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Storia delle reliquie di santa Lucia

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

Storia delle reliquie di santa Lucia
di don Antonio Niero – Chiesa dei santi Geremia e Lucia, Venezia

Storia delle reliquie di santa Lucia dans Fede, morale e teologia Tomba_di_santa_Lucia

Il corpo di S. Lucia rimase in Siracusa per molti secoli: dalla catacomba, dove fu sepolto, fu poi por­tato nella basilica eretta in suo onore, presso la quale, all’inizio del VI secolo, fu costruito un monastero. Nella minaccia araba per il suo sepolcro nell’878, dopo la conquista islamica della Sicilia, il suo corpo fu nascosto in un luogo segreto. Nel 1039, appena Ma­niace, generale di Bisanzio, riuscì a strappare Siracusa agli Arabi, condusse le reliquie a Costantinopoli, o come preda di guerra o, secondo l’affermazione della Cronaca del doge Andrea Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e Costantino.

Invece secondo la tradizione francese, il corpo della Santa fu levato da Siracusa nel corso del secolo VIII da Feroaldo, duca di Spoleto, dopo la conquista della città che lo recò a Corfinio, donde il vescovo di Metz lo avrebbe trasferito nella sua città episcopale. Indubbiamente qui si sviluppò un culto attorno a codèste reliquie, seb­bene, viene notato giustamente, si tratti di un’altra martire siracusana, di nome Lucia e confusa per omo­nimia con la nostra Santa.

La linea maestra della tra­dizione afferma che il suo corpo fu tolto da Costantinopoli nel 1204 dal doge veneziano Enrico Dandolo, dove lo aveva trovato assieme a quello di S. Agata, ed inviato a Venezia.

Invece secondo una variante, do­cumentata dal codice secentesco, o Cronaca Veniera, della Biblioteca Marciana di Venezia [It. VII, 10 (= 8607) f. 15 v.], esso sarebbe stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, sotto il dogado di Pietro Centranico. Non sappiamo l’ori­gine della notizia e se derivi da una fonte anteriore, per quanto un fondato sospetto induca ad un errore meccanico di amanuense, che ha letto 1026 per 1206, cioè gli anni della traslatio ufficiale. E nella Cronaca Veniera lo si accettò, armonizzando il fatto con il doge dell’epoca. Certo è difficile una precisazione sto­rica di codeste reliquie, esente da qualsiasi sospetto, almeno allo stato attuale delle cose; per noi è pru­denza elementare prendere atto della presenza del suo corpo in Venezia sin dal 1204
.
Ma si noti che in Ve­nezia esisteva già una chiesa dedicata alla martire nel 1167 e 1182, come lo provano inequivocabili docu­menti, per cui è probabile che la determinazione di tra­sferire le reliquie nelle lagune sia stata originata dalla necessità di arricchire una chiesa veneziana, come d’al­tronde si verificò per altri casi consimili.

Comunque a Venezia il suo corpo fu collocato nella chiesa di S. Giorgio Maggiore e determinò un flusso di pellegrinaggi, che nel giorno d’ella festa (13 dicembre) assumeva proporzioni impressionanti, nel­l’andirivieni di imbarcazioni. Il 13 dicembre 1279 accaddero tragici fatti. Alcuni pellegrini morirono an­negati in seguito al capovolgimento delle imbarcazio­ni per l’insorgere di un turbine improvviso.

Il Senato, ai fini di evitare ancora consimili doloro­si incidenti, decise che il corpo della Santa fosse por­tato in una chiesa di città. Fu scelta la chiesa di S. Maria Annunziata o della « Nunciata » nell’estremo sestiere di Cannaregio, dove furono poste le preziose reliquie trasferite da S. Giorgio il 18 gennaio 1280 con una solenne processione.

Nel 1313 fu consacrata una nuova chiesa dedicata a S. Lucia, nella quale le reliquie della Santa furono deposte definitivamente.

Nel 1441 papa Eugenio IV dava questa chiesa, che era piccola parrocchia, in commenda alle mo­nache del vicino monastero del Corpus Domini; nel 1478 invece papa Sisto IV, dopo una vivace contesa tra il monastero della Nunciata e la parrocchia, che a volte assunse fasi davvero ridicole, concedeva chiesa e parrocchia alle monache del monastero della Nun­ciata, che avanzavano diritti contro quelle del Corpus Domini sul possesso del corpo della Santa: la lite insorta fra i due monasteri fu risolta in favore di quel­lo della Nunciata, come si è visto: però esso doveva sborsare ogni anno 50 ducati a quello del Corpus Domini.

Nel 1579 passando per il Dominio veneto l’im­peratrice Maria d’Austria, il Senato volle farle omag­gio di una reliquia di S. Lucia. Con l’assistenza del patriarca Trevisan fu levata una piccola porzione di carne dal lato sinistro del corpo della Santa.

Altre reliquie della Santa si trovavano a Siracusa, recate nel 1556 da Eleonora Vega, che le ottenne a Roma dall’ambasciatore di Venezia’ così pure avven­ne per alcuni frammenti di braccio sinistro, recati ivi nel 1656 da Venezia, dal cappuccino Innocenzo da Caltagirone. Reliquie ancora sono possedute a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vi­cenza e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio Maggiore, dei SS. Apostoli, dei Gesuiti, dei Carmini.

All’estero sono documentate a Lisbona nel 1587, con una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del Belgio nel 1676; a Nantes, in Francia, nel 1667. Nel 1728 una parte dell’urna fu donata a papa Benedet­to XIII.

Una nuova chiesa, al posto di quella antica, fu costruita tra il 1609 e il 1611, su schemi palladiani, riecheggiante l’attuale delle Zitelle, con due torri campanarie in facciata.

Per completarla, giravano per la città alcuni inca­ricati dalle monache a raccogliere le offerte dei fedeli con la cassella concessa dal Magistrato della Sanità.

Il 28 luglio del 1806, in seguito alla soppressione napoleonica, chiesa e monastero furono chiusi e le monache si rifugiarono in S. Andrea della Zirada, por­tando con sé le reliquie della Santa. Poco dopo, non potendo rimanere lì per ragioni di spazio, con il con­senso del Ministero del culto ritornavano ancora al­l’antica sede insieme con il corpo di S. Lucia.

Nel 1813 il convento di S. Lucia veniva donato dall’imperatore d’Austria alla b. Maddalena di Ca­nossa, che vi abitò fino al 1846, quando si iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e per la demolizione del convento. Per il momento la chiesa non fu toccata. Invece nel 1860 dovendosi ampliare la stazione fer­roviaria, nella stolida furia distruttiva dell’epoca, fu abbattuta anche la chiesa di 5. Lucia seguendo la triste sorte di tante altre chiese veneziane. Vero è che mi­nacciava rovina, fatiscente ormai di secoli e di umane malizie. Si sarebbe potuto ripararla e risolvere diver­samente le esigenze della stazione ferroviaria. Invece presi accordi con l’Autorità Ecclesiastica, si decise di trasportare il corpo della Santa nella vicina parroc­chiale di S. Geremia. Per la traslazione, avvenuta l’11 luglio 1860, intervenne il patriarca Ramazzotti con tutto il Clero e popolo della città: sette giorni rimase il sacro corpo sull’altar maggiore, poi fu posto su un altare laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre anni dopo, l’11 luglio 1863, il patriarca Trevi­sanato la inaugurava: essa era stata costruita con il materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia su gusti palladiani. Finalmente per la genero­sità di Mons. Sambo, parroco di quella Chiesa (che nel frattempo venne ad assumere la denominazione « dei Ss. Geremia e Lucia ») su disegno dell’arch. Gaetano Rossi veniva preparato alla Santa un più de­gno altare in broccatello di Verona con fregi di bronzo dorato. Il 15 giugno del 1930 il servo di Dio patriarca La Fontaine lo consacrava e collocava il corpo incor­rotto della Santa nella nuova urna in marmo giallo ambrato, che lo sovrasta. Nel 1955 il patriarca Angelo Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, volle che fosse data più condegna importanza alle sacre reliquie, sug­gerendo l’esecuzione di una maschera d’argento, cu­rata dal parroco di allora don Aldo Da Villa.

Infine, nell’anno 1968, per iniziativa del parroco prof. don Aldo Fiorin e la generosità di benefattori, la Cappella e l’Urna sono state completamente restaurate.

E nel suo tempio ancor oggi riposa la Martire, meta venerata di tanti pellegrinaggi, con l’augurio in­ciso nella bianca curva absidale, che si specchia sulle acque del Canal Grande: 

LUCIA
VERGINE DI SIRACUSA
MARTIRE DI CRISTO
IN QUESTO TEMPIO
RIPOSA
ALL’ITALIA AL MONDO
IMPLORI
LUCE  PACE

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La Basilica di Sant’Antonio a Padova

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

La casa del Santo
La Basilica di Sant’Antonio a Padova
di Anna Roda – CulturaCattolica.it

La Basilica di Sant’Antonio a Padova dans Fede, morale e teologia Tomba_sant_Antonio

Nessuna città, forse, si è mai identificata così completamente con un santo come Padova con sant’Antonio (1195-1231), il frate francescano che in pochissimi mesi, con la sua veemente predicazione contro il malcostume e le sopraffazioni, suscitò una devozione così profonda e un culto così radicato da essere divenuto per i padovani il “Santo”.
I lavori di costruzione della grande basilica, costruita per custodire il corpo di sant’Antonio, iniziarono già l’anno successivo alla sua morte, nel 1232, inglobando la piccola chiesetta di Santa Maria Mater Domini, nella quale lo stesso santo aveva espresso il desiderio di essere sepolto, dopo il suo decesso presso il convento dell’Arcella, a nord di Padova.
Non si sa chi sia stato l’ideatore dell’imponente costruzione. Alcuni affermano che autori del progetto siano stati i magistri comacini, altri propongono il nome di Nicola Pisano (1220-1284), altri, molto più semplicemente frate Elia, lo stesso a cui si deve la basilica di Assisi.

Basilica_di_sant_Antonio_a_Padova dans Stile di vita

La grande basilica
L’attuale basilica è in gran parte l’esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni che si sono succedute nell’arco di una settantina d’anni tra il 1238 e il 1310, con interventi anche nel 1400, 1700 e 1800.

La facciata è costruita su quattro arcate cieche strombate a sesto acuto, con galleria sommitale e timpano conclusivo, nel quale è aperto un rosone, oltre il timpano si innalza un campaniletto rotondo cuspidato.
L’esterno della chiesa è estremamente originale e ricorda le chiese bizantine: sette cupole emisferiche con croci sulla sommità, la centrale conico-piramidale con l’angelo segna-vento in cima e due campanile ottagonali a coronamento nell’area del presbiterio, che paiono dei minareti. Questa commistione di stili si spiega forse con la vicinanza della basilica di San Marco di Venezia. Probabilmente gli architetti hanno voluto accostare la figura di sant’Antonio con quella di san Marco, mentre l’ottava cupola a “pan di zucchero” ricorda certamente il Santo Sepolcro di Gerusalemme e quindi avvicinare sant’Antonio a Gesù, così come Francesco fu dettoalter Christus.
L’interno della basilica è a tre navate, con corto transetto e varie cappelle.
Se ci si porta, oltre l’ingresso, al centro ella navata maggiore, si noterà subito come l’architettura, pur sempre gotica nell’alzato, si distingue nettamente in due parti: quella delle navate e quella dell’abside e del transetto.
L’area delle navate appare di più ampia spazialità, ritmata sa entrambi i lati da due calme e solenni campate sopra le quali corre un matroneo, il quale continua anche nel presbiterio.

La cappella di San Giacomo
Le cappelle sono molto numerose, molte contengono ancora la decorazione originaria, molte altre hanno avuto diverse fasi decorative, alcune anche moderne, come la cappella delle benedizioni affrescata da Pietro Annigoni (1980), che peraltro ha affrescato anche la contro-facciata con Sant’Antonio che predica dal noce (1985).

Vale la pena fermarsi però nella terza cappella di destra dedicata a San Giacomo. Essa fu voluta da Bonifacio Lupi, marchese di Soragna (Pr), che ebbe importanti incarichi diplomatici e militari presso i Carraresi, signori di Padova.
L’elegante cappella è di origine gotica, edificata negli anni ‘70 del Trecento dall’architetto veneziano Andriolo de Santi. Attraverso cinque arcate trilobate si accede alla cappella completamente affrescata. Al centro si staglia una grande e drammatica Crocefissione, capolavoro di Altichiero da Zevio (notizie dal 1369 al 1384), dipinta attorno al 1370.
Il resto della cappella è decorata con le Storie di San Giacomo desunte dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, opera sempre di Altichiero con la collaborazione di Jacopo Avanzi, bolognese.
Altra cappella di grande importanza è quella del Tesoro, opera barocca del Parodi, allievo di Bernini: un trionfo di marmi, linee sinuose, decorazioni, statue; il tutto per rendere degno onore ad alcune insigni memorie del Santo.
In preziose teche si possono ammirare alcune reliquie di sant’Antonio, tra cui la laringe e la lingua.
Ovviamente, centro della devozione popolare è la cappella della tomba di sant’Antonio, chiamata fin dalle origini “Arca”. La cappella presenta ad altezza d’uomo il sepolcro del santo dietro al quale sfilano i pellegrini in processione; l’architettura dell’insieme è cinquecentesca, opera forse di Tullio Lombardo

Il presbiterio
Nell’area del presbiterio altre opere d’arte ornano la basilica.

Tra il 1447 e il 1454 l’ormai anziano Donatello (1386-1466) realizzava i bronzi dell’altar maggiore: Maria in trono con il Bambino, il Crocefisso e i santi Antonio, Francesco, Giustina, Ludovico, Daniele e Prosdocimo, santi protettori di Padova. Statue drammatiche, dal forte modellato, che bene evidenziano la forza e decisione di Antonio e dei francescani, dalla resa concreta e fisica, soprattutto del Cristo in croce, dallo splendido e muscoloso corpo, il vero lottatore per la salvezza dell’uomo. Queste opere di Donatello furono determinanti per lo sviluppo dell’arte quattrocentesca a Padova e in tutta l’Italia settentrionale; artisti come Mantenga guardarono con attenzione alla lezione dello scultore fiorentino per la loro formazione umanistica.

Il convento
Il convento si articola intorno a quattro chiostri. Il più antico è il Chiostro del Capitolo, detto anche Chiostro della Magnolia risalente al 1433; da qui si accede al chiostro Grande del 1435, opera di Cristoforo da bolzano, così detto perché su di esso vi si affacciavano le stanze del Generale dell’ordine in visita alla basilica. Accanto ad essi abbiamo inoltre il Chiostro del noviziato, realizzato nella seconda metà del Quattrocento in stile gotico, caratterizzato da proporzioni ampie e slanciate, e il Chiostro del beato Luca Belludi, grande amico di Antonio e ministro provinciale dell’ordine nel 1239; quest’ultimo chiostro venne realizzato alla fine del Quattrocento.

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Luca riposa a Padova

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

Luca riposa a Padova
Nella Basilica di Santa Giustina è conservato lo scheletro dell’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli. Il cranio, invece, fu prelevato da Carlo IV e portato a Praga, dove è ancora oggi. Nuovi studi scientifici hanno confermato l’antica tradizione
di Stefania Falasca – 30 Giorni

Luca riposa a Padova dans Fede, morale e teologia San_Luca_Evangelista
Resti del corpo di san Luca evangelista

Luca, l’autore del terzo Vangelo, il cronista degli Atti degli apostoli, abita qui, a Padova. Da oltre un millennio in Santa Giustina, Basilica del monastero benedettino di Padova, sono custoditi i resti del suo corpo. Ne segnala la presenza un’antica tradizione attestata da documenti storici. Le reliquie sono custodite nel transetto sinistro della Basilica in un’arca marmorea costruita nel 1313. Anche se la memoria della presenza del suo corpo in questa chiesa è andata perdendosi nel tempo, quello che la tradizione antica ha tramandato sembra ora ricevere una conferma scientifica.
Il 17 settembre scorso per la prima volta, dopo quasi cinque secoli, l’arca contenente le reliquie è stata aperta per avviare una ricognizione scientifica. L’importante decisione è stata presa dal vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, il quale ha nominato una commissione composta da quattordici esperti per analizzare in modo completo le reliquie, gli oggetti e i documenti che le accompagnano. Sono dunque le autentiche spoglie dell’evangelista Luca quelle che si trovano a Padova? I primi risultati sono sorprendenti.
Le analisi, condotte dalla commissione presieduta dall’anatomopatologo padovano Vito Terribile Wiel Marin, hanno rilevato la buona conservazione di uno scheletro quasi completo, appartenente ad un uomo di circa duemila anni fa, morto in età avanzata. E non solo. La novità più importante riguarda il cranio, che, come attestano i documenti, nel 1354 era stato prelevato dall’urna e portato da Carlo IV a Praga. Il cranio, riportato a Padova e sottoposto ad attenti esami, appartiene inconfutabilmente alle spoglie rinvenute nella ricognizione in quanto si articola perfettamente con la prima vertebra cervicale di questo scheletro. Gli esperti hanno inoltre avallato anche l’ipotesi che l’antichissima cassa di piombo rinvenuta nell’arca marmorea e contenente i resti sia la stessa nella quale venne deposta originariamente la salma. Le ricerche sono solo agli inizi.
Questi sono solo alcuni dei risultati raggiunti in due mesi di studi e osservazioni; ma se le indagini interdisciplinari, che si protrarranno per altri due anni, confermeranno l’ipotesi che lo scheletro conservato a Padova è effettivamente dell’evangelista Luca, si tratterà di una scoperta davvero straordinaria: quello di san Luca sarà l’unico corpo dei quattro evangelisti conservato integro.

Reliquie_san_Mattia_Apostolo dans Stile di vita
Reliquie di san Mattia apostolo

Salvato dagli iconoclasti
Le ricerche storiche hanno tuttavia già permesso una prima ricostruzione di come le reliquie attribuite a san Luca siano giunte in Italia proprio a Padova.
È noto, dal cosiddetto Prologo antimarcionita, un testo risalente alla fine del II secolo, che Luca morì in tarda età in Beozia e che la sua tomba vuota, un sarcofago marmoreo dei primi secoli del cristianesimo, era venerata a Tebe, capitale della Beozia in Grecia. Da questo luogo, come attesta una tradizione confermata dalla testimonianza di san Girolamo, l’urna, contenente le sue reliquie, fu traslata, all’epoca dell’imperatore Costanzo (IV secolo), a Costantinopoli e posta nella Basilica che sarà poi chiamata dei Santi Apostoli, per la presenza in essa anche delle spoglie dell’apostolo Andrea e di Mattia, il “tredicesimo” degli apostoli. Da Costantinopoli, secondo un’antica tradizione, venne poi portata a Padova.
Gli storici tuttavia divergono su come e quando le reliquie dell’evangelista Luca giunsero a Padova. Alcuni sostengono che le spoglie arrivarono dall’Oriente dopo il sacco di Costantinopoli del 1204, portate dai crociati. Tuttavia le recenti indagini avallano un’altra ipotesi. Claudio Bellinati, direttore dell’Archivio storico di Padova e membro della commissione scientifica incaricata della ricognizione, spiega che la presenza delle reliquie di san Luca nell’abbazia benedettina è registrata già nell’anno 1177, quando, come attestano i documenti, la cassa di piombo contenente le reliquie di san Luca venne rinvenuta nel cimitero di Santa Giustina (dove furono nascosti durante le incursioni barbariche tutti i corpi che si conservavano nella Basilica) e trasportata all’interno della chiesa. Dunque i resti dell’evangelista erano già presenti a Padova prima della conquista di Costantinopoli e forse prima ancora del 1177, anno del loro rinvenimento nel cimitero attiguo alla chiesa. «Ritengo molto probabile» afferma Bellinati «che le reliquie di Luca siano venute a noi nell’VIII secolo, durante il periodo delle lotte iconoclaste (741-770). La tradizione infatti ci informa che un sacerdote di nome Urio, custode della Basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, volle salvare dalla furia degli iconoclasti le preziose reliquie che si conservavano nella Basilica e portò con sé a Padova sia i resti di san Luca che i resti di san Mattia, insieme ad una immagine lignea della Madonna, detta Madonna costantinopolitana (tuttora presenti nella Basilica di Santa Giustina). Dovrebbero pertanto essere esaminate anche le reliquie di Mattia e l’immagine lignea» aggiunge Bellinati «per verificare quanto ci tramanda la tradizione». Tuttavia non è ancora chiaro perché queste reliquie furono portate proprio a Padova e non, ad esempio, a Venezia.

L’imperatore Carlo IV
Quello che invece è indiscutibilmente certo è che il 9 novembre 1354 l’arca marmorea contenente le reliquie di san Luca, fatta costruire nel 1313 dall’abate Gualpierino Mussato, venne aperta per prelevare il capo. L’imperatore Carlo IV, infatti, volle portare con sé a Praga questa preziosa reliquia di san Luca e in questa occasione venne perciò operata una vera ricognizione dei resti contenuti nel sepolcro. È la prima identificazione documentata di cui si ha notizia. «Ma non è detto» spiega ancora Bellinati «che questa sia stata la prima ricognizione. Sicuramente ce sono state delle altre precedenti. È probabile, ad esempio, che ce ne sia stata una proprio nel periodo delle lotte iconoclaste, prima che la cassa di piombo venisse portata a Padova, per accertarsi del contenuto. Nella cassa poi, durante la nostra ricognizione, sono state rinvenute anche delle monete, alcune delle quali antichissime, una risalente addirittura all’anno 299 d.C., epoca dell’imperatore Massimiano. Dunque altre volte la cassa dovrebbe essere stata aperta».
Una seconda ricognizione documentata fu fatta nel 1463 a causa di un processo (i cui atti sono contenuti nel quinto volume dell’Archivio Sartori, una trascrizione dei documenti esistenti nell’Archivio di Stato di Padova) per stabilire se il vero san Luca fosse quello sepolto a Santa Giustina a Padova o un omonimo, la cui tomba era venerata a Venezia. Nel processo, dopo lunghe e faticose sedute, con ampia documentazione e molte testimonianze, si veniva a concludere che il vero san Luca era a Padova, in quanto venne verificato che lo scheletro del Luca veneziano apparteneva ad un giovane di vent’anni, morto da appena due secoli.
L’ultima apertura prima di quella attuale, avvenne nel 1562, data che si desume dalle pergamene ritrovate nella cassa di piombo. Nel 1562 l’identificazione venne operata in occasione della traslazione delle spoglie di san Luca dall’antica cappella omonima al nuovo transetto sinistro della Basilica, dove oggi si trova. La cassa di piombo probabilmente venne aperta per esporre le sacre reliquie alla venerazione dei fedeli, cosa che può essere accaduta anche nelle precedenti aperture. Si sa inoltre che nell’antica cappella di provenienza, la lastra tombale in marmo serviva da mensa d’altare e che la cappella era stata abbellita dal celebre polittico di Andrea Mantegna e da affreschi con scene che rievocavano il tradizionale racconto dell’arrivo del corpo di san Luca a Santa Giustina.
Ora l’insieme di tutti questi dati forniti dai documenti e dalla tradizione saranno riconsiderati, chiariti e approfonditi alla luce delle prove e degli indizi scientifici delle nuove indagini interdisciplinari. «Con il contributo dei moderni strumenti scientifici» afferma Claudio Bellinati «sapremo finalmente stabilire l’autenticità delle reliquie di san Luca e sapremo storicamente ricostruire quanto un’antichissima tradizione ci ha indicato».

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L’Assunzione di Maria in Cielo

Posté par atempodiblog le 31 août 2016

L’Assunzione di Maria in Cielo
di suor Gloria Riva – CulturaCattolica.it

L'Assunzione di Maria in Cielo dans Fede, morale e teologia L_Assunzione_di_Maria_in_Cielo_Tiziano
Tiziano Vercellio, L’Assunta, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari

Maria è assunta in cielo anima e corpo, questo proclama la Chiesa, questo essa celebra il 15 agosto di ogni anno. Ma cosa si cela dietro a questo mistero, la cui popolarità è più legata al folclore e al periodo estivo in cui si celebra che non alla sua comprensione?

L’assunzione di Maria è la conseguenza dell’unione perfetta di Maria col Figlio. Dio, inoltre, non poteva permettere la corruzione del corpo di Colei che fu l’arca vivente del Figlio Suo. Questo felice esito della vita terrena di Maria non riguarda, tuttavia, lei sola: in lei ha avuto principio quell’opera di redenzione che deve, nel disegno misericordioso e buono di Dio, raggiungere ogni uomo.

“In te misericordia, in te pietate in te magnificenza in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”, canta Dante. Tutto ciò che di buono Dio ha pensato per le sue creature, in Maria si è realizzato con pienezza e perfezione grazie alla sua fedeltà a Cristo, perciò il suo destino si lega indissolubilmente a quello del Figlio, “come in terra, così in cielo”. E come l’ascensione del Signore rivela che “un corpo abita nella Trinità” (Varillon) così l’assunzione di Maria realizza quello che sarà il destino di ogni credente.

Un cantore di questo singolare evento della Vergine Maria fu Tiziano Vecellio.
Nel vasto interno della chiesa gotica dei Frari dedicata, appunto, a Santa Maria Gloriosa, Tiziano dipinse in tempo brevissimo, dal 1516 al 1518, la tela monumentale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.

Uno spazio tripartito narra l’evento: la terra gremita di apostoli e discepoli del Signore, il cielo che s’apre al passaggio della Vergine e i cieli dei cieli dai quali Dio Padre, solenne e compiacente, discende per accogliere Maria.
L’osservatore pur indugiando brevemente nella selva di forme e colori armoniosamente composti si trova spontaneamente portato a dirigere lo sguardo verso il volto della Giovane Donna che liberata da ogni legame terreno s’innalza verso l’alto fra stupore e commozione.

Una corona di angeli delimita il confine tra la terra e il cielo; la profondità non è narrata, ma intuita dentro la solare luminosità del giallo oro.

In basso il cielo è di tutt’altro segno, incombe sul gruppo dei discepoli rendendo ancora più esiguo lo spazio angusto entro il quale essi si muovono concitati.
E qui ci riconosciamo noi tutti, così lontani dalla chiarità del mistero che ha avvolto Maria, così lontani eppure così partecipi. Ci riconosciamo nello sgomento che pervade certi volti per aver perso dall’orizzonte quotidiano una tanto eloquente trasparenza del Cristo; ci riconosciamo nel desiderio profondo di affidamento a lei, discepola perfetta e fedele, al fine di giungere anche noi alla mèta; ci riconosciamo, ancora, nel volto orante dell’anziano apostolo in primo piano, così vuoto di sé e così pieno del mistero che sotto i suoi occhi si consuma. Siamo qui in questo spazio angusto quale è la vita, prezioso, ma sempre inadeguato alla sete di eternità che alberga nel nostro cuore.

Tiziano si fa vigoroso interprete di questi sentimenti, e lui, che tanto si è espresso in temi mitologici riesce a descrivere il destino eterno di Maria con le tinte dell’amore e della passione. La tensione dei corpi, il movimento dello stesso corpo di Maria, la gamma di rossi che, richiamandosi caricano di drammaticità la scena, descrivono una tensione alla santità che non è ricerca di una perfetta impassibilità, non è raggiungimento di un « nirvana”, ma la pienezza dell’esperienza umana divinizzata dalla sequela a Cristo, pienamente uomo e pienamente Dio.

La sacralità dell’evento è interamente affidata alla composizione classica e solenne e al profilo, in controluce, dell’Eterno Padre. La sua ombra dilata la luminosità dello sfondo e la calda luce dorata colpisce lo sguardo dell’osservatore spalancandogli il cuore al divino.
Uomini e angeli sembrano accomunati dallo stupore, gli uni pieni di sgomento gli altri al colmo del tripudio. Ma nel turbine dei gesti e dei colori un dialogo fatto di sguardi fissa l’attimo eterno: la Vergine solleva lo sguardo al suo Dio e un angelo, alla destra del Padre, come sorpreso indugia con la corona in mano. È proprio lei? È questa? È una creatura che dobbiamo accogliere nella vasta santità del Cielo? Ma Dio Padre guarda la Vergine: “È proprio lei”.
“Umile ed alta, più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio”.

Tiziano Vecellio
Tiziano Vecellio, pittore nato a Pieve di Cadore nel 1488/90 e morto a Venezia nel 1576.
Nel periodo giovanile compie la propria formazione nella bottega di Giovanni Bellini; qui Tiziano viene a contatto con l’artista più innovativo del Cinquecento, Giorgione. Nell’epoca della piena maturità Tiziano manifesta maggiore sicurezza nella composizione della figura umana, raggiungendo effetti realistici e vitali. Al potenziamento dell’energia delle scene contribuisce in maniera determinante il colore, che secondo la nuova concezione tonale costruisce la stesura stessa della raffigurazione.
La sua produzione è vastissima e le sue opere più importanti sono: tra le prime, gli affreschi della Scuola del Santo a Padova con la “Storia di S. Antonio” del 1511; l’“Amor sacro e amor profano” della Galleria Borghese a Roma; la “Pala dell’Assunta” della chiesa dei Frari a Venezia del 1516-1518; “Flora” conservata agli Uffizi a Firenze; la “Pala Pesaro” ai Frari a Venezia; “Paolo III Farnese con i nipoti di Alessandro e Ottaviano” del 1546 delle Gallerie Nazionali di Capodimonte a Napoli; il “Carlo V a cavallo” del 1548 conservato a Madrid nel Prado; il “Martirio di S. Lorenzo” della Chiesa dei Gesuiti a Venezia; la “Pietà” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. 

La Pala dell’Assunta Chiesa S. Maria Gloriosa dei Frari
L’imponente pala, commissionata a Tiziano nel 1516 da frate Germano, priore del Convento dei Frari, suscitò alla consegna, due anni più tardi, forti imbarazzi alla committenza ed un’accoglienza piuttosto fredda; la tradizionale iconografia dell’Assunzione in cielo della Vergine veniva infatti completamente rinnovata e stravolta dal Maestro – probabilmente debitore di coevi motivi raffaelleschi – al punto da apparire artisticamente blasfema: la concitazione delle gigantesche figure, il tono fiammeggiante delle vesti e delle carni, l’agitata scenografia, fanno tuttavia di quest’opera una pietra miliare della produzione giovanile dell’artista e, anzi, quella della sua consacrazione definitiva, al punto, grazie all’eccezionale fortuna critica, di divenire in seguito l’immagine più nota del Maestro cadorino.
Dopo un periodo di esposizione alle Gallerie dell’Accademia, dove divenne uno dei dipinti preferiti e osannati dell’ Ottocento, il capolavoro tizianesco è tornato alla sua collocazione originaria nell’altar maggiore della Basilica nel 1919, dove oggi si può ammirare nelle esatte condizioni per le quali l’artista l’aveva pensata.

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