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Il pettegolezzo è come l’idra di Lerna

Posté par atempodiblog le 30 novembre 2016

«Sì. Market Loughborough… nel Berkshire. Ho sempre saputo che era uno di quei posti dove la gente si dedica al pettegolezzo, ma non avevo mai preveduto che potesse arrivare al punto in cui è arrivata».  Tirò un po’ più avanti la seggiola. «Monsieur Poirot, non potete immaginare che cosa ho passato. In principio non avevo nessun sospetto di quello che stava accadendo. Mi ero accorto che la gente sembrava meno cordiale, che c’era una tendenza ad evitarmi… Ma avevo attribuito tutto questo… al lutto recente che mi aveva colpito. Poi questo atteggiamento è diventato più marcato. Capitava addirittura che la gente girasse l’angolo, in strada, per evitare di parlarmi. La clientela diminuiva. Dovunque andassi, mi accorgevo che si facevano commenti sottovoce, occhi malevoli mi sorvegliavano, lingue maligne bisbigliavano frasi velenose. Ho ricevuto anche un paio di lettere… cose ignobili».

Fece una pausa… poi continuò: «E… e io non so cosa farci. Non so come lottare contro questa… rete fatta di vili menzogne e di sospetto. Come si fa a smentire quello che vi è mai stato detto apertamente in faccia? Sono impotente… in trappola… e mi stanno distruggendo lentamente, senza pietà».

Poirot annuì con aria pensierosa. Poi disse: «Sì. Il pettegolezzo è proprio come l’idra di Lerna, l’idra a nove teste, che non poteva essere distrutta perché, non appena veniva tagliata una testa, subito al suo posto ne crescevano altre due».

di Agatha Christie – L’idra di Lerna

Il pettegolezzo è come l’idra di Lerna dans Citazioni, frasi e pensieri l_idra_di_Lerna

«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; … Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (vv. 21-22). Con questo, Gesù ci ricorda che anche le parole possono uccidere! Quando si dice di una persona che ha la lingua di serpente, cosa si vuol dire? Che le sue parole uccidono! Pertanto, non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. Neppure sparlare su di lui. Arriviamo alle chiacchiere: le chiacchiere, pure, possono uccidere, perché uccidono la fama delle persone! È tanto brutto chiacchierare! All’inizio può sembrare una cosa piacevole, anche divertente, come succhiare una caramella. Ma alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi. Vi dico la verità, sono convinto che se ognuno di noi facesse il proposito di evitare le chiacchiere, alla fine diventerebbe santo! È una bella strada! Vogliamo diventare santi? Sì o no? [Piazza: Si!] Vogliamo vivere attaccati alle chiacchiere come abitudine? Sì o no? [Piazza: No!] Allora siamo d’accordo: niente chiacchiere! Gesù propone a chi lo segue la perfezione dell’amore: un amore la cui unica misura è di non avere misura, di andare oltre ogni calcolo.
[...] Da tutto questo si capisce che Gesù non dà importanza semplicemente all’osservanza disciplinare e alla condotta esteriore. Egli va alla radice della Legge, puntando soprattutto sull’intenzione e quindi sul cuore dell’uomo, da dove prendono origine le nostre azioni buone o malvagie.

Tratto da: l’Angelus di Papa Francesco (Domenica, 16 febbraio 2014)

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Perché manca la gioia…

Posté par atempodiblog le 30 novembre 2016

Perché manca la gioia... dans Citazioni, frasi e pensieri Mai_una_gioia_senza_Ges

“Manca la gioia? Pensa: ‘c’è un ostacolo tra Dio e me’; indovinerai quasi sempre”.

San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: Opus Dei Italia Fb

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Torino al Chapecoense, ‘destino ci lega’

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2016

Torino al Chapecoense, ‘destino ci lega’
Chiaro riferimento dei granata alla tragedia del ‘49 a Superga

Torino al Chapecoense, ‘destino ci lega’ dans Articoli di Giornali e News Chapecoense

“Il presidente Urbano Cairo e tutto il Torino Football Club partecipano al cordoglio per la tragedia che ha colpito la società del Chapecoense, in Colombia. È un destino che da oggi ci lega indissolubilmente, vi siamo fraternamente vicini”.

Questo il toccante messaggio del club granata rivolto attraverso il proprio sito internet alla squadra brasiliana vittima la notte scorsa di un incidente aereo a sud di Medellin. Chiaro il riferimento alla tragedia che il 4 maggio 1949 a Superga colpì il Grande Torino.

Fonte: Ansa

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La gioia dell’Avvento

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2016

La gioia dell’Avvento
Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

La gioia dell'Avvento dans Avvento Avvento-bimba

L’Avvento è un tempo di grazia che viene vissuto nell’attesa della nascita del Signore. E’ un’attesa piena di speranza, che alimenta nel cuore una fonte segreta di gioia. Come sarebbe triste l’inverno se non ci fosse la luce del Natale a illuminarlo e a riscaldarlo. Come sarebbe angosciante la notte se i cieli non si fossero aperti e gli angeli non avessero cantato il loro augurio di pace. Come sarebbe logorante il nostro cammino se fosse un vagare senza una meta. Invece davanti a noi c’è una stella che ci guida verso un mistero di amore.

In una capanna, adagiato su un po’ di paglia, ci attende il Signore. Quel Bambino che tende le braccia è l’Onnipotente, che ha creato il cielo e la terra. Nella sua umiltà viene a noi per essere “il Dio con noi”, nostro compagno di viaggio nel buio della notte del tempo. Camminiamo verso il Natale con la gioia nel cuore, più forte di ogni amarezza. Quella capanna è la nostra casa, quella Famiglia è la nostra famiglia, quel Bambino è il tesoro della nostra vita.

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Santa Teresa di Calcutta e la Medaglia Miracolosa

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2016

Santa Teresa di Calcutta e la Medaglia Miracolosa

Santa Teresa di Calcutta e la Medaglia Miracolosa dans Cardinale Angelo Comastri Santa-madre-Teresa-e-la-Medaglia-miracolosa

Madre Teresa di Calcutta era una sostenitrice instancabile della medaglia miracolosa, ne portava sempre numerose con sé e ne distribuiva una quantità enorme. Prendeva una medaglia fra le mani, la baciava, si raccoglieva un attimo in preghiera e poi la regalava. La donava ai bambini con una caramella. Chi conosceva la Madre sapeva che aveva ricevuto un bene prezioso, perché quel gesto di predilezione faceva nascere come un legame indelebile con lei, che garantiva il suo ricordo e la sua intercessione alla Madonna nella preghiera.

Madre Teresa, di passaggio a Parigi, un giorno si recò a pregare proprio a Rue du Bac nella chiesa dove la Vergine apparve a Santa Catherine Labouré. Subito vi fu fermento fra le suore, perché venne riconosciuta e la superiora si affrettò ad andarle incontro per accoglierla degnamente. Non sapendo cosa offrirle di meglio, le chiese se poteva far preparare per lei un buon numero di medaglie perché le portasse con sé. E le chiese: «Quante ne desidera, Madre? 50, 100… o 300?». La Madre la guardò con quel sorriso fra il bonario e il birichino, poi chiese cordialmente: «Andrebbero bene… 30.000? Sì?».

Per diversi anni se le procurò dalle Figlie della Carità della Garbatella a Roma. In cambio, queste le chiesero un giorno di pregare perché Dio mandasse loro qualche vocazione, e quella stessa settimana arrivò una novizia. Madre Teresa donò una medaglietta anche a Mons. Comastri, che la incastrò nel suo anello da arcivescovo.

Anche il miracolo della beatificazione di Madre Teresa è legato alla medaglia miracolosa. Monica Besra, 35 anni, del Bengala Occidentale, soffriva di tumore al ventre, che le si era notevolmente gonfiato. Il 5 settembre 1998, nel primo anniversario della morte della Madre, una suora prese una medaglia miracolosa che era stata a contatto con il corpo di Madre Teresa, la legò intorno al ventre di Monica con uno spago e supplicò: «Madre, oggi è il giorno in cui sei andata in Cielo. Tu amavi i poveri, fa’ qualcosa per Monica, che deve curare i suoi cinque figli». Quella notte il tumore sparì.

Tratto da: SANTA TERESA DI CALCUTTA FB

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27 novembre 2016: apertura dell’Anno Giubilare Calasanziano

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2016

27 novembre 2016: apertura dell’Anno Giubilare Calasanziano

27 novembre 2016: apertura dell'Anno Giubilare Calasanziano dans Articoli di Giornali e News Anno_Giubilare_Calasanziano

Stemma_Vaticano dans Cardinale Mauro Piacenza

PAENITENTIARIA APOSTOLICA

Prot. N. 215/16/1

BEATISSIMO PADRE
Pedro Aguado Cuesta, Preposito Generale dell’Ordine dei Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie, ESPONE rispettosamente che Giuseppe Calasanzio, per educare i bambini e gli adolescenti nell’amore e nella sapienza del Vangelo creò le scuole popolari in questa Città di Roma,
nell’anno 1597; e nell’anno 1617 fondò la Congregazione dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie, approvata in seguito da Papa Paolo V, e da Papa Gregorio XV elevata a Ordine Religioso, l’anno 1621. Il Fondatore stesso, insigne per la sua innocenza di vita e miracoli, fu iscritto
nei fasti dei Santi da Papa Clemente XIII, l’anno 1767; e nell’anno 1948 fu proclamato dal servo di Dio, Papa Pio XII, celeste Patrono davanti a Dio di tutte le scuole popolari cristiane del mondo.

Per far sì che la divina larghezza possa dilatarsi ancor più e possa produrre frutti spirituali più abbondanti a favore dei membri di tutta la Famiglia Calasanziana e di tutti i fedeli cristiani, questo reverendissimo supplicante implora umilmente il dono di un Giubileo speciale, per celebrare
degnamente il giorno del duplice anniversario; cioè i 400 anni della fondazione dell’Ordine da San Giuseppe Calasanzio, e il 250 anniversario dell’iscrizione nell’albo dei Santi del suo insigne Fondatore.
Che Dio, etc.

Giorno 10 Novembre 2016

LA PENITENZIERIA APOSTOLICA, in virtù delle facoltà concesse dal Santissimo Padre Francesco, concede benignamente, dal 27 Novembre del 2016 fino al giorno 27 Novembre del 2017, Anno Calasanziano, l’indulgenza plenaria annessa, alle seguenti condizioni (confessione sacramentale,
comunione eucaristica e una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice), che potranno guadagnare i fedeli cristiani, veramente pentiti, e stimolati dalla carità, in tutte le chiese, luoghi di culto, santuari e parrocchie, dove si trova l’Ordine delle Scuole Pie – che si può applicare anche, in
forma di suffragio, alle anime dei fedeli del Purgatorio -, se devotamente parteciperanno alle celebrazioni giubilari, per lo meno durante uno spazio di tempo adeguato -, elevando umili preci a Dio, a favore della propria fedeltà alla vocazione cristiana, per chiedere per le vocazioni sacerdotali e
religiose, e in difesa dell’istituzione della famiglia umana, che termineranno con la Preghiera del Padre Nostro, il Simbolo della Fede, ed altre invocazioni alla Santissima Vergine Maria.

I membri della Famiglia Calasanziana che, a causa della malattia o per altre gravi cause, sono impediti ad assistere alle celebrazioni giubilari, possono conseguire l’Indulgenza Plenaria, nel luogo dove si sentono impediti, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, e con l’intenzione di adempiere, non
appena possibile le tre solite condizioni, unendosi spiritualmente ai sacri riti, e offrendo i loro dolori, o le incomodità della propria vita, a Dio misericordioso.
Per fare in modo che l’accesso all’ottenimento del perdono divino – per mezzo delle chiavi della Chiesa – risulti più facile, a favore della carità pastorale questa Penitenzieria chiede che i sacerdoti dell’Ordine Giubilare si prestino con animo generoso alla celebrazione della Penitenza, e all’amministrazione frequente della Comunione ai malati.

Valido per il presente Anno Calasanziano. Nonostante qualunque contraria disposizione.

MAURO Card. PIACENZA
Penitenziere Maggiore

KRZYSZTOF NYKIEL
Reggente

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Il Papa: «I fedeli non paghino le nevrosi dei preti»

Posté par atempodiblog le 25 novembre 2016

Il Papa: «I fedeli non paghino le nevrosi dei preti»
Papa Francesco ricorda le doti di un buon sacerdote nell’udienza alla Congregazione per il Clero, afferma che il prete non è un rigido “professionista della pastorale”, ma un uomo sempre vicino al “popolo”, di cui è padre e fratello, e soprattutto un “apostolo di gioia” del Vangelo. Poi lancia un appello: «Occhio alle ammissioni dei seminaristi», ha detto, «ci sono ragazzi che sono psichicamente malati e cercano strutture forti che li difendono» come «la polizia, l’esercito e il clero»
di Annachiara Valle – Famiglia Cristiana

Il Papa: «I fedeli non paghino le nevrosi dei preti» dans Fede, morale e teologia

«I preti hanno una storia, non sono “funghi” che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione». Papa Francesco si rivolge ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il clero in occasione del 50esimo anniversario dei decreti conciliari Optatam totius Presbyterorum ordinis per ricordare cosa deve essere un sacerdote. “Sommo sacerdote”, “servo” e “buon pastore”, per usare le immagini di Cristo come riferimento. E dunque “allo stesso modo vicino a Dio e agli uomini”, “che lava i piedi e si fa prossimo ai più deboli”, “che ha sempre come fine la cura del gregge”. 

«Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano», dice Bergoglio ricordando l’importanza della famiglia, chiesa domestica, «lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono “funghi” che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione. È importante che i formatori e i preti stessi ricordino questo e sappiano tenere conto di tale storia personale lungo il cammino della formazione. Occorre che essa sia personalizzata, perché è la persona concreta ad essere chiamata al discepolato e al sacerdozio, tenendo in ogni caso conto che è solo Cristo il Maestro da seguire e a cui configurarsi. Mi piace in questo senso ricordare quel fondamentale “centro di pastorale vocazionale” che è la famiglia, chiesa domestica e primo e fondamentale luogo di formazione umana, dove può germinare nei giovani il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale, da percorrere con impegno e generosità. In famiglia e in tutti gli altri contesti comunitari – scuola, parrocchia, associazioni, gruppi di amici – impariamo a stare in relazione con persone concrete, ci facciamo modellare dal rapporto con loro, e diventiamo ciò che siamo anche grazie a loro».

Il Papa chiede ai sacerdoti di non dimenticarsi «della mamma e della nonna, perché siete stati presi dal gregge». E ancora: «Non si può fare il prete pensando che uno è stato formato in laboratorio, no, comincia in famiglia». Papa Francesco spiega dunque che «un buon prete, dunque, è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore».

Un prete deve essere «un uomo pacificato», capace di «diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore. Non è normale invece che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere; non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo». E a braccio aggiunge: «Se tu hai una malattia, sei nevrotico, vai dal medico. Ti darà pastiglie che ti faranno bene, anche due, ma per favore che i fedeli non paghino le nevrosi del prete, non bastonare i fedeli, vicinanza di cuore». E riprende: «Noi sacerdoti siamo apostoli della gioia, annunciamo il Vangelo, cioè la “buona notizia” per eccellenza». 

Un prete «non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato; le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati. Noi sacerdoti non caliamo dall’alto, ma siamo chiamati da Dio, che ci prende « fra gli uomini », per costituirci « in favore degli uomini »». E dunque bisogna essere «autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari. Il popolo di Dio e l’umanità intera sono destinatari della missione dei sacerdoti, a cui tende tutta l’opera della formazione». Ricordando che «il prete è sempre “in mezzo agli altri uomini”, non è un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata. Si diventa preti per stare in mezzo alla gente. Il bene che i preti possono fare nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone. Non sono filantropi o funzionari, ma padri e fratelli. Vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole: con questa testimonianza di vita possiamo evangelizzare, far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto anche attraverso i suoi ministri». 

Serve un buon esame di coscienza, serve chiedersi: «Se il Signore tornasse oggi, dove mi troverebbe? “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). E il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei “spazi” privati? La risposta a questa domanda può aiutare ogni prete a orientare la sua vita e il suo ministero verso il Signore».

Infine ha lanciato un appello: «Occhi aperti nell’ammissione ai seminari» dei giovani che vogliono diventare preti. «Ci sono ragazzi che sono psichicamente malati e cercano strutture forti che li difendono» come «la polizia, l’esercito e il clero».

Il Papa ha raccontato a braccio un episodio di quando era maestro dei novizi nella Compagnia di Gesù. Un ragazzo «buono» non passò il test della psichiatra che disse a Bergoglio: «Questi ragazzi vanno bene fino a quando non si sono stabiliti, fino a quando non si sentono pienamente sicuri, poi cominciano i problemi. Padre – ha detto quel medico, secondo quanto oggi raccontato ai sacerdoti dallo stesso Papa Francesco – si è mai chiesto perché ci sono poliziotti torturatori?». Il Papa ha detto di non fidarsi quando un giovane «è troppo sicuro, rigido fondamentalista». Di qui l’invito a tenere gli «occhi aperti» nelle ammissioni ai seminari.

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Misericordia, parola nel deserto

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2016

Misericordia, parola nel deserto
Oltre centomila fedeli in piazza San Pietro per la chiusura del Giubileo della Misericordia. «Ma lasciamo aperta la porta del perdono» ha detto il Papa.
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

Misericordia, parola nel deserto dans Articoli di Giornali e News Papa_chiude_porta_santa

«Riscoprire il centro, ritornare all’essenziale» del Vangelo oltre la tentazione del potere e «le appaganti sicurezze offerte dal mondo». Tra i settantamila di piazza San Pietro si fa silenzio, mentre Francesco si avvicina alla facciata della Basilica per chiudere la Porta Santa e con essa il Giubileo della Misericordia, qualche istante di raccoglimento e poi quasi solo il rumore di cardini e battenti.

In realtà l’Anno Santo non era cominciato qui, l’8 dicembre 2015, ma nove giorni prima nel Centrafrica in guerra civile, con i caschi blu dell’Onu intorno alla cattedrale di mattoni rossi, impastati con la terra del fiume Ubangi: il Papa che il 29 novembre dell’anno scorso apre per la prima volta una Porta Santa fuori da Roma e definisce Bangui «capitale spirituale» di un mondo afflitto dal «virus dell’inimicizia», quella che ha più volte definito la «terza guerra mondiale combattuta a pezzi». E ora, nell’omelia della messa conclusiva, è come se Francesco riepilogasse il senso di un Giubileo aperto in tutte
le diocesi del mondo (2.089 circoscrizioni, più di diecimila Porte Sante) e che «fuori dal fragore delle cronache», fa notare, ha visto arrivare a Roma più di 21 milioni di pellegrini (21.292.926). Un Giubileo sobrio, alieno da «kermesse» e grandi eventi e attento alla preghiera più che all’indotto, perché la Chiesa torni all’essenziale: «Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio».

La piazza è gremita, sono arrivati anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Matteo Renzi. Francesco alza lo sguardo e sillaba: «La misericordia, portandoci al cuore del Vangelo, ci esorta a rinunciare ad abitudini e consuetudini che possono ostacolare il servizio al regno di Dio, a trovare il nostro orientamento solo nella perenne e umile regalità di Gesù e non nell’adeguamento alle precarie regalità e ai mutevoli poteri di ogni epoca». Il Giubileo in questo senso non è finito, stamattina sarà diffusa la lettera apostolica Misericordia et misera : «Anche se si chiude la Porta Santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo. Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza». Francesco ha voluto che l’Anno Santo si chiudesse nel giorno della solennità di «Cristo Re dell’Universo».

Ma Gesù alla fine «appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore». E di fronte a questa «regalità paradossale», ci possono essere tre possibili reazioni che Francesco riassume con tre immagini della Crocifissione. C’è il buon ladrone che «non si è chiuso in se stesso» ma con i suoi peccati «ha chiesto di essere ricordato e ha provato la misericordia di Dio», l’immagine del Giubileo. E poi ci sono due tentazioni. La prima è quella del «popolo che stava a vedere», la tentazione di tenere le distanze invece di «avvicinarsi e farsi prossimi» a chi soffre. La
seconda, «la più terribile», è quella di coloro che chiedono a Gesù di salvare se stesso, come fece Satana: «È un attacco diretto all’amore: “salva te stesso”, non gli altri, prevalga l’io con la sua forza, la sua gloria, il suo successo».

È la tentazione del potere, del denaro. Intervistato dall’emittente dei vescovi, Francesco dice: «Il nemico più grande di Dio è il denaro. Perché il denaro è l’idolo, in questo mondo sembra che comandi. Il denaro è uno strumento fatto per servire, la povertà è al cuore del Vangelo e Gesù parla di questo scontro: Dio e il denaro, due signori, due padroni. Il diavolo sempre entra per le tasche. Si deve lottare per fare una Chiesa povera per i poveri, secondo il Vangelo. Si deve lottare». Poi rispondendo a una domanda sul segreto che lo mantiene pieno di energie alla soglia degli 80 anni ha spiegato: «Io prego: quello mi aiuta tanto. Poi dormo bene: è una grazia del Signore. Dormo come un legno. Il giorno delle scosse del terremoto, non ho sentito nulla».

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Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2016

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”
Il concistoro di Francesco che ha consegnato la berretta rossa a diciassette nuovi cardinali: «Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Lui ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni». Il Pontefice e i nuovi porporati salgono su due pulmini e vanno a incontrare Ratzinger
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi” dans Andrea Tornielli Concistoro_creazione_nuovi_cardinali
Il terzo concistoro di Papa Francesco per la creazione di nuovi cardinali

«Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore». Il Papa predica ai cardinali del concistoro, nel giorno in cui vengono incorporati nel collegio diciassette nuovi porporati, tredici con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale conclave, più quattro ultraottantenni. E in un tempo in cui nel mondo, ma anche nella Chiesa, sembrano prevalere le polarizzazioni, invita a tornare all’essenziale della missione nel segno della misericordia.

Apre la lista dei porporati l’italiano Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria – che apre la lista e nel suo saluto ha ricordato come alcuni cardinali vengono «da luoghi dove molti, milioni, sono i “malcapitati”, adulti e bambini, lasciati morti o mezzi morti sulle strade dei loro villaggi e quartieri, o sotto le macerie delle proprie case e scuole, a causa di efferate violenze e di sanguinosi, disumani e inestricabili conflitti». Quindi seguono Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana); Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid (Spagna); Sérgio Da Rocha, arcivescovo di Brasilia (Brasile); Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago (USA); Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka (Bangladesh), Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida (Venezuela); Jozef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio); Maurice Piat, vescovo di Port-Louis (Isole Mauritius); Kevin Joseph Farrell, Prefetto del dicastero per i laici e la famiglia (USA); Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico); John Ribat, arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea); Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark (USA); Antony Soter Fernandez, arcivescovo emerito di Kuala Lumpur (Malesia); Renato Corti, vescovo emerito di Novara (Italia); S ebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek (Leshoto); don Ernst Simoni, prete della diocesi di Shkodrë-Pult (Albania). Dei diciassette nominati, uno, l’africano Koto Khoarai, primo cardinale del Leshoto, non è presente a Roma. Non era in condizioni di affrontare il viaggio e riceverà la berretta dalle mani del nunzio apostolico in Sud Africa, Peter Brian Wells nei prossimi giorni.

Nell’omelia Bergoglio ha commentato il brano evangelico: dopo l’istituzione dei dodici apostoli, Gesù discese «dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli apostoli è accompagnata da questo mettersi in cammino verso la pianura». L’elezione, «li conduce al cuore della folla» e così «il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura», e «specialmente in una chiamata: siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Questo invito è accompagnato da quattro esortazioni: «amate, fate il bene, benedite e pregate», azioni che «facilmente realizziamo con i nostri amici».

Il problema però sorge, ha aggiunto Francesco, «quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni», dicendo: «Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male». E queste «non sono azioni che vengono spontanee». Di fronte ad avversari e nemici, infatti, «il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di demonizzarli, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno». È questa, osserva ancora il Pontefice, una delle «caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù», da lì «proviene la potenza della nostra missione». Il nemico è «qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno».

«Il Nostro Padre – ha detto ancora Francesco – non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici. L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione».

Bergoglio ha ricordato che il nostro è un tempo «in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio – ha spiegato – come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico». Nemico «perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze», per «il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale» o perché «pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede». E poco a poco, «senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia» e le differenze «si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza».

«Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza - osserva ancora Francesco – che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi!».

«Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni – sottolinea il Pontefice per ribadire come questo male colpisca anche all’interno della Chiesa – Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo collegio cardinalizio». Un collegio dove differenze di usanze, colore di pelle e lingue rappresenta invece «una delle nostre più grandi ricchezze».

«Come Chiesa – ha concluso Francesco – continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità. Caro fratello neo cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione».

La formula della creazione prevede il giuramento dei nuovi cardinali, quindi l’imposizione della berretta e la consegna dell’anello cardinalizio con l’assegnazione del titolo o della diaconia. Durante il rito, l’unico neo-cardinale al quale il Papa si è inchinato è Ernst Simoni, l’unico non vescovo, prete che ha subito la persecuzione in Albania.

Il Pontefice e i nuovi cardinali, al termine della celebrazione, salgono su due pulmini e si recano al Monastero Mater Ecclesiae per incontrare il Papa emerito Benedetto XVI.

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Allarme scommesse. «Rubo i soldi a mamma e punto»

Posté par atempodiblog le 17 novembre 2016

I baby-scommettitori di Napoli: «Rubo i soldi a mamma e punto»
di Oscar De Simone – Il Mattino

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A Napoli sono molte le sale in cui la scommessa è «senza età». A raccontarlo sono proprio dei giovani quindicenni «affetti» da quello che ormai viene definito gioco d’azzardo patologico. Uno confida: «Rubo i soldi a mamma e punto». Due ragazzi che frequentano le scuole superiori e che con gli altri amici sono soliti portare in classe liste e palinsesti, per riflettere sulle strategie di gioco, raccontano la loro esperienza.

«A questo vizio non riusciamo a rinunciare», commentano, «da tempo puntiamo su match e vari eventi sportivi, in gruppo o anche singolarmente. Nessuno ci ha mai chiesto l’età, perché in molte zone di Napoli si sa che giocano tutti. E’ diventata un’abitudine ormai e soprattutto durante il periodo campionato scommettiamo praticamente tutti i giorni».

Sembra che ai minorenni  nessuno faccia più caso. «Troviamo anche chi ci aiuta a scommettere. Nessuno si interessa a noi, anche perché in certi posti siamo praticamente di casa. Quella del gioco è una consuetudine che è entrata a far parte della nostra quotidianità e che in molti casi ci aiuta a fare gruppo». Loro raccontano: «Alcuni di noi sono anche diventati amici degli impiegati perché in sala passiamo tantissimo tempo. Parliamo con loro o anche con altri giocatori per confrontarci o suggerirci strategie e scommesse. Quello di cui ci rammarichiamo, è solo di non avere abbastanza soldi per effettuare tutte le puntate che vorremmo».


Video de Il Mattino di Napoli

Campania, è allarme scommesse: gioca d’azzardo uno studente su due
di Maria Chiara Aulisio e Paolo Barbuto – Il Mattino

Allarme in Campania: uno studente su due gioca d’azzardo, cominciano a 11 anni, scommettono anche utilizzando il telefonino, lo fanno anche durante le lezioni approfittando della distrazione degli insegnanti. Un fenomeno, quello dei baby giocatori, che sta assumendo proporzioni enormi, in città e in tutta la regione, e che sta diventando sempre più difficile da gestire. L’appello parte proprio da loro, presidi e docenti, impegnati quotidianamente a fronteggiare una situazione di pericolo soprattutto per gli studenti più piccoli, ragazzini di appena undici e dodici anni scovati a scommettere, e perdere, la paghetta settimanale e, sempre più spesso, a rubare dai portafogli delle mamme per procurarsi altro danaro. Il triangolo a rischio è quello dei Decumani disseminato di locali adibiti al gioco, ma l’emergenza è ormai diffusa in tutta la città.

Gennaro ha quindici anni, ha appena varcato la soglia di un istituto superiore del centro storico e ha una «bolletta» fra le mani. È spavaldo come solo i ragazzi a quell’età sanno essere: «Sì, vado a scommettere, lo faccio tutti i giorni e quando finisco i soldi me li rubo dalla borsa di mamma la mattina prima di andare a scuola». I compagni di classe fanno capannello intorno, ridono e si scambiano gomitate, lo considerano un punto di riferimento e lo seguono nelle scorribande dell’azzardo. Tirano fuori il cellulare quasi tutti i contemporanea: «Ma secondo te c’è bisogno di andare in una sala scommesse per giocarsi i soldi? Noi lo facciamo con questo», dice l’altro leader del gruppo che si vanta di avere un conto online in continua crescita perché lui è uno che ci sa fare.
Ecco, con l’esplosione del gioco telematico diventa praticamente impossibile fermare l’emorragia di denaro dalle tasche dei ragazzini, così serve davvero a poco la lodevole iniziativa del Comune nel tentativo di contrastare il fenomeno. Sono state imposte norme stringenti sugli orari: a Napoli le sale scommesse non possono aprire prima delle nove del mattino e hanno l’obbligo di rimanere chiuse da mezzogiorno alle sei del pomeriggio.
Dovrebbe servire ad evitare che i ragazzi possano scommettere prima di entrare in classe oppure all’uscita. A sorvegliare pensano i vigili che organizzano blitz, talvolta intercettano minori che giocano, spesso scoprono sale aperte in orari proibiti. Scattano sanzioni e, in casi rari, giorni di chiusura, ma la follìa del gioco non accenna a diminuire.

Maria Pia Condurro, responsabile del centro ascolto dipendenze della Caritas e direttore dell’Ufficio diocesano aggregazioni laicali, raccoglie decine di segnalazioni e richieste di aiuto: «Adesso si chiama gap, gioco di azzardo patologico e non fa sconti a nessuno. I primi a finirci dentro sono proprio i più giovani, i ragazzini delle scuole medie e quelli delle superiori: i presidi sono molto preoccupati e ci chiedono aiuto». Da qui l’organizzazione di una serie di incontri con il corpo docente delle scuole del centro antico per fornire indicazioni e consigli su come affrontare il problema del gioco nelle classi. «Abbiamo un rapporto costante con le scuole – aggiunge la Condurro – e non solo quelle dell’area dei Decumani dove insiste un gran numero di sale gioco: gli sos ci arrivano anche dagli istituti di Chiaia dove pure il fenomeno sta dilagando».

Proprio a Chiaia abbiamo intercettato un bambino, undici anni al massimo, che s’è presentato in una sala, ha scommesso e ha ottenuto la sua bolletta in cambio. Le immagini, agghiaccianti, potete guardarle sul nostro sito. E troverete anche due quattordicenni usciti da quella stessa sala, che hanno accettato di raccontare: «Un minorenne a Napoli può giocare dappertutto, a Mergellina e a Chiaia, al Vomero e a Pianura. Nessuno ti dice niente, ci sono sale nelle quali tutti sanno che si può andare perché non c’è mai controllo».

Maria Filippone, dirigente scolastico del liceo Genovesi, ha da tempo attivato una azione di prevenzione che sta dando buoni risultati: «Informazione e dialogo con i ragazzi, spieghiamo loro quali sono i rischi e come non cadere nella trappola del gioco. No, problemi seri qui non ne abbiamo mai avuti». Ma la Filippone pone un altro problema. Quale? «Quello della mancanza per i ragazzi di altri luoghi di aggregazione che non siano le sale slot. È chiaro che se non ci sono alternative il rischio di finire nelle maglie del vizio diventa sempre più concreto».

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Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2016

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai
Le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre sicurezza né in esse né nei “falsi messia” che speculano sui bisogni delle persone: l’unica certezza è che la nostra vita è nelle “mani” del Signore, perché Dio “non ci abbandona mai”. Così il Papa all’Angelus domenicale, in cui ha esortato pure a non dimenticare quanti nel mondo non hanno cibo e acqua. Quindi ha ricordato l’odierna chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali di tutto il mondo, in vista della conclusione del Giubileo della Misericordia.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

La nostra vita “non si può perdere” perché è nelle “mani” del Signore. È una certezza quella che Papa Francesco trasmette all’Angelus in Piazza San Pietro. Gesù, spiega, sa che “c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze”: mette in guardia quindi dai tanti “falsi messia” che “anche oggi ci sono” ed esorta a “non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità”, perché anch’esse fanno parte “della realtà di questo mondo”.

“La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! E questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai”.

Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato al discorso di Gesù “sugli ultimi tempi”, pronunciato di fronte al tempio di Gerusalemme, il Pontefice sottolinea come Cristo voglia far capire, pure “a noi oggi”, che le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza:

“Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati”.

Chiaro, osserva il Papa, il compito della comunità cristiana “per andare incontro al ‘giorno del Signore’”, affidandosi alla Vergine Maria perché ci aiuti a capire “in profondità” la verità:

“Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona mai, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta”.

In tale prospettiva va collocato l’impegno scaturito dal Giubileo straordinario della Misericordia, nel giorno di chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali in tutte le diocesi del mondo:

“L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti”.

D’altra parte Dio, ricorda ancora Francesco, “conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi”: perché è sotto lo sguardo misericordioso del Signore, assicura il Pontefice, che “si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male” e tutto quello che succede è conservato in Lui.

Subito dopo l’Angelus, nella Giornata italiana del ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano, il Pontefice auspica che la madre terra sia “sempre coltivata in modo sostenibile”.

“La Chiesa è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua”.

Quindi saluta i tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ringraziando in particolare “le associazioni che in questi giorni hanno animato il Giubileo delle persone emarginate”, e ricorda che in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli “il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro”, risalente al quattordicesimo secolo:

“Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia”.

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Una preghiera per Umberto Veronesi

Posté par atempodiblog le 10 novembre 2016

Una preghiera per Umberto Veronesi
Visse per la medicina, fu soverchiato dal dolore umano, prese posizioni errate: gli valga davanti a Dio il molto bene compiuto
di Davide Vairani – La Croce – Quotidiano
Tratto da: Radio Maria

Una preghiera per Umberto Veronesi dans Articoli di Giornali e News Umberto_Veronesi

Umberto Veronesi, oncologo e uomo politico, è morto nella sua casa di Milano all’età di 90 anni.
Da alcune settimane le sue condizioni di salute si erano progressivamente aggravate. Non mi ha mai suscitato simpatia. Per nulla. In questi casi, quando una persona muore ci vuole il silenzio e la preghiera. Sulla seconda, non ho dubbi: spero davvero che il Signore abbia pietà e misericordia. Non ho nulla contro Umberto Veronesi come persona. Anche perché non lo conosco e non l’ho mai conosciuto. Ma è stato un fiero e lucido alfiere dal laicismo, che ha investito tutto se stesso sulla scienza e la tecnica. Quella scienza che secondo lui avrebbe dovuto fare dimenticare agli uomini il retaggio di antiche culture ormai desuete: Dio non c’entra nulla con la vita dell’uomo.

L’uomo è il solo ed unico artefice della proprio cammino. Sarà anche stato una delle menti più illustri in campo medico, ma siccome non odio la retorica e amo la schiettezza e la chiarezza non mi presto a tessere gli elogi funebri sempre e comunque. Perché l’amore per la Verità sull’umano mi impone di ricordare oggi chi è stato Umberto Veronesi fuori dalla sua attività strettamente medica e l’influenza che ha avuto su tante persone.
Umberto Veronesi si è espresso sui matrimoni e sulle adozioni omosessuali più volte.
Era chiaro il suo pensiero. Ad esempio, durante la presentazione del suo libro “Il mestiere dell’uomo”, ha dichiarato:
“L’amore tra due persone dello stesso sesso è un amore più forte perché non è strumentale alla procreazione. Non ha interessi di tipo sessuale-procreativo.

Sono favorevole sia al matrimonio sia alle adozioni di genitori gay. Il sesso, nell’educazione, non c’entra. Il figlio cresce bene se è amato, indipendentemente dal sesso”. Sulla maternità surrogata anche: ”Sono a favore della maternità surrogata perché è una forma di donazione: una donna dona a una persona che può essere una sorella, una cugina o un’amica” o una perfetta sconosciuta “una maternità che quella non può avere”. È la posizione che ha espresso all’AdnKronos a margine della presentazione del primo numero della rivista ‘The Future of Science and Ethics’ edita dalla Fondazione che porta il suo nome. “L’uomo può donare un proprio organo, un rene, una parte del fegato, il sangue, i gameti, le cellule midollari – ha sottolineato più volte Veronesi -.

Quindi penso che la maternità surrogata sia una cosa nobile, anche perché mettere al mondo una persona nuova è sempre un evento positivo. Se pensiamo che nascere è meglio che non nascere – non siamo sicuri che sia così, ma è plausibile – allora questa donna fa nascere un bambino che non sarebbe mai nato”, conclude il professore. “I bisessuali domineranno l’umanità”, dice Umberto Veronesi a “L’Espresso”, ribadendo le teorie che ha diffuso in questi anni.
L’etica umana si evolve ed è il “logorio” a generare, nell’uomo e nella donna, l’inversione dei ruoli. Il maschio diventa femmina e viceversa. “Se un uomo – dichiarava Veronesi al “Corriere della Sera” del 7 agosto scorso – deve alzarsi al mattino per cacciare la preda che fornirà cibo a sé e ai suoi, se deve uccidere, appostarsi, inseguire, il cervello comunica i suoi bisogni aggressivi all’ipofisi, che stimola altre ghiandole tra cui le gonadi: da qui la produzione di molti ormoni maschili, che a loro volta creano spermatozoi. Se invece lo stesso uomo trascorre la giornata in ufficio, arriva a casa, culla il figlio e aiuta nei lavori domestici, la sua ipofisi riceve meno stimoli e giorno dopo giorno i testicoli si ‘addormentano’”.

E la donna? “La donna oggi – affermava Veronesi – deve sviluppare aggressività, fare carriera, comandare persone, assumersi responsabilità, competere con gli uomini, sopportare doppi e tripli ruoli, che soffocano la sua femminilità. Il risultato è che le donne affrontano la prima gravidanza in età più avanzata e appaiono sempre meno femminili, socialmente e biologicamente”. L’eutanasia è sempre stato un pensiero fisso per Veronesi. Intervistato da Andrea Lupoli nel corso del format “Genetica oggi” su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano, dichiarava: “L’eutanasia è ovviamente la sconfitta della medicina. Vuol dire che la medicina palliativa non è stata in grado di sollevare il malato da questo desiderio.

Però è un diritto, a mio parere. Abbiamo il diritto di morire quando vogliamo, suicidarsi non è perseguibile per legge. Possiamo chiedere, in un momento di disperazione, al medico di aiutarci a lasciare la nostra vita in maniera non traumatica, cioè senza buttarci dalla finestra. Occorre una legge del Parlamento. Il Parlamento da due anni ha davanti agli occhi una richiesta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia, ma non fa assolutamente niente. Questo perché c’è una forte contrarietà da parte del mondo della religione”. Anche sulla liberalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” Veronesi aveva un pensiero chiaro. “Perfino l’Oms ha invitato i governi a depenalizzare l’uso personale di marijuana, consapevole su dati scientifici che l’uso di spinelli non fa male. È infondata anche la credenza che la marijuana dia dipendenza e apra la strada all’uso delle droghe pesanti, come cocaina e morfina.

Liberalizzare lo spinello non è malinteso permissivismo, ma una posizione realistica che punta alla riduzione del danno. Risulta che metà dei nostri giovani e molti adulti fanno uso di marijuana. Ha senso criminalizzarli?”, dichiarò qualche mese fa dalle colonne del Corriere della Sera. Un avversario. Un lucido avversario che non aveva timore a dire chiaramente ciò che pensava fino in fondo. Questo gli va dato atto. Veronesi era convinto che l’uomo potesse fare rinascere l’uomo. Da solo. Con l’aiuto della scienza e della tecnica.

Ma il male non è una condizione soggettiva. O almeno non solo. Il male è. Il male ontologicamente esiste e non si può confinarlo esclusivamente dentro un mero fattore di disfunzione naturale oppure come un fattore psico-sociale. Il male che ci portiamo addosso fisicamente può anche essere curato con la medicina. E occorre certamente fare di tutto per usare i talenti e le abilità che la tecnologia applicata alla ricerca scientifica ci offrono per sconfiggere il male e recuperare la salute. Ma il male esiste. E da sola la scienza non riuscirà mai a farlo sparire dalla faccia della terra.
Questo non è riuscito a vedere Veronesi. Nonostante ogni giorno si misurasse con il dolore più indicibile. Il male non è potere dell’uomo eliminarlo. Il male va “abbracciato”, accolto, abbracciato.

Non perché sia bello o perché siamo masochisti. Ma perché anche il Figlio di Dio è stato sacrificato sull’altare della Croce per noi. Scandalo per la ragione. Lo so. Solo chi ha la Grazia di incontrare qui e ora il Cristo Risorto può comprendere ciò che sto scrivendo. E può comprendere che la vita va vissuta fino in fondo perché non finisce qui su questa terra. E può comprendere perché non ci è dato come uomini di oltrepassare i limiti del nostro essere fragili, delnostro essere generati da un Altro. Che Dio ti accolga in pace.

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“Ho sbagliato pianeta!”

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2016

“Ho sbagliato pianeta!” dans Citazioni, frasi e pensieri Clemente_Rebora

Dal virtuoso familiar recinto,

adolescente fuor tutto invitava:

l’uman freddo dovere

cenere era sul mio braciere;

ammiccando l’enigma del finito

sgranavo gli occhi a ogni guizzo;

fuor scapigliato come uno scugnizzo,

dentro gemevo, senza Cristo:

Sola, raminga e povera

Un’anima vagava

Un guasto occulto mi minava in basso,

un lutto orlava ogni mio gioire:

l’infinito anelando, udivo intorno

nel traffico o nel chiasso, un dire furbo:

Quando c’è la salute, c’è tutto;

e intendevan le guance paffute,

nel girotondo di questo mondo:

Ribellante gridavo la mia pena:

ho sbagliato pianeta!

Clemente Rebora, Curriculum vitae

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La storia del Toro premiata con il Collare d’Oro del Coni

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2016

La storia del Toro premiata con il Collare d’Oro del Coni dans Sport Torino

Una storia da leggenda. Ora valorizzata anche da un premio che solo i migliori ricevono. E che riconoscimento: al Torino è stato assegnato il Collare d’oro dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, cioè la massima onorificenza possibile per meriti sportivi.  

Viene conferita una sola volta nella carriera sportiva e quest’anno se l’è assicurata la società guidata dal 2005 dall’imprenditore alessandrino Urbano Cairo. Così ha deciso la Giunta del Coni per l’impronta lasciata dal Torino in oltre cent’anni di vita. Una firma indelebile che ha valorizzato e rappresentato lo sport italiano nel mondo. Dai pionieri del calcio al Grande Torino simbolo della nuova speranza nell’Italia del Dopoguerra, fino alla squadra dell’ultimo scudetto del 1976 targato Gigi Radice, al fenomenale vivaio che ha fatto scuola e per trent’anni ha dominato i campionati giovanili. Una storia unica di successi, allenatori e campioni che il 19 dicembre prossimo, alle 11.30, sarà premiata a Roma dal presidente del Coni Giovanni Malagò, con la presenza anche del premier Matteo Renzi.  

Oltre alla squadra granata, le altre società scelte dal Coni sono: Ginnastica Pavese, Verbano Yacht Club, Vela Nuoto Ancona, Canottieri Pro Monopoli, Tennis Club Napoli, Torino Calcio e Gruppo Forestale. Tra le personalità di spicco legate al mondo dello sport collare d’oro a Giorgio Napolitano, Francesco Ricci Bitti e Luigi Riva.

di Francesco Manassero – La Stampa

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A Venezia il ristorante dei migranti: dai barconi ai fornelli

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2016

A Venezia il ristorante dei migranti: dai barconi ai fornelli
Apre il primo locale africano gestito da richiedenti asilo. Sono etiopi, sudanesi, nigeriani. I piatti scelti dopo un concorso in città
di Vera Mantegnoli – la Repubblica

A Venezia il ristorante dei migranti: dai barconi ai fornelli dans Articoli di Giornali e News Dai_barconi_ai_fornelli

Una barca piena zeppa di uccelli cavalca le onde puntando verso l’Italia, l’unico orizzonte dove i viaggiatori sperano di sbarcare per spiccare di nuovo il volo. È questo il disegno dipinto sui muri del primo ristorante africano di Venezia che aprirà il 4 novembre in Calle Lunga San Barnaba.

La metafora del volo non è casuale. Lo staff che ha creduto nel progetto è composto in gran parte da migranti africani, arrivati qui nei modi più disparati l’ultimo anno con la speranza di poter chiudere la porta con il passato e ricominciare. I soci fondatori, Hamed Mohamad Karim, Hadi Noori, Mandana Goki Nadimi e Samah Hassan El Feky, anche loro migranti provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran e dall’Egitto, lo hanno provato sulla loro pelle anni prima, quando alcuni di loro sono giunti nei camion frigoriferi ancora minori.

Ed è proprio qualche anno fa nel centro minori di Venezia, a Forte Rossariol, che a uno di loro, l’Hazara Hamed Mohamad Karim, è venuta l’intuizione che il cibo può unire e aiutare a superare i pregiudizi.

“Ho iniziato a organizzare delle feste nel centro minori, chiedendo a tutti i ragazzi di preparare un piatto tipico del loro Paese – spiega – e ho visto che funzionava sia per i ragazzi che erano nei centri, sia per chi veniva a trovarci”. Hamed, regista che non è più potuto tornare in Afghanistan perché minacciato dai talebani, fa un primo esperimento fondando nel 2002 l’Orient Experience nel sestiere di Cannaregio. Il ristorante propone i piatti che i migranti hanno imparato a cucinare nel viaggio della speranza fino a Venezia e ha un grande successo.

Oggi la sfida è ancora più grande perché a lavorare all’Africa Experience saranno richiedenti asilo che rappresentano le migliaia di persone che fuggono disperate dal continente nero.

“Io sono etiope – racconta Alganesh Tadese Gebrehiwot, 30 anni, fuggita dall’Etiopia, chef del locale – Ho imparato a cucinare con mia mamma. In Etiopia c’è ancora molta divisione di ruoli, le donne cucinano e stanno in casa. Così io sono cresciuta aiutando lei e ho imparato alcuni dei piatti che preparerò, come un certo tipo di pane, Ejra o il Mesir wot, una zuppa di lenticchie. Non avrei mai pensato di diventare cuoca, ma sono finalmente molto felice. Io vengo dal Sudan, lavoravo come donna delle pulizie, ma non avrei mai potuto realizzare i mie sogni”.

Anche Muhammed Sow della Guinea ed Efe Agbontaen della Nigeria sono scappati da terre di guerre e violenza sui barconi che vediamo ogni giorno, quei barconi così pieni di persone che finiscono per diventare un’unica massa. In quella massa ci sono invece esseri umani singoli, individui con le storie che si potranno conoscere qui, parlando davanti a un buon piatto proveniente da un Paese di cui alla fine si sa molto poco.

I piatti sono stati scelti tramite un concorso che ha coinvolto studenti e professori dell’Istituto alberghiero Barbarigo di Venezia, chiamati a giudicare quali erano i piatti all’altezza di un vero menu. I primi classificati in cucina saranno loro, accompagnati in sala da alcuni soci fondatori, come Hadi Noori, tra i primi ragazzini arrivati dall’Afghanistan in quei camion frigo che per alcuni sono stati mortali: “Avevo 15 anni – racconta Noori, oggi 25 anni – e lavoravo in fabbrica a Kabul. Volevo studiare e non potevo. Alla fine non avevo altra scelta, dovevo partire”.

A 15 anni parte dall’Afghanistan per raggiunge l’Iran per poi proseguire a piedi verso la Turchia: “Durante questi viaggi sei solo – spiega – ma poi incontri altre persone che magari non rivedi più. Dalla Turchia sono andato in Grecia con un gommone, poi mi sono fermato là e ho cercato di lavorare ma c’era tanto sfruttamento. Un giorno mi sono infilato con altri ragazzi in un camion pieno di arance, la temperatura oscillava tra gli zero e i due gradi, ma siamo riusciti. Lo stesso capita ai mie colleghi che sono qui oggi, quando s’imbarcano e non sanno se arriveranno mai. Ci spinge solo la voglia di ripartire, di volare ancora”.

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