La ricetta dei crespillos

Posté par atempodiblog le 18 mars 2016

Ogni anno il venerdì prima della Domenica delle Palme, onomastico della signora Dolores, madre di san Josemaría, tutta la famiglia era in attesa del dolce tipico di questo giorno: i crespillos.

I crespillos

INGREDIENTI
(da 6 a 8 persone sono): 

1, 5 dl Latte (150 g)
200 g Farina 
2 Uova (100 g)
1 Cucchiaino di lievito in polvere
10 g Zucchero (un cucchiaio) 
½ Kg Foglie di spinaci freschi
Zucchero da spargere sopra

MODO DI FARLI:

Lavare molto bene gli spinaci e lasciare le foglie con 2 o 3 cm di lunghezza.
Fare una massa mescolando gli ingredienti in quest’ordine: in un recipiente si mette la farina con lo zucchero e il lievito, si aggiungono il latte e le uova e si unisce bene il tutto.
Asciugare l’acqua delle foglie degli spinaci, passarli per questa massa e friggerle in abbondante olio caldo a 170° C. Scolare bene.
Una volta fritti passarli nello zucchero.
Servire al momento, in un piatto da dolce avvolti in un tovagliolo bianco. 

Tratto da: Cocina Inteligente, di Alicia Bustos
Fonte: josemariaescriva.info

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San Patrizio: modello di coraggio cristiano

Posté par atempodiblog le 17 mars 2016

San Patrizio: modello di coraggio cristiano
di Augusto de Izcue – Radici Cristiane

san patrizio trifoglio

San Patrizio nacque nel 387 vicino a Dumbarton, Scozia, e ricevette il nome celtico di Maewyn Succat. Era figlio di Calphurnius e di Conchessa, ambedue di fede cristiana. Il padre, di nobile origine romana, era decurione. I dettagli della sua vita ci sono ben noti per via dell’opera auto-biografica Confessio, scritta in latino intorno all’anno 450. Rapito quando aveva sedici anni da pirati irlandesi, Patrizio fu venduto come schiavo a un capo di nome Milchu, signore di Dal Riada nell’odierna Irlanda del Nord. Per ben sei anni pascolò le greggi del padrone, imparando alla perfezione la lingua locale. Milchu era anche un alto sacerdote druida, situazione di cui san Patrizio approfittò per conoscere in profondità la religione celtica, senza mai abbandonare la fede cristiana, secondo quanto egli stesso racconta: «Nella misura che aumentava in me la paura, cresceva la fede (…) sicché sono arrivato a recitare in un solo giorno fino a cento preghiere mentre ero nei pascoli o sulle colline». Fuggito dopo sei anni, fece ritorno in Scozia. Ma ormai il suo cuore era altrove: voleva diventare missionario. Andò quindi in Francia per eseguire gli studi ecclesiastici. Troviamo le sue tracce a Tours, dove conobbe san Martino, a Lérins, dove studiò teologia nel celebre cenobio, poi ad Auxerre, dove divenne discepolo del grande san Germano, futuro vescovo. Ordinato sacerdote, accompagnò il maestro nella trionfale missione in Bretagna contro gli eretici pelagiani. Ma egli continuava a sognare l’Irlanda, letteralmente. Racconta, infatti, che spesso sognava bambini del paese di Focluth che gli dicevano: «O giovane santo, torna in Erinn e cammina di nuovo in mezzo a noi!».

San Patrizio in Irlanda
Fu allora che Papa S. Celestino I, entrato nella storia per aver combattuto con successo le eresie pelagiana e nestoriana, nonché per aver convocato il Concilio Ecumenico di Efeso, che definì importanti verità sulla Madonna, incaricò san Patrizio di evangelizzare l’Irlanda. San Patrizio sbarcò sull’isola nell’estate del 432. Dopo aver evangelizzato gli abitanti di alcuni paesi litoranei, lasciandovi discepoli per continuare la loro formazione, egli procedette verso Dal Riada poiché voleva pagare il riscatto al suo vecchio padrone Milchu. Intanto i druidi avevano già avuto sentore del suo arrivo e cercavano di aizzargli contro i baroni. Uno, di nome Dichu, tentò di sbarrargli la strada minacciandolo con la spada, ma fu placato dalla presenza di spirito del Santo. Dichiarandosi convertito, egli fece omaggio di una grande sabhall, cioè una cascina, dove san Patrizio poté celebrare i sacri misteri. La sua fama di santità cominciò a diffondersi in tutto Erinn. Arrivando a Dal Riada, trovò le rovine fumeggianti del castello di Milchu. Una vecchia ballata racconta che, non sopportando l’idea di dover affrontare un ex-schiavo, in un accesso di follia egli diede fuoco alla sua casa, buttandosi quindi nelle fiamme. Tornando nelle terre di Dichu, san Patrizio apprese che Leogharié, l’Ard Righ hÉ Reann, cioè Re Supremo dell’Irlanda, aveva convocato una grande assemblea di nobili e druidi nella città di Tara al fine di celebrarvi la festa di Bealteiné, in coincidenza con l’equinozio di primavera. Era un’occasione da non perdere! In cammino verso Tara, egli si trattenne qualche giorno nella casa di un barone chiamato Secsnen, convertendo lui e tutta la famiglia. Uno dei figli, Benen, fu particolarmente colpito dal Santo. Mentre questi dormiva, Benen gli spargeva attorno fiori aromatici per addolcire il suo riposo. Benen lasciò la casa paterna per seguire san Patrizio. Ordinato sacerdote e vescovo, egli fu eletto coadiutore e quindi successore suo nella sede arcivescovile di Armagh.

Il coraggio di un santo
Arrivato segretamente a Tara, san Patrizio tese una trappola ai druidi, accendendo un fuoco sulla vicina collina di Slane prima che il Sommo Sacerdote potesse accendere il sacro fuoco che, secondo il vecchio rito pagano, doveva rigenerare Erinn. Ne seguì l’episodio forse più emblematico dell’epopea di san Patrizio: la sua vittoriosa sfida con i druidi, che raccontiamo separatamente. Questo episodio rammenta singolarmente la sfida del profeta Elia con i sacerdoti di Baal (1Re 18, 21ss), e svela un tratto caratteristico del Patrono dell’Irlanda: il coraggio. Vivamente impressionato, l’Ard Righ gli concesse l’autorizzazione di predicare pubblicamente. Insieme al coraggio, l’episodio mostra anche un’altra caratteristica dell’apostolato di san Patrizio: quello che, in termini un po’ provocatori, potremmo chiamare “opzione preferenziale per i nobili”. Il Patrono dell’Irlanda, infatti, privilegiava la conversione dei baroni, salvo poi arrivare più facilmente al popolo. Tattica vincente che gli permise di evangelizzare in tempi relativamente brevi tutto un Paese.

Il battesimo di Erinn
San Patrizio rimase a Tara ancora per qualche giorno, catechizzando le genti. Intanto, nella vicina città di Teilten si stavano celebrando i giochi nazionali. Approfittando di questo raduno, egli vi si recò per predicare. A presiedere i giochi c’era nientemeno che il fratello dell’Ard Righ, Conall, che, toccato dalla focosa parola del Santo, si convertì e fu battezzato in cerimonia pubblica il 5 aprile. Alcuni seguaci del Santo, tra cui Benen, erano già stati battezzati in segreto. Il battesimo di Conall segnò l’inizio della vita pubblica della Chiesa in Irlanda, ed è perciò segnato nei vecchi calendari come “Il Battesimo di Erinn”. Conall fece dono a san Patrizio di un terreno nonché di fondi per costruirvi una chiesa, che fino ai giorni nostri è nota come Donagh-Patrick.

Fondatore della Chiesa irlandese
Alcuni baroni presenti al raduno di Tara erano della zona di Focluth, da dove provenivano i misteriosi bambini sognati ripetutamente da san Patrizio mentre era in Francia. Il Santo decise di accompagnarli nelle loro terre, che accolsero festose la buona novella. Sulla strada, venne informato che a Magh-Slecht, distante poche miglia, v’era un grande concorso di druidi per venerare il dio Crom-Cruach, in realtà una statua ricoperta di placche di argento e oro. Arrivando sul posto, preso da santa ira, san Patrizio colpì l’idolo col suo pastorale, mandandolo in frantumi davanti agli occhi sbalorditi dei druidi. Arrivando a Killala, nell’attuale contea di Mayo, egli trovò tutta la popolazione ad aspettarlo e avida di sentire la sua predica. Il Re, insieme a 12.000 sudditi, ricevettero il Battesimo.San Patrizio trascorse ben sette anni nel Connaught, predicando, convertendo, battezzando e organizzando la giovane Chiesa. Nel 440 egli si trasferì nell’Ulster; lì il Re Daire gli fece omaggio di un terreno nella contea di Armagh, dove san Patrizio costruì una grande chiesa, inaugurata qualche tempo dopo in solenne cerimonia presieduta da un inviato del Papa. In seguito questa diverrà la Sede Primaziale. Passando nel Leinster, come era solito, san Patrizio iniziò la sua missione convocando un raduno dei baroni. A Naas, capitale del regno, egli battezzò due figli del Re. Procedette quindi nel Munster, dove fu accolto dal Re e dai baroni nella città di Cashel. È qui che si verificò un episodio alquanto pittoresco. Nell’atto di battezzare Aengus, figlio del Re, il Santo inavvertitamente trafisse il suo piede con la punta affilata del pastorale, provocandogli una grave ferita. Aengus rimase tuttavia impassibile. Solo a cerimonia finita san Patrizio si rese conto che il principe aveva il piede sanguinante e gli chiese spiegazioni. Aengus rispose che pensava facesse parte della cerimonia, una sorta di sacrificio per poter poi gustare le delizie del Paradiso!

Un campanello contro i demoni
Sentendo prossima la fine, san Patrizio si ritirò sul monte allora conosciuto come Croghan Aigle (Vetta delle Aquile), in seguito chiamato Croagh Patrick. Accogliendo un’ispirazione del suo angelo custode, egli digiunò e pregò per 40 giorni, dormendo in una grotta. Prima di andarsene voleva impetrare da Dio la grazia della perseveranza nella Fede per il popolo irlandese. Furono giorni di lotta intensa contro i demoni, che gli apparivano in forme orrende cercando in ogni modo di turbarlo. Nonostante le preghiere del Santo, gli spiriti maligni si accanivano sempre di più. Ad un certo punto, esausto di tanta battaglia, egli prese un campanello che soleva portare con sé per annunciare il suo arrivo, e cominciò a suonarlo con forza. Immediatamente i demoni svanirono, le tentazioni cessarono e l’atmosfera si rasserenò. Antiche tradizioni raccontano che il tintinnio fu sentito su tutta l’isola, ovunque portando tranquillità e benessere.

“Forte con Dio”
Ma san Patrizio non scese dal monte. Aveva vinto i demoni, ma voleva “vincere” anche Dio, come fece Giacobbe (Gn 32m 23ss) meritando perciò il nome d’Israele, che vuol dire “forte contro Dio”. Toccato da tanta preghiera e penitenza, Dio inviò un angelo per dire a san Patrizio che concedeva la grazia della perseveranza dell’Irlanda nella Fede cattolica. Ma questi non mollava. L’angelo tornò diverse volte, annunciando nuove concessioni da parte di Dio. Inutile! Il Santo continuava a pregare e a digiunare. Finalmente, in una visione gloriosa, l’angelo apparve per dirgli che Dio concedeva al suo servo le seguenti grazie: l’Irlanda conserverà sempre la Fede; l’Irlanda porterà la Fede in altri Paesi; le orde barbariche non distruggeranno la Chiesa in Irlanda; molte anime si salveranno per la sua intercessione; l’Irlanda sarà distrutta prima del Giudizio Finale per risparmiarle l’apostasia; nel giorno del Giudizio, egli giudicherà il popolo irlandese, sedendo alla destra di Nostro Signore. Il Santo era ormai pronto per il viaggio finale. Il 17 marzo 493, avendo ricevuto i sacramenti da san Tassach, egli spirò mentre era in preghiera accompagnato da santa Brigida. San Patrizio fu sepolto in un tumulo donato dal Re, dove secoli dopo sorgerà la cattedrale di Down.

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Maria che scioglie i nodi: la testimonianza di due coniugi francesi

Posté par atempodiblog le 17 mars 2016

Maria che scioglie i nodi: la testimonianza di due coniugi francesi
Denis e Suzel Bourgerie si sono conosciuti proprio pregando la celebre novena cara a papa Francesco. E hanno avuto una vita piena di grazie…
di G. S.
Tratto da: Zenit

Maria che scioglie i nodi: la testimonianza di due coniugi francesi dans Fede, morale e teologia 70etlk

Per molti romani è stata una sorpresa, la testimonianza dei coniugi Bourgerie in due chiese della capitale. Denis e Suzel Bourgerie, fondatori del celebre santuario di Campinas e della Novena a Maria che scioglie i Nodi, nei giorni scorsi sono stati ricevuti in Vaticano.

A fine giornata, poi, la coppia di sposi non si è sottratta alle domande di adulti e ragazzi che, in questi anni hanno conosciuto questa devozione tanto cara a papa Francesco.

Fu proprio il cardinale Bergoglio a introdurre in Argentina il filiale affidamento alla Madonna raffigurata in un dipinto con un nastro tra le mani. Con il passare degli anni e il susseguirsi di prodigiose testimonianze di rinascita, l’appello alla Vergine si è diffuso in tutto il Sud America.

Infatti, la vita di ogni uomo è intralciata da nodi o problemi che ostruiscono il fluire della felicità. Solo una Donna può accogliere questi affanni, che spesso ci bloccano per anni, e risolverli secondo la Volontà del suo Divin Figlio. Lo ha sperimentato pienamente Denis, aviatore affermato e brillante, consacrato da bambino dalla mamma nella cattedrale di Notre Dame de Paris.

Quest’uomo desiderava un tesoro più grande dei successi professionali e fiducioso implorò la Madre di Cristo per trovare la donna della sua vita. Anche Suzel sperava in cuor suo di condividere la vita cristiana con uno sposo straordinario. Il Signore aveva nei Suoi progetti questo incontro ed i due si riunirono in Brasile per un luminoso fidanzamento che li condusse al matrimonio cattolico.

Nell’incontro tenuto presso la parrocchia dei Rogazionisti di piazza Asti, Denis ha raccontato anche delle difficoltà incontrate nel luogo dove sorgeva l’iniziale Chiesa di Maria Porta del Cielo. In questa città, non molto distante da San Paolo, sorgeva una inquietante discoteca con simbologia pagana che quotidianamente invitava allo sballo ed alla perdizione.

Dopo una lunga ma fiduciosa attesa la Provvidenza gli ha permesso l’acquisto della discoteca che è stata trasformata in una grandissima casa di preghiera che ogni giorno accoglie migliaia di pellegrini e bisognosi.

Da questo santuario si è diffusa la Novena scritta dalla signora Bourgerie, con una invocazione per essere consolati da preoccupazioni, conflitti relazionali, problemi economici, ecc.

Grazie ad Alessandra, giovane di Nuovi Orizzonti, nella serata romana dopo la spiegazione del quadro, Denis ha vigorosamente detto a tutti i presenti che “chiunque desidera incontrare l’amore sponsale può chiedere a Dio ciò, attraverso una lista, con le caratteristiche che la persona dovrebbe avere!”.

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In un libro le parole di Ratzinger sulla centralità dell’idea di misericordia

Posté par atempodiblog le 16 mars 2016

In un libro le parole di Ratzinger sulla centralità dell’idea di misericordia
di Luigi Accattoli – Corriere della Sera

papa francesco e benedetto xvi

Arriva in libreria un testo di Benedetto che parla di Francesco. Arriva senza clamori ma è una prima assoluta: mai il Papa emerito aveva parlato del successore entrando nel merito della sua predicazione, stavolta invece lo fa. E lo fa in appoggio alla linea di Francesco, lodandone l’impegno sul tema della «misericordia». Le parole sul successore sono poche, quattro righe, ma sono in un contesto impegnativo, che tratta della centralità del tema della misericordia nell’attuale stagione della storia cristiana e costituiscono un inquadramento in positivo di quanto il Papa argentino viene proponendo su questo fronte e che non sempre incontra il gradimento degli addetti ai lavori.

«Papa Francesco — afferma Benedetto nel testo che appare ora — si trova del tutto in accordo con questa linea (che pone la misericordia al centro del messaggio cristiano). La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio».

Gli atti in un volume
Queste parole si trovano in un volume della San Paolo che pubblica gli atti di un convegno teologico che si è tenuto lo scorso ottobre a Roma, nella casa dei gesuiti di via degli Astalli. In quel convegno fu letto dall’arcivescovo Georg Gänswein il testo di un’intervista a Ratzinger sul tema della «giustificazione per fede», che è l’affermazione centrale della Riforma luterana: il 31 ottobre Papa Bergoglio andrà a Lund, in Svezia, a celebrare con i luterani i 500 anni della Riforma. Il volume con il testo di Benedetto è curato dal gesuita Daniele Libanori ed è intitolato «Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa» (San Paolo editore, pp. 199, euro 20).

L’anonimo intervistatore
L’anonimo intervistatore sollecita Ratzinger a svolgere un raffronto tra il sentimento religioso dell’umanità contemporanea a Lutero, segnato dall’idea del peccato e dal bisogno della «giustificazione», e il nostro attuale. Ratzinger sviluppando affermazioni già proposte da cardinale riconosce che oggi non avvertiamo più quel bisogno di scampare alla «collera divina» mossa dal nostro peccato, ma avvertiamo comunque il «bisogno della grazia e del perdono».

«Per me — dice il Papa emerito — è un segno dei tempi il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante». A illustrazione di tale progressiva centralità Ratzinger cita la santa polacca Faustina Kowalska (1905-1938), le cui «visioni» (era una mistica e ha lasciato un diario) riflettono «il desiderio della bontà divina che è proprio dell’uomo d’oggi»; e cita il Papa polacco, che canonizzò la connazionale e pubblicò un enciclica sul tema: «Dio ricco di misericordia» (1980).

Ratzinger nomina Francesco
È a questo punto che Ratzinger nomina Francesco, affermando che si trova «in accordo con questa linea».

Non dice nulla di sé, il buon Benedetto maestro di discrezione, ma sarebbe facile aggiungere che al tema della misericordia va ricondotta la sua prima enciclica intitolata «Dio è amore» (2006) e che è sua, presa da un discorso del 30 marzo 2008, l’affermazione che «il nome di Dio è Misericordia», posta da Francesco a titolo del libro intervista con Andrea Tornielli (Piemme 2016).

«La misericordia di Dio»
Conclusione di Ratzinger nell’intervista: «Gli uomini d’oggi sanno di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza. Nella durezza del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta l’attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente. Mi pare che nel tema della misericordia divina si esprima in un modo nuovo quello che significa la giustificazione per fede».

Non sono affermazioni scontate. Non mancano cattolici che accusano Francesco di operare uno sbilanciamento buonista della predicazione della Chiesa dimenticando la «giustizia divina», la necessità della penitenza, il rischio della «perdizione eterna». In un momento nel quale quelle critiche vanno accentuandosi, l’appoggio che gli viene da Benedetto può risultare prezioso.

Erano già una decina i testi di Benedetto pubblicati dopo la rinuncia al Papato, ma questo è il più importante. Ci dice che la mente teologica del Papa emerito continua a tessere la sua tela. Un tempo l’imbastiva in aiuto al missionario del mondo che fu Papa Wojtyla e ora non disdegna di farlo, dal suo ritiro, ad accompagnamento della predicazione del Papa che propone una «riforma della Chiesa in uscita missionaria».

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Dies Irae

Posté par atempodiblog le 13 mars 2016

Dies Irae
di don Luigi Giussani - Scuola di Comunità, Comunione e Liberazione
Fonte: Tracce

L'accusatrice dei fratelli

La presentazione di don Giussani del film di C.T. Dreyer, pubblicata nel 1996 nel libro Le mie letture della collana Bur “I libri dello spirito cristiano”

La drammaticità che introduce nella vita il senso religioso, così come la vediamo documentata in Dio ha bisogno degli uomini diventa tragedia per l’uomo pensoso, capace di riflettere su di sé veramente: questo è il messaggio amaro, tremendo, grandioso di questo film (Dies Irae; ndr).

Potenza artistica di dizione, di comunicazione di questo film. Un film che comincia come silenzio, le prime battute colme di silenzio segnano il tono dominante di tutto il film. Tutte le parole del film si potrebbero riassumere in tre o quattro pagine di quaderno. Eppure non c’è film che più di questo parli con bordate potenti al cuore.


Le prime sequenze colme di silenzio sono rotte da una frase della strega: «Grande è la potenza del male»: è il titolo reale del film. Grande è la potenza del male che si insinua nella illusione cui è proclive il cuore del singolo, che penetra dentro il tenore normale della folla immediatamente pronta alla violenza contro ciò che non corrisponde alla propria immagine ideale: la strega, appunto. Ma che si insinua e domina anche nel cuore della grande figura del pastore protestante: il protagonista del film, il detentore, il proclamatore e l’amatore della legge. Del resto, tutto questo non gli ha impedito di scegliersi come sposa, già anziano, una giovanissima ragazza; non ha tenuto in considerazione il capestro che le metteva, il destino soffocante cui la costringeva e il prezzo di questa scelta, vale a dire l’eccezione alla regola.

Infatti, avrebbe dovuto condannare, secondo le sue regole, la madre di questa ragazza che era una strega, ma non la condanna contravvenendo alla sua coscienza. Grande è la potenza del male, che perturba dapprima e corrompe la freschezza giovanile della giovane moglie, che investe la volontà e i sensi del figlio del pastore. Anche la moglie dimostrerà di possedere lo spirito malefico della strega sua madre. La giovane moglie del pastore, piena di vitalità, angustiata e imprigionata da quel rapporto, cercherà di liberarsi con il figlio. Però è nel sangue il male, ha ereditato dalla madre il potere magico della stregoneria.

La donna che si vede al principio è un’amica della madre, e al contrario di quella sarà condannata al rogo, e dice al pastore: «La mia amica non l’avete condannata; come hai fatto eccezione per lei, così falla per me».

Grande è la potenza del male: e infatti il desiderio della giovane moglie, carico di questo potere strano, farà morire il pastore.

Che cosa può un uomo di fronte a questa potenza del male? Ecco, allora, il vero significato del film: la drammaticità del senso religioso diventa tragedia nell’uomo pensoso. Il soggetto di questo messaggio, il personaggio che mostra questa tragedia è l’incarnazione del protestantesimo: l’interpretazione più profonda che la coscienza umana abbia dato del senso religioso è senza dubbio l’interpretazione protestante.

Contro il male l’uomo non può fare nulla. Può irarsi fino a reagire con violenza (bruciare la strega), ma non può niente. E l’umiliazione che porta nel cuore per tutta la vita il pastore protestante, in fondo consapevole dell’errore cui ha aderito e cui aderisce, nonostante le parole e il suo ruolo pieno di dignità, di guida del popolo, è una dimostrazione di questa impossibilità dell’uomo a resistere al male. È una documentazione di quello che la tradizione della Chiesa chiama «peccato originale», questa sorgente amara e ambigua che sta alla radice di ogni nostra azione, alla radice di ogni vita.

Però Cristo è venuto per questo male, Dio è venuto a liberarci da questo male. Come? Secondo la visione protestante, ponendo la speranza nell’aldilà, in una realtà senza connessione con il presente, senza rapporto con il presente, come incombenza astratta, come nuvole sulle cose umane. Ecco, questo è l’unico sollievo che può venire all’uomo pensoso che scopre in sé la tragedia del male: la speranza nell’aldilà, nell’aldilà dove c’è la misericordia.

La strega, poco prima di essere condannata al rogo, si rivolge al pastore e dice: «Liberami, come hai liberato la madre di tua moglie!». E il pastore le ripete: «Coraggio, tra poco sarai libera», cioè dopo il fuoco, nell’aldilà. «Ma è nell’aldiqua che io voglio vivere!» dice la strega, giustamente, umanamente. Ma non ottiene risposta.

Il culmine del film è l’ultima sequenza, quando, dopo la morte improvvisa del pastore, sua madre, l’arcigna custode del giusto, accusa, durante il funerale, davanti al popolo, come causa della morte del figlio, la nuora. L’accusa di essere una strega come sua madre. E la parola conclusiva, l’ultima del film, è l’espressione del viso della giovane moglie del pastore che, con gli occhi pieni di lacrime, dice: «I miei occhi sono pieni di lacrime e nessuno me le asciuga».

Così è spiegata la contraddizione con l’episodio del film in cui lei piange nel vedere la morte della strega sul rogo e il figlio del pastore accorre da lei e, vedendola tra le lacrime, le dice: «Io te le asciugo». La sostanza della vita non è così: quella è solo una breve compagnia illusoria. Il senso della vita come emerge in questo film è più esatto nell’ultima espressione: «I miei occhi sono pieni di lacrime e nessuno me le asciuga».

Un cristianesimo, dunque, che incombe sulla vita moralisticamente, perché indica solo l’aldilà. Si ha così una proclamazione della legge che fa venire a galla più chiaro, potente, il senso del peccato, la coscienza del male che è in noi, il senso dell’ambiguità, dell’impostura, della menzogna che è in noi. Perché senza legge, come dice anche san Paolo, l’uomo si accorgerebbe di meno di questa impostura che è in lui. Un cristianesimo così incombe su questo mondo, grava soltanto come comunicazione di leggi morali, che esaltano il senso del male, ma per cui non c’è nessun rimedio.

Il rimedio sta in un aldilà che alla nostra vita quotidiana, alla nostra aspirazione e al nostro dolore quotidiano non ha nulla da dire. È solo una proposta di fuga. Tu, strega che stai per essere bruciata, pensa all’aldilà.

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Mancanza di carità e di sincerità negli accusatori

Posté par atempodiblog le 13 mars 2016

La donna adultera nella visione di Marthe Robin

“Di fronte alle accuse degli scribi e dei farisei contro questa donna Gesù stava in silenzio.
Sembrava ignorarli e teneva lo sguardo fisso a terra. Non guardava neppure la donna, messa ben in vista per sua vergogna. Poi si è messo a scrivere per terra con il dito. Innervositi dal silenzio di Gesù e incuriositi nel vederlo tracciare segni, alcuni si sono fatti coraggio e si sono avvicinati a Lui. Che cosa stava scrivendo? Il primo dei farisei, arrivato vicino a lui, ha scoperto con stupore che Gesù conosceva i suoi peccati più segreti che erano scritti a grandi lettere per terra! Confuso e spaventato ha guardato Gesù che poteva con una sola parola distruggerlo davanti agli altri.

Ma al contrario, con grande bontà e umile maestà, il Salvatore ha cancellato con la mano il peccato dell’uomo. Finito! Sparito! L’uomo ha letto il perdono negli occhi di Gesù ed è ripartito in silenzio. Poi si è avvicinato un altro, che non poteva evidentemente conoscere i torti del primo. Gesù ha scritto allora il peccato del secondo che, dopo aver letto, se ne è andato anche lui sconvolto.

Tutti si sono avvicendati in questo modo presso Gesù. Così gli accusatori della donna confusi fino in fondo all’anima, ma rispettati nella loro intimità, hanno abbandonato la scena uno dopo l’altro. La maldicenza e le intenzioni perverse, sono state lasciate sul posto, insieme alle pietre destinate alla peccatrice”.

Marthe Robin
Fonte: Cristo, Pietre Vive

L'adultera

La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori.
Vari insegnamenti.
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

[...]

Dice Gesù: «Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa le mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta. La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici – perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore – erano scevri di colpa. Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare.

Ricordati, Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri: “Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”.

Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida. Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice.

A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole. Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio. Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”. E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità.

Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli. Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.

L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse.

 Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fornite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.
Siete esseri dotati di ragione e guidati da una legge divina e da una legge morale. Avvilirsi perciò ad una condotta da selvaggi o da bruti dovrebbe fare orrore alla vostra grande superbia. Ma la superbia, che in questo caso sarebbe anche utile, voi l’avete per ben altre cose.

 Ho guardato Pietro e Giovanni in diversa maniera, perché al primo, uomo, ho voluto dire: “Pietro, non mancare tu pure di carità e di sincerità”, e dirgli pure, come a futuro mio Pontefice: “Ricorda quest’ora e giudica come il tuo Maestro, in avvenire”; mentre al secondo, giovane dall’anima di bambino, ho voluto dire: “Tu puoi giudicare e non giudichi perché hai il mio stesso cuore. Grazie, amato, d’esser tanto mio da essere un secondo Me”.

Ho allontanato i due prima di chiamare la donna per non aumentare la sua mortificazione con la presenza di due testimoni. Imparate, o uomini senza pietà. Per quanto uno sia colpevole, va sempre trattato con rispetto e carità. Non gioire del suo annichilimento, non accanircisi contro neppure con sguardi curiosi. Pietà, pietà per chi cade!

Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa.

Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto: “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte. Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati. Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra. In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani.

Va’ in pace tu, Maria di Maria, e non voler più peccare neppure nelle inezie. Sotto il manto di Maria non stanno che cose pure. Ricordalo.

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori

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Funziona!! :D

Posté par atempodiblog le 12 mars 2016

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Biscotti quaresimali: storia e ricetta della variante napoletana

Posté par atempodiblog le 11 mars 2016

Biscotti quaresimali: storia e ricetta della variante napoletana
di Alessia Andreozzi – Voce di Napoli

biscotti quaresimali

I biscotti quaresimali sono “una santa invenzione”! E non è un modo di dire: non solo questi dolci hanno una storia alle spalle legata alla religione ma sono anche ottimi da mangiare durante il periodo di quaresima quando, teoricamente, non ci si può nutrire di grassi animali per rispettare il digiuno di Gesù nel deserto per 40 giorni. Sembrano i classici cantuccini della tradizione Toscana, quelli che vanno abbinati al delizioso Vin Santo, ma hanno una variante napoletana con ingredienti che rendono ancora più speciale una ricetta già di per sé buona da gustare. Vediamo, allora, come sono fatti questi biscotti quaresimali secondo la tradizione napoletana.

Prima di tutto, è bene ricordare come nascono questi biscotti quaresimali: la paternità che vi si attribuisce è toscana e si dice furono ideati da monache di un convento proprio in onore della quaresima. Perché si possono mangiare? Perché sono privi di grassi animali, quindi senza burro o latte, e rispettano il tradizionale digiuno da rispettare in questi giorni, proprio come fece Gesù durante i 40 giorni nel deserto. Che questo sia stato tutto un escamotage delle monache per rispettare i precetti religiosi non rinunciando ai piaceri del dolce? Stiamo parlando di dolci davvero saporiti che, però, sono fatti di ingredienti poveri e genuini. Sono talmente leggeri che sono ottimi anche per uno sgarro alla linea, qualora foste a dieta. In altri luoghi, questi biscotti hanno la forma di lettere dell’alfabeto, per onorare le parole del Vangelo, ma la variante napoletana somiglia al cantuccino toscano, eccetto per alcuni ingredienti.

LA RICETTA DI BISCOTTI QUARESIMALI NAPOLETANI

Il tempo per cui questi biscotti quaresimali sono in vendita è limitato: sono reperibili da subito dopo il martedì di carnevale sino al giovedì Santo ma, niente paura, qui vi è la ricetta per preparare questi fantastici dolcetti ogni volta che lo si desidera.

Ecco gli ingredienti:

  • 250 g farina
  • 250 g zucchero
  • 250 g mandorle tostate
  • 2 uova (1 grande per l’impasto e 1 piccolo per spennellare)
  • 1 pizzico di sale
  • 1 cucchiaino pieno di lievito secco
  • 1 cucchiaio di cubetti di cedro candito
  • 1/2 cucchiaino scarso di vaniglia
  • 1/2 cucchiaino scarso di cannella
  • 1/2 cucchiaino scarso di garofano
  • 1/2 cucchiaino scarso di noce moscata

La preparazione è semplicissima e ci vogliono pochi minuti: in primo luogo vanno tostate le mandorle in forno mentre si può procedere con l’impasto. Per quest’ultimo, si versa in una ciotola farina, lievito secco, le spezie precedentemente mescolate, l’uovo, un po’ d’acqua se serve e le mandorle che, intanto, sono belle e pronte. Una volta ottenuto un impasto sodo, vi si unisce il cedro candito e si modella tutto fino ad ottenere dei filoncini che vengono poi schiacciati con le mani, spennellati con un tuorlo e tagliati. Una volta messi in forno caldo a 200° li si lascia cuocere per 15-20 minuti in modalità ventilata. Et voilà! I biscotti quaresimali sono pronti. Buon appetito!

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Digiuno, scelta per il corpo e lo spirito

Posté par atempodiblog le 11 mars 2016

Digiuno, scelta per il corpo e lo spirito
Una scelta culinaria ed etica che protegge la salute e tonifica lo spirito
di Vittorio A. Sironi – Avvenire

Digiuno

Il digiuno leva il medico di torno, si potrebbe dire parafrasando un noto proverbio. È quanto emerge dagli ultimi studi in proposito. Insieme a una dieta corretta ed equilibrata astenersi completamente dall’assunzione di cibo un giorno alla settimana o una volta ogni 10-15 giorni può avere effetti notevolmente positivi sulla salute del corpo e della mente. Se i dati della ricerca scientifica confermano sempre di più gli stretti legami esistenti fra cibo e salute, esistono oggi anche evidenze mediche che mostrano come un regolare saltuario digiuno aiuta il corpo a ‘depurarsi’, proteggendolo dalle malattie, e tonifica lo spirito, agendo come un fattore importante di igiene mentale. Un digiuno salutare dunque, anche se tutto deve passare attraverso uno stile di vita globalmente equilibrato, evitando gli eccessi: fare attività fisica, evitare di fumare, mangiare bene. 

Nella nostra società opulenta il problema della sovralimentazione è spesso sottovalutato o affrontato solo da un punto di vista estetico – perché ‘bello è magro’ –, dimenticando che l’eccesso di cibo e le troppe calorie introdotte nell’organismo sono i principali responsabili del diabete, delle malattie cardiovascolari, dei tumori e possono anche essere causa di una mortalità precoce. Mangiare poco e in modo equilibrato favorisce la salute: un regime alimentare variato, moderando i grassi e i dolci, non trascurando l’assunzione giornaliera di frutta e verdura, optando per l’eliminazione o la restrizione del consumo di carne in favore del pesce, ma anche riducendo progressivamente le porzioni e le calorie quotidiane – sino appunto al digiuno abituale –, rappresenta un elemento importante della nostra esistenza, che non solo ci aiuta a eliminare i chili di troppo e a mantenere un giusto peso-forma, ma determina anche un rapporto intelligente fra benessere corporeo e gratificazione psicologica. 

Oltre che una scelta alimentare in favore della salute, il digiuno può essere anche una scelta etica di rispetto per chi soffre e spesso muore fame. Senza dimenticare che la rinuncia consapevole al cibo come pratica ascetica, per temprare e migliorare l’anima, per facilitare, insieme alla preghiera, il processo di avvicinamento al Dio in cui si crede, è una pratica consigliata (talvolta addirittura resa obbligatoria) da diverse religioni in determinati giorni della settimana o in certi periodi dell’anno.

Non come imposizione vessatoria, ma come esercizio materiale e spirituale di un percorso individuale per aiutare il credente nella propria crescita mistica. Tali sono il digiuno quaresimale (mortificazione del corpo come segno della conversione dello spirito) del Cristianesimo, il digiuno dello Yom Kippur (Giorno dell’Espiazione) e gli altri digiuni obbligatori – oltre a quelli tradizionali facoltativi – della religione ebraica, il digiuno del mese di Ramadan (per purificare il corpo e lo spirito) per i fedeli islamici. 

Oggi però si è persa l’abitudine del digiuno come astensione volontaria dal cibo, sia come prassi rituale in ambito religioso, sia come pratica sociale in ambito laico. Nella nostra ricca ‘società dei consumi’ sembra un controsenso rinunciare al cibo e alle bevande che abbiamo abbondantemente a disposizione. Anzi il digiuno è percepito come una situazione dannosa per l’organismo, retaggio di una condizione obbligata dei secoli scorsi, quando la penuria alimentare era alla base del triste binomio carestia-malattia. La medicina ci dice però esattamente il contrario.

La presa di coscienza del parallelismo nutrizionesalute ha portato a comprendere meglio il concetto dieta-prevenzione attualmente abituale, ma pure con questa nuova consapevolezza alimentare tendiamo a mangiare troppo e male. Sovente attribuiamo al cibo significati che non dovrebbe avere: fonte di piacere assoluto e indiscriminato, sfogo alle nostre frustrazioni, compensazione per la nostra tristezza, la nostra ansia o la nostra rabbia, surrogato del desiderio sessuale. Questo porta a nutrirci in eccesso rispetto alle nostre reali esigenze caloriche, senza controllo, senza freni inibitori, facendo di fatto del cibo una specie di ‘droga’. Senza accorgercene, quasi senza volerlo. Creando così gravi danni alla salute. 

Come la carenza cronica di cibo, la denutrizione, anche l’esagerazione abituale, la sovralimentazione, è fonte di seri guai sanitari. Sul piano epidemiologico dalle malattie della povertà (malaria, tubercolosi, pellagra, scorbuto) dell’antica società tradizionale si è passati in pochi decenni alle malattie del benessere (diabete, obesità, dislipidemie, ipertensione arteriosa, cardiopatie, cerebropatie, neoplasie) della moderna società dei consumi, dovute in gran parte, come s’è detto, alle nuove modalità alimentari. Ecco perché il ritorno alla pratica del digiuno può svolgere un importante ruolo compensatorio. Il corpo non risente negativamente dell’astensione limitata di cibo.

Anzi trae beneficio perché mette in moto tutta una serie di meccanismi di ‘autotrofismo’ (termine difficile per dire che è in grado di generare al suo interno le sostanze chimiche di cui ha bisogno) mobilizzando riserve che si sono accumulate in eccesso, accelerando la generazione di nuove cellule in sostituzione di quelle invecchiate che vengono eliminate, metabolizzando molecole diverse dalle proteine per produrre l’energia necessaria. Si determina in tal modo un salutare riequilibrio di molte funzioni biologiche dell’organismo che porta a un perfetto adattamento fisiologico del corpo. 

Il digiuno è anche benefico sul piano psicologico perché mette la mente in condizione di poter tenere sotto controllo le proprie pulsioni, fortificando la volontà dell’individuo e allenandolo a superare le difficoltà esistenziali della propria vita. Umberto Veronesi, medico di fama internazionale, non ha esitato a dichiarare in proposito come ‘dedicare un giorno ogni settimana alla totale astensione dal cibo non solo non faccia male, ma aiuti a formare il carattere, a manifestare una scelta etica e a proteggere la propria salute’, perché ‘un’alimentazione corretta secondo i dettami della scienza e almeno un giorno di digiuno ogni settimana possono rappresentare un nuovo e stimolante stile di vita’. Affermazioni pienamente condivisibili. Accanto al piacere di una abituale sana e gustosa alimentazione è importante allora imparare ad apprezzare anche il gusto di un altrettanto sano e positivo digiuno. Una scelta culinaria ed etica che protegge la salute e tonifica lo spirito.

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Ricordati: anche tu sei ‘dispensatore’ di benedizioni!

Posté par atempodiblog le 10 mars 2016

Ricordati: anche tu sei ‘dispensatore’ di benedizioni!
Tratto da: Papaboys

benedizione

“Quando un Sacerdote benedice, è il Signore che benedice!” – Un sacerdote anziano disse un giorno: “Per me è una grande consolazione pensare che ho benedetto molto nella mia vita, non solo i miei cari, ma tutti gli uomini, specialmente i malati, i sofferenti, i morenti, gli atei, tutti i peccatori e carcerati, tutte le persone consacrate a Dio, le anime vittime e anche i defunti in purgatorio. Ho benedetto giorno e notte, alle vol­te anche da infermo a letto, stremato di forze, e in­debolito del tutto. Quando benedicevo, sentivo la forza della benedizione anche in me stesso, e ne ero veramente grato a Dio. Chi ha visto Papa Pio XII benedire i pellegrini, non lo potrà mai più dimentica­re: quelle braccia stese, quelle mani alzate verso il cielo come se avesse voluto far scendere tutte le gra­zie sulla terra: quelle benedizioni fatte in tutte le di­rezioni, erano attimi che commuovevano i cuori! Pa­pa Paolo VI benediceva con la stessa interiorità e commozione.

Fratelli, sorelle! La benedizione di un Papa, di un Vescovo o quella di ogni Sacerdote, è qualcosa di grande e di santo.

Le mani di tutti i Sacerdoti sono mani benedicenti, quelle di un semplice Sacerdote non sono meno di quelle del S. Padre. Esse sono sta­te consacrate dalle mani del Vescovo ed unte dallo Spirito Santo: ma esse danno anche la forza dello Spirito Santo e comunicano le grazie e l’aiuto di Dio alle anime. La benedizione libera uomini e cose dal potere di Satana. “Tutta la creazione geme ancora sotto la maledizione del peccato originale”. (Lettera ai Romani). Le mani dei Sacerdoti irradiano benedi­zione sugli uomini, sugli animali e su tutto il creato, in nome di Nostro Signore Gesù Cristo.

“Lo stato sacerdotale è l’amore del Cuore di Gesù”Questa è la frase meravigliosa che disse il S. Cu­rato d’Ars. Il Sacerdozio è nato dal Cuore amorosis­simo di Gesù, e continuerà sempre a nascere dal suo Cuore Amorosissimo. Gesù vive, agisce, prega, prov­vede, benedice ed ama nel Sacerdote. Il Sacerdote è un secondo Cristo.

Un’anima ebbe la fortuna di sentire queste parole stupende:

“Quando un Sacerdote benedice, sono IO che benedico. In questo momento scorrono su di te gra­zie in grande abbondanza dal mio Divin Cuore. IO ho dato un grande potere alla mia benedizione….

“Pensa che succede qualcosa di grande quando tu ricevi la benedizione di un Sacerdote. La benedi­zione è un’irradiazione della mia Santità divina… Con la mia benedizione tu ricevi amore per amare, forza per soffrire, aiuto per l’anima e il corpo. La mia benedizione contiene tutto ciò che serve ai biso­gni degli uomini. E questo deriva dall’amore infinito del mio Cuore. Se essa viene impartita e se viene ri­cevuta con grande devozione, potente è il suo effet­to! La benedizione è più grande, è infinitamente più grande di mille mondi… essa è maggiore di ogni tua aspettativa. Ogni volta che vieni benedetto, vieni di nuovo in contatto con Me, vieni santificato di nuovo, e vieni avvolto nella grazia del mio Cuore, nell’amo­re, della protezione… Cerca di essere un figlio della benedizione, e così anche tu potrai essere ovunque una benedizione per gli altri!”.

“A questo siete chiamati, affinchè abbiate in ere­dità la benedizione! ” (Pietro 3,9).

II Signore ha donato la sua benedizione come un ultimo atto del Suo Amore.

Cristo vuole essere sempre operante nei suoi apo­stoli benedicenti. Certo: vogliamo distinguere bene i Sacramenti dai Sacramentali. I Sacramentali non sono stati istituiti da Cristo e non comunicano la grazia santificante, ma predispongono a riceverla, in virtù della nostra fede, nei meriti infiniti di Gesù Cristo. La benedizione del Sacerdote attinge dalle ricchezze infinite del Cuore di Gesù, e perciò ha una forza sal­vifica e santificante, una potenza esorcizzante e protettiva. Il Sacerdote celebra la S. Messa ogni giorno, amministra i Sacramenti, quando è necessario, ma può benedire continuamente e ovunque. Così pure lo può un Sacerdote malato, perseguitato o incarcerato.

Un Sacerdote incarcerato in un campo di concen­tramento ha fatto questo racconto commovente. Egli ha lavorato tanto tempo a Dachau in una fabbrica delle SS. Un giorno fu pregato da un conta­bile di andare subito in un’abitazione, costruita in una soffitta, e di benedire la sua famiglia: “Io ero vestito come un povero detenuto di un campo di concentramento. Non mi era forse mai capitato di stendere le mie braccia benedicenti con una commozione tale come in quel momento. Malgrado fossi stato marchiato da vari anni come elemento indeside­rato, reietto, di rifiuto, ero tuttavia ancora un Sacer­dote. Mi avevano pregato di dar loro la benedizione, l’unica ed ultima cosa che potevo dare ancora”.

Una contadina molto credente racconta: “In casa mia si ha una grande fede. Quando un Sa­cerdote entra da noi, è come se entrasse il Signore: la sua visita ci rende felici. Non lasciamo mai che un Sacerdote esca dalla no­stra casa, senza chiedergli la benedizione. Nella no­stra famiglia di 12 figli la benedizione è qualcosa di tangibile”.

Un Sacerdote: “È vero: nelle mie mani è stato messo un preziosissimo tesoro immenso. Cristo stesso vuole operare con grande forza mediante la benedizione fatta da me uomo debole. Come un tempo, Egli an­dava benedicendo attraverso la Palestina, così vuole che il Sacerdote continui a benedire. Sì, noi Sacerdo­ti siamo dei milionari non in denaro, ma nella grazia che comunichiamo agli altri.

Noi possiamo e dobbia­mo essere delle trasmittenti di benedizioni. In tutto il mondo ci sono antenne che captano onde di benedi­zioni: malati, carcerati, emarginati, ecc… Inoltre con ogni benedizione che diamo, aumenta la nostra forza benedicente, e cresce il nostro zelo nel benedire. Tutto ciò riempie i Sacerdoti di ottimismo e di gioia! E questi sentimenti crescono con ogni benedizione che diamo con fede”. Anche nei nostri tempi difficili.

Caterina Emmerich parla molto seriamente su que­sto argomento: “È molto triste vedere come ai nostri giorni i Sacerdoti siano trascurati quando si tratta di benedire. Pare che essi non conoscano più il valore della benedizione sacerdotale. Molti non credono più si vergognano della benedizione, come se essa fosse una cerimonia antiquata e superstiziosa.

Molti infine si servono di questa forza e grazia che Gesù Cristo diede loro, senza pensarci e superficialmente. Così perdo spesso benedizioni, ma le ricevo di quando in quando da Dio. Però, dal momento che il Signore ha istituito il Sacerdozio e gli ha conferito la potenza di benedire, spesso mi pare di morire dal desiderio di riceverla! Tutti siam un solo corpo con la Chiesa, e se ne risente la mancanza”.

Un’anima amante di Dio scrive: “Ogni benedizio­ne sacerdotale che io posso ricevere è come una nuo­va forza vitale che mi viene donata. Noi non possia­mo misurare l’effetto di una benedizione sacerdotale. Con la benedizione di Cristo cresce l’amore Suo nei nostri cuori, specialmente l’amore per la purezza… Io me ne sono convinto già da giovane. La benedi­zione di un Sacerdote risplende di luce come i raggi cocenti del sole di mezzogiorno. La benedizione sacerdotale è una grande grazia”. (Maria T. Meyer – Bernhold – fi 29.3.1952).

La benedizione sacerdotale frequente è una neces­sità dei tempi in cui viviamo. La benedizione sacerdo­tale non è mai stata così preziosa come oggi. Un famoso predicatore ha definito il nostro tempo “un’era di demoniocrazia”: effettivamente quanti demoni stanno lavorando ai nostri giorni!

Pensiamo solo a quante disgrazie capitano oggi: essi hanno origine nella potenza di Satana. Il peccato gli dà forza; e così pure le bestemmie e le imprecazioni. Quindi, prima di tutto, è necessario allontanar­si dal Maligno, e, in secondo luogo; proteggersi con la benedizione! – Come le onde della radio incrocia­no l’atmosfera, così le benedizioni devono attraversa­re il mondo. Esse avranno un influsso benefico, ed allontaneranno l’azione malefica dei demoni. I Sacer­doti che benedicono molto, scacciano moltissimi spi­riti maligni.

Un Sacerdote dei nostri giorni scrive in questo modo convincente: “La benedizione è l’arma del mio cuore. Io bene­dico tutti coloro che mi evitano e scansano, tutti co­loro che mi calunniano e che mi odiano. Benedico tutti gli agitatori della mia Parrocchia.
– “Insultati, benediciamo” (1 Corinti 4,12). – Ogni giorno recito l’esorcismo, ed ogni sera bene­dico la mia Parrocchia. Il segno della Croce spazia lontano e raggiunge ogni lembo della terra. Le sue braccia danno amplesso al mondo intero in tutta la sua ampiezza”.

Ci sono Sacerdoti che benedicono ad ogni ora: è un continuo atto d’amore, dell’amore infinito di Cri­sto. È sempre una nuova vittoria sul Maligno. In questo modo i Sacerdoti benedicenti possono essere continuamente delle stazioni spirituali trasmittenti. Al mondo ci sono ovunque delle antenne, cioè dei cuori che hanno bisogno di benedizioni, che deside­rano ricevere delle benedizioni, e che sono fortificati dalla forza della benedizione.

La benedizione ha bisogno di anime ricettive. Il Signore ha detto ai suoi apostoli: “In qualunque casa entrerete, dite prima: Pace a questa casa. E se lì c’è un figlio di pace, la vostra pace poserà sopra di lui: altrimenti ritornerà a voi”. (Luca 10,5). Questo significa: Pace e bene alla casa e alle per­sone che l’abitano, a condizione che queste siano ri­cettive. Gli uomini devono chiedere la benedizione con fede. La ricettività di queste persone dipende so­prattutto dalla loro fede e dalla loro fiducia.

L’imposizione delle mani di un Sacerdote fa mira­coli. La parola di S. Marco: “Imporranno le mani ai malati e guariranno” (Marco 16,18) si è avverata mille volte, e sarà sempre così.

Un’anima vittima dei nostri giorni scrisse: “Mi è accaduto spesso di ricevere la benedizione sacerdota­le quando ero molto ammalata, e fui guarita. Alle volte avevo la febbre alta: improvvisamente essa di­minuiva. Mi sentivo più leggera, sentivo la mano be­nedicente del Sacerdote sulla mia testa, e la febbre era scomparsa” (Mamma M.T. Meyer – Bemhold).
Naturalmente non si esclude il medico, infatti nel­la S. Scrittura si legge: Onora il medico perchè è necessario” (Ecclesiastico 38, I).

II Vescovo Waitz scrive nel suo “Messaggio di Konnersreuth”: “Nella mia vita non ho mai osserva­to la forza della benedizione sacerdotale come in Te­resa Neumann, nei momenti di grandi sofferenze”. – Quanta forza potrebbero dare i Sacerdoti all’umanità sofferente se continuassero a benedire, ad una condizione, però: che, sia colui che dà la benedizione, co­me colui che la riceve abbiano una fede che sposta le montagne!

Un’anima molto provata dal dolore e malata già da molti anni disse: “Durante la mia malattia ricevo spesso la benedizione di un Sacerdote. Ogni volta sento (non posso esprimerlo in altro modo) come una forza che mi viene data per accettare la mia sof­ferenza, per abbandonarmi sempre più alla volontà del Signore, che domanda molto sacrificio. La consa­pevolezza di essere benedetta molte volte da lontano da un Sacerdote, mi dà improvvisamente forza e co­raggio per affrontare le grandi tentazioni, e le ore di profondo abbattimento. Quante volte la benedizione di un Sacerdote mi ha dato pace e tranquillità nelle lotte interiori e nelle grandi burrasche spirituali”.

Ogni segno di croce è come una consacrazione per uomini e cose. Il Sacerdote benedice sempre con la mano che forma il segno di croce. Questo ci ricorda che l’efficacia della benedizione proviene dalla morte in croce di Cristo, cioè dalla Redenzione. Essa si rin­nova sempre durante la S. Messa. Ogni segno di cro­ce irradia la Redenzione. E’ il segno del Suo Sangue, il segno della vittoria. “Consecratio mundi”, la con­sacrazione del mondo, la santificazione del mondo, stava molto a cuore a Sua Santità Papa Pio XII. Il dono della salvezza è sempre dato dalla Croce di Cristo.

Per mezzo del segno della croce, impartito da un Sacerdote, vengono benedetti non solo gli uomini, ma anche le cose, i luoghi e il lavoro. Come sono meravigliose le preghiere usate dalla Chiesa per le bendizioni alle mamme, ai bambini, ai malati, ma anche all’acqua che si benedice, alle case, alle stalle, alle officine, agli attrezzi di lavoro, ai prodotti del la­voro, ai mezzi di trasporto di ogni specie, ai trattori, alle automobili ed agli aeroplani. Noi dobbiamo be­nedire ogni mezzo che ci serve per il nostro lavoro giornaliero, dobbiamo, per così dire, consacrarlo al servizio di Dio. Ogni segno di croce ha efficacia sal­vifica, tanto più se proviene dalla mano consacrata del Sacerdote, in nome della Chiesa.

È una cosa stupenda che un Sacerdote, di giorno e di notte, alzi molto spesso le sue mani consacrate per benedire. Da questa benedizione scorre una for­za esorcizzante contro il Maligno, una forza salutare per i corpi e santificante per le anime! Le mani di un Sacerdote non dovrebbero mai stancarsi di benedire: esse possono sempre benedire in nome della Chiesa. È sempre lo stesso Signore che benedice in loro, be­nedice con le sue Mani trafitte, da cui scorre il San­gue del suo Amore.

L’autore di questo libretto benedice molte volte al giorno i lettori dei suoi scritti.

Anche la Madonna apprezzava la benedizione del Sacerdote. Nel libro: “La mistica città di Dio” di Maria D’Agreda si legge: “La Madonna chiedeva ogni gior­no la benedizione degli Apostoli. All’inizio essi si schermivano dal compiere questo atto verso Maria, che veneravano come la loro Regina e Madre del loro Maestro. Ma la Vergine piena di saggezza face­va loro capire che, come Sacerdoti e servitori del­l’Altissimo, erano in dovere di impartirLe la benedi­zione. Ella spiegava loro la grande dignità e i compiti che spettavano loro. Ora, in questa gara, si trattava di sapere chi fosse il più umile: e si sapeva in parten­za che nessuno poteva essere più umile di Maria. Co­si gli Apostoli si rendevano conto di doverlo fare ed erano ammaestrati dall’esempio della Vergine”.

Tutte le mani dei Cristiani sono mani atte a benedire. Il potere di benedire che hanno i Sacerdoti fa parte del loro ufficio, in nome e per incarico della Chiesa; ma anche i laici possono benedire in nome della loro fede nella Croce ed in nome di Gesù Cri­sto. Essi possono benedire come membri attivi dei Corpo mistico di Cristo (Battesimo), e come tempio dello Spirito Santo (Cresima). Ogni cristiano si segna con il segno di croce. Ogni volta che fanno un segno di croce sopra di sè, benedicono i loro propri pensie­ri, le loro parole e la loro volontà.

I cristiani possono benedire anche gli altri con un segno di croce. S. Francesco d’Assisi dava la sua be­nedizione, che divenne famosa, e fu scritta come un testamento autografo per i secoli futuri:

“Il Signore ti benedica e ti custodisca: ti mostri la sua faccia e abbia misericordia di te;
rivolga a te il suo volto e ti dia pace. Il Signore ti dia la sua santa benedizione”.

I genitori sono chiamati per primi a benedire. Nella S. Scrittura si legge: “La benedizione del pa­dre consolida la case dei figli”. (Ecclesiastico 3,11).
Ciò che è benedetto dai genitori è benedetto da Dio. Inoltre la forza della benedizione dei genitori è parte integrante del mistero della loro missione crea­trice. Essi collaborano con Dio alla creazione, ed hanno non solo la grande responsabilità della crescita fisica dei loro figli, ma anche di quella morale e spi­rituale. La benedizione dei genitori ha origine lonta­ne nel mistero della missione sacerdotale. Infatti S. Paolo, nelle “Lettere agli Efesini” (5,31 – 32) dice: “L’uomo abbandonerà il padre e la madre sua, e sa­rà unito a sua moglie”… “Questo sacramento è grande”. Uomo e donna vengono consacrati come padre e madre nel sacramento del matrimonio.

S. Agostino dice che essi ricevono una forza sa­cerdotale che non verrà loro più tolta. Il potere e la forza di benedire fanno anche parte della dignità del posto che i genitori occupano come rappresentanti di Dio. Dio stesso sta dietro a loro. Egli conferma ed esaudisce i loro desideri, quando benedicono. La be­nedizione dei genitori è come il “sacramentale del focolare domestico”. Dal momento che la benedizio­ne dei genitori è tanto importante, padre e madre devono benedire fin dal primo giorno, già quando la madre sente la nuova vita sotto il suo cuore. Pieni di fede e fiducia, essi devono benedire con l’acqua san­ta i loro figli, facendo un segno di croce e dicendo: “Per l’intercessione di Maria, ti benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.

Nelle nostre famiglie cattoliche dovrebbe esserci questa regola: Genitori, benedite ogni giorno!

Una mamma disse: “Se il mio bambino si abitua già da piccolo a ricevere la benedizione dei genitori, ar­rivato a 14 anni gli sembrerà una cosa naturale farsi benedire dal papà e dalla mamma prima di andare a letto”.
Perciò cari genitori, ogni giorno, sia alla mattina che alla sera, benedite i vostri figli. Benediteli in modo speciale il giorno della loro prima Comunione. Quando un vostro figlio parte, beneditelo e non di­menticatevi mai di benedire i vostri figli anche quan­do saranno lontani.
“La benedizione dei genitori ol­trepassa i monti e le valli, raggiunge i vostri figli ovunque si trovino”. Benediteli con l’acqua santa e con un segno di croce anche nel giorno del loro ma­trimonio, e specialmente nell’ora della loro morte. Questa ultima benedizione contiene tutte le altre be­nedizioni impartite durante tutta la vita, ed accompagna i vostri figli nel loro cammino qui sulla terra. Per questo motivo S. Cipriano disse: “Non abbandonate la vostra corona! Non mettete da parte la stola, voi che siete i Re ed i Sacerdoti della famiglia”.

Anche i nonni ed i bisnonni hanno la stessa facol­tà di benedire i loro nipoti, così pure gli educatori e le educatrici, e anche i fidanzati ed i coniugi. I coniugi, per esempio, dovrebbero segnarsi a vicenda sulla fronte. Con questo atto si fortificano, sciolgono delle tensioni burrascose, padroneggiano le loro passioni focose, santificano il corpo e l’anima.

Un’eletta mamma anziana, fa questa commovente testimonianza: “Reverendo, io ho sempre cercato e chiesto di cuore la benedizione del Sacerdote, ma anch’io benedicevo giorno e notte, quando stavo lavo­rando o riposando, se avevo delle preoccupazioni o delle gioie, quando ridevo o piangevo. E lo facevo sempre in nome di Gesù! Alle volte la mia mano de­stra si muoveva, nelle situazioni difficili della vita, senza che io me ne accorgessi, e come di nascosto, unita alla “Sua mano”.
Il segno di croce è sempre stata la mia arma e il mio aiuto. Anni fa rimasi vedo­va improvvisamente. Persi un ottimo marito, con cui avevo vissuto anni veramente felici. Rimasi con un figlio minore di 4 anni, una proprietà di 150 ettari di terreno, 20 operai e le mie mani deboli. Per fortuna, grazie a Dio, avevo una grande fiducia in Dio. Allo­ra, disperata, gridai: “Signore, adesso accompagna­mi, dammi la Tua Mano, e camminiamo insieme. Nessuno può nè deve sapere come noi andiamo in­sieme, e perché ci teniamo per mano. Io non ho altro che la Tua Mano e la Tua volontà; io non cerco di far altro che il mio dovere verso tutti gli altri”.
Così, pregando e benedicendo, amministrai i miei beni. In casa, in cortile, nei campi, nei prati e nei boschi, io continuavo a fare dei segni di croce. Benedicevo il tempo secco, quello umido, la grandine (al­le volte era il 900!) e le deformità. Benedicevo gli operai e le loro abitazioni, benedicevo le stalle nella buona e nell’avversa fortuna, benedicevo i miei cari, i ragazzi, e lo facevo giorno e notte. Più tardi, quan­do andavano a scuola ed arrivavano a casa. 
Quando erano piccoli, di notte facevo loro un segno di croce sulla fronte, anche quando dovettero andare al fronte!

Quanto ho benedetto da quel giorno! Ogni sera andavo nella loro camera e li benedicevo da lontano. E se davo loro la mano, come saluto o come segno di commiato, allora facevo un piccolo segno di croce sulla loro fronte e una nella mano vuota. La sera an­davo davanti ad una cappella della Madonna, pregavo e benedicevo nella direzione dove sapevo che era­no. (Essi erano in un paese nemico).
Bombe e guerra, necessità e saccheggi passarono come un miracolo vicino alla vecchia proprietà pater­na. Io riuscivo ad andare avanti a sopportare tutto, a superare tutto, e a saldare i miei conti. Riuscii a co­struire delle belle abitazioni per gli operai: cercavo pure di far piacere a Dio, facevo varie offerte alla Chiesa. Riuscii a dare un’istruzione ad ogni figlio, e a dar loro lavoro per decenni alle brave famiglie de­gli operai, che erano numerose. Io penso che tutto sia dovuto solo alle benedizioni di Dio che imparti­vo. Dovevo tutto a quella mano nascosta che mi gui­dava notte e giorno, e che benediceva con me. Malgrado tutte le difficoltà che dovetti affrontare in quelli anni, fu una bella vita benedetta, che condivisi con Gesù”.

E alla fine questa signora ha scritto questa frase meravigliosa: “Siccome noi cattolici dobbiamo pensare ed ama­re in senso universale, così da lontano io facevo pure dei segni di croce sul Papa, i Vescovi e Sacerdoti, sui nostri teologi e anche sulle regioni di diaspora. Que­sto è il segreto che conservai nel mio cuore, e che, alla fine della vita, volli confidare ad un Sacerdote”.
Nel frattempo la mano amorosa di Dio ha dato a quest’anima eletta una grave malattia. Ma lei conti­nuava a benedire. Sì, la sua benedizione sarà resa dieci volte maggiore, sarà moltiplicata per cento!

Il segno di croce significa ritornare a Cristo. Con la sua morte in croce per amore dei peccato­ri Cristo ha levato dal mondo la maledizione del peccatore. L’uomo però continua sempre a peccare e la Chiesa deve sempre aiutare ad effettuare la Reden­zione in nome del Signore. E ciò avviene in modo particolare per mezzo della S. Messa e dei Sacramen­ti, ma anche per mezzo dei Sacramentali: benedizioni dei Sacerdoti, acqua santa, ceri benedetti, olio bene­detto, ecc…

Ogni segno di croce fatto con fede è già un segno di benedizione. La croce irradia una corrente di be­nedizione per tutto il mondo, per ogni anima che crede in Dio e nella forza della croce. Ogni uomo unito a Dio può compiere la Redenzione ogni volta che fa un segno di croce.
Il segno di croce è il segno del Sangue di Cristo. La croce è il segno che irradia sempre amore, ri­porta Cristo: si, il segno di croce significa andare a Cristo, e per mezzo suo al Padre. Chi ha la fede di un bambino, lo potrà capire.

Già dall’inizio i cristiani benedicevano se stessi e gli altri con il segno della croce. Anche Tertulliano ne parla. Così pure noi dovremmo fare il segno di croce molto più spesso su di noi e sugli altri, e con molto rispetto, con fede profonda. Esso è il segno dell’amore più sublime, è il segno della vittoria continua: “In questo segno vincerai”.

La benedizione appartiene assolutamente ai cristiani. Il Signore ha detto: “In verità, in verità vi dico: Qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà” (Giov. 16,23). Dunque: là dove c’è il nome del Signore c’è la benedizione; là dove c’è il segno della sua S. Croce, là si trova aiuto.

“Tu ti lamenti della cattiveria del mondo, o della mancanza di riguardo e dell’incomprensione della gente che ti circonda. La tua pazienza ed i tuoi nervi vengono messi a dura prova e spesso ti scappano, malgrado le migliori intenzioni. Trova una buona volta il mezzo e la ricetta della benedizione giornaliera” (Padre Kieffer O. Cap.)

Prendi ogni mattino un po’ d’acqua santa, fà un segno di croce e dì: “In nome di Gesù benedico tut­ta la mia famiglia, benedico tutti coloro che incontre­rò. Benedico tutti coloro che si raccomandano alle mie preghiere, benedico la nostra casa e tutti coloro che vi entrano ed escono. Ci sono moltissime persone, uomini e donne che lo fanno ogni giorno. Anche se questo atto non si sente sempre, esso ha sempre un effetto positivo. La cosa principale è questa: fare il segno di croce adagio e dire la formula di benedizione con il cuore! Oh, quante, quante persone ho benedetto!”.

Così disse la moglie di un tenente colonello, Maria Teresa Meyer­Bernhold: Io ero la prima che si alzava in casa mia: benedicevo con l’acqua santa mio marito, che stava ancora dormendo, pregavo spesso china su di lui. Poi entravo nella camera dei bambini, svegliavo i piccoli, ed essi recitavano le preghiere del mattino a mani giunte e ad alta voce. Poi facevo loro un segno di croce sulla fronte, li benedivo e dicevo qualcosa sugli Angeli Custodi.
Quando tutti erano usciti di casa, padre e figli, al­lora ricominciavo a benedire. Andavo per lo più in ogni camera, implorando protezione e benedizioni. Dicevo anche: “Mio Dio, proteggi tutti coloro che mi hai affidato: tienili sotto la tua protezione pater­na, con tutto ciò che posseggo e che devo amministrare, poiché tutto appartiene a Te. Tu ci hai dato tante cose: conservale, e fà che esse ci servano, ma che non siano mai occasione di peccato”.

Quando in casa mia ci sono ospiti, io prego pa­recchie volte per loro, prima che entrino in casa mia e mando loro la benedizione. Spesso mi fu detto che da me c’era un qualcosa di speciale, si sentiva una gran pace. Spesso succedeva che delle signore dice­vano: “Maria, ho potuto rimettermi spiritualmente in casa sua, la ringrazio di cuore. Com’è bello poter credere come lei. Noi non ce la facciamo, siamo po­veri. Lei è più felice di noi; noi lo sentiamo quando siamo da Lei. Preghi per noi! Ci benedica!”.

Queste parole le sentii dire da credenti e da non credenti. Tutti lo sentivano e l’esprimevano. Benedi­zione e preghiera: questo è il grande oceano con l’ac­qua salutare, per cui le anime trovano la pace. Che impressione faceva alla mia anima vedere queste po­vere persone davanti a me, che dimenticavano per un istante chi erano, capivano che la ricchezza non diceva loro più nulla. E mi guardavano con un’e­spressione implorante aiuto.
Quanto amavo queste anime che sapevano poco o nulla della vicinanza di Dio! Io avrei voluto abbrac­ciarle nel mio cuore, e promisi di pregare per loro. Ma feci di più: feci dei sacrifici per loro, le benedissi con il cuore che apparteneva tutto a Dio.

Sulla strada, quando uscivo per fare degli acquisti o altro, io benedicevo molte persone che passavano vicino a me. Benedicevo specialmente le donne e gli operai. Se ero fuori città, allora il mio amore anda­va alla natura, a tutto ciò che stava per maturare, ai fiori. Oh, quanto ne ho benedetto! – Anche le Chiese benedicevo volentieri. Quante volte dissi: “Padre, be­nedici la Tua Casa! Proteggila! Fa’ che i cuori raffred­dati delle anime che abitano le metropoli siano irra­diati dalla Tua Luce! Chiama gli uomini a Te!”.

Di notte mi alzo volentieri e benedico dalla fine­stra. Benedico le preoccupazioni degli uomini, i loro dolori. Benedico verso Roma, da cui viene tanta be­nedizione. Io benedico Lei, con i suoi parrocchiani, i seminari. Benedico le anime che mi sono state racco­mandate, le carceri, i morenti, tutti coloro che sono in pericolo. Guardo il firmamento e benedico le stel­le della volta celeste. Così, nel silenzio della notte, io benedico spesso e a lungo. Non è molto quello che le ho detto, ma io ho sentito in me e negli altri che le benedizioni hanno una gran forza viva e, che è sem­pre valido un detto: “Tutto dipende dalla benedi­zione…”. Voglia Dio che la mano di un Sacerdote mi benedica nell’ora della mia morte, poichè io ho amato tanto le benedizioni e nella mia vita ho conti­nuato a benedire”.

Il Signore ha esaudito questo suo desiderio: il 25 marzo 1952 lo stesso S. Padre le mandò una benedi­zione personale. Lo stesso giorno ricevette la visita del Vescovo ausiliare di R.; due Sacerdoti novelli le diedero varie volte la benedizione, e anche il 29 mar­zo, giorno della sua morte, un Sacerdote era al suo capezzale.

La forza della benedizione era tangibile nella baronessa Ancilla von Gebsattel, anima eletta, che morì in Germania, ad Altótting, in odore di santità il 3 novembre 1958, entrò all’età di 60 anni come Suo­ra nella Congregazione di S. Ludovico Maria Gri­gnion. Essa guidò le Suore del suo convento durante gli ultimi cinque anni della sua vita. Una sua conso­rella scrisse commossa: “È ancora come ce fosse og­gi, e non lo dimenticherò mai, quando fui benedetta per la prima volta da Madre Ancilla. Questa benedi­zione penetrò a poco a poco in me. Le poche parole sull’abbandono e l’accettazione della volontà di Dio, che essa mi rivolse, mi diedero molto coraggio e for­za, e mi accompagnarono durante la mia malattia. Fu all’inizio della malattia, ed io non pensavo di dover trascorrere due anni in un sanatorio”. Un’altra Suora scrive: “La sua mano benedicente fu una caratteristica della sua vita. Benediceva con ri­spetto, come sanno fare solo le anime sante. Quando non poteva più parlare e non aveva quasi la forza di ricevere visite, noi potevamo sempre andare giornal­mente da lei per ricevere la sua benedizione”. Quando io le parlai dell’efficacia della sua benedizio­ne, cercò di diminuirne l’importanza, dicendo: “Non ero io: era la Madonna”.

Il nostro tempo ha bisogno di molte, molte benedizioni! Benedizioni di Sacerdoti e di laici. Noi viviamo in un tempo pieno di dolori, oppresso, congestionato e pieno di pericoli? Anche il S. Padre ne ha fatto spesso allusione. Sì oggi gli uomini hanno bisogno di es­sere benedetti spesso, in nome e con il segno di Ge­sù Cristo.
Ci sono diversi Sacerdoti e anche laici che implorano ogni giorno la benedizione di Dio su tuoi gli uomini, sugli affamati ed oppressi, sui persecutori ed i perseguitati, sui deboli ed i peccatori, su tutti i Sacerdoti e religiosi, sulla diaspora, sui missionari e le loro missioni, sulla Chiesa di Dio e su tutti i popo­li della terra. In ultimo poi, essi benedicono tutte le anime del Purgatorio.
Ogni mattina ed ogni sera, essi prendono l’acqua santa e gettano l’acqua verso le quattro parti del mondo, e benedicono con il pollice o con una crocetta, dicendo: “Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, benedite tutti gli affamati e gli oppressi, ecc…, per mezzo di Maria, la Mediatrice di tutte le grazie!”. Con il Battesimo e la Cresima Cri­sto ci ha uniti intimamente a sé ed alla Sua missione. Perciò ognuno può benedire, perciò ognuno dovreb­be benedire continuamente!

“L’Unione Mariana di Benedizione”, che fu ap­provato dalle autorità di Paderborn, riunisce Sacer­doti e laici di tutti i distretti della Germania e di altri stati che sotto l’intercessione di Maria, hanno deciso di benedirsi a vicenda da lontano, specialmente ogni sera alle 21. Queste anime benedicono anche tutti i Sacerdoti ed i religiosi di tutto il mondo. Questo è l’apostolato meraviglioso delle benedizioni, da cui scorrono molte grazie e molta forza. Anche tu ne puoi far parte:

In Germania: Segretariato MSK e V. Sede Centrale Untere Bergstrase, 7

D – 5419 LEUTEROD 1 Westerwald

In Austria: Elisabeth Wimmer – Segretario MSK C. Post. 210 – A – 5020 SALZBURG

In Italia: Segretariato U. M. B. C. Post. 1 – I-39012 – MERANO (BZ)

Ci sono quasi 400.000 Sacerdoti su tutto il globo terrestre e ci sono più di 600.000.000 di cattolici. Che forza benedicente c’è in tutte queste anime! Esse po­trebbero diventare un’armata vincente, ma ogni gior­no questa grazia benedicente dovrebbe essere adope­rata da un cuore pieno di amore e di fede. Ti prego: di­venta anche tu un dispensatore di benedizioni!

Signore, dammi delle mani che sappiano benedire, senza macchia e pure, che possano impartire la Tua Benedizione su tutto il mondo!

Formula di benedizione che può essere usata anche dai laici
La direzione della “Unione Mariana di Benedizio­ne” consiglia di prendere una piccola croce, per esem­pio quella del Rosario, e di fare un segno di croce ver­so le quattro parti dei mondo, dicendo: “Per intercessione della Beatissima Vergine Maria e Madre di Dio vi benedica Dio Onnipotente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen”.

Altra formula che la Chiesa usa quando benedice
La benedizione del Padre e l’amore del Figlio e la forza dello Spirito Santo, la protezione materna della Regina del cielo, la paternità di S. Giuseppe, l’assistenza di tutti gli Angeli, l’intercessione di tutti i Santi, il desiderio ardente di vedere Dio, che provano le anime dei defunti in Purgatorio, sia con te e con i tuoi, e ti accompagni ovunque ed in ogni tempo! Amen.

Una formula di esorcismo e benedizione: “Ecco la croce del Signore: fuggite schiere nemi­che, ha vinto il leone della tribù di Giuda, la stirpe di Davide. Alleluja!”.

Oppure: “Per mezzo delle mani di 400.000 Sacerdoti del­l’orbe cattolico giunga la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo su di voi e su tutti gli uomini della terra”.

Pensiero del mattino
In nome e con la benedizione del Padre e del Fi­glio e dello Spirito Santo comincio la mia giornata di lavoro.
In nome di Gesù benedico ogni persona con cui parlerò oggi, ogni persona che incontrerò.
In nome di Gesù benedico anche tutte le persone che pensano a me. A loro vada la benedizione del Signore.

Alla sera
Gesù, benedici con la Tua potenza divina tutti co­loro a cui ho pensato. Gesù, degnati pure di benedi­re tutti coloro che hanno pensato a me. Sia gloria ed adorazione a Dio Padre, al Figlio ed allo Spirito San­to nei secoli dei secoli. Amen.

Dio ti benedica!
Quando esci di casa, porta con te una mano be­nedicente!
Dì, nel silenzio della tua anima, a coloro che so­no con te e che incontri: Dio ti benedica!
Essi saranno benedetti e porteranno la loro croce con più facilità. (Padre Roche S J)

Giorno e notte benedico tutti i cari lettori di questo libretto e gli eletti propagatori che lo fanno conoscere in questo tempo calamitoso:

l’autore riconoscente don Alfonso maria Weill 8303 Oberroning (Germania)

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L’omicidio “per vedere che effetto fa”. Il delitto di Roma e l’oscenità che bisogna riconoscere

Posté par atempodiblog le 9 mars 2016

L’omicidio “per vedere che effetto fa”
Il delitto di Roma e l’oscenità che bisogna riconoscere
di Maurizio Cecchetti  – Avvenire

omicidio roma

Esiste una oscenità che non ha a che fare con la perversione sessuale. È qualcosa di molto più profondo e insondabile. Esiste una oscenità che è piacere nel vedere soffrire l’altro, un sadismo che cela conflitti profondi in chi ne è attore e vittima. Ha la sua lontanissima origine nel sacrificio rituale, con la differenza che il capro espiatorio muore per una legge stabilita dalla comunità intera, e anzi la sua morte deve servire a placare la vendetta della divinità. 

Il caso di Roma dove due studenti uccidono un ragazzo più giovane facendolo prima soffrire, seviziandolo e infine guardandolo mentre agonizza con un coltello piantato nel petto, può far pensare a un caso di follia indotta da eccessi di droga, di sessualità estrema, di noia che spinge alla ricerca di emozioni forti, sempre più forti. In realtà, questo caso mette alla prova (una delle tante ormai nella cronaca quotidiana) le nostre categorie per giudicare l’orrore. 

Ma rispetto al delitto efferato, anche il più terribile (quello, per esempio, di una madre che uccide i suoi bambini: Medea ne ha espresso tutte le sfaccettature), al delitto dei due ragazzi si aggiunge un elemento morboso: il piacere di guardare la morte di qualcuno. Non è nuovo, in sé. Esiste un genere di film pornografici “amatoriali” chiamati snuff dove uno degli attori soffre e poi muore davanti alla cinepresa, ma non è finzione, è l’orrenda verità. Qui siamo sulla soglia limite che si è manifestata anche giovedì scorso. Uno dei due ragazzi avrebbe dichiarato poi che lui e l’altro compagno nel delitto, imbottiti di droga e alcol, hanno inflitto ogni sorta di violenza e infine la morte, per «vedere che effetto fa». 

Nessuna generalizzazione può essere fatta, ovviamente, ma è chiaro che si tratta di qualcosa che, nella logica, è simile agli snuff: uccidere per il piacere voyeuristico di qualcuno. È qui che si svela il punto in comune con la normale pornografia: il voyeurismo che riduce l’altro a un’immagine, a un film in diretta che finisce col sacrificio reale della vittima, per il proprio puro godimento. Droga e alcol posso aver rotto ogni inibizione nei due ragazzi, ma è certo che il rilascio dei freni è avvenuto in chi già cercava qualcosa di estremo. Perché in un angolo oscuro della sua mente, lo desiderava. Mentre negli altri, in noi, produce disgusto. 

È una soglia che implica una “diversità” umana, non anzitutto sessuale. Disgusto e desiderio, i due opposti che ci fanno riconoscere ciò che è osceno. Originariamente, la parola non aveva il significato che siamo soliti attribuirgli oggi: laido, orrendo, contro il pudore. Aveva, piuttosto, il senso di qualcosa che “porta male”, forse il sintomo che fa venire alla luce un malessere che riguarda tutti, riguarda il mondo che vogliamo e che stiamo creando. Sarà casuale che nelle società dove i nuovi media hanno maggior sviluppo proliferino pratiche esibizioniste, narcisiste, mitomanie di ogni tipo; che la pornografia sia in crescita e che a tutto questo corrisponda un voyeurismo sempre più diffuso? L’altro diventa lo strumento di un piacere che non si realizza mai, e infatti sposta sempre più in là il limite dell’eccesso. 

Uccidere un ragazzo «per vedere che effetto fa» significa aver superato questo limite che separa finzione e realtà. Essere investiti da questo teatro della crudeltà, in cui anche la vittima inconsapevolmente si è fatta attirare forse col miraggio dei soldi o forse per banale curiosità, non può non interrogarci. Per non arrivare alla pornografia della morte bisogna credere che il corpo dell’altro non è soltanto materia animata, è sacro perché inseparabile dalla persona che è. Il filosofo Max Scheler scrisse che il sentimento del pudore nasce dalla caduta originaria: il pudore è il velo protettivo sulla nostra nudità. Violare quella soglia è, dice Scheler, una de-animazione dell’individuo. 

E per poterlo guardare morire, i due ragazzi di Roma hanno prima dovuto privare quel loro più giovane amico del suo velo protettivo. Sono tante le ombre che si addensano in questo quadro.

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Storia della conversione di Rudolf Höss

Posté par atempodiblog le 8 mars 2016

Rudolf Hoess auschwitz

L’amore e il perdono di Dio può arrivare fino a un livello scandaloso, fino all’assoluzione di un gerarca nazista, comandante del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La storia, riportata da Aleteia, è stata raccontata durante un incontro in occasione dell’Anno della misericordia negli Stati Uniti da suor Gaudia e suor Emmanuela, della congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia.

L’ANIMALE. Nel lager di Auschwitz in Polonia morirono circa tre milioni di persone, un sesto degli ebrei uccisi durante l’Olocausto, insieme a diversi cristiani e santi come san Massimiliano Kolbe e santa Benedetta dalla Croce (Edith Stein). Rudolf Höss, soprannominato “animale” dai sopravvissuti allo sterminio, nei tre anni di mandato come comandante diresse l’esecuzione di oltre 2 milioni e mezzo di detenuti e assistette alla morte per fame o malattia di un altro mezzo milione. Finito il suo mandato, supervisionò anche l’esecuzione di 400 mila ebrei ungheresi.

ATTO DI UMANITÀ. Höss compì un unico atto di umanità. Un giorno portarono ad Auschwitz «un’intera comunità di gesuiti» tranne il superiore e questo, disperato, volle raggiungere i suoi confratelli intrufolandosi nel campo di concentramento. Le guardie lo scoprirono e lo portarono da Höss, certi che il comandante avrebbe ordinato la sua esecuzione. Invece il sacerdote fu liberato, lasciando le guardie sconcertate.

«L’AMORE CHE NON MERITIAMO». Quando la guerra finì Höss fu arrestato e condannato a morte per crimini contro l’umanità. Ma l’ex comandante non era terrorizzato tanto dalla morte quanto dalla detenzione, convinto che le guardie polacche si sarebbero vendicate «torturandolo per tutto il tempo della prigionia e provocandogli una pena inimmaginabile». La sua sorpresa fu quindi enorme quando vide che «uomini le cui mogli, figlie e figli, uccisi ad Aushwitz, lo trattavano bene. Non riusciva a capacitarsene». Secondo le suore fu quello il momento della conversione: quello della misericordia, che è «l’amore che non meritiamo». Sì, «non meritava il loro perdono, bontà, gentilezza. Eppure li ricevette tutti».

SOLO UN PRETE. Höss, cresciuto in quella fede cattolica che poi abbandonò in gioventù, chiese di potersi confessare. Le guardie provarono a cercare un sacerdote disponibile, ma «le ferite ancora molto vive» non resero facile trovare chi «volesse ascoltare la sua confessione». E infatti «non trovarono nessuno». L’ex comandante si ricordò improvvisamente di quel gesuita, padre Wladyslaw Lohn, che aveva risparmiato anni prima. Supplicò le guardie di cercarlo. Il gesuita, rintracciato proprio nel santuario della Divina misericordia di Cracovia, dove era diventato cappellano delle suore della Beata Vergine Maria della Misericordia, accettò di confessare Höss.

LA CONFESSIONE. La confessione «durò e durò e durò, finché non gli diede l’assoluzione: “Ti sono perdonati i tuoi peccati. Rudolf Hoss, tu “l’animale”, i tuoi peccati ti sono perdonati. Vai in pace». Il giorno successivo, prima dell’esecuzione, il gesuita tornò per dare la Comunione al condannato. La guardia che era presente confessò poi che quello fu uno dei momenti più belli della sua vita: «Vedere quell’animale in ginocchio, con le lacrime agli occhi, come un bambino che sta per ricevere la Prima Comunione, Gesù, con il cuore».

di Benedetta Frigerio – Tempi

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Come la luna, come il sole, come un esercito

Posté par atempodiblog le 8 mars 2016

Come la luna, come il sole, come un esercito
di Papa Pio XII
Tratto da: Pio XII. Sito Ufficiale della Causa di Canonizzazione

Madonna

[...]

1° - Anzitutto, diletti figli e figlie, guardate Maria, «bella come la luna, pulchra ut luna». È un Modo questo per esprimere la eccelsa bellezza di Lei. Come deve essere bella la Vergine! Quante volte siamo stati colpiti dalla bellezza di un volto angelico, dall’incanto di un sorriso di bambino, dal fascino di uno sguardo puro! E certamente nel volto della propria Madre Iddio ha raccolto tutti gli splendori della sua arte divina. Lo sguardo di Maria! il sorriso di Maria! la dolcezza di Maria! la maestà di Maria, Regina del cielo e della terra! Come splende la luna nel cielo oscuro, così la bellezza di Maria si distingue da tutte le bellezze, che paiono ombre accanto a Lei. Maria è la più bella di tutte le creature. Voi sapete, diletti figli e figlie, quanto facilmente una bellezza umana, che è come l’ombra d’un fiore, rapisce ed esalta un cuore gentile: che cosa dunque esso non farebbe dinanzi alla bellezza di Maria, se potesse contemplarla svelata, faccia a faccia, Così l’Alighieri vide nel Paradiso (cant. 31, v. 130-135), in mezzo a «più di mille Angeli festanti», «ridere una bellezza, che letizia – era negli occhi a tutti gli altri santi»: Maria!

Intanto su quel volto non si rivela soltanto la bellezza naturale. Nell’anima di Lei Iddio ha riversato la pienezza delle sue ricchezze con un miracolo della sua onnipotenza, e allora Egli ha fatto passare nello sguardo di Maria qualche cosa della sua dignità sovrumana e divina. Un raggio della bellezza di Dio splende negli occhi della sua Madre. Non pensate voi che il volto di Gesù, quel volto che gli angeli adorano, dovesse riprodurre in qualche modo i lineamenti del volto di Maria? Così il volto di ogni figlio rispecchia gli occhi della madre. Pulchra luna. Felice chi potesse vederti, Madre del Signore, chi potesse bearsi dinanzi a te; potessimo, o Maria, rimanere con te, nella tua casa, per servirti sempre!

2° - Ma la Chiesa non paragona Maria soltanto alla luna; servendosi ancora della Sacra Scrittura (Cant. 6, 10), passa ad un’immagine più forte ed esclama: Tu sei, o Maria, « electa ut sol », eletta come il sole.

La luce del sole ha una differenza grande da quella della luna : è luce che scalda e che vivifica. Splende la luna sui grandi ghiacciai del polo, ma il ghiaccio rimane compatto e infecondo, così come rimangono le tenebre e perdura il gelo nelle notti lunari dell’inverno. La luce della luna non porta il calore, non porta la vita. Fonte di luce, di calore e di vita è il sole. Ora Maria, che ha la bellezza della luna, splende anche come un sole e irraggia un calore vivificante. Parlando di Lei, parlando a Lei, non dimentichiamo che è vera Madre nostra. perché attraverso di Lei abbiamo ricevuto la vita divina. Ella ci ha dato Gesù e con Gesù la sorgente stessa della grazia. Maria è mediatrice e distributrice di grazie.

Electa ut sol. Sotto la luce e il calore del sole fioriscono sulla terra e danno frutto le piante; sotto l’influsso dell’aiuto di questo sole che è Maria fruttificano i buoni pensieri nelle anime. Forse, già in questo momento voi siete ripieni dell’incanto che promana dalla Vergine Immacolata, Madre della divina grazia, Mediatrice di grazie, perchè Regina del mondo. Oh! potessimo avere la voce di S. Bernardo, che non si stancava di lodare, di cantare, di ammirare, di esultare dinanzi al trono della Vergine! Oh! potessimo avere la lingua degli angeli per poter dire la bellezza, la grandezza della loro Regina!

Riandate, diletti figli e figlie, la storia della vostra vita: non vedete un tessuto di grazie di Dio? Voi potete pensare allora: in quelle grazie è entrata Maria. I fiori sono spuntati, i frutti sono maturati nella mia vita, grazie al calore di questa Donna eletta come il sole.

Avete voi pregato questa mattina? La grazia che vi ha invitato a un atto di così squisita pietà è stata forse una grazia speciale di Maria, è venuta attraverso Maria.

State ora ascoltando questo Nostro Messaggio di onore alla Vergine: qualche parola di esso vi penetra forse più profondamente nel cuore, destando sentimenti buoni e aneliti di fervore? È una grazia che giunge alle vostre anime attraverso la intercessione di Maria, con la luce di quel sole del cielo che è Maria.

Sperate voi un giorno di giungere in Paradiso mediante la grazia della perseveranza fino all’ultimo istante della vita? Avete fiducia di morire in grazia di Dio? Anche questa grazia verrà a voi devoti di Maria attraverso un sorriso di Lei, con un raggio di quel sole.

3° - Ma un’altra immagine prende la Chiesa dalla S. Scrittura e l’applica alla Vergine. Maria è bella in sè stessa come la luna, è fulgida intorno a sè come il sole; ma contro il «nemico» è forte, è terribile, come un’esercito schierato in battaglia. «Acies ordinata».

In questo giorno di gioia e di esultanza, Dio sa come vorremmo poter dimenticare l’asprezza dei tempi che attraversiamo!  » Ma i pericoli, che gravano sul genere umano, sono tali che Noi non dobbiamo cessare mai — si può dire — di gettare il nostro grido di risveglio. Vi è il « nemico », che preme alle porte della Chiesa, che minaccia le anime. Ed ecco un altro aspetto — presentissimo — di Maria: la sua forza nel combattimento.

Già, dopo il misero caso di Adamo, il primo annunzio su Maria, secondo la interpretazione di non pochi Santi Padri e Dottori, ci parla di inimicizie fra Lei e il serpente nemico di Dio e dell’uomo. Come è per Lei essenziale di esser fedele a Dio, così di esser vincitrice del demonio. Senza nessuna macchia Maria ha calpestato la testa del serpente tentatore e corruttore. Quando si avvicina Maria, il demonio fugge; così come scompaiono le tenebre, quando spunta il sole. Dove è Maria, non è Satana; dove è il sole, non è il potere delle tenebre.

Diletti figli e figlie dell’Azione Cattolica Italiana! Oh se questi tre fulgori di Maria diventassero vostre luci! Se le tre immagini della S. Scrittura si applicassero, in realtà, a ciascuno di voi e a tutta l’Associazione!

Vorremmo anzitutto che voi, come figli e figlie di Maria, cercaste di riprodurre nell’anima vostra la sua bellezza sovrumana. Abbiate dunque, a immagine di Lei, l’unione perfetta con Gesù. Sia Gesù in voi, siate voi in Lui, fino alla fusione della vostra vita con la vita di Lui. Siano nella vostra mente gli splendori della fede e, come Lei, vedete, giudicate, ragionate secondo Dio. Il vostro cuore, quando è possibile, aspiri all’integrità del cuore di Lei, che nulla ha diviso con altri ed ha conservato per Iddio tutto il suo calore, i suoi palpiti, la sua vita. Con le visuali dello spirito, con gli ardori del cuore, coltivate la dedizione assoluta a Dio. Figli e figlie di Maria, portate nei lineamenti dell’anima vostra le sembianze della Madre del cielo. Fate passare attraverso un mondo avvolto nelle tenebre e coperto di fango fasci di luce e il profumo di una purezza incontaminata.

In secondo luogo vorremmo che foste come il sole, il quale riscalda e vivifica. Il calore del vostro amore riscaldi le persone e le cose che vi circondano. Fate distinguere in ogni luogo la vostra presenza col fervore della vostra carità. Il demonio ha invaso la terra con l’odio : fate rivivere, prepotente, l’amore. Tanti sono ancora cattivi, perchè non sono stati finora abbastanza amati. Vivificate tutto quanto cadrà sotto l’influsso dei vostri raggi. Siate, cioè, come Maria e con Maria, strumenti di vita nelle anime, che oggi muoiono di freddo e di fame, ma potrebbero tornare alla casa del Padre, se fossero mosse dalle vostre parole, trascinate dal vostro esempio.

Finalmente applicate anche a voi la terza immagine di Maria : siate forti contro il « nemico ». Qui non si tratta più soltanto del vantaggio spirituale di ciascuno di voi, ma della vostra collaborazione per il bene delle anime. Tutta l’Azione Cattolica, che nei singoli membri deve essere bella come la luna e vivificante come il sole, sappia essere, di fronte al « nemico », forte come un esercito schierato in battaglia. Ed ecco che la nostra familiare riunione prende quasi l’aspetto di una « chiamata a rapporto » del principale fra i reparti laici del grande esercito cattolico d’Italia.

Nella Nostra recente Enciclica « Fulgens corona » abbiamo ancora una volta denunciato l’attuarsi di un piano spaventoso per « svellere radicalmente dagli animi la fede di Cristo », per l’invasione del mondo da parte del nemico degli uomini e di Dio. E sono uomini — miseri uomini — coloro che servono da strumenti per quest’opera distruggitrice. Vi è in atto una lotta che ingrandisce quasi ogni giorno di proporzione e di violenza, ed è quindi necessario che tutti i cristiani, ma specialmente tutti i militanti cattolici, « stiano in piedi e combattano sino alla morte, se è necessario, per la Chiesa madre loro, con le armi che sono consentite » (cfr. S. Bern. Ep. 221, n. 3 – Migne PL, V. 182, col. 387). Non si tratta qui evidentemente di scontro fra i popoli con distruzione di case e strage di uomini. Noi abbiamo più e più volte esecrato la guerra, e siccome riappaiono qua e là tristi segni di pericolo per la pace, torniamo a scongiurare Iddio, affinchè impedisca, con la Sua onnipotenza, che nuovi lutti e nuove lacrime vengano provocati sulla terra dall’incoscienza e dalla malvagità di alcuni. Noi parliamo invece della lotta che il male, nelle sue mille forme, combatte contro il bene; lotta dell’odio contro l’amore, del malcostume contro la purezza, dell’egoismo contro la giustizia sociale, della violenza contro il pacifico vivere, della tirannia contro la libertà.

Di questa lotta è già assicurato l’esito finale, essendone garante l’infallibile parola di Dio. Verrà il giorno del trionfo del bene sul male, perchè verrà il dì, in cui — lo diciamo con immensa tristezza — andranno «maledetti al fuoco eterno» (Matth. 25, 41) quanti hanno voluto fare a meno di Dio e sono rimasti sino alla fine ostinati nella impenitenza. Ma vi sono battaglie, il cui esito non è certo, perchè è affidato anche alla buona volontà degli uomini. In alcuni settori il « nemico » ha prevalso: occorre riconquistare il terreno perduto — cioè le anime traviate — perchè Gesù regni nuovamente nei cuori e nel mondo.

Diletti figli e figlie! Noi vi chiamiamo nuovamente a raccolta, certi che tutti — senza evasione di sorta — risponderete alla Nostra voce. Sotto lo sguardo di Maria, Regina delle Vittorie, disponetevi a vivere, per così dire, in un clima di generale mobilitazione, pronti a qualsiasi sacrificio, presti a qualunque eroismo.

Noi abbiamo invitato i fedeli di tutto il mondo ad approfittare dell’Anno mariano, che oggi comincia, per promuovere manifestazioni di omaggio a Maria nei suoi santuari. Ma quel che preme specialmente, è che si compia uno sforzo comune per avviare l’Italia verso una rinascita religiosa integrale. Perchè ciò avvenga, dovrà essere naturalmente preparato un piano razionale che vi impegni tutti in modo organico, e voi provvederete a muovervi secondo una esatta e ben studiata strategia, schierandovi ordinatamente e fissando bene gli scopi da conseguire. È necessario, per questo, rafforzare la vostra unione interna, accentuando sempre più il carattere unitario della vostra organizzazione, e poi accogliendo tutti fraternamente, come compagni d’arme, a combattere fianco a fianco la stessa battaglia. L’esercito cattolico è composto anche di altre forze che sarebbe insano ignorare o contrariare. Vi è posto per tutti, e di tutti vi è bisogno in questo immenso fronte da coprire per respingere gli assalti del «nemico».

Ricordate però tutti che non vi è ordinato schieramento se, nel rispetto della varietà e delle capacità, non viene assicurata l’unità del comando; per questo vivamente esortiamo voi e tutte le forze cattoliche a farvi guidare nel lavoro apostolico da chi lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio.

Nello scegliere gli « obiettivi » va inoltre osservato l’ordine dei valori : dovete quindi preferire lo spirituale al materiale, il definitivo al provvisorio, l’universale al particolare, ciò che urge a quel che può essere rimandato ad altro tempo.

Quanto alla tattica da seguire, ricordate che l’accostamento individuale è quello che dà migliori risultati. Mediante la «Base Missionaria» l’Azione Cattolica ha già iniziato un lavoro unitario, col quale esce dalle sue sedi per andare a portare la verità ai lontani. Ma questo metodo produrrà buoni effetti, soltanto se tutta l’Azione Cattolica cercherà di attuarlo e se opererà in collaborazione con altre forze cattoliche. Ciò raccomandammo lo scorso anno agli Uomini di Azione Cattolica; oggi lo diciamo specialmente a voi, carissimi Giovani, che foste i primi a nascere e siete ancora così pieni di vigore e di freschezza. Siate, oggi e sempre, le avanguardie ardimentose di questo pacifico esercito, in spirito di perfetta unione con tutti e di completa dedizione ai Pastori che guidano la Chiesa.

Ed ecco l’ultima Nostra parola, che vogliamo rivolgere ai fanciulli e alle fanciulle in ascolto, per esprimere loro un Nostro desiderio. Ricordate quanto vi amava Gesù e con quanta tenerezza vi accoglieva? Parlando alle turbe, Egli vi proponeva come modelli per entrare nel regno dei cieli. Anche il Papa vi ama, come vi amava Gesù. Voi siete i prediletti del Papa, come eravate la pupilla degli occhi di Gesù.

Ebbene, cari fanciulli, il Papa ha bisogno del vostro aiuto. Il Papa ha tante ansie, tanti timori per le sorti di questo mondo minacciato di rovina. Volete voi aiutare il Papa? Volete aiutare la Chiesa a salvare il mondo, a salvare l’umanità in pericolo? Allora alzate al cielo i vostri occhi limpidi e puri; giungete le vostre piccole mani e offrite a Gesù la vostra innocenza. Dite a Gesù che salvi la Chiesa, che salvi le anime. Siate con la vostra preghiera, coi vostri piccoli sacrifici, gli angeli protettori di tutta l’Azione Cattolica, che ripone in voi tutte le sue speranze.

Ecco : Noi ci inginocchiamo e recitiamo con voi una preghiera. Unitevi a Noi per fare dolce violenza alla Madre vostra celeste.

O Vergine bella come la luna, delizia del cielo, nel cui volto guardano i beati e si specchiano gli angeli, fa che noi tuoi figliuoli ti assomigliamo e che le nostre anime ricevano un raggio della tua bellezza, che non tramonta con gli anni, ma rifulge nella eternità.

O Maria, sole del cielo, risveglia la vita dovunque è la morte e rischiara gli spiriti dove sono le tenebre. Rispecchiandoti nel volto dei tuoi figli, concedi a noi un riflesso del tuo lume e del tuo fervore.

O Maria, forte come un esercito, dona alle nostre schiere la vittoria. Siamo tanto deboli, e il nostro nemico infierisce con tanta superbia. Ma con la tua bandiera ci sentiamo sicuri di vincerlo; egli conosce il vigore del tuo piede, egli teme la maestà del tuo sguardo. Salvaci, o Maria, bella come la luna, eletta come il sole, forte come un esercito schierato, sorretto non dall’odio, ma dalla fiamma dell’amore. Così sia.

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Nel nome di Maria

Posté par atempodiblog le 8 mars 2016

Nel nome di Maria
di Anna Rotundo – In Terris

Madonna

In occasione dell’ 8 marzo, giornata internazionale della donna, bisogna riflettere insieme sul senso di questa giornata raccogliendo una delle sfide maggiori dei nostri giorni: l’incontro tra cristiani e musulmani. Dopo i fatti di Parigi e di Colonia, si avverte l’urgenza di raccogliere insieme ai giovani, ai ragazzi delle scuole, questa “grande sfida” del terrorismo che è entrato nella vita di tutti i giorni gettando le persone nella paura e nella sfiducia verso l’altro. E’ così che i miei alunni, cristiani e musulmani, hanno dimostrato di aver capito che ciò che unisce è più forte di ciò che divide: “Noi, cristiani e musulmani affermiamo che ciò che ci unisce è forte e palpabile. Siamo figli e fratelli in umanità. E Maria, venerata da entrambi, è il segno di un’amicizia che può salvare il mondo”.

Nell’aula magna dell’Istituto geometri Petrucci, infatti, è risuonata questa domanda: “Può il culto della ‘donna per eccelenza, Maria’ unire i popoli legati alle religioni del cristianesimo e dell’islam?” La risposta è sì. Un esempio: in Libano, cristiani e musulmani hanno scelto il giorno dell’annunciazione di Maria come festa nazionale per ritrovarsi insieme a vivere momenti di preghiera, silenzio, scambio di testimonianze. Bellissima la testimonianza di un’alunna musulmana che ha con fierezza parlato della sua scelta di portare il velo come segno di appartenenza ad una religione, quella islamica, che, ha detto, “va studiata”.

Il mondo musulmano e il mondo cristiano si sono sempre incontrati e sempre si incontreranno: perciò sono importantissimi questi momenti di dialogo per i ragazzi che hanno l’occasione di conoscersi tra loro, e non solo studiare sui libri il mondo arabo-musulmano: la scuola deve servire a creare queste occasioni di incontro. Quest’ultimo, però, deve avvenire nel segno del rispetto: non c’è nessuno “superiore” all’altro. Siamo esseri umani e dobbiamo rispettarci iniziando dal rispettarci, il che significa non compiere azioni che possono far male agli altri.

Gli alunni hanno approfondito, attraverso video e testimonianze, come nel Corano la figura di Maria (Maryam) venga ricordata più volte e nominata di più rispetto all’intero nuovo testamento. È anche l’unica donna citata con nome proprio. I musulmani la chiamano Sayyida, che vuol dire “signora, padrona” e che corrisponde pressappoco al termine cristiano “Madonna”. Cristiani e musulmani credono che Maria sia vergine e madre di Gesù e che sia stata scelta da Dio. I racconti dell’annuncio dell’angelo Gabriele contenuti nel Vangelo di Luca (1,31) e nel Corano (3,45) sono incredibilmente simili tra loro. Nel mondo musulmano è molto sentito il culto di Maria tanto che i santuari mariani sono meta di pellegrinaggio di fedeli musulmani che a Lei chiedono grazie e rivolgono preghiere.

In questo anno della misericordia indetto da Papa Francesco è bello ricordare che i musulmani, aggiungono al nome di Dio, non appena lo pronunciano, i titoli di “molto misericordioso” e “completamente misericordioso” e ogni sura del Corano si apre “nel nome di Dio clemente e misericordioso”. È questo il grande messaggio che Maria sviluppa quando, nel Magnificat, descrive come la misericordia di Dio si dispieghi sul suo popolo, di generazione in generazione, sin da Abramo. Su questa realtà può basarsi un dialogo autentico, una pace vera ed un ponte tra le nostre religioni, fatta di misericordia come aiuto concreto a chi soffre.

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Politica senza freni: E ora arriva l’eutanasia

Posté par atempodiblog le 5 mars 2016

Politica senza freni: E ora arriva l’eutanasia
di Daniele Vice – In Terris

eutanasia

Unioni civili, stepchild adoption, eliminazione dell’obbligo di fedeltà coniugale e ora l’eutanasia. La politica abbandona la prudenza ed entra a gamba tesa su un altro tema sensibile, incurante, a quanto pare, delle diverse sensibilità degli italiani. Alla Camera, già alle prese con la seconda lettura del ddl Cirinnà, arrivano quattro testi per introdurre anche nel nostro ordinamento la “dolce morte”. Altro omaggio a un Occidente assopito, a un’Europa che ha dimenticato i suoi valori fondanti. La questione è delicata perché, anche in questo caso, coinvolge vite terze. Tra le bozze presentate alle commissioni Giustizia e dai relatori Daniele Farina (Sel) e Salvatore Capone (Pd) c’è anche quella di iniziativa popolare promossa dall’associazione “Luca Coscioni” e sottoscritta da quasi 105 mila cittadini.

Il testo, presentato alla Camera il 13 settembre 2013, si compone di 4 articoli e stabilisce che ogni cittadino possa “rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o di terapia nutrizionale”. Il personale medico e sanitario sarà tenuto a rispettare la volontà del paziente se proviene da un soggetto maggiorenne, che non si trova in condizioni, anche temporanee, di incapacità di intendere e di volere. Questo se “la volontà è manifestata inequivocabilmente dall’interessato o, in caso di incapacità sopravvenuta, anche temporanea dello stesso, da persona precedentemente nominata, con atto scritto con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, fiduciario per la manifestazione delle volontà di cura”.

In particolare, secondo la bozza, chiunque potrà redigere un atto scritto, con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza o domicilio, per chiedere l’eutanasia nell’ipotesi in cui sia affetto da una “malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi e sia incapace di intendere e di volere o di manifestare la propria volontà, nominando contemporaneamente un fiduciario perché confermi la richiesta quando ne ricorrano le condizioni”. Non sarebbero, quindi, più punibili per omicidio (compreso quello del consenziente) per istigazione al suicidio o per omissione di soccorso i medici e i sanitari che abbiano autorizzato l’interruzione del trattamento. Al contrario, laddove non fosse rispettata la volontà del paziente, si rischierebbe di incorrere in sanzioni penali e civili, oltre all’obbligo di risarcire i danni, morali e materiali, derivanti da questa condotta.

In commissione sono poi arrivate anche le proposte di legge, sostanzialmente identiche, di Marisa Nicchi (Si) e Titti Di Salvo (Pd). Prevedono la non punibilità del medico che pratica “la dolce morte” se rispetta le condizioni e le procedure indicate dalla legge e, in particolare, se “ha preventivamente accertato che: l’assistito è maggiorenne e capace di intendere e di volere al momento della richiesta; la richiesta di eutanasia è stata formulata volontariamente, è stata ben ponderata e ripetuta e non è il risultato di una pressione esterna; il paziente è affetto da una malattia con prognosi infausta e in fase terminale, senza alcuna prospettiva di sopravvivenza, e le sue sofferenze fisiche o psichiche sono costanti e insopportabili a causa di lesioni psico-fisiche o di una malattia grave e incurabile”.

Le due proposte prevedono poi che l’ok all’interruzione del trattamento sanitario possa essere dato nei confronti di “persone affette da patologia grave e incurabile e che non sono più in grado di intendere e di volere (e non potrebbero quindi effettuare una valida richiesta di eutanasia), qualora queste abbiano sottoscritto la cosiddetta dichiarazione anticipata, entro i cinque anni immediatamente precedenti la situazione che rende impossibile la manifestazione cosciente della propria volontà”. È inoltre prevista l’istituzione di una Commissione nazionale che verifica se l’eutanasia sia stata effettuata secondo le condizioni e le procedure previste.

C’è poi il testo che porta la firma di Eleonora Bechis, ex M5s oggi deputata di Alternativa Libera-Possibile, il quale, più semplicemente, assicura a ogni cittadino il diritto di rifiutare “l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o di terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente e non può dichiarare obiezione di coscienza”.

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