A Venezia il ristorante dei migranti: dai barconi ai fornelli

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2016

A Venezia il ristorante dei migranti: dai barconi ai fornelli
Apre il primo locale africano gestito da richiedenti asilo. Sono etiopi, sudanesi, nigeriani. I piatti scelti dopo un concorso in città
di Vera Mantegnoli – la Repubblica

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Una barca piena zeppa di uccelli cavalca le onde puntando verso l’Italia, l’unico orizzonte dove i viaggiatori sperano di sbarcare per spiccare di nuovo il volo. È questo il disegno dipinto sui muri del primo ristorante africano di Venezia che aprirà il 4 novembre in Calle Lunga San Barnaba.

La metafora del volo non è casuale. Lo staff che ha creduto nel progetto è composto in gran parte da migranti africani, arrivati qui nei modi più disparati l’ultimo anno con la speranza di poter chiudere la porta con il passato e ricominciare. I soci fondatori, Hamed Mohamad Karim, Hadi Noori, Mandana Goki Nadimi e Samah Hassan El Feky, anche loro migranti provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’Egitto, lo hanno provato sulla loro pelle anni prima, quando alcuni di loro sono giunti nei camion frigoriferi ancora minori.

Ed è proprio qualche anno fa nel centro minori di Venezia, a Forte Rossariol, che a uno di loro, l’Hazara Hamed Mohamad Karim, è venuta l’intuizione che il cibo può unire e aiutare a superare i pregiudizi.

“Ho iniziato a organizzare delle feste nel centro minori, chiedendo a tutti i ragazzi di preparare un piatto tipico del loro Paese – spiega – e ho visto che funzionava sia per i ragazzi che erano nei centri, sia per chi veniva a trovarci”. Hamed, regista che non è più potuto tornare in Afghanistan perché minacciato dai talebani, fa un primo esperimento fondando nel 2002 l’Orient Experience nel sestiere di Cannaregio. Il ristorante propone i piatti che i migranti hanno imparato a cucinare nel viaggio della speranza fino a Venezia e ha un grande successo.

Oggi la sfida è ancora più grande perché a lavorare all’Africa Experience saranno richiedenti asilo che rappresentano le migliaia di persone che fuggono disperate dal continente nero.

“Io sono etiope – racconta Alganesh Tadese Gebrehiwot, 30 anni, fuggita dall’Etiopia, chef del locale – Ho imparato a cucinare con mia mamma. In Etiopia c’è ancora molta divisione di ruoli, le donne cucinano e stanno in casa. Così io sono cresciuta aiutando lei e ho imparato alcuni dei piatti che preparerò, come un certo tipo di pane, Ejra o il Mesir wot, una zuppa di lenticchie. Non avrei mai pensato di diventare cuoca, ma sono finalmente molto felice. Io vengo dal Sudan, lavoravo come donna delle pulizie, ma non avrei mai potuto realizzare i mie sogni”.

Anche Muhammed Sow della Guinea ed Efe Agbontaen della Nigeria sono scappati da terre di guerre e violenza sui barconi che vediamo ogni giorno, quei barconi così pieni di persone che finiscono per diventare un’unica massa. In quella massa ci sono invece esseri umani singoli, individui con le storie che si potranno conoscere qui, parlando davanti a un buon piatto proveniente da un Paese di cui alla fine si sa molto poco.

I piatti sono stati scelti tramite un concorso che ha coinvolto studenti e professori dell’Istituto alberghiero Barbarigo di Venezia, chiamati a giudicare quali erano i piatti all’altezza di un vero menu. I primi classificati in cucina saranno loro, accompagnati in sala da alcuni soci fondatori, come Hadi Noori, tra i primi ragazzini arrivati dall’Afghanistan in quei camion frigo che per alcuni sono stati mortali: “Avevo 15 anni – racconta Noori, oggi 25 anni – e lavoravo in fabbrica a Kabul. Volevo studiare e non potevo. Alla fine non avevo altra scelta, dovevo partire”.

A 15 anni parte dall’Afghanistan per raggiunge l’Iran per poi proseguire a piedi verso la Turchia: “Durante questi viaggi sei solo – spiega – ma poi incontri altre persone che magari non rivedi più. Dalla Turchia sono andato in Grecia con un gommone, poi mi sono fermato là e ho cercato di lavorare ma c’era tanto sfruttamento. Un giorno mi sono infilato con altri ragazzi in un camion pieno di arance, la temperatura oscillava tra gli zero e i due gradi, ma siamo riusciti. Lo stesso capita ai mie colleghi che sono qui oggi, quando s’imbarcano e non sanno se arriveranno mai. Ci spinge solo la voglia di ripartire, di volare ancora”.

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