Perché i giovani si suicidano
Posté par atempodiblog le 20 octobre 2016
Perché i giovani si suicidano
Spesso lo dicono e non lo fanno, ma cresce il dato inquietante del “suicidio social”. Cosa ci dice questa recente novità?
di Davide Vairani – La Croce – Quotidiano
Troppi giovani annunciano di volersi uccidere sui social network e poi tentano di farlo davvero. Non può essere una moda. Troppo facile liquidare così dei drammi. Il tritacarne mediatico non ci entra dentro fino in fondo. Non c’è tempo per farlo, non c’è convenienza a farlo.
L’ultimo episodio del genere in ordine cronologico è successo a Cagliari, dove una modella di 25 anni ha annunciato che voleva farla finita, nonostante i post immediati che la scongiuravano di non farlo, e si è lanciata dalla finestra dell’abitazione in cui viveva al quarto piano. Non è morta sul colpo, ma è ricoverata in gravissime condizioni tra la vita e la morte. Nel suo ultimo post una foto sorridente e poi il drammatico messaggio: “Quest’anno è stato per me pieno di cambiamento, sfide, delusioni e dolori… dolori tropo forti… irrisolvibili… Ricordatemi con il sorriso. Vi saluto con questa ultima foto”. Secondo i conoscenti la ragazza aveva subito un grave lutto nei mesi scorsi e poi si era lasciata con il fidanzato con cui stava insieme da dieci anni. “Quest’anno è stato per me pieno di cambiamento, sfide, delusioni e dolori… dolori troppo forti… irrisolvibili… Ricordatemi con il sorriso. Vi saluto con questa ultima foto”. È stato questo l’ultimo post scritto sul social network dalla 25enne ed è proprio da questo post che sono scattati gli appelli per tentare di salvarla. A quanto pare alcuni mesi fa la 25enne ha perso una persona cara, probabilmente un fidanzato, e la sua scomparsa l’avrebbe profondamente turbata: “Grazie a te per questi bellissimi 10 anni anche se finiti male. Ho provato a respirare ma non ce l’ho fatta”.
Maggio 2016. “Sono arrivata al punto di non aver più voglia di niente. Nulla che mi faccia piacere o mi dia la voglia di alzarmi al mattino”: dal vivo, sulla “app” che impazza fra i giovanissimi, Periscope, una diciannovenne della banlieue di Parigi ha deciso di uccidersi e si è buttata sotto il treno. In centinaia hanno seguito i tragici momenti, seguiti dall’arrivo, vano, dei soccorritori. La storia che lascia sgomenta la Francia si è svolta nel dipartimento dell’Essonne, nello sconfinato hinterland parigino. La ragazza di nome Oceane, di 19 anni e dai lunghi capelli neri, si è buttata lungo i binari della linea ferroviaria suburbana RER C, all’altezza della stazione di Egly, qualche minuto dopo aver inviato un sms a un amico per avvertirlo della sua scelta di farla finita. Centinaia di persone avrebbero assistito al suo macabro gesto in diretta su Periscope. In una serie di video postati prima di passare all’atto, la ragazza parla seduta sul divano rosso di casa sua.
Agrigento. Annuncia suicidio su Facebook e si butta da balcone. Gennaio 2016. La vittima è un ventenne. Gesto forse dettato da una delusione amorosa. Sotto choc l’amico che, letto il post, si era precipitato a casa sua e lo ha invece trovato sull’asfalto già morto. Annuncia con un lungo post l’intenzione di suicidarsi e poi si butta dal balcone della sua casa. 20 anni e si è tolto la vita. Un post pubblicato su Facebook intorno alle 2 della notte e poi il silenzio, con i suoi amici che lo imploravano di rispondere al telefono. “Scusatemi tutti – ha scritto si Fb – ma dico addio a questo mondo dove le cose immorali sono giuste (tipo gay lesbiche e bisex possono avere la coscienza pulita se infrangono cuori o la prostituzione o la droga pesante) spero che Dio o qualcun altro porti giustizia …addio mi mancherai soprattutto tu amore mio… mi dispiace ma a una azione ne corrisponde una conseguenza! … addio anche ai miei amici mi mancherete”.
Tragedia a Pozzuoli: 24enne si suicida dopo averlo annunciato su Facebook. La causa: rottura del rapporto sentimentale. All’interno di uno sgabuzzino di una palazzina, è stato ritrovato esanime il corpo di Giuseppe D.G., 24 anni. Il ragazzo, che viveva con i genitori, si è suicidato poco dopo aver lasciato un saluto lapidario su Facebook: “Un bacio ed un abbraccio a tutte le persone che mi hanno voluto bene”. A quanto pare, il motivo che ha indotto Giuseppe a questo estremo gesto, è stata la sofferenza procurata dalla fine del suo rapporto con la ragazza. Disperazione ed incredulità si sono diffuse tra i parenti e gli amici, i quali hanno manifestato la propria vicinanza ai genitori del ragazzo anche attraverso messaggi di cordoglio su Facebook.
Potremmo andare avanti in una macabra e agghiacciante rassegna di nomi e cognomi… Ci fermiamo qui. Che cosa sta succedendo? Non lo so. Complicato, complesso. Non ho risposte. E non ho davvero voglia di buttarla sulla responsabilità dei social e della cultura dell’apparire e dell’immagine. Perché non mi pare questo il nodo. I social sono degli strumenti. È come confondere la malattia con il sintomo. I nodi stanno a monte dei social. I social non sono che lo specchio che mostra con evidenza che ci sono dei problemi. Mostra le rughe impietose sul viso e i dettagli del nostro corpo e del nostro spirito che non vorremmo guardare. Ma è così. Se il 70% dei giovani e dei ragazzi di oggi scelgono di esternare ciò che provano dentro sui social anziché parlarne con qualcuno, il problema non sta nei social, ma in quel qualcuno che non c’è. O che c’è e finge di non esserci.
Io ho una figlia sola. Ha 15 anni. E osservo i suoi coetanei e guardo lei. Non si sognerebbe mai di farla finita per una delusione d’amore o per qualsiasi altra bomba emotiva. Perchè? Perchè è più brava e intelligente? Ma no. Ma valà. La osservo con gli altri di nascosto quando posso. La vedo capace di dire dei no e dei sì, la vedo capace di scegliere, ponderare, la vedo anche fragile. La vedo complicata a tirare fuori fino in fondo ciò che sente, prova e vive. Ma la vedo anche subito dopo chiamare la mamma. Chiederle aiuto. La vedo con la voglia di parlare con chi si fida, con chi sa con certezza che la vuole ascoltare senza giudicare moralisticamente ciò che fa e pensa. Fin da piccola è stata abituata a parlare, a tirare fuori ciò che provava, ciò che viveva, educata a rielaborare sentimenti e pulsioni. Educata a non arrendersi al mondo che cospira contro. E a reagire per come è lei, con il suo stile, con il suo modo di misurarsi con il mondo, con la bellezza di scoprirsi ogni giorno in cammino nella vita. Resistente critica a ciò che passa il mainstreming. Con mia figlia guardiamo la Tv e i social, leggiamo i drammi dei suoi coetanei. Li legge. E li commenta con i suoi grandi occhi sgranati. Corruccia la fronte. Poi rialza gli occhi e guarda le immagini sullo schermo. Non riesce a capire perché. “Quest’anno è stato per me pieno di cambiamento, sfide, delusioni e dolori… dolori tropo forti… irrisolvibili… Ricordatemi con il sorriso. Vi saluto con questa ultima foto”. Silenzio. Poi dice: “Ma non c’è proprio nessuno nessuno che le vuole bene?”.
Già. Basterebbe una carezza. Basterebbe una parola detta al momento giusto. Invece spesso non è così. Ci pervade una cultura di morte. Una cultura che esige anzi e sopra tutto il diritto individuale di fare ciò che crede giusto in quel momento. Il diritto all’autodeterminazione di sé non prevede prigionieri e non prevede autorità che possa dirti o suggerirti che esistono dei limiti invalicabili. Limiti che fanno parte di noi, che non sono affatto castranti costrutti di costumi e usi sociali. Limiti che non sono dettati da ideologie, da fedi o da altro se non dall’evidenza. Non siamo nati da soli. Non ci siamo fabbricati da soli. E dunque non possiamo scegliere di chiudere qui la vita quando vogliamo o quando non ce la facciamo più. Chi decide “quando non ce la si fa più”? È una questione di età, di salute, di voglia o meno di vivere? È sufficiente questo per lasciare alibi convincenti a mettersi a posto la coscienza per farla finita? Ma non raccontiamoci balle.
“Queste persone non vedono più alcuna possibilità di dare un senso alla loro vita, patiscono profondamente la perdita di indipendenza e rimangono isolati o da soli forse perchè hanno perso la persona amata, ma per mettere fine alla loro vita hanno bisogno di un aiuto”, hanno affermato i due ministri olandesi alla Salute e alla Giustizia. Parlavano di persone anziane. E il tema era la promozione di una legge per consentire l’accesso alla “morte assistita” anche a chi considera semplicemente completata la sua vita. E se a decidere che la propria vita è conclusa e finita sono ragazzi e ragazze di 17 anni? Che differenza fa? Uguale. Se dilatiamo ed estendiamo questo ragionamento non possiamo che arrivare a questa conclusione.
È questo il mondo che vogliamo?
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