“Il Torino non c’è più, è bruciato”: scompare la squadra, nasce il Mito
Posté par atempodiblog le 2 mai 2016
“Il Torino non c’è più, è bruciato”: scompare la squadra, nasce il Mito
Il 4 maggio 1949 lo schianto a Superga, la folla si raduna davanti a La Stampa
di Gianni Romeo – La Stampa
La squadra del Grande Torino si imbarca per Lisbona per partecipare alla partita di addio al calcio del giocatore portoghese Françisco Ferreira, amico di Valentino Mazzola «Il Torino non c’è più. Scomparso, bruciato, polverizzato…». Sono le prime parole scritte da Vittorio Pozzo su La Stampa del 5 maggio 1949, il breve commento di un uomo schiantato dal dolore. Pozzo nel calcio era stato tutto, allenatore, poi commissario tecnico della Nazionale due volte campione del mondo, da sempre padre putativo della squadra granata e autorevole opinionista della pagina sportiva del quotidiano. «È il solo impavido che ha cuore di prendersi il compito pietoso e orrendo di riconoscere le salme…», scrive Gianni Brera.
Per descrivere i funerali basta citare poche righe di Carlin, Carlo Bergoglio, grande firma del giornalismo sportivo torinese: «Li abbiamo visti venir giù dallo scalone del Juvarra nell’atrio di Palazzo Madama. E come non mai abbiamo avuto contezza dell’immensità della catastrofe. Interminabile ci è parsa a un certo momento la fila. Davanti veniva Vittorio Pozzo che era il padre di tutti. Dall’alto dello scalone tutti ci segnammo per trenta e una volta. Trentuno anni ci parve quella mezzora». Più di 500mila persone erano schiacciate in piazza Castello, piazza San Carlo, via Roma…
La tragedia si consuma nel tardo pomeriggio di mercoledì 4 maggio, alle 17,05. L’aereo che riporta a Torino il gruppo dei granata, giocatori, tecnici, giornalisti (Renato Casalbore fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti responsabile sport alla Gazzetta del Popolo, Luigi Cavallero de La Stampa) dopo la partita amichevole giocata a Lisbona si schianta contro il terrapieno della Basilica di Superga. Il G212 è cieco, ingannato dall’altimetro in un giorno di tempesta, il cielo nero come l’inchiostro, il vento a raffiche, l’uragano. È proprio La Stampa a diffondere per prima la notizia, quando non esiste ancora la tivù e i giornali radio arrivano solo di sera. In Galleria San Federico, dal lato che si affaccia su via Bertola, le telescriventi de La Stampa facevano scorrere le notizie più importanti della giornata. Lì appare la parola terribile, tragedia, lì comincia a radunarsi una folla che moltiplica l’urlo per la città.
Una sola firma
Per giorni e giorni la vicenda occupa la prima pagina, la seconda, la cronaca sportiva. Articoli rigorosi che non indugiano sul colore, sul superfluo. Articoli tutti anonimi, salvo l’eccezione concessa a Vittorio Pozzo, data la statura del personaggio. La Stampa da un anno ha un nuovo direttore, Giulio De Benedetti, che consente a pochi l’onore della firma. Mai comunque nelle pagine di cronaca o di sport, dove si raccontano i fatti e non esistono le interviste. Nel caso del Grande Torino nemmeno la dolce storia di Carla e Virgilio trova posto sulle pagine del giornale. Una bella giovinetta, Carla Bombelli. A 18 anni incontra Virgilio Maroso, lui ne ha 22, è un terzino arrivato in granata dal Veneto, ha il tocco vellutato, l’amore sboccia, a 19 si sposano, a 20 lei è già vedova. «Arrivarono persino due giornalisti da Londra, dalla Bbc, per raccontare la nostra storia, ma sulla Stampa nemmeno la foto delle nozze …», ci disse lei un giorno.
La pagina sportiva nel dopoguerra si saziava di Coppi e Bartali re del ciclismo, di Ascari e Farina assi della nascente Formula 1, del Toro che mandava 10 giocatori in Nazionale, della Juve che stava alzando la testa grazie a un centravanti sedicenne scovato nel Novarese, Giampiero Boniperti. Ma questa è un’altra storia…
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