Presentazione de “La grandezza dell’umiltà. La virtù che salverà il mondo”, autore padre Livio Fanzaga, Edizioni PIEMME
Sarebbe un errore considerare l’umiltà una virtù di dettaglio, come se fosse un ornamento prezioso, ma non necessario. Nonostante questa virtù sia una caratteristica fondamentale del Figlio di Dio e della Vergine che lo ha generato, essa non gode la fama di altre virtù ritenute più eccellenti. In realtà è una virtù fondamentale, essendo il terreno sul quale crescono tutte le altre, ma soprattutto è una delle più difficili da conseguire, tanto da poter dire che l’umiltà è la misura della santità. Infatti, se è vero che la carità è la regina di tutte le virtù, è per la presenza dell’umiltà che essa “non si gonfi a”, rischiando di corrompere se stessa. Grazie all’umiltà, più uno cresce in santità e più si ritiene un peccatore. Cadrebbe rovinosamente dalla vetta della perfezione un santo che si compiacesse di essere tale. L’umiltà è una virtù talmente ardua da raggiungere che è pressoché sconosciuta nelle religioni e nelle culture non cristiane: questo fiore rarissimo è cresciuto nel giardino della divina rivelazione ed è rimasto un’esclusiva del cristianesimo. L’umiltà infatti è una luce di verità che viene da Dio e che rivela all’uomo la sua condizione esistenziale di creatura. Laddove regna la tenebra, l’uomo è in balìa del suo io, sempre pronto a prevaricare pur di affermare se stesso.
La grandezza di questa virtù, messa ai margini della vita sociale, si coglie nella contrapposizione al vizio capitale della superbia. Nella Sacra Scrittura, come nella tradizione spirituale cristiana, la superbia, con tutte le sue proliferazioni, è il più insidioso e il più deleterio dei vizi. Infatti è a causa della pretesa di Adamo di essere «come Dio» che l’umanità è precipitata nella catastrofe esistenziale in cui si trova, perdendo non solo Dio, ma anche i doni di cui l’uomo era stato ricolmato. La superbia viene messa al primo posto nella scala dei vizi capitali ed è considerata la madre di tutti gli altri. La sua origine è il veleno iniettato dalla serpe infernale che non tollera l’umile sottomissione alla divina volontà. In ultima istanza, la superbia è il rifiuto del proprio status di creatura, nella folle esaltazione di se stessi e nell’illusione di essere padroni della propria vita. Persino la cultura pagana, pur non conoscendo l’umiltà nella mirabile luce della divina rivelazione, coglie la pericolosità del tentativo dell’uomo di andare oltre i propri limiti. Il peccato di «Hybris», col quale l’uomo sfida il divino, è considerato dai Greci il più grave e il più gravido di conseguenze. L’uomo di oggi, nel suo tentativo di costruire un mondo senza Dio, mettendosi al suo posto, ha dimenticato la grande lezione della sapienza antica.
Le riflessioni che si snodano nei capitoli del libro hanno come scopo di portare il lettore nel santuario della sua interiorità, per conoscere nel medesimo tempo la sua miseria e la sua grandezza. L’umiltà infatti è uno sguardo di verità su se stessi, che permette di vedere il male che deturpa e, nel medesimo tempo, l’immagine divina che eleva e che nobilita. L’uomo non è mai così grande come quando riconosce di essere un peccatore, guardando se stesso e gli altri con lo sguardo della compassione. Ma non è mai così in pericolo come quando si chiude nell’arroganza, credendosi superiore agli altri, e si indurisce nell’incapacità di chiedere perdono. Solo la virtù dell’umiltà è la medicina che consente all’uomo di liberarsi dalla tirannia del suo “io” e di gustare dentro di sé la dolcezza della pace.
L’umiltà è una perla rara
L’umiltà è per sua natura una virtù nascosta, come i fiori che, sul finire dell’inverno, si celano sotto la neve, come se temessero di mostrarsi nel loro splendore. L’umiltà è schiva e non ama il palcoscenico, benché poche virtù più di essa meritino l’applauso. L’umiltà è silenziosa, perché non vuole attirare l’attenzione e preferisce mettersi in ascolto invece di salire in cattedra. L’umiltà, nella corsa sfrenata verso la visibilità, preferisce l’angolo di ombra, dove nessuno la nota. L’umiltà, alla scalata che porta alla gloria, preferisce la discesa nella valle oscura. L’umiltà cede volentieri il primo posto, dove tutti fanno ressa, e si sistema all’ultimo dove nessuno la spodesta. L’umiltà veste i panni dimessi della persona qualunque, perché desidera passare inosservata. L’umiltà tende la mano quando nessuno guarda, perché non si sappia a chi appartenga. L’umiltà più cresce e più diminuisce di statura, fino a perdersi fra la spazzatura. L’umiltà è operosa, ma fa sparire le tracce, lasciando una scia di profumo soave. L’umiltà ama l’oblio, per perdersi completamente in Dio. Fare l’elogio dell’umiltà è un’impresa ardua. Solo l’umilissima Vergine ne è stata capace. L’umiltà è una perla di inestimabile valore, ma è così rara che pochi la trovano. [...]
L’umiltà luce di verità
L’umiltà è una luce che permette di guardare a se stessi con misericordia, prendendo atto che siamo creature fragili e inclini a commettere errori. L’umile non fa fatica a riconoscersi peccatore. Questo spiega perché i santi, più avanzavano nel cammino di conversione e più si battevano il petto. Tuttavia non fermavano lo sguardo sulle proprie miserie, ma lo elevavano sulla compassione divina, che è sempre pronta a perdonare chi riconosce le proprie colpe.
L’umiltà è uno sguardo vero sulla realtà, vista nella luce di Dio. L’umile vede se stesso e gli altri a partire da Colui che conosce ogni cosa nella sua verità. C’è un legame profondo fra l’umiltà e la verità. L’una è la causa, l’altra l’effetto. L’umiltà ti permette di vedere le cose così come sono, come Dio le vede. Non potrai certo avere la profondità del suo sguardo, ma ti poni nella giusta prospettiva. Quando guardi a te stesso nella luce divina, non potrai mai disprezzarti perché, insieme alla tua miseria, vedrai la tua grandezza. Allo stesso modo non potrai esaltarti, perché ti sarà chiaro che nulla è tuo e tutto ti è stato donato.
Potremmo definire l’umiltà lo sguardo interiore che vede le cose grazie alla luce vera che viene dall’alto. Più una persona è umile e più il suo sguardo è luminoso. Per questo le persone più sono umili e più sono sapienti. L’umile ancella del Signore ha meritato di essere la sede della sapienza.
Al contrario la superbia è una forma di accecamento. I superbi se ne rendono conto soltanto se hanno la grazia di convertirsi e di fare l’esperienza della luce divina. Diversamente avviene per loro quanto detto da Gesù riguardo a coloro che sono ciechi, ma credono di vedere, e perciò il loro peccato rimane (cfr. Giovanni 9, 41).
Per quale motivo la superbia è una forma di accecamento spirituale? La ragione risiede nel fatto che il superbo non vede la realtà attraverso la luce di Dio, cercando di partecipare al suo sguardo, ma attraverso la finestra angusta del proprio io.
In ogni uomo c’è la luce dell’intelletto che gli viene donata dal Creatore, grazie alla quale diviene capace di conoscere le cose divine, ma essa si estingue nella misura in cui si allontana dalla fonte. Più l’uomo esalta il suo io, sostituendosi a Dio, e più precipita nelle tenebre della menzogna.
Comprendi, caro amico, che vi è pure un rapporto di causa ed effetto fra superbia e menzogna. Non per nulla l’angelo ribelle è bollato da Gesù come colui che «non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Giovanni 8, 44).
La menzogna della superbia ha la sua radice nell’esaltazione dell’“io” che, nella vita di una persona, ha preso il posto di Dio. Il superbo non vede più la realtà così com’è, nella luce della verità, ma la vede deformata nella falsa luce della menzogna. Si illude di vedere, ma in realtà è accecato. Non distingue più il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto. Non è più in grado di incamminarsi sulla via della salvezza, mentre corre sempre più veloce sulla via della rovina. Solo quando piegherà le ginocchia e invocherà la luce dall’alto, cadranno le squame dai suoi occhi – come accadde a Saulo, divenuto Paolo – e incomincerà a vedere. L’accecamento è la conseguenza inevitabile di quando si guarda alla realtà nella prospettiva dell’io. Tutto viene falsificato perché a fondamento della vita viene messa una creatura al posto del Creatore. Se la superbia è avvolta dalla tenebra della menzogna, l’umiltà si ammanta della luce di verità.
L’umile non si disprezza, non cede a forme di falsa modestia, ma cerca lo sguardo di Dio. Non esita a professarsi creatura, nella consapevolezza gioiosa della sua totale dipendenza dal Creatore. Nella luce divina vede il suo nulla, perché non esisterebbe se Dio non lo sostenesse. Vede anche i suoi limiti, le sue miserie, le sue ferite e i suoi peccati. Più il suo occhio è limpido e più la realtà si manifesta al suo sguardo come Dio la vede. Coglie fino in fondo la malizia e l’orrore di ogni peccato commesso, ma nel medesimo tempo l’amore che ha portato Gesù fino alla morte di croce. Non si nasconde, non si giustifica, ma lascia che l’amore misericordioso curi le ferite. Non fa fatica a professarsi peccatore, bisognoso di perdono e di redenzione. Lascia che il suo cuore sia trafitto dalla compunzione, perché possa scendere copiosa la grazia del perdono. L’umile chiede, l’umile accetta, l’umile ringrazia. Questo è ciò che Dio desidera di più, perché la sua infinita misericordia trovi cuori che la accolgono. L’umile vede anche la grande dignità nella quale Dio ha collocato l’uomo, creandolo capace di conoscerlo, di amarlo e di servirlo. L’umile vede la bellezza e la grandezza della sua persona, sulla quale Dio si è chinato per elevarla fino a sé. L’umile vede le grazie e i doni che l’Onnipotente riversa sulle sue creature, ma sa che potrebbe perdere tutto con un solo movimento falso del cuore. Col cuore pieno di gratitudine ringrazia e canta la gloria di Dio. Egli sa che la gloria di Dio non è la celebrazione di se stesso, ma la partecipazione delle sue creature alla sua immensa grandezza. L’umile gode della sua piccolezza ed è felice di essere una creatura, alla quale il Padre celeste ha dato la dignità di figlio. L’umile non indietreggia dinanzi alle missioni che Dio gli affida, perché sa che la falsa umiltà è una forma di superbia, ma le accetta con coraggio, confidando nell’aiuto di Dio. È con questo atteggiamento che Davide ha affrontato e sconfitto Golia. Ed è con questa umiltà coraggiosa che l’ancella del Signore è divenuta la madre del Salvatore. L’umile vede gli altri nella luce di Dio: non li considera dei rivali, non li guarda dall’alto in basso, non si lascia morsicare dalla serpe dell’invidia, non si considera superiore a nessuno.
Chi si sente perdonato, amato e apprezzato da Dio non sente il bisogno di sminuire gli altri, di criticarli e di metterli in cattiva luce. Al contrario gioisce perché il giardino di Dio è ricolmo di una grande varietà di fiori, ognuno con la sua specifica bellezza. Lui si considera un fiore che concorre con tutti gli altri all’opera mirabile della creazione e della redenzione. L’umiltà ottiene il dono della conoscenza delle cose divine e rende sapienti le persone semplici e nascoste. È nei loro cuori che brilla la luce limpida della verità.