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L’uomo più veloce del mondo è devoto alla Medaglia Miracolosa

Posté par atempodiblog le 17 août 2016

L’uomo più veloce del mondo è devoto alla Medaglia Miracolosa
di Aleteia

L’uomo più veloce del mondo è devoto alla Medaglia Miracolosa dans Articoli di Giornali e News Usain_Bolt_e_Medaglia_Miracolosa

Usain Bolt è attualmente l’uomo più veloce al mondo: per le terze Olimpiadi consecutive (dopo Pechino 2008 e Londra 2012), il 14 di agosto ha ottenuto la medaglia d’oro nei 100 metri. Ma queste tre medaglie d’oro non sono le uniche che porta. L’atleta ne indossa un’altra sempre al collo, conosciuta come Medaglia Miracolosa, frutto delle apparizioni della Madonna a Santa Caterina Labouré.

Usain_Bolt dans Rue du Bac - Medaglia Miracolosa

Bolt appartiene infatti a una famiglia cattolica, confessione minoritaria in Giamaica. Il suo secondo nome, Leo, gli è stato dato in ricordo in un Papa dei primi secoli del cristianesimo. L’atleta è tendenzialmente riservato, ma non nasconde la sua fede: anzi, fa spesso il segno della croce e sui social network ringrazia Dio per i suoi successi (ma anche per le sue sconfitte).

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Olimpiadi. Il “selfie” delle ginnaste riunisce le Coree

Posté par atempodiblog le 17 août 2016

Olimpiadi. Il “selfie” delle ginnaste riunisce le Coree
Continua a suscitare interesse e commenti una delle foto simbolo delle Olimpiadi di Rio, quella del selfie scattato da due atlete coreane, una del Nord e l’altra del Sud, e definito da più parti la “l’icona dell’unità” tra due Paesi nemici da oltre 60 anni.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Olimpiadi. Il “selfie” delle ginnaste riunisce le Coree dans Articoli di Giornali e News Lee_Eun_Ju_e_Hong_Un_Jong

Il gioco di parole viene facile: ciò che il 38.mo parallelo divide, due parallele asimmetriche hanno unito, assieme a qualche migliaio di pixel come un buon selfie impone. La foto che si scattano insieme contente due atlete formalmente “nemiche”, a loro volta immortalate da un fotografo in servizio tra le pedane dell’Arena di Barra a Rio de Janeiro, è l’icona che sgretola nello spazio di un flash gli effetti di tanti proclami guerrafondai e di provocazioni muscolari a colpi di test missilistici ed esercitazioni militari congiunte.

Perché se le prime a non ricordarsi, o forse a ignorarlo di proposito, di doversi comportare come le obbligherebbe il peso di 60 anni di storia e di separazione sono due ragazze, una anzi poco più che ragazzina, allora il mondo ha davvero speranze di futuro migliori di quelle soffocate dal pessimismo allarmato che oggi dilaga.

A ben guardarli, i visi accostati di Lee Eun-ju, sudcoreana, 17 anni, e di Hong Un-jong, 27 anni, nordcoreana e campionessa olimpica, e soprattutto il loro sorriso non di facciata, ci raccontano senza bisogno di acuti commenti che, nel loro caso, né la strategia dell’odio di regime inculcato di padre in figlio né la retorica dello “rogue-State” hanno avuto la forza di avvelenare due ragazze “diversamente coreane” che anzi incontrandosi sotto i cerchi olimpici invece di ignorarsi, come fossero state in divisa invece che in tuta, si sono avvicinate cordiali per stringersi la mano, come si fa tra amici.

E quando la più giovane, ginnasta ancora agli inizi, ha proposto il selfie alla collega celebre e pluridecorata, nessuna delle due deve aver pensato – e il piacere di farsi il selfie lo dimostra – di essersi stretta al fianco della rappresentante di uno “Stato-canaglia” piuttosto che dell’imperialismo occidentale. Più probabilmente, saranno state soprattutto contente di ritrovarsi, da coreane, a difendere in mezzo a dozzine di atlete di tutto il mondo l’onore sportivo del loro Paese, che solo una striscia su un mappamondo e troppo filo spinato e una ostilità continuamente alimentata a freddo si ostina a volere spaccato a metà.

Chissà ora come nei loro Paesi – soprattutto a Pyongyang, si chiedono preoccupati in tanti sui social – verrà presa questa mancanza di aggressività e questa istintiva manifestazione di amicizia tra due nemiche che non sanno di esserlo o non ne vogliono sapere. La speranza è che chi passa il tempo a fare complessi calcoli geopolitici per anticipare a oggi il potere che avrà in futuro si lasci per una volta contagiare dalla levità dei volteggi di cui queste due ragazze sono maestre e riesca a vedere, nella filigrana di una foto bella e “impossibile”, come realmente i giovani, non solo coreani, vorrebbero il loro mondo di domani.

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Belotti, Gallo dal cuore d’oro: «Mia madre non lavora più: è questo il mio gol più bello»

Posté par atempodiblog le 17 août 2016

Andrea Belotti: «Facevo il chierichetto. Vado a Messa»
Serie A, Torino: Belotti, Gallo dal cuore d’oro: «Mia madre non lavora più: è questo il mio gol più bello»
La punta di Mihajlovic: «Ho fame e voglia di arrivare: con Sinisa siamo più offensivi, possiamo fare grandi cose. Ventura? L’azzurro ora devo meritarmelo»
di Paolo Tomaselli – Corriere della Sera

Belotti, Gallo dal cuore d’oro: «Mia madre non lavora più: è questo il mio gol più bello» dans Articoli di Giornali e News

Andrea Belotti è stato il miglior bomber italiano del 2016 con 11 gol, con il Torino di Ventura. Domenica debutta in campionato a San Siro contro il Milan, di cui è stato grande tifoso, soprattutto di Sheva.

Belotti, è lei l’uomo nuovo del nostro calcio?
«Non ho ancora fatto niente di veramente importante, ma sto lavorando per raggiungere tutti gli obiettivi, personali e di squadra. La fame e la voglia di arrivare non mi mancano».

È un perfezionista, dicono.
«Sì. Penso che un giocatore non debba mai porsi dei limiti. L’asticella deve sempre spostarsi più in alto: col lavoro si può raggiungere tutto».

Se avrà il piede caldo come in primavera, le basterà per candidarsi all’azzurro?
«Al debutto col Torino ho fatto fatica. A inizio 2016 ho avuto un boom e ho segnato con continuità. La Nazionale resta un sogno: so che devo dimostrare di meritarmela».

Il nuovo Toro la aiuterà?
«Con l’arrivo di Mihajlovic abbiamo cambiato modo di giocare: siamo più offensivi: possiamo fare grandi cose».

Il suo rapporto col gol?
«Non bisogna mai smettere di segnare, neanche in allenamento: devi creare un rapporto di sangue col gol, tra te stesso e la porta».

Il portiere cos’è per lei?
«Un nemico, che ti può rovinare questo rapporto».

Quale gol rende più felici?
«Di culo o in rovesciata: la gioia è sempre la stessa».

E che sensazione le dà?
«Dentro ti si crea un’energia che vorresti sprigionare per intero, ma non ci riesci. È una sensazione magnifica, come la tranquillità che ti dà: per un attaccante è vita».

Bella soddisfazione a marzo interrompere il record di imbattibilità di Buffon?
«Sì, è stato qualcosa di incredibile. E anche un onore. Anche se quel derby avrei preferito vincerlo».

Perché la chiamano Gallo?
«Perché da piccolo inseguivo i galli nel pollaio di mia zia. E perché il mio amico Juri Gallo mi ha detto di fare questa esultanza per scherzo: ho subito segnato e non ho più smesso di farla».

Infanzia tra oratorio e mance della nonna. Che ricordi ha?
«Andrea era mio nonno, morto sei mesi prima che io nascessi. E con mia nonna, anche per il nome che porto, si è creato un feeling pazzesco. Lei veniva sempre a vedermi e se facevo gol mi dava una mancia o mi portava un salame per festeggiare».

Si aspettava l’esplosione di Dybala, suo ex compagno?
«Sinceramente no. Ha qualità incredibili, ma non pensavo diventasse subito l’uomo simbolo della Juve».

Gli italiani sono più lenti a crescere o li frena il sistema?
«Se non trovi l’allenatore che credi in te, dopo due partite sbagliate ti mettono da parte. È una questione di mentalità. Io per fortuna l’anno scorsa ho trovato Ventura che crede nei giovani e mi ha aspettato».

In cosa l’ha migliorata?
«In tanti piccoli particolari: nel modo di giocare con un compagno, di cercarlo, nel modo di attaccare la porta».

Ventura festeggiava i suoi gol facendo la cresta del Gallo: un bello spettacolo?
«Sì bellissimo. E fa capire il rapporto che abbiamo. Era come se il gol lo avesse fatto lui: ha sempre creduto in me anche quando non segnavo».

L’idolo è Sheva, ma non assomiglia di più a Inzaghi?
«Forse sì, ma Sheva è sempre stato il mio modello: perché segnava in ogni modo ed era sempre un esempio. Sono lontano anni luce da lui, ma con il lavoro duro cerco di assomigliargli un po’ di più».

Oggi chi è il modello?
«Ne studio tanti. Ma soprattutto Aguero, per come si inserisce: la butta sempre dentro».

È religioso?
«Moltissimo. Facevo il chierichetto e quando siamo in ritiro a Torino vado a messa».

Simulare è peccato?
«È brutto. Ed è sempre meglio evitare, per non dare esempi negativi. Dentro l’area però l’attaccante tende a fare il furbo e alla minima situazione cade. Comunque i gol rubati non mi piacciono».

«Se devo spararla grossa sogno il Real». Conferma?
«Sì. Mi piace non avere limiti. Sto facendo tutto il possibile per realizzare i miei sogni».

È diplomato?
«Sono geometra, non si sa mai. E i miei genitori ci tenevano tantissimo».

Cosa fanno i suoi?
«Mio padre lavora in un’azienda tipografica. Mia madre lavorava in un’azienda che produce camice e lei era alla stiratura».

Cosa le hanno insegnato?
«Il valore del sacrificio. E anche quello dell’aiuto al prossimo. L’anno scorso ho voluto fortemente che mia mamma smettesse di lavorare, perché non potevo più vederla così stanca. Se oggi sono così lo devo ai miei genitori. Mi sembrava la cosa giusta da fare».

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