Un referendum ipocrita
Posté par atempodiblog le 2 avril 2016
Un referendum ipocrita
di Matteo Ginola – In Terris
In questi giorni si sta assistendo a una continua proposta di approfondimenti relativi alla consultazione referendaria, programmata per il 17 aprile prossimo, relativa alle norme che consentono alle piattaforme già esistenti di estrarre idrocarburi dal fondo marino.
I comitati promotori hanno fatto della cosa una bandiera a sfondo ecologista e montato una campagna pubblicitaria piuttosto martellante, anche se fino a poco tempo fa la questione era rimasta in sordina, spiegando come la vittoria del SI avrebbe un fortissimo impatto sulla tutela dell’ambiente andando a vietare il rinnovamento delle concessioni estrattive oggi vigenti entro il limite delle 12 miglia marine. Il consenso pare essere divenuto già piuttosto ampio e trasversale ai gruppi politici, come il parere opposto a onore del vero, e, tra una trasmissione e l’altra passando per i social network, sta passando il messaggio che il successo della consultazione referendaria sarebbe una vittoria sui petrolieri e consentirebbe una maggior valorizzazione e tutela dell’ambiente costiero.
Il vero problema è che tutta questa propaganda si basa su un messaggio non veritiero, al limite della menzogna.
Vediamo il perché…Come di consueto il quesito vero, che sarà votato tra qualche giorno, è ignoto ai più ed è espresso in maniera sibillina dovendo attenersi alla natura costituzionale del Referendum che può essere esclusivamente abrogativo e deve avere una valenza propositiva. In altre parole, l’istituto può cassare una norma ma non riscriverla, men che meno con una procedura che potrebbe essere definita “taglia e cuci”.
Il testo in votazione, infatti, è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?»
In pratica si andrà a cancellare il limite temporale che l’ultima Legge di Stabilità ha introdotto nella norma relativa al rinnovo delle concessioni estrattive già esistenti entro il limite delle 12 miglia marine mentre la possibilità di accenderne di nuove era già inibita dal disposto contenuto nel primo periodo del citato at.6 comma 17 del D.lgs. 152/2006.
La prima imprecisione è data dall’aspetto ecologista attribuito alla consultazione, in quanto nonostante siano proibite nuove trivellazioni entro il limite delle 12 miglia marine nulla vieta che una nuova piattaforma possa essere collocata a 12.5 miglia, ad esempio, cosa che avrebbe lo stesso impatto, a livello ambientale, di un’installazione entro il limite imposto dalla norma ma queste sono quisquilie.
I punti più importanti sono gli aspetti giuridici e “morali” che sono richiamati dai comitati per il SI. La norma che potrebbe essere novellata dopo la consultazione andrebbe a recitare: “[omissis] I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi. [omissis]”
Come è facilmente osservabile la lettera del dispositivo non fa più alcun riferimento a un limite temporale, questo comporta che non sia affatto vero che venga vietato il rinnovo della concessione al termine di quella già esistente ma, invece, la norma potrebbe essere interpretata sia come una concessione illimitata sia come una maggiore discrezionalità degli enti preposti nel concedere o meno il rinnovo. In pratica si va a creare una maggiore incertezza dal lato del mantenimento delle concessioni e non si raggiunge minimamente lo scopo che, invece, è stato comunicato come fine ultimo della campagna referendaria.
Anche la questione dei “cattivi petrolieri esteri” è, quantomeno esagerata, delle 21 piattaforme coinvolte, 7 sono di proprietà di Eni, altre sei di società italiane o di branch italiane di Aziende estere e le restanti sono tutte sotto società Ue. Al di là degli oneri di concessione (aliquota del 10% sul valore del gas e del 7% su quello del petrolio estratto) ogni provento generato dall’attività estrattiva è soggetto al fisco italiano, ancor più se la società proprietaria avesse sede legale e fiscale in Italia, generando un non trascurabile flusso di risorse a favore dell’Erario. Sembra evidente, quindi, che anche lo slogan relativo alle concessioni a “un tozzo di pane” che si legge spesso sui social sia completamente infondato.
Queste sono le ragioni per cui lo scrivente ritiene questo referendum una forzatura, inutile e costosa, anche perché l’unico vero effetto certo della votazione sono i 300 milioni di Euro, circa, spesi per l’organizzazione e che, ovviamente, vengono dalle tasse che tutti noi paghiamo.
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