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Dopo il suicidio di Tiziana: fermiamo la dittatura del web crudele

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2016

Dopo il suicidio di Tiziana: fermiamo la dittatura del web crudele
Tiziana Cantone, 31 anni, si è tolta la vita. Sì, è stata imprudente. Ha registrato per gioco o per vanità un video hard. I suoi amici, a cui era destinato, l’hanno tradita. Il video è divenuto virale e si è diffuso in rete. A nulla è valso cambiare lavoro, trasferirsi o cercare di cambiare il cognome. La maledizione del web non l’ha mollata. Una vicenda, che insieme con quella della diciassettenne ubriaca, violentata nei bagni di una discoteca, filmata e diffusa su Whatsapp dalle amiche-iene, pone con urgenza la necessità di pretendere la protezione del diritto di ciascuno alla gestione della reputazione digitale
di Tonino Cantelmi – Agenzia SIR

Dopo il suicidio di Tiziana: fermiamo la dittatura del web crudele dans Articoli di Giornali e News tiziana_cantone

Il web è crudele. Se ti penti non puoi tornare indietro. Tiziana Cantone, 31 anni, si è tolta la vita. Sì, è stata imprudente. Ha registrato per gioco o per vanità un video hard. I suoi amici, a cui era destinato, l’hanno tradita. Il video è divenuto virale e si è diffuso in rete. A nulla è valso cambiare lavoro, trasferirsi o cercare di cambiare il cognome. La maledizione del web non l’ha mollata.

Nessuno può fermare la macchina infernale del web crudele.

Tiziana Cantone non ce l’ha fatta. Quel video rilanciato dai siti porno sarà sempre lì. Tiziana Cantone si uccide.

Nelle stesse ore o quasi irrompe nella cronaca un’altra storia di web crudele e di amiche traditrici. Eccola: diciassettenne ubriaca, violentata nei bagni di una discoteca. Le amiche, già le amiche!, filmano il fattaccio e lo diffondono su Whatsapp. E in sottofondo si distinguono le risate sguaiate delle amiche-iene.

Crudeltà telematiche di queste ore, capaci di spezzare la vita o di rovinarla. Non le prime, neanche le ultime. Gravissime, ma che si aggiungono ad altre, più o meno gravi: insulti, calunnie, gogne, offese.

Si, il web è un mondo affascinante, ma anche terribile. In gioco c’è una nuova ed inesplorata dimensione dell’identità: la reputazione digitale. Ognuno di noi ha una reputazione digitale, che pesa enormemente nella vita reale.

Ancor prima di un incontro, sia galante che di lavoro, andiamo a spulciare la reputazione digitale della persona che stiamo per incontrare. Cerchiamo su google le notizie, spiamo i suoi profili social, guardiamo le immagini e i video. E non c’è nulla di più fragile della reputazione digitale: chiunque può calunniare, maledire, attaccare, insultare o tradire, come gli amici di Tiziana Cantone. E questo riguarda in modo massiccio gli adolescenti, per il quali la popolarità digitale sembra essere una componente ineludibile della loro autostima. La logica perversa del cyberbullismo è proprio questa: la vittima non può difendersi. L’attacco è inarrestabile. Il disprezzo on line è virale. E soprattutto è per sempre. La sopraffazione è pari all’impotenza della vittima.

Ecco la questione che voglio porre è questa:

il diritto alla gestione della propria reputazione digitale.

Qualcuno dovrà pure dire stop alla dittatura di Google, di Facebook e dei vari social ai quali consegniamo la nostra immagine e la nostra reputazione on line. Lo so, la questione investirebbe norme, diritti, giurisprudenza e tanti azzeccagarbugli cavillosi sarebbero lì, pronti a difendere la sovrana libertà del web di disporre di noi. Ma il dato è questo: vogliamo avere il diritto di gestire la nostra reputazione digitale. Vogliamo avere il diritto di ripensamento sui contenuti che diffondiamo. Vogliamo che faceboock non sia l’arrogante proprietario dei nostri post. Vogliamo che google rispetti il diritto all’oblio. Vogliamo una rete più umana. In definitiva vogliamo che l’umano abbia ancora il dominio sulla tecnologia.

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Tiziana e la violenza del web, che agisce in tutti noi

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2016

Tiziana e la violenza del web, che agisce in tutti noi
di Mario Adinolfi – La Croce – Quotidiano

Tiziana e la violenza del web, che agisce in tutti noi dans Articoli di Giornali e News tiziana_cantone

La triste vicenda di Tiziana Cantone è raccontata sui media in queste ore con i soliti toni indignati di circostanza e una capacità giornalistica nulla di fare seriamente luce attorno alle ragioni e alla responsabilità di chi ha condotto una bella ragazza di 31 anni a impiccarsi dopo un anno di linciaggio da parte dei social network.

Tutti a scrivere: è stato il web. Ma chi è “il web”? E cosa insegna a tutti noi questa storia? Come si può evitare un nuovo caso Tiziana Cantone? A questi interrogativi si può provare a proporre qualche risposta.

A uccidere la Cantone non è stato “il web”, non sono stati “i social network”, non è stato “whatsapp”. A portare Tiziana alla tragica decisione di porre fine alla sua vita impiccandosi è stato il concatenarsi di una serie di eventi, attorno ad ognuno dei quali ci sono responsabilità individuabili di persone
individuabili.

L’errore originale è stato evidentemente l’invio del video hard con la propria performance sessuale ai cinque “amici” su whatsapp. I cinque sono persone identificabili e già identificate dai magistrati che hanno aperto un fascicolo sul caso Cantone con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Uno di
costoro ha trasmesso il video attraverso i canali del porno via web. A quel punto alcune pagine dei social network molto spregiudicate con il gusto dell’orrido hanno deciso di avviare una campagna sfruttando questo video e crocifiggendo la povera Tiziana. Tra queste, su Facebook si è fatta notare più delle altre la pagina di Welcome to Favelas, un luogo da 540mila followers, che sul trash e le immagini irrispettose di persone prese a bersaglio ha fondato il suo business rappresentato dalla vendita di gadgettistica in nero (vanno forte adesivi e magliette del simbolo di Welcome to favelas, un fucile mitragliatore AK 47).

Come funziona W2F? Semplice, al fianco della pagina principale, sempre su Facebook, ci sono pagine segrete in cui si entra solo per invito, non raggiungibili con una ricerca sui motori Fb. Una di queste è Welcome to Favelas Dance Estate, 113mila followers, dove si decidono le campagne da portare avanti, si ordina ai “militanti” gli obiettivi da colpire e le pagine da andare a “sporcare” con i propri materiali.

Nei gruppi segreti di Welcome to favelas è partita la decisione di crocifiggere Tiziana, sulla pagina principale si è operato affinché il video
diventasse virale con il tormentone: “Stai facendo il video? Bravo”. Tutto questo avrebbe massacrato Tiziana Cantone ma non sarebbe bastato se a far da detonatore non fosse arrivata una radio tradizionale, la radio più ascoltata in assoluto in Italia, che è Radio Deejay, il cui capo Linus ora sparge lacrime di coccodrillo in memoria di Tiziana, ma che ha quotidianamente massacrato la povera ragazza fino a renderle impossibile l’esistenza.

Tiziana aveva dovuto abbandonare il suo paese, il suo lavoro, la famiglia, addirittura il proprio nome. Aveva cambiato identità e aveva vinto anche la causa presso la lenta giustizia italiana, che aveva ordinato pochi giorni fa la rimozione dei contenuti lesivi della sua dignità.

Troppo tardi, qualcosa era definitivamente franato nell’anima di Tiziana Cantone e si è portato via la sua giovane vita, la sua bellezza, attaccata al foulard al quale si è impiccata. Chi sono i responsabili allora? Molto semplice. Non i “social network”, ma Facebook Italia con i suoi dirigenti e i suoi solerti impiegati che bloccano le pagine di Alessandro Benigni, Danilo Leonardi, Filippo Fiani, Andrea Rossi perché sono cattolici e difendono la famiglia naturale, ma invece lasciano prosperare Welcome to Favelas e il suo infame business di adesivi e magliette imperniato sul dileggio delle persone, sulla quotidiana bestemmia, sugli insulti più vergognosi.

Durante Stampa e Vangelo abbiamo denunciato l’ultimo post che Welcome to Favelas ha pubblicato per deridere la Cantone addirittura dopo il suo suicidio: novemila “mi piace”, centinaia di commenti di una volgarità rivoltante. Hanno capito che la nostra denuncia li avrebbe resi obiettivo facile dell’inchiesta della magistratura e vigliaccamente hanno rimosso il post: è l’omaggio che siamo riusciti a far rendere alla memoria di Tiziana. Almeno lo sputo sul cadavere caldo lo abbiamo fatto sparire dal web.

Massimiliano Zossolo, il profilo che appare essere admin di Welcome to favelas, si è lamentato del fatto che abbiamo citato nomi e cognomi, ha fatto un post contro di me sia sulla pagina personale che su quella pubblica, ha fatto pubblicare una foto di me mentre rientro a casa riprendendo tutto il portone in modo che sia identificabile: un vero e proprio messaggio di minaccia fisica.

Ma il suicidio di una ragazza pochi giorni dopo la fine delle vacanze estive apre in me ferite troppo profonde perché io riesca a non essere durissimo
con chi l’ha provocato e con chi non ha avuto neanche la decenza di tacere una volta che la tragedia si era perpetrata.

Altro responsabile è il garante per la privacy, Antonello Soro, già presidente dei deputati del Partito popolare e ora mandato a svernare con fior di stipendione affinché vigili sulle dinamiche che hanno portato alla morte di Tiziana. Purtroppo Soro non ha idea di chi sia Tiziana Cantone, la dirigenza di
Facebook, Welcome to Favelas, Welcome to favelas Dance Estate, Linus, Radio Deejay. Conosce me, sa che sul piano personale lo stimo e sa anche che su questa vicenda non farò sconti. Se vuole tardivamente fare il suo lavoro ordini subito la chiusura stabile e definitiva di Welcome to Favelas da parte di Facebook e li strigli ben bene, magari facendo una telefonata anche a Linus spiegando che le persone non si prendono per il culo con una violenza che toglie via la pelle, a meno che non siano personaggi pubblici, e che delle lacrime di coccodrillo non sa che farsene. Antonello Soro di mestiere fa il dermatologo e sa almeno cosa vuol dire “togliere via la pelle”. Lo faccia contro i responsabili di questo scempio e il resto lo faccia la magistratura.

Poi c’è quello che possiamo fare noi: impedire che il web sia il luogo che deumanizza. Dietro ogni profilo c’è una persona, c’è una storia, c’è un percorso, una vicenda spesso intrisa di sofferenza. Ce ne dimentichiamo nei meccanismi violenti del web, dove si diventa solo “icone” di un gioco perverso in cui
anche i burattinai di questa violenza riescono a deumanizzarsi, a perdere sembianza diventando così irresponsabili, dicendo che in rete è colpa di tutti, cioè colpa di nessuno. Invece no, è persona la vittima e sono persone i carnefici, con nome e cognome. Questi ultimi spesso ricchi o con la volontà di arricchirsi sulla pelle delle persone.

Non consentiamolo e onoriamo così la memoria di una persona che non ce l’ha fatta a reggere tanta violenza, nonostante avesse addirittura cambiato nome e identità per sfuggire a questo gioco perverso che alla fine l’ha travolta.

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Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c’è una Madre che ci difende

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2016

Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c’è una Madre che ci difende
In un “mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza”, noi abbiamo una Madre che ci accompagna e ci difende: così il Papa nella Messa del mattino a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria della Beata Vergine Maria Addolorata.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c'è una Madre che ci difende dans Commenti al Vangelo IMG_3736

Il Vangelo del giorno ci porta sul Calvario. Tutti i discepoli sono fuggiti, tranne Giovanni e alcune donne. Ai piedi della Croce c’è Maria, la Madre di Gesù: tutti – afferma il Papa – la guardavano dicendo: “Quella è la madre di questo delinquente! Quella è la madre di questo sovversivo!”:

“E Maria sentiva queste cose. Soffriva umiliazioni terribili. E anche sentiva i grandi, alcuni sacerdoti, che lei rispettava, perché erano sacerdoti: ‘Ma Tu che sei tanto bravo, scendi! Scendi!’. Con suo Figlio, nudo, lì. E Maria aveva una sofferenza tanto grande, ma non se ne è andata. Non rinnegò il Figlio! Era la sua carne”.

Papa Francesco ricorda quando a Buenos Aires si recava nelle carceri a visitare i detenuti e vedeva sempre una fila di donne che aspettavano di entrare:

“Erano mamme. Ma non si vergognavano: la loro carne era lì dentro. E queste donne soffrivano non solo la vergogna di essere lì – ‘Ma guarda quella! Cosa avrà fatto il figlio?’ – ma anche soffrivano le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare. Ma erano madri e andavano a trovare la propria carne. Così Maria, era lì, col Figlio, con quella sofferenza tanto grande”.

Gesù – afferma il Papa – ha promesso di non lasciarci orfani e sulla Croce ci dona sua Madre come nostra Madre:

“Noi cristiani abbiamo una Madre, la stessa di Gesù; abbiamo un Padre, lo stesso di Gesù. Non siamo orfani! E Lei ci partorisce in quel momento con tanto dolore: è davvero un martirio. Col cuore trafitto, accetta di partorire tutti noi in quel momento di dolore. E da quel momento Lei diventa la nostra Madre, da quel momento Lei è nostra Madre, quella che si prende cura di noi e non si vergogna di noi: ci difende”.

I primi mistici russi – ricorda Francesco – consigliavano di rifugiarsi sotto il manto della Madre di Dio nel momento delle turbolenze spirituali: “Lì non può entrare il diavolo. Perché Lei è Madre e come Madre difende. Poi l’Occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana ‘Sub tuum praesidium’ – ‘Sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, oh Madre!’. Lì siamo sicuri”.

“In un mondo che possiamo chiamare ‘orfano’ – conclude il Papa – in questo mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza, forse il nostro aiuto è dire ‘Guarda a tua Madre!’. Ne abbiamo una che ci difende, ci insegna, ci accompagna; che non si vergogna dei nostri peccati. Non si vergogna, perché lei è Madre. Che lo Spirito Santo, questo amico, questo compagno di strada, questo Paraclito avvocato che il Signore ci ha inviato, ci faccia capire questo mistero tanto grande della maternità di Maria”. 

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