribali in Africa. Il Centro americano li include nella statistica perché ritiene che in gran parte si tratti di cristiani che si rifiutano di prendere le armi per ragioni di coscienza. L’altro 30 per cento, cioè 27 mila, deriva invece da attentati terroristici, distruzione di villaggi cristiani, persecuzioni governative, come nel caso della Corea del Nord.

D. – Per quanto riguarda invece una stima dei cristiani perseguitati nel mondo, quanti sono all’incirca?
R.  – Mettendo insieme statistiche di almeno tre diversi centri di ricerca degli Stati Uniti e anche del mio, il Cesnur, e paragonandoli fra loro in 102 Paesi del mondo, le stime variano fra 500 e 600 milioni di cristiani che non possono professare la propria fede in modo totalmente libero. Senza voler dimenticare o sminuire le sofferenze dei membri di altre religioni, i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato del mondo. Qualcuno può rimanere perplesso di fronte alle statistiche perché da qualche parte il Center for Study of Global Christianity ci dà questa cifra di 90 mila mentre altri ci parlano di alcune migliaia, altri ancora di alcune centinaia. Quando le discrepanze sono così grandi, è chiaro che si stanno contando cose diverse. Chi conta le persone messe di fronte consapevolmente alla tragica scelta: “O rinneghi la tua fede o muori”, ne conta ogni anno alcune centinaia. Chi ha una nozione un più larga: non « candidati alla Beatificazione » ma persone che mettevano in conto che potevano essere uccisi compiendo certi gesti o pratiche di fede, parla di alcune migliaia. Se però si parla di persone che sono uccise in senso lato perché sono cristiane, allora arriviamo ai 90 mila cioè un morto ogni sei minuti.

D. – Non si può non ricordare quella che è appunto la brutale persecuzione verso cristiani, e non solo, perpetrata dal sedicente Stato islamico nei territori conquistati. Ci sono esempi di cristiani che hanno perso la vita pur di rimanere fedeli al Signore in questi territori?
R.  – Sì, nei territori del cosiddetto Stato islamico ci sono diversi casi, fra alcuni che la Chiesa sta studiando in vista di una possibile Beatificazione; ci sono cristiani che hanno scelto consapevolmente di rimanere in questi territori e di continuare, come potevano, a testimoniare la loro fede. Parlando dello Stato islamico non dobbiamo dimenticare che lo Stato islamico uccide anche molti musulmani e che nel 2016, secondo le nostre stime, il numero di cristiani uccisi per la loro fede e il numero di musulmani uccisi per la loro fede, se si eccettua l’Africa, ma parliamo degli altri Continenti, in particolare dell’Asia, è un numero molto simile. I musulmani in genere sono uccisi da altri musulmani: i musulmani sciiti sono uccisi da musulmani sunniti e questo è il caso più frequente. Qualche volta musulmani sunniti sono uccisi da musulmani sciiti, musulmani che non sono d’accordo con una certa declinazione dell’Islam sono uccisi da musulmani più estremisti, come nel caso dell’Is.

D. – Cosa la colpisce di più di questo fenomeno di persecuzione?
R.  – Due punti. Il primo è che un po’ in tutti i Paesi cresce l’intolleranza e l’intolleranza è l’anticamera della discriminazione che poi a sua volta è l’anticamera della persecuzione. E poi l’atteggiamento calmo, nobile, molte volte esemplare di minoranze cristiane sottoposte a ogni sorta di vessazione ma che solo in casi rarissimi hanno risposto alla violenza con la violenza, mentre nella maggior parte dei casi hanno testimoniato serenamente la loro fede, molto spesso perdonando i persecutori e pregando per loro.

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La verità del Natale

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2016

La verità del Natale dans Cardinale Giacomo Biffi Santo-Natale

Dio ormai non ci lascia più; per questo oggi esplode la gioia, che dalla capanna di Betlemme raggiunge gli estremi confini dell’universo.

Non siamo più soli: i compagni, gli amici, i parenti ci possono abbandonare. Ma il Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio, unito personalmente per sempre alla nostra natura di creature fragili e dolenti, non ci abbandonerà mai alle nostre tristezze, alla nostra inquietudine, al nostro peccato.

Questa è la “buona notizia” che oggi ci è data: Ecco, vi annunzio una grande gioia (Lc 2,10), ha detto l’angelo ai pastori. Non è una fiaba, è una notizia, cioè l’informazione su un fatto avvenuto; non è un bel sogno, è una realtà ancora più bella di ciò che desidereremmo di sognare.

Nessun uomo ormai può sfuggire al suo Creatore, che lo insegue, lo vuole raggiungere e legare a sé. Non possiamo sfuggirgli, perché il suo amore corre più veloce di noi.

Ti inganni, se credi di poter schivare fino alla fine il Signore che è venuto a cercarti. Egli non ti darà pace, per farti arrivare davvero alla pace; ti tormenterà, per portarti ad essere sul serio felice; forse disporrà sulla tua via le sconfitte e le delusioni, per farti partecipe della sua definitiva vittoria.

Questa è la verità del Natale. Capirlo, inebriarcene, lasciarci trovare da Colui che è venuto a cercarci sino a farsi uomo: è questo l’augurio natalizio più genuino e più bello che in questi giorni ci possiamo scambiare.

Cardinale Giacomo Biffi

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L’amore si manifesta con i fatti

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2016

L'amore si manifesta con i fatti dans Citazioni, frasi e pensieri Josemar-a-Escriv-de-Balaguer

Spingiti fino a Betlemme, avvicinati al Bambino, cullalo, digli tante cose ardenti, stringitelo al cuore… — Non parlo di bambinate: parlo di amore! E l’amore si manifesta con i fatti: nell’intimità della tua anima, lo puoi ben abbracciare!

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Il parto indolore della Madre di Dio

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2016

Il parto indolore della Madre di Dio
del servo di Dio don Dolindo Ruotolo

Il parto indolore della Madre di Dio dans Commenti al Vangelo natale

Ora, la bella aurora della nascita del Re d’Amore era Maria nell’elevazione del suo amore, e la stella tremolante in adorazione era san Giuseppe. Maria era tutta un fulgore di contemplazione e di estasi. Bella nella sua innocenza purissima, circondata da un tenue nembo di luce che la delineava nella notte come placida luna nel firmamento, genuflessa, con le mani congiunte e lo sguardo al cielo, era l’immagine del seno del Padre, e rifletteva da sé qualche barlume dell’eterno mistero.

Contemplava.

Si trovava tra l’eternità senza tempo ed i tempi carichi di secoli; mirava nell’eternità il Verbo, termine dell’eterna generazione del Padre, e mirava nel tempo il percorso dei secoli delle promesse che terminavano in Lei con la generazione temporale del Verbo nell’umana carne.

Era tutta avvolta dalla luce dell’eterna armonia, ed era Essa tutta un’armonia di amore. La grazia rigurgitava per così dire in Lei, tanta ne era l’abbondanza, ed essa vi era immersa in un placidissimo riposo.

Contemplava il cielo, ed un sorriso le sfiorava le labbra nella gioia immensa che vi regnava; contemplava nel suo seno il Verbo eterno che vedeva nel Padre, e la sua vita mortale s’illuminava di splendori eccelsi, poiché essa era Madre di Dio. L’Amore eterno, che l’aveva fecondata, la illuminava tutta ed Essa a poco a poco si trasumanava. Sembrava tutta luce e, come un ferro incandescente nel fùoco, brillava, perché traspariva da Lei il Verbo Incarnato.

Il suo corpo immacolato era come spirito, sembrava trasparente, anzi evanescente nella luce del Verbo. L’eterna vita affiorava dalla piccola creatura umana e la passava come raggio che attraversa un cristallo.

Oh, prodigio di Dio! Le madri sentono dolori immani quando un figlio viene alla luce, e sentono strapparsi quasi la vita dalla piccola vita che irrompe nel mondo; Maria invece sentiva una gioia immensa a misura che il momento della sua maternità s’avanzava. L’amore quasi la liquefaceva ed il suo corpo sembrava fluido come una cascata di fulgori placidissimi.

Fu un momento sublime: tratta a Dio si sentì tutta immersa nella conoscenza dell’infinita sua grandezza, la contemplò amandola, e volle applaudirla con una lode proporzionata che avrebbe voluto trarre dal pieno olocausto di se stessa.

Le ritornò sulle labbra il suo cantico: Magnificat anima mea Dominum e, nell’elevarlo innanzi a Dio con tutto l’impeto del suo amore, non eruppe dal suo cuore una parola ma il Verbo, la lode eterna del Padre, e s’adagiò sul terreno come un raggio di luce, lodando il Padre nell’umana carne. Era l’umiliato per amore e vagì.

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Predica d’Avvento, Cantalamessa: Gesù desidera nascere nei cuori

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2016

Predica d’Avvento, Cantalamessa: Gesù desidera nascere nei cuori
Quarta e ultima predica di Avvento stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano del predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, alla presenza di Papa Francesco e della Curia Romana. Nel ciclo “Beviamo, sobri, l’ebbrezza dello Spirito”, la predica odierna è stata dedicata al tema “Incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine”.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Predica d'Avvento, Cantalamessa: Gesù desidera nascere nei cuori dans Avvento Avvento-bimba

È Gesù stesso a desiderare di nascere “nel nostro cuore”. Questa l’atmosfera del Natale nelle parole di padre Raniero Cantalamessa, ripercorrendo l’evento di Betlemme, il “più importante” di tutti i tempi. Il mondo in cui si muovono Maria e Giuseppe, osserva, “non era meno agitato di oggi”:

“Le notizie di atti di terrorismo, di guerre, di masse costrette, come allora, a lasciare le proprie case e per le quali, come per Maria e Giuseppe, ‘non c’è posto nell’albergo’, si accavallano e ci raggiungono ormai in tempo reale”.

Solo chi sarà “capace di mettere a tacere tutto”, fuori e dentro di sé e, “con la grazia dello Spirito Santo”, prenderà coscienza – spiega il predicatore della Casa Pontificia – di quello che ricordiamo nel giorno della natività di Cristo, potrà dire di aver “fatto” Natale: si tratta di una celebrazione che esige di essere “compresa nel suo significato per noi”.

San Leone Magno, ricorda il cappuccino, spiegava che “i figli della Chiesa sono stati generati con Cristo nella sua nascita, come sono stati crocifissi con lui nella passione e risuscitati con lui nella risurrezione”. All’origine di tutto, c’è il dato biblico, compiutosi in Maria: la Vergine diventa Madre di Gesù “per opera dello Spirito Santo”:

“Tale mistero storico, come tutti i fatti della salvezza, si prolunga a livello sacramentale nella Chiesa, nella liturgia, nell’Eucaristia; e a livello morale nella singola anima credente. Maria, Vergine e Madre, che genera il Cristo per opera dello Spirito Santo, appare così il ‘tipo’, o l’esemplare, la figura perfetta, della Chiesa e dell’anima credente”.

Nel Vaticano II si riprende tale visione, soprattutto nei capitoli che la Costituzione ‘Lumen Gentium’ dedica alla Madonna: Ella è “esemplare e modello della Chiesa”, chiamata ad essere “nella fede” vergine e madre e l’anima credente, imitando le virtù di Maria, “fa nascere e crescere Gesù nel suo cuore e nel cuore dei fratelli”.

Padre Cantalamessa si sofferma sul ruolo dello Spirito Santo che “agì nel cuore di Maria, illuminandolo e infiammandolo di Cristo, prima ancora che nel seno di Maria, riempiendolo di Cristo”:

“Lo Spirito che scende su Maria è, dunque, lo Spiritus creator, che miracolosamente forma dalla Vergine la carne di Gesù; ma è anche di più, e cioè: acqua viva, fuoco, amore e unzione spirituale”.

L’incarnazione fu vissuta da Maria come un evento “carismatico” che, spiega il predicatore della Casa Pontificia, la rese il modello dell’anima “fervente nello Spirito”: sperimentò, “per prima”, “la sobria ebbrezza dello Spirito”: l’umiltà della Vergine dopo l’incarnazione appare come “uno dei miracoli più grandi della grazia divina” che introduce al concetto di “maternità divina” di Maria, cioè all’essere “madre di Dio”. Una maternità fisica, metafisica – cioè, come spiegava Sant’Ignazio di Antiochia, Gesù è “Figlio di Dio e di Maria” – e spirituale, quindi “del cuore, oltre che del corpo”. Ed è lo Spirito Santo a invitarci a ritornare proprio “al cuore”, per celebrare in esso un Natale “più intimo e più vero”, che renda “vero” anche il Natale che celebriamo all’esterno, nei riti e nelle tradizioni:

“Gesù stesso desidera nascere nel nostro cuore più, infinitamente di più, di quanto noi desideriamo che nasca: desidera nascere. Anzi, in questi ultimi giorni di Avvento, dobbiamo nella fede – se ci crediamo – pensarlo proprio così, immaginare Gesù così. Come quando, nell’imminenza del Natale, i suoi genitori bussavano di porta in porta per cercare un posto dove nascere. E Lui sta dicendo anche a noi: ‘Ecco, io sono alla porta e busso, mi farai nascere’?”.

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Solo da un’intima comunione con Gesù scaturisce l’azione apostolica autentica, efficace, vera.

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2016

“Solo da un’intima comunione con Te scaturisce l’azione apostolica autentica, efficace, vera”.

San Giovanni Paolo II

Solo da un’intima comunione con Gesù scaturisce l’azione apostolica autentica, efficace, vera. dans Citazioni, frasi e pensieri San-Giovanni-della-Croce

Quelli che sono molto attivi e che pensano di abbracciare il mondo con le loro prediche e con le loro opere esteriori ricordino che sarebbero di maggior profitto per la Chiesa e molto più accetti a Dio, senza parlare del buon esempio che darebbero, se spendessero almeno metà del tempo nello starsene con Lui in orazione, anche se fossero giunti ad un’orazione alta.

Certamente allora con minor fatica otterrebbero più con un’opera che con mille per il merito della loro orazione e per le forze spirituali acquistate in essa, altrimenti tutto si ridurrà a dare vanamente colpi di martello e a fare poco più che niente, talvolta anzi niente e anche danno.

Dio non voglia che il sale diventi insipido, poiché allora quantunque sembri che produca all’esterno qualche effetto buono, di fatto non fa niente, essendo certo che le buone opere non si possono fare se non in virtù di Dio.

San Giovanni della Croce

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Lizzie Velasquez: “Non importa l’aspetto, alla fine siamo tutti umani”

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2016

Lizzie Velasquez, affetta da una rara malattia, diventa una meme su Facebook: “Non importa l’aspetto, alla fine siamo tutti umani”
della Redazione de L’Huffington Post

Lizzie Velasquez: “Non importa l'aspetto, alla fine siamo tutti umani” dans Articoli di Giornali e News Lizzie_Velasquez

Nella sua ultima foto pubblicata si Instagram, stavolta Lizzie Velasquez attacca i leoni da tastiera: troppo facile sogghignare davanti ad una meme in cui compare una sconosciuta da prendere in giro. Ben più difficile è mettersi nei panni di quella persona: e Lizzie lo sa bene, visto che si tratta di lei.

A tarda notte, annoiata, scrollava la bacheca di Facebook: come una persona normale. E chissà quanti altri utenti, persone normali anche loro, stavano facendo la stessa cosa nello stesso momento. Ma quando sono sbucate delle meme crudeli in cui proprio Lizzie viene presa di mira con battute sarcastiche sul suo aspetto, le reazioni non devono essere state uguali. Da una parte il popolo di internet, pronto a ridere, taggare amici e condividere; dall’altra, Lizzie: umiliata, sofferente e addolorata.

Lizzie Velasquez ha combattuto contro i bulli fin da piccola. Affetta da una rara malattia genetica che rende impossibile al suo corpo assimilare i grassi, non ha mai pesato più di 29 chili. Avrebbe potuto chiudersi in se stessa al primo insulto, invece è riuscita a tirare fuori tutta la sua forza interiore. È diventata un esempio per chi, come lei, soffre per immotivate prese in giro a causa di problemi e difetti fisici: ecco perché su Instagram non parla “da vittima”, ma come una persona che vuole farsi sentire.

Perché se lei è riuscita a trovare la forza per reagire, non per tutti è così: sono ancora molte le persone che vengono prese di mira senza reagire dal popolo di internet. “Lo faccio per ricordare che le persone innocenti messe in queste meme probabilmente sono sveglie fino a tardi a scrollare la bacheca di Facebook e stanno provando qualcosa che non augurerei neanche al mio peggior nemico”, scrive su Instagram. “Non importa il nostro aspetto o che taglia portiamo, alla fine della giornata siamo tutti esseri umani. Vi chiedo di ricordarvelo la prossima volta che vedete un meme di un estraneo a caso diventare virale”.

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Card. Sepe: per combattere fenomeno baby boss serve il lavoro

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2016

Chiesa e lavoro
Card. Sepe: per combattere fenomeno baby boss serve il lavoro

Contro il fenomeno dei baby boss serve il lavoro. Quello vero. Ne è convinto l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, secondo il quale per strappare i giovani alla criminalità organizzata occorre offrire loro un futuro fatto di valori positivi, ma anche di certezze economiche stabili. Per questo, ha annunciato per l’8 e 9 febbraio prossimi un incontro di tutti i vescovi del Sud d’Italia per discutere di progetti occupazionali concreti da proporre a governo e società civile. Federico Piana, per Radio Vaticanalo ha intervistato:

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R.- Questi ragazzi, non è che abbiano tante possibilità, tante scelte da poter fare. Questi, o sono occupati oppure si auto-occupano, entrando a far parte di quel sistema malavitoso che all’inizio offre loro i vantaggi più grossi: questi guadagnano soldi a non finire, diventano leader nel loro quartiere, trovano una soddisfazione, in qualche maniera, e così vengono attirati, senza sapere, purtroppo, quali siano le conseguenze alle quali vanno incontro, vengono allucinati; e quindi si riuniscono e formano queste baby-gang, spaventando…

È diventata veramente una peste: dove vanno seminano disastri se non proprio la morte. Allora, come si fa a togliere l’erba cattiva sotto ai piedi di questi ragazzi, questi giovani, alle volte anche giovanissimi? Occupandoli con un lavoro onesto, con un’educazione che sia veramente solida per dare loro un po’ di speranza e un po’ di fiducia. E quindi ho ribadito molto la necessità di metterci tutti insieme per sconfiggere, se così si può dire, questo fenomeno pericoloso per le nostre società, per le nostre comunità, offrendo loro delle positività, offrendo loro delle opportunità su cui poter costruire la loro vita.

D. – Eminenza, lei ha chiesto che tutti si facciano parte di questo progetto molto importante e ha annunciato un appuntamento importante – per l’8 e il 9 febbraio – della Chiesa del Sud e anche della Chiesa di Sardegna: un progetto concreto, nel quale vi incontrerete per parlare di cose concrete…
R. – Appunto. Io non volevo che si dicesse: “Va bè, il vescovo dice, dice, dice e poi che cosa fa?”. E allora, proprio perché è compito nostro, come pastori, come società, come Chiesa, affrontare questo problema come ha fatto il Magistero pontificio, anche il Magistero episcopale della Conferenza episcopale e dire: esiste un problema, che è un problema di dignità, un problema di salvaguardia dei valori umani, sociali, culturali e religiosi di questi giovani.

Allora, che cosa facciamo? Facciamo una riunione di tutti i vescovi delle sei regioni del Sud, quindi cinque più la Sardegna, nella quale discuteremo di questo: Chiesa e lavoro. Quale futuro per i nostri giovani, per i giovani del Sud? E non una riunione che vuole analizzare, che vuole piangersi addosso: basta questo, no? Ne sono state fatte già tante… Vogliamo presentare dei progetti concreti per occupare i giovani a realizzare poi questi progetti. Che non sia quindi un fenomeno solo di un giorno, di un mese, di un anno ma dare continuità, cioè stabilire dei rapporti lavorativi con questi giovani i quali possano guardare avanti, guardare al futuro con un po’ di speranza. Ma speranza concreta, cioè speranza nel senso che realizzano un lavoro per il bene delle nostre comunità, delle nostre società.

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Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2016

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti
I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere “ridicolo”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore – ha ripreso – è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”.

L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé.

E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”.

I sacerdoti e il desiderio di terminare la vita in croce
“Tre icone – ha concluso – che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

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Choc al Miur: la biblioteca dei ragazzi, dieci classi scelgono il ‘Mein Kampf’

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2016

Choc al Miur
La biblioteca dei ragazzi, dieci classi scelgono il Mein Kampf
Il concorso lanciato al Salone di Torino dal ministero dell’Istruzione ha coinvolto tre milioni e mezzo di studenti. In otto città, però, alcuni studenti hanno scelto l’autobiografia di Hitler. Il Miur: “Hanno partecipato anche i docenti”

di Corrado Zunino – la Repubblica

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Ci sono dieci classi in Italia che, richieste di esprimere il loro libro preferito, hanno messo nella lista dei primi dieci “Mein Kampf”, l’opera scritta da Adolf Hitler in carcere, poi diventata la pietra angolare del nazismo tedesco. Alcune classi l’hanno indicata al primo posto.

Non è stata – per il concorso lanciato dal ministero dell’Istruzione al Salone di Torino lo scorso maggio – una pensata di dieci singoli studenti, ma di dieci gruppi di ragazzi delle scuole medie e superiori “dopo una discussione condivisa”, come recitava la richiesta del bando.

E le dieci classi (su 138mila che si sono espresse) sono in provincia di Palermo e Catanzaro, a Potenza, a Tivoli e Gaeta, due ancora a Piacenza e infine nelle province di Trieste e Udine. Il testo, “Mein Kampf”, non avrebbe potuto essere votato, poiché non italiano e pubblicato prima del Duemila (nel 1925, esattamente). Provocazione? Goliardia? Una sincera ammirazione per il testo? Il Miur ancora non lo sa.

Il capo di gabinetto Alessandro Fusacchia, denunciando il fatto, ha detto: “Stiamo facendo approfondimenti”. Ma al ministero sono convinti che il voto al libro di Hitler non sia una cattiva interpretazione della richiesta, piuttosto una libera scelta. Era un docente, comunque, a inserire i titoli ricevuti dagli studenti nel sistema informatico.

“Mein Kampf” a parte, il concorso è stato un successo. Alle votazioni, aperte l’1 giugno 2016 e chiuse lo scorso 1 dicembre, hanno partecipato 68.381 classi della primaria e 70.107 della secondaria, per tre milioni e mezzo di studenti. Ogni scuola adesso riceverà 150 euro per l’acquisto dei libri scelti, anche in formato digitale, lo stanziamento complessivo è stato di 1,3 milioni di euro. In Campania e Puglia ha partecipato quasi il 60 per cento delle classi, in Sardegna il 19,1 per cento.

Diecimila i titoli scelti e, alla fine, i più votati della scuola elementare sono stati “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry (che ha vinto in tutte le regioni eccetto il Molise e la Basilicata), “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi e “La fabbrica di cioccolato” di Roald Dhal. Per medie e superiori hanno vinto “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Alessandro D’Avenia, “Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti e “Gomorra” di Roberto Saviano.

Fra i dieci libri che arriveranno nelle biblioteche delle scuole secondarie molti ragazzi hanno indicato – contrariamente alle dieci classi che hanno scelto il “Mein Kampf” – due opere di forte impatto sociale: “Nel mare ci sono i coccodrilli”, di Fabio Geda, storia di un ragazzino afghano arrivato in Grecia su un gommone, solo, quindi in Italia, a Torino, dove sarà adottato da un assistente sociale, e “Mio fratello insegue i dinosauri”, di Giacomo Mazzariol, un ragazzo di 19 anni che ha raccontato la sua quotidianità con il fratello Giovanni, affetto da sindrome di Down.

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