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Le fabbriche dei bambini

Posté par atempodiblog le 29 février 2016

Le fabbriche dei bambini
di Milena Castigli – In Terris

Maternita surrogata

Giovani donne rapite, segregate, violentate per mesi e usate come “incubatrici” per neonati che verranno poi venduti all’estero per fini sconosciuti. Non è la trama di un film horror, ma la triste realtà di un fenomeno presente su vasta scala e, in particolar modo, nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo dove povertà, fame e ingiustizia sociale vanno spesso di pari passo. Uno schiaffo all’umanità.

In Nigeria, una delle Nazioni più ricche di petrolio al mondo ma, al contempo, segnata da gravi tensioni interetniche, il fenomeno è così esposto e conosciuto che gli è stato assegnato un nome specifico: le “baby factory”. Le cosiddette “fabbriche di bambini” altro non sono che tuguri in cui vivono accalcate, come bestie da riproduzione, decine di donne e ragazze anche giovanissime tenute segregate fino al momento del parto da aguzzini al soldo dei potenti gruppi criminali locali. Cosa succeda a queste mamme, dopo il parto, non è dato sapere. E, cosa ancora più abominevole, nulla di certo si sa dei figli.

Molti neonati vengono “immessi”, come merce, nel circuito delle adozioni internazionali e venduti a caro prezzo a coppie etero o omosessuali. Ma di molti altri si sono perse le tracce. C’è il timore fondato che siano stati “usati” per prelevare organi o che siano stati “riciclati” per il fiorente mercato della pedopornografica. Donne e bambini dei nostri tempi sfruttati come oggetti inanimati da usare, abusare, vendere, smembrare e, infine, eliminare. Neanche un accenno di umanità in questo mondo governato, sembrerebbe, solo dal dio “mammona” in cui il denaro fa da padrone anche sul sentimento più bello e forte dell’universo: quello che lega una mamma al suo bambino appena nato.

Emanuele di Leo, presidente di Steadfast (una onlus operativa da anni in Nigeria a fianco dei più poveri) spiega chi sono gli acquirenti che si macchiano di questo reato: “Sono sia persone che vengono dall’occidente che hanno problemi di sterilità, quindi sia coppie etero che omo; sia nigeriani, famiglie ricche il cui maschio effettua delle aggressioni verso queste ragazze rapite dai villaggi per poter mettere al mondo un bambino col proprio patrimonio genetico”.

Il prezzo di un neonato “surrogato”? Dai 4mila ai 10mila euro, spiega l’operatore umanitario. Una cifra che sommata alle centinaia di donne vendute all’estero per fare da (involontarie) “madri surrogate” o direttamente “utilizzate” in loco frutta ai clan centinaia di migliaia di euro all’anno. Negli ultimi anni sono state scoperte, solo in Nigeria, almeno una ventina di fabbriche di bambini, in genere ex-orfanotrofi dove le ragazze vengono tenute segregate per i nove mesi della gestazione per poi finire non si sa come.

In uno di questi luoghi infernali, scoperto recentemente dalla polizia, le forze dell’ordine hanno trovato 32 ragazze, ovviamente tutte incinta, incatenate al muro come vacche in una stalla. Una nuova frontiera dello sfruttamento sessuale, una pratica abominevole venuta alla luce solo da pochi mesi ma che si protrae da anni, nel silenzio omertoso di chi sa ma ha preferito tacere.

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Il nome di Dio

Posté par atempodiblog le 28 février 2016

Roveto Ardente

Ma che cos’è «il nome di Dio»? Quando ne parliamo, ci torna in mente l’immagine di Mosè, che nel deserto vede un roveto che arde, ma non si consuma. In un primo momento, spinto dalla curiosità, si avvicina per vedere questo avvenimento misterioso quand’ecco che dal roveto una voce lo chiama, e questa voce gli dice: «lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6). Questo Dio lo rimanda in Egitto con l’incarico di condurre fuori dall’Egitto il popolo d’Israele e guidarlo nella terra promessa. Nel nome di Dio, Mosè dovrà chiedere al faraone la liberazione di Israele.

Ma nel mondo di allora c’erano molti dèi; così Mosè chiede a Dio il suo nome, il nome con il quale questo Dio dimostra la sua particolare autorità di fronte agli altri dèi. L’idea del nome di Dio appartiene quindi inizialmente al mondo politeistico; in esso anche questo Dio deve darsi un nome. Ma il Dio che chiama Mosè è veramente Dio. Dio nel senso vero e proprio non esiste nella pluralità. Dio è per sua natura uno solo. Per questo non può entrare nel mondo degli dèi come uno dei tanti, non può avere un nome in mezzo agli altri nomi.

Così la risposta di Dio è insieme rifiuto e assenso. Egli dice di sé semplicemente: «Io sono colui che sono» – Egli è, e basta. Questa affermazione è insieme nome e non-nome. Perciò era assolutamente corretto che in Israele non si pronunciasse questa autodefinizione di Dio percepita nella parola YHWH, che non la si degradasse a una specie di nome idolatrico. E pertanto non è corretto che nelle nuove traduzioni della Bibbia si scriva come un qualsiasi nome questo nome per Israele sempre misterioso e impronunciabile, riducendo così il mistero di Dio, del quale non esistono né immagini né nomi pronunciabili, all’ordinarietà di una comune storia delle religioni.

Resta però vero che Dio non ha semplicemente rifiutato la richiesta di Mosè, e per comprendere questo strano intreccio di nome e non-nome dobbiamo renderci conto di che cos’è veramente un nome. Potremmo dire in modo molto semplice: il nome crea la possibilità dell’invocazione, della chiamata. Stabilisce una relazione. Se Adamo dà un nome agli animali, ciò non significa che egli esprima la loro natura, ma che li integra nel suo mondo umano, li mette nella condizione di poter essere chiamati da lui. Da lì capiamo ora che cosa, positivamente, sia inteso col nome di Dio: Dio stabilisce una relazione tra sé e noi. Si rende invocabile. Egli entra in rapporto con noi e ci dà la possibilità di stare in rapporto con Lui. Ma ciò significa: Egli si consegna in qualche modo al nostro mondo umano. È divenuto accessibile e perciò anche vulnerabile. Affronta il rischio della relazione, dell’essere con noi.

Ciò che giunge a compimento nell’incarnazione ha avuto inizio con la consegna del nome. Di fatto vedremo nella riflessione sulla preghiera sacerdotale di Gesù che Egli lì si presenta come il nuovo Mosè:
«Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini…» (Gv 17,6). Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto del Sinai si compie presso il roveto ardente della croce. Dio ora è davvero divenuto accessibile nel suo Figlio fatto uomo. Egli fa parte del nostro mondo, si è consegnato, per così dire, nelle nostre mani.

Benedetto XVI – Gesù di Nazareth, Ed. Rizzoli

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Le nostre proiezioni di Dio

Posté par atempodiblog le 28 février 2016

Noi siamo nell’ambito della divina rivelazione… però quanti di noi riescono nel corso della loro vita a fugare la paura di Dio? Quanti riescono a rappresentarsi Dio com’è, cioè Perdono, Misericordia, Bontà. Non riusciamo, infatti, molte volte… ci arrabbiamo con Dio perché noi attribuiamo a Dio le nostre imperfezioni, ma non è Dio, ma ciò che noi ci rappresentiamo. Dio che ci punisce… ma perché le disgrazie? Perché qua e perché là? Ma con chi discutiamo? Con le nostre proiezioni. Per noi è difficile liberarci dalla paura di Dio e aprirci al sole di Dio e liberarci dalle nuvole che oscurano la nostra mente.

di p. Livio Fanzaga
Per approfondire Le nostre proiezioni di Dio dans Commenti al Vangelo Freccia Un Dio che abbraccia l’umanità

Papa Misericordioso e Gesù

Le nostre proiezioni di Dio
Tratto da: Radio Vaticana

[...] Se “ogni giorno – ha osservato Francesco – “le cronache riportano notizie brutte: omicidi, incidenti, catastrofi….”, non dobbiamo cadere nella “mentalità superstiziosa” di attribuire a Dio la responsabilità di fatti tragici e pensare che le vittime abbiano meritato il suo castigo e chi venga risparmiato dalla disgrazia debba sentirsi a posto, come insegna Gesù quando – nel Vangelo di Luca – accenna a due fatti tragici che a quel tempo avevano suscitato molto scalpore.

“Gesù rifiuta nettamente questa visione, perché Dio non permette le tragedie per punire le colpe, e afferma che quelle povere vittime non erano affatto peggiori degli altri.”

Gesù piuttosto “invita a ricavare” dai fatti dolorosi “un ammonimento che riguarda tutti”, perché tutti siamo peccatori e ci porta a riflettere: “che idea di Dio ci siamo fatti?”

“Siamo proprio convinti che Dio sia così, o quella non è piuttosto una nostra proiezione, un Dio fatto ‘a nostra immagine e somiglianza’?”

“Gesù, al contrario, ci chiama a cambiare il cuore”:

« a fare una radicale inversione nel cammino della nostra vita, abbandonando i compromessi con il male, le ipocrisie, per imboccare decisamente la strada del Vangelo”.

“Ma ecco di nuovo la tentazione di giustificarci”:

“Da che cosa dovremmo convertirci? Non siamo tutto sommato brava gente, non siamo dei credenti, anche abbastanza praticanti?”.

Purtroppo – ha sottolineato il Papa – noi somigliamo a un albero sterile da anni anni e dobbiamo essere grati a Gesù, simile a quel contadino che nel racconto evangelico ottiene dal suo padrone “ancora una proroga per il fico infecondo”

“L’invincibile pazienza di Gesù, e la sua irriducibile preoccupazione per i peccatori, come dovrebbero provocarci all’impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, mai!

“Ma è urgente”:

“è ora. Incominciamo oggi…”

Infine l’invocazione a Maria:

“ci aiuti a non giudicare mai gli altri, ma a lasciarci provocare dalle disgrazie quotidiane per fare un serio esame di coscienza e ravvederci”.

Nei saluti finali, Francesco ha ricordato la Giornata delle malattie rare, che ricorre domani, assicurando una “preghiera speciale e un incoraggiamento” alle associazioni che ne occupano, presenti in Piazza San Pietro.

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“Capire che non può capire”

Posté par atempodiblog le 26 février 2016

Kierkegaard

«Finora si è sempre parlato così: “Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire”. Ecco lo sbaglio. Si deve dire proprio il contrario: qualora la scienza “umana” non voglia riconoscere che vi è qualcosa che essa non può capire, o — in modo ancor più preciso — qualcosa di cui essa con chiarezza può “capire che non può capire”, allora tutto è sconvolto. È pertanto un compito della conoscenza umana capire che vi sono e quali sono le cose che essa non può capire.».

di Søren Kierkegaard
Tratto da: Le grandi opere filosofiche e teologiche. Ed, BOMPIANI. Pag. 67

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L’Anticristo è già tra noi

Posté par atempodiblog le 26 février 2016

L’Anticristo è già tra noi
di padre Piero Gheddo – Il blog di padre Gheddo

Padre Piero Gheddo

L’Anticristo è il Demonio e tutte le forze del male che si oppongono alla venuta del Regno di Dio e di Cristo negli ultimi giorni, ma anche nella storia dell’uomo (Apocalisse, I e II Lettera di Giovanni, II Lettera di Paolo ai Tessalonicesi). Ma è anche il titolo del libro di Friedrich Nietzsche (1844-1900), che un laico cattolico, Agostino Nobile, ha commentato nel volumetto pubblicato nel luglio 2014: “Anticristo superstar” (Edizioni Segno, Udine – pagg. 120). Agostino Nobile, sposato e padre di due figli, professore di storia della musica, 25 anni fa decise di lasciare l’insegnamento per studiare le culture non cristiane ed è vissuto per dieci anni nel mondo musulmano, indù e buddista, esperienza che ha rafforzato la sua fede cattolica. Nobile vive oggi in Portogallo con la sua famiglia, si dedica agli studi per approfondire la sua fede e ha lavorato fino ad un anno fa come pianista e cantante.

Ecco le battute di partenza di “Anticristo superstar”: “Quando anni fa mi capitò di leggere L’Anticristo di Friedrich Nietzsche, pensai di trovarmi di trovarmi di fronte ad un insano di mente. Oggi l’Anticristo è diventato il Referente imprescindibile di tutti i governi occidentali. Se a Friedrich Nietzsche avessero detto che in poco più di cent’anni il suo “Anticristo” sarebbe stato una superstar, l’avrebbe considerata una ridicola provocazione” (il libro di Nietzsche è del 1888) .

E continua: “L’Anticristo ha persuaso l’uomo che potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando il concetto del bene e del male, il concetto del bene e del peccato. Il peccato, si sa, pesa, e l’idea di liberarsene una volta per tutte, oggi più che mai è diventata una vera smania. Nel secolo scorso l’Anticristo ci convinse che “Dio è morto”, per poi eliminare milioni di esseri umani (attraverso le ideologie ispirate a questa convinzione). Oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia, per annullare la natura stessa dell’uomo. Nel suo piano muta i metodi, ma il fine è sempre lo stesso: dimostrare a Dio che la sua creatura prediletta è l’essere più idiota del creato”.

Il pamphlet di Nobile, di poche pagine ma denso di fatti e di idee e facile da leggere, è tutto un esame storico e attuale di come l’idea centrale di Nietzsche e le altre espressioni seguenti si stanno realizzando. La convinzione basilare di Nietzsche è questa: “Io definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, unica grande intima perversione, unico grande istinto di vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, occulto, sotterraneo, piccino. Io lo definisco: l’unico imperituro marchio di abominio dell’umanità”.

Agostino Nobile affronta L’Anticristo a mo’ di botta e risposta. Ha estratto dal volume del filosofo tedesco le molte proposte e previsioni che riguardano la “Guerra mortale contro il vizio e il vizio è il cristianesimo” e con una carrellata storica di duemila anni dimostra con riferimenti storici e attuali, come questi sogni di Nietzsche si sono gradualmente realizzati e ancor oggi si stanno realizzando, con l’educazione dei minori, la cultura dominante, i costumi e le leggi che riportano i popoli cristiani a ridiventare pagani. Il capitolo più provocatorio per noi, uomini d’oggi, è quello finale col titolo Anticristo Superstar (che è quello del libro divulgativo), dove Agostino Nobile dimostra che nel nostro tempo la “guerra mortale contro il cristianesimo” è giunta quasi al termine, poiché i sogni di Nietzsche stanno influenzando e orientando i governi dei paesi cristiani (cioè occidentali) e l’Onu con i suoi organismi.

Ecco un solo esempio di questa corrente della cultura e della legislazione che si sta imponendo nel nostro tempo. Noi anziani o persone di mezza età non ce ne accorgiamo, ma la massima autorità mondiale della sanità vuol imporre ai bambini delle scuole aberrazioni di questo. L’Oms dell’Onu (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha diffuso a tutti i governi europei un vademecum per promuovere nelle scuole corsi di sessuologia: “Standard dell’Educazione Sessuale in Europa” (consultabile su Internet), dove tra l’altro si legge: “ai bimbi da 0 a 4 anni gli educatori dovranno trasmettere informazioni sulla masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel gioco del “dottore”… Dai 4 ai 6 anni i bambini dovranno essere istruiti sull’amore e le relazioni con persone dello stesso sesso… Con i bambini dai 6 ai 12 anni i maestri terranno lezioni sui cambiamenti del corpo, mestruazione ed eiaculazione, facendo conoscere i diversi metodi contraccettivi. Nella fascia puberale tra i 12 e i 15 anni gli adolescenti dovranno acquisire familiarità col concetto di “pianificazione familiare” e conoscere il difficile impatto della maternità in giovane età, con la consapevolezza di un’assistenza in caso di gravidanze indesiderate e la relativa presa di decisione”.

Leggendo questo documento dell’Onu, che suscita sgomento e paura, mi vengono in mente i molti testi di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto su questo tema: “La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (Caritas in Veritate, 75), in questo senso: nel secolo scorso il “problema sociale” più grave era l’equa distribuzione della ricchezza e del benessere fra ricchi e poveri; oggi il maggior “problema sociale” è la distruzione della famiglia naturale e il pansessualismo che riducono rapidamente la popolazione mondiale promuovendo l’aborto, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’eutanasia e l’eugenetica e tante altre aberrazioni, fino alla clonazione di esseri umani, oggi tecnicamente possibile e già sperimentata. Benedetto XVI scrive (Caritas in Veritate, 75): “Non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha messo nelle mani dell’uomo. Alla diffusa, tragica piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, che è già abusivamente in atto, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite”.

Si giungerebbe così alla meta finale di quanto Nietzsche sognava: “Un mondo abitato e dominato da Superuomini che hanno imposto la loro volontà di potenza agli uomini inferiori, mediocri e comuni”, per cui era necessario “stabilire i valori della società e dello Stato in favore dell’individuo più forte, del Superuomo (l’uomo eletto, geniale, l’artista creatore che vince l’uomo medio) e della superiorità di razza e di cultura” (“Enciclopedia cattolica”, Città del Vaticano 1952). Non meraviglia che Nietzsche, messosi al servizio del nazionalismo tedesco, abbia profondamente influenzato il nazismo e la sua nefasta ideologia!

Ma è ancora più scandaloso che il nostro Occidente, con profonde radici cristiane, che si ritiene libero, democratico, istruito, laico, evoluto, popolare, sia incamminato, senza forse averne coscienza, sulla stessa via che conduce al nichilismo, alla distruzione della natura umana e alla morte. Come popolo, abbiamo tolto il Sole di Dio dal nostro orizzonte umano, vogliamo fare a meno di Dio e di Gesù Cristo e non abbiamo più nessuna luce di speranza nel nostro futuro.

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Le risposte del Papa ai più piccoli

Posté par atempodiblog le 24 février 2016

Le risposte del Papa ai più piccoli
Fonte: Corriere della Sera
Tratto da: Radio Maria

Dal libro «L’amore prima del mondo» (Rizzoli), pubblichiamo alcune delle domande rivolte a Papa Francesco da bambini di varie istituzioni rette dai gesuiti in tutto il modo, con le relative risposte del Pontefice raccolte da padre Antonio Spadaro, direttore della rivista «La Civiltà Cattolica».

Papa e lettere bambini

Caro Papa Francesco, 
vorrei sapere di più su Gesù. Come ha camminato sull’acqua? 
Con affetto, Natasha (Kenya, 8 anni) 

Cara Natasha, devi immaginare Gesù che cammina naturalmente, normalmente. Non ha volato sull’acqua o fatto le capriole nuotando. Lui ha camminato come cammini tu, cioè come se l’acqua fosse terra, un piede dopo l’altro, anche vedendo i pesci sotto i suoi piedi far festa o nuotare veloci. Gesù è Dio e lui dunque può fare tutto. Può anche camminare tranquillamente sull’acqua. Dio non affonda, sai?

315fyfr dans Fede, morale e teologia

Caro Papa Francesco, 
quando eri un bambino, ti piaceva ballare? 
Prajla (Albania, 6 anni) 

Tanto, cara Prajla! Ma proprio tanto tanto! Mi piaceva stare insieme con altri bambini, giocare, fare la ronda, ma anche ballare le nostre danze tipiche dell’Argentina. Mi divertivo molto. Poi da ragazzo mi piaceva ballare il tango. Mi piace tanto il tango. Vedi, ballare è esprimere la gioia, l’allegria. Quando uno è triste non può ballare. Generalmente i ragazzi hanno una grande risorsa: essere contenti. E per questo quando si è giovani si balla e così si esprime l’allegria del cuore. Persino il grande re Davide, quando prese Gerusalemme, facendone la Città Santa, vi fece trasportare solennemente l’Arca dell’Alleanza e si mise a ballare davanti ad essa. Non si preoccupò delle formalità, si dimenticò di doversi comportare come un re e si mise a ballare come un ragazzino! Ma Micol, sua moglie, vedendolo dalla finestra saltellare e ballare, lo derise e lo disprezzò nel suo cuore. Questa donna era malata di serietà, la «sindrome di Micol» io la chiamo. La gente che non può esprimere allegria sta sempre seria. Ballate, voi che siete bambini, così non sarete troppo seri quando sarete grandi!

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Caro Papa Francesco, la mia mamma è nel paradiso. Le cresceranno le ali d’angelo? 
Luca (Australia, 7 anni) 

Caro Luca, no, no, no! Tua mamma sta in cielo bella, splendida, piena di luce. Non le sono cresciute le ali. È proprio la mamma che tu conosci, ma più bella che mai. E lei ti guarda e sorride a te che sei suo figlio. Ogni volta che ti vede tua mamma è contenta, se ti comporti bene. Se non ti comporti bene, lei ti vuol bene lo stesso e chiede a Gesù di farti più buono. Pensa così la tua mamma: bella, sorridente e piena di affetto per te.

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Caro Papa Francesco, 
se tu potessi fare un miracolo, che cosa sarebbe? 
Con affetto, William (Usa, 7 anni) 

Caro William, io guarirei i bambini. Non sono riuscito ancora a capire perché i bambini soffrano. Per me è un mistero. Non so dare una spiegazione. Mi interrogo su questo. Prego su questa domanda: perché i bambini soffrono? È il mio cuore che si pone la domanda. Gesù ha pianto e piangendo ha capito i nostri drammi. Io cerco di capire. Se potessi fare un miracolo, guarirei tutti i bambini. Il tuo disegno mi fa riflettere: c’è una grande croce scura e dietro ci sono un arcobaleno e il sole che splende. Mi piace questo. La mia risposta al dolore dei bambini è il silenzio oppure una parola che nasce dalle mie lacrime. Non ho paura di piangere. Non devi averla neanche tu.

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Caro Papa Francesco, 
perché ti piace giocare a calcio? Ti auguro buona salute! 
Wing (Cina, 8 anni) 

Caro Wing, mi piace molto il calcio. Io non ho mai giocato partite serie perché non ho mai imparato bene la tecnica del gioco. Il mio piede non è agile. Ma mi piace tanto vedere giocare le squadre sul campo. Sai perché? Perché vedo che è un gioco di squadra, di solidarietà. Mi appassiono nel vedere una partita. Se un giocatore vuole giocare da solo perde, e poi non è amato dai suoi compagni di squadra. Si gioca bene al calcio quando si gioca insieme, quando si fa gioco di squadra e si cerca il bene di tutti senza pensare al bene personale o a mettersi in mostra. Così dovrebbe essere anche nella Chiesa.

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Caro Papa Francesco, 
sei mai stato accanto al sacerdote come chierichetto? 
Saluti da Alessio (Italia, 9 anni) 

Caro Alessio, sì che sono stato chierichetto. E tu? Quel chierichetto del disegno sei tu? Ma, senti, adesso è più facile. Devi sapere che quando ero bambino io la messa si celebrava in maniera differente da come si fa adesso. Il prete intanto guardava l’altare, che era accostato al muro, e non le persone. Poi il libro col quale diceva la messa, il messale, era messo sull’altare nella parte destra. Ma prima della lettura del Vangelo si spostava sempre sul lato sinistro. Questo era il mio compito: portarlo da destra a sinistra e da sinistra a destra. Ma che fatica! Era pesante! Io lo prendevo con tutta la mia energia, ma non ero robusto: lo sollevavo e mi cadeva, e così il prete mi doveva aiutare. Era un’impresa! Poi la messa non era in italiano. Il prete parlava ma io non capivo niente. E così anche i miei compagni. Allora poi per gioco imitavamo il prete storpiando un po’ le parole per fare strane frasi in spagnolo. Ci divertivamo. E ci piaceva tanto servire la messa.

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© 2016 LIBRERIA EDITRICE VATICANA, CITTÀ DEL VATICANO
© 2016 RIZZOLI /RCS LIBRI S.p.A., MILANO

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Alcuni pensieri del beato Tommaso Maria Fusco

Posté par atempodiblog le 24 février 2016

Alcuni pensieri del beato Tommaso Maria Fusco

beato tommaso maria fusco
Memoria liturgica: 24 febbraio

“Per mezzo della pazienza s’impara a vincere e superare se stessi. La pazienza è la salvaguardia ed il sostegno di tutte le virtù. La pazienza ci aiuta a fare il purgatorio in questo mondo e a metterci in stato, lasciando la terra, di essere ricevuti nel cielo e di essere coronati nella gloria”.

“Se non avessimo in noi tanti difetti, non avremmo tanto gusto e piacere in rimarcarli negli altri”.

“Persone che non avrebbero a lamentarsi che di se stesse si lagnano di tutti”.

“Quattro cose noi dobbiamo al nostro prossimo: sopportarlo nei difetti, aiutarlo nei bisogni, consolarlo nelle sue pene, edificarlo coi nostri buoni esempi e con la nostra condotta”.

“Quei difetti, che in voi o in altri non potete correggere, raccomandateli a Dio, senza turbarvi aspettate la sua divina disposizione”.

“Volete sapere il mezzo di ritrovare Gesù? L’umiltà vi metterà ai piedi della Sua croce, la confidenza nelle Sue mani, l’amore vi collocherà nel Suo Cuore…”.

“Iddio è il Padre delle misericordie e il Dio di ogni consolazione; Egli qualche volta separa queste due qualità: la consolazione si ritira, ma la misericordia sussiste”.

“Non avrete mai pace con voi se non quando farete a voi stessi una guerra continua”.

“Chi è abbandonato o vilipeso da chi meno se lo aspetta, sarà protetto da Dio, se saprà tollerare”.

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Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto. Dall’esordio a Milanello ai trionfi più importanti

Posté par atempodiblog le 20 février 2016

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto. Dall’esordio a Milanello ai trionfi più importanti
di Simone Radaelli – Sport Mediaset

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

 

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

L’inizio: il 20 febbraio 1986 Silvio Berlusconi acquista il Milan con l’idea di costruire la squadra più forte del mondo. Trova in panchina Nils Liedholm e porta subito con sé un giovanissimo Adriano Galliani.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Fin da subito si respira un’aria nuova a Milanello e tra i tifosi rossoneri torna l’entusiasmo. Berlusconi vuole fare le cose in grande e nel luglio 1986 presenta la squadra all’Arena atterrando con il suo elicottero sulle note de La Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il 15 maggio 1988 il Milan pareggia a Como e si laurea Campione d’Italia per l’11.esima volta nella storia. E’ il primo trofeo dell’era Berlusconi. Grande protagonista Ruud Gullit che conquista anche il Pallone d’Oro. Da qui inizia il ciclo di vittorie del presidente.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Un anno dopo (il 24 maggio 1989) la vittoria più bella. Milan sul tetto d’Europa a Barcellona grazie al magnifico 4-0 contro la Steaua Bucarest. La Coppa dei Campioni torna nella Milano rossonera dopo 20 anni. Berlusconi scende in campo a festeggiare: un trionfo che non dimenticherà mai.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

La storia si ripete nel 1990: è il 23 maggio quando il presidente Berlusconi alza al cielo la seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Successo per 1-0 sul Benfica nella finale di Vienna con gol di Rijkaard. E’ il secondo capolavoro di Arrigo Sacchi.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Al termine della stagione 1991 Arrigo Sacchi lascia il Milan dopo il secondo posto in campionato e Silvio Berlusconi ingaggia Fabio Capello. Un’altra mossa vincente del presidente rossonero: inizia un altro ciclo vincente in grado di ripetere le imprese del Milan dell’allenatore di Fusignano.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il celebre taglio della torta per festeggiare il secondo scudetto di Berlusconi, il dodicesimo del Milan. Una cavalcata trionfale con Capello in panchina e Van Basten sugli scudi in campo. L’olandese è capocannoniere con 25 gol in 31 partite. E’ il Milan degli invincibili: nessuna sconfitta in campionato.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

“Una partita stregata”, così l’ha definita Silvio Berlusconi. A Monaco il Milan perde 1-0 la finale di Champions League contro il Marsiglia. E’ la prima sconfitta significativa dell’era Berlusconi. I rossoneri si consolano vincendo il campionato.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Massaro, Massaro, Savicevic e Desailly: il Milan batte 4-0 il Barcellona di Cruijff e torna sul tetto d’Europa. Il 18 maggo 1994 è una data speciale per Silvio Berlusconi perché nello stesso giorno ottiene la fiducia dal Senato per il suo governo e conquista la terza Champions personale.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Jeans, camicia rosa e giubbottino di renna: Marco Van Basten che cammina sul prato di San Siro nell’agosto del 1995. E’ il suo addio al calcio per problemi fisici, l’immagine più triste stampata nella mente di tutti i rossoneri. Un dolore immenso anche per Silvio Berlusconi.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Senza Van Basten il Milan si conferma Campione d’Italia grazie a Weah e Baggio. E’ l’ultimo successo di Fabio Capello che passa al Real Madrid. Berlusconi punta su Oscar Tabarez che si rivelerà essere un fallimento. Dopo pochi mesi l’uruguaiano viene esonerato e inizia il Sacchi bis che si conclude con l’undicesimo posto in Serie A.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Nell’estate 1997 Silvio Berlusconi richiama Fabio Capello dopo l’anno vittorioso in Spagna alla guida del Real Madrid. Niente fasti del passato: l’avventura finisce male con il decimo posto in campionato.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Dopo due anni, il Milan torna al successo del campionato nel 1999 con Zaccheroni in panchina. Memorabile la rimonta sulla Lazio nelle ultime giornate di campionato e la partita di Perugia con la grandissima parata scudetto del giovane Abbiati su Bucchi.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

Il regalo per lo scudetto si chiama Andriy Shevchenko. Nell’estate l’attaccante arriva dalla Dinamo Kiev e inizia la sua scalata al mondo rossonero. Una storia vincente fatta di tanti gol.

Milan: 30 anni di Berlusconi con 30 foto

E’ l’11 maggio 2001 e a San Siro va di scena il derby. Una partita che entra di diritto nella storia rossonera: il Milan batte 6-0 l’Inter. In panchina Cesare Maldini, doppiette di Comandini e Shevchenko e gol di Giunti e Serginho. Tre giorni dopo Silvio Berlusconi vince le elezioni e torna Presidente del Consiglio.

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Il 5 novembre 2001 Carlo Ancelotti sostituisce Fatih Terim sulla panchina del Milan. La terza intuizione geniale per la panchina di Silvio Berlusconi. Inizierà il terzo ciclo importante di vittorie.

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Il 28 maggio 2003 il Milan torna a vincere la Champions League. Lo fa a Manchester nelle finale contro la Juve grazie al rigore decisivo di Shevchenko. Paolo Maldini solleva la quarta Coppa dei Campioni del presidente Silvio Berlusconi. Pochi giorni dopo anche la vittoria dell’unica Coppa Italia in finale contro la Roma e grande festa all’Ippodromo con due trofei in più in bacheca.

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Nel maggio 2004 il Milan torna ad appicicarsi lo scudetto sul petto. Il giorno della festa rossonera coincide anche con l’addio al calcio di Baggio che con la maglia del Diavolo ha scritto una pagina importante di storia.

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In estate il Milan accoglie un nuovo fenomeno: si chiama Kakàe arriva dal San Paolo tra lo scetticismo di molti che poi dovranno ricredersi. Un nuovo campione entra nella scuderia di Silvio Berlusconi.

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“Cancellerei Istanbul”, così il presidente Silvio Berlusconi ricorda la fatale finale di Champions League di Atene contro il Liverpool. Tutti sanno come è finita. Il punto più basso dei 30 anni alla guida dei rossoneri.

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Il 2007 è l’anno della vendetta al Liverpool, lo scenario è quello di Atene. Doppietta di Inzaghi e quinta Champions League alzata al cielo dal presidente Berlusconi. Il Milan è tornato a spaventare l’Europa.

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E’ dicembre 2007 e il Milan torna sul tetto del mondo. A Yokohama il Milan batte il Boca Juniors (altra vendetta) e conquista la prima edizione del Mondiale per Club. Un anno trionfale con anche la conquista della Supercoppa Europea contro il Siviglia.

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Il Milan dei brasiliani. Nell’estate 2008 Silvio Berlusconi si regala Ronaldinho. Il Gaucho, ancora oggi, ha un posto speciale nel cuore del presidente rossonero.

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Nell’estate 2009 si chiude il ciclo Ancelotti e Berlusconi, convinto da Galliani, mette in panchina Leonardo. Scelta non felice e un anno dopo la separazione: “E’ un testardo e fa giocare male la squadra”.

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Il 2010 segna l’arrivo di Massimiliano Allegri sulla panchina rossonera e Berlusconi compra Ibrahimovic dal Barcellona e Robinho dal Manchester City.

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Il primo anno di Allegri si conclude con la vittoria dello scudetto: il 18.esimo e ultimo fin ora dell’era Berlusconi.

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L’era di Allegri finisce dopo quattro anni con solo uno scudetto e una Supercoppa Italiana. Nel gennaio 2014 Berlusconi vuole sulla panchina Clarence Seedorf. L’olandese, però, dura solo sei mesi sulla panchina rossonera.

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Nuovo cambio in panchina: in estate arriva Pippo Inzaghi, promosso dalla Primavera. Un anno di alti e bassi e nessun trofeo. Finisce anche la sua avventura.

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Berlusconi festeggia negli spogliatoi l’ultima vittoria nel derby contro l’Inter: secco 3-0 ai cugini. Il presidente è raggiante e si congratula con Mihajlovic.

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L’orizzonte basso della nostra società

Posté par atempodiblog le 18 février 2016

Un caso esemplare
L’orizzonte basso della nostra società
La decisione dello scrittore algerino Kamel Daoud di lasciare il giornalismo dopo essere stato accusato di islamofobia dimostra che non si può tollerare il linciaggio riservato a chi non si accoda al pensiero dominante
di Susanna Tamaro – Corriere della Sera
Tratto da: Radio Maria

susanna tamaro

Sono rimasta molto colpita dalla lettera dello scrittore algerino Kamel Daoud in cui spiega le ragioni del suo ritiro dal mondo giornalistico. «Viviamo nell’epoca dell’ingiunzione. O stai da una parte o dall’altra. Ogni volta che scrivo qualcosa, scateno reazioni eccessive, ricevo tonnellate di insulti e minacce e, per fortuna, anche manifestazioni di sostegno. Ma non mi trovo a mio agio, perché non sono un provocatore. Sono solo un uomo libero che vuole esprimere la sua opinione. Questo non è più possibile».

Una dichiarazione così netta in un mondo che avesse ancora caro l’uso del pensiero, dovrebbe suscitare un grande allarme, e forse anche qualcosa più di un allarme. Un pensatore stimato, una persona ragionevole, intellettualmente onesta, che ha semplicemente osato fare un discorso critico e appassionato sul mondo a cui appartiene — e che sicuramente conosce meglio di noi — è stato pubblicamente dileggiato al punto tale da costringerlo a scegliere il silenzio.

Il caso in questione è legato a un’accusa di islamofobia da parte dalla crème degli intellettuali francesi legati a Le Monde, ma non ci vuole molto sforzo per capire che questo scenario si ripete con le stesse modalità sull’orbe terracqueo dominato ormai dalla dittatura della comunicazione digitale immediata.

Stai con me o contro di me? Questa è l’ampiezza di pensiero che viene concessa nei nostri iper-democratici tempi, ed è un’ampiezza che un solo sbocco: se non stai con me, non hai il diritto di esistere. Quello che una volta era l’eliminazione fisica dell’avversario — la gogna, la prova dell’ordalia — ora diventa il linciaggio virulento sui media che, con pochi battiti di tastiera, riescono a spargere il loro veleno anche nei luoghi più sperduti

Prima di tacciare di viltà chi decide di sottrarsi a questo gioco al massacro, come ha fatto lo scrittore algerino, bisogna sapere che cosa si prova ad essere un bersaglio di questo tipo. Per circa dieci anni, a partire dal 1995, sono stata oggetto di una campagna di calunnie che ha minato fortemente la mia vita e la mia salute. Non esistevano ancora, per mia fortuna, i social media, ma non c’era giorno che io non aprissi innocentemente la radio, sfogliassi un giornale, rispondessi una telefonata senza trovare il mio nome accostato a ogni tipo di infamia. Ero una fascista, naturalmente, una reazionaria, una bigotta, una creatura berlusconiana, l’idiota e furba prestanome di un’operazione di marketing ideato da altri, e chi più ne ha più ne metta. Ricordo, ad esempio — tanto per evidenziare il livello del discorso — che secondo un settimanale cattolico l’esistenza di persone come me e l’incolpevole Rosanna Lambertucci erano tra le cause del degrado morale del paese. Con il senno di poi, se devo contare le persone che, nel mondo culturale e dei media, non hanno parlato male di me in quegli anni, penso che bastino le dita di una mano.

Chi sceglie la carriera politica, in linea di massima, ha una personalità che gli permette di affrontare cose che uno scrittore o un poeta non sarebbe mai in grado di sopportare. L’abitudine all’insulto, alla calunnia, alla derisione fanno parte, ahimè, del nostro orizzonte politico. In questo gioco al massacro, i nostri politici sembrano quei pupazzetti che non cadono mai: oscillano, si piegano ma poi si rialzano con la stessa espressione ridente che avevano prima di cadere. Ma un artista, uno scrittore a queste campagne può anche soccombere perché vive in un’altra dimensione, più privata, più complessa, più fragile, lontana dalle frenesie del potere e dell’apparenza.

Come Kamel Daoud, neppure io sono mai stata una provocatrice, eppure i miei libri e le interviste che ho rilasciato hanno fatto divampare incendi di devastante ferocia nei miei confronti. Le parole dette e scritte hanno un peso, si depositano nella mente e nel cuore delle persone e lì continuano a lavorare, moltiplicando il loro potenziale veleno. Così può capitare negli anni, come è successo a me, di essere insultati per strada, di ricevere minacce di morte, di vedere sconosciuti uscire da librerie o dallo scompartimento di un treno, manifestando verbalmente l’obbrobrio della mia vicinanza.

In nome di che cosa persone che amano leggere, studiare, ragionare con pacatezza dovrebbero continuare a sottoporsi a una simile linciaggio che viene riservato d’ufficio a chi non si accoda al coro delle «magnifiche sorti e progressive» del pensiero dominante? Pensiero che si regge su un’unica — fallacissima — idea: l’uomo è naturalmente buono e, lasciato finalmente libero dai vari gioghi religiosi o di consuetudine sociale, non potrà far altro che ricreare intorno a sé il mondo ideale e pieno di amore che da sempre cova nel suo cuore.

Avrei avuto molte cose da dire sulle questioni apparentemente fondamentali che agitano l’universo dei media in queste settimane, ma ho scelto di non farlo perché non ho nessuna intenzione di sottopormi a un nuovo linciaggio. Non sono una pasionaria come la Fallaci, la pacatezza è stata sempre la cifra del mio ragionamento, ma so ormai che per questa dimensione non c’è più alcuno spazio. Il non pensiero e il trionfo del sentimentalismo individualista dominano ormai ogni dibattito, pubblico e privato che sia.

La nostra è una società che sta diventando sempre più afasica. Il crollo verticale della padronanza della lingua, il drastico impoverimento lessicale delle nuove generazioni contribuiscono in maniera determinante a questa impossibilità di ragionare. Se non si conoscono le parole per esprimere ciò che si prova, si diventa rapidamente estranei a sé stessi e al proprio destino, si diventa «poveri» perché non si è in grado di comprendere e di esprimere ciò che si ha dentro e dunque, per trovare sicurezza, non si può far altro che rivolgersi al branco e conformarsi alle sue leggi.

Che società è, mi chiedo, una società che non più in grado di elaborare ragionamenti complessi, che deride e distrugge tutto ciò che ha una lontana parentela con quelli che, fino ad adesso, sono stati i fondamenti della vita umana? La risposta è abbastanza facile. E’ una società che si tribalizza. Ho il fondato sospetto che questo trionfo della libertà individuale, anziché condurci nell’agognato Parnaso dell’uomo senza più gioghi, rischi di riportarci direttamente al primate che sonnecchia in noi. Primate che strilla se vede un serpente e che, con il suo strillo, mette in allarme i suoi simili, facendo strillare tutto il branco che il serpente non lo vede. Primati teneramente dolci, ma capaci di provare anche la gioia e la ferocia dell’assassinio fine a sé stesso, come annota in splendide pagine di doloroso stupore Jane Goodall, nella sua autobiografia. Una società in cui i comportamenti atavici hanno il sopravvento su qualche migliaio di anni di cultura e di civiltà è una società dall’orizzonte sempre più basso. E gli orizzonti bassi, di solito, generano realtà in cui la vita non è particolarmente piacevole.

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Radio Maria: Nessuno ha picchiato Le Iene

Posté par atempodiblog le 16 février 2016

Nessuno ha picchiato Le Iene

Alcuni social hanno pubblicato la notizia che Le Iene, che hanno fatto irruzione venerdì sera nella sede di Radio Maria, sono state picchiate.
E’ una notizia inventata dal nulla, al solo scopo di lanciare il servizio televisivo.

In realtà questa è stata la sequenza dei fatti:

1. Una Iena ,con un collaboratore di un giornale locale, da noi fotografati, sono entrati in incognito in cappella insieme agli altri fedeli e vi sono restate fino alla fine del rosario. Poi, all’inizio della catechesi, sono uscite con le loro gambe, probabilmente per dare informazioni ai loro “amici” che aspettavano di fuori. La loro presenza in cappella è stata ignorata e nessuno li ha disturbati.

2. Poco dopo, altre due Iene con la telecamera hanno cercato di penetrare in cappella evitando di usare l’entrata aperta al pubblico. Sono invece scese per le scale di sicurezza esterne e hanno cercato di forzare dall’esterno le porte di sicurezza.

3. Resosi conto di quanto stava per accadere, il servizio d’ordine ha invitato cortesemente le Iene ad allontanarsi in quanto stavano disturbando la gente riunita in cappella.
DA UN FILMATO IN NOSTRO POSSESSO NON RISULTA NESSUNA AGGRESSIONE: si vede il tentativo di abbassare una telecamera all’operatore delle Iene, ma non c’è stato nessun trattenimento a terra e non è stato in alcun modo picchiato il Sig. Mauro Casciari, contrariamente a quanto è stato affermato prima, durante e dopo la trasmissione delle Iene.

Questo è quanto accaduto.

Redazione di Radio Maria

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Papa Francesco: “Il perdono è un seme, è una carezza di Dio”

Posté par atempodiblog le 9 février 2016

 Si è o “grandi perdonatori” o “grandi condannatori”
Papa Francesco: “Il perdono è un seme, è una carezza di Dio”

Papa Francesco

[...] Papa Fracensco: “Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori, in quest’Anno della Misericordia specialmente: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione – faccio questa ipotesi – per favore, non bastonare. Quello che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua anima; che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: “Ma, Dio ti vuole bene”.

“Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace”, ha detto. Francesco per poi ricordare quante volte i sacerdoti hanno sentito dire “non vado mai a confessarmi, perché una volta mi hanno fatto queste domande”. Poi ha raccontato l’incontro con un grande confessore e distinto tra “parole” e “gesti” che chiedono il perdono, come quando una persona si avvicina al confessionale: “è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuole togliersi”, forse non sa come dirlo – ha spiegato -  ma “lo dice con il gesto di avvicinarsi”. “Non è necessario fare delle domande”:

“Il perdono è un seme, è una carezza di Dio. Abbiate fiducia nel perdono di Dio. Non cadete nel pelagianismo, eh? Tu devi fare questo, questo, questo, questo…”.

Il Papa ha poi lanciato un monito spiegando che si è o “grandi perdonatori” o “grandi condannatori”:

“O fai l’ufficio di Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera, tante ore lì, seduto, come quei due, lì; o fai l’ufficio del diavolo che condanna, accusa…”.

di Massimiliano Menichetti
Tratto: Radio Vaticana

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Il Velo di Manoppello

Posté par atempodiblog le 9 février 2016

Indizi della risurrezione di Gesù
Il Velo di Manoppello
È in Abruzzo dal XVII secolo la “Veronica” romana, “vera icona” di Cristo “non fatta da mani d’uomo”. Un’immagine che mostra il volto di una persona reale
di Lorenzo Bianchi – 30 Giorni

San Michele Arcangelo a Manopello
San Michele Arcangelo a Manoppello, chiesa edificata nel 1630 che dal 1638 ospita il Velo del Volto Santo. Negli anni Sessanta del secolo scorso è stata praticamente rifatta; la facciata risale a questo periodo

«Nel tempo di Giulio II, pontefice romano, circa gli anni del Signore 1506, [...] viveva in Manoppello, terra molto civile e ben situata, di tutte le cose necessarie all’umano vivere ricca e opulenta, nell’Abruzzo Citeriore, provincia del regno di Napoli, Giacom’Antonio Leonelli, dottore fisico [...]. Se ne stava un giorno Giacom’Antonio Leonelli in pubblica piazza e quasi sulla porta della chiesa matrice il cui titolo è di San Nicola di Bari, in onesta conversazione con altri suoi pari; nel più bello del discorso vi arrivò un pellegrino da nessuno conosciuto, d’aspetto religioso e molto venerando, il quale, salutato che ebbe una così bella corona di cittadini, disse con termini di creanza e umanità al Dottor Giacom’Antonio Leonelli di dovergli parlare di una cosa segreta e a lui di molto gusto, utile e profitto. Tiratoselo così da parte sin dentro i liminari di essa chiesa di San Nicola, gli diede un fardelletto e, senza svolgerlo, gli disse che si tenesse molto cara quella devozione, perché Dio gli avrebbe fatto molti favori e avrebbe sempre prosperato e nelle cose temporali e quelle spirituali. Preso Giacom’Antonio il fardelletto, appartatosi verso il fonte dell’acqua benedetta, cominciò ad aprirlo. Vista quella Sacratissima Immagine del Volto di Cristo Signore nostro, restò, a prima vista, alquanto spaventato, prorompendo in tenerissime lacrime che poi raffreddò per non apparire così ai suoi amici. Ringraziando Dio di un tanto dono, riavvolse l’immagine come era prima, si rivolse poi allo sconosciuto pellegrino per ringraziarlo e accoglierlo nella sua casa, ma non lo vide più. Spaventato, quasi balbettando, domandò agli amici, i quali affermarono di averlo veduto entrare con lui in chiesa, ma non averlo visto uscire da essa. Pieno di meraviglia, lo fece diligentemente cercare dentro e fuori di Manoppello, ma non fu possibile rintracciarlo, onde tutti giudicarono quell’uomo sotto l’aspetto di pellegrino essere un Angelo del cielo o altro Santo del Paradiso».
Così è raccontato, con tratti a tutta evidenza leggendari, l’arrivo a Manoppello del Velo del Volto Santo nella Relatione historica di padre Donato da Bomba, composta tra il 1640 e il 1646. Da qui in poi quanto detto nella Relatione è storicamente certa: validità storica: nel 1618 Marzia Leonelli, figlia ed erede di Giacom’Antonio, vendette il velo a Donat’Antonio de Fabritiis, che a sua volta nel 1638 lo donò ai Cappuccini insediati a Manoppello. Nel 1646 un atto notarile autentica la donazione. Il Velo, molto danneggiato e sfilacciato, viene ripulito, ritagliato e sistemato in una cornice, come ancora dice la Relatione: «l’istesso padre Clemente, pigliate le forbici, tagliò via tutti quelli stracciarelli d’intorno, e purificando molto bene la Santissima Immagine dalle polveri, tignuole e altre immondizie, la ridusse alla fine come adesso appunto si trova. Il sopraddetto Donat’Antonio, desideroso di godersi quella Santissima Immagine con maggior devozione la fece stendere in un telaio di legno, con cristalli dall’una e dall’altra parte, ornata con certe cornicette e lavori di noce da un nostro frate cappuccino chiamato frate Remigio da Rapino (non fidandosi di altri maestri secolari)».
Cornice e vetri sono gli stessi che tuttora compongono l’ostensorio che contiene il Velo del Volto Santo, esposto all’interno del santuario che lo ospita, poco fuori Manoppello (in provincia di Pescara ma nella diocesi di Chieti).

Un’immagine unica
Le caratteristiche del Velo e dell’immagine che vi appare sopra sono uniche. Il Velo, delle dimensioni di 17,5 per 24 centimetri (ma originariamente più grande, come ci dice la Relatione; quanto fosse più grande però non lo sappiamo), è fabbricato con tessitura finissima (anche se si percepiscono alcune imperfezioni nella trama) con fili di circa un millimetro e un intervallo di spazio tra l’uno e l’altro di circa due millimetri; appare di colore bruno dorato, a seconda della prospettiva di visuale e dell’illuminazione, ed è trasparente. Si è fatta l’ipotesi, per via del colore e della trasparenza, che sia fabbricato con bisso marino, cioè formato dai filamenti lavorati di un mollusco denominato Pinna nobilis. Il bisso marino è un tessuto finissimo dallo splendore simile a quello della seta, alla quale si rassomiglia anche al tatto, risultando di leggerezza quasi impalpabile. L’ipotesi sul tessuto è stata sostenuta nel 2004 da Chiara Vigo, una delle ultime tessitrici di questo materiale, ma attende ancora una definitiva conferma, che potrà essere data, se non dal diretto esame tattile (ora non possibile a causa della sistemazione del velo tra due vetri), da indagini morfologiche e strutturali compiute con strumentazione adeguata.
Sul Velo è impresso un volto dalla fronte alta, con i capelli che cadono fin sulle spalle, con baffi radi e barba bipartita. Gli occhi hanno una posizione particolare: guardano leggermente in alto mostrando il bianco del globo oculare sotto la pupilla. Il volto non è visibile osservando il velo in trasparenza, ma solo ponendolo contro uno sfondo; e, cosa singolare, l’immagine appare specularmente e con la medesima intensità di colore da entrambi i lati da cui lo si può osservare, fronte e retro. Si comporta all’apparenza, insomma, come una pellicola fotografica positiva. Il volto è chiaramente asimmetrico, con un lato maggiormente rigonfio; e si distinguono delle macchie che potrebbero essere interpretate come sangue, in particolare presso la bocca e il naso, che appare come tumefatto. Tali macchie sono bidimensionali e senza riferimenti al rilievo del volto.

Sindone e Velo Manopello
A – il volto della Sindone di Torino;
B – sovrapposizione del volto del Velo di Manoppello sul volto della Sindone;
C – il volto del Velo di Manoppello
(Blandina Paschalis Schlömer)

Ricerche iconografiche e storiche
La tradizione popolare ha per più di quattrocento anni venerato come una reliquia il Volto Santo di Manoppello, attribuendogli il carattere di acheiropoietos(termine greco che vuol dire “non fatto da mano d’uomo”), ma solamente negli ultimi anni del secolo scorso sono state avviate indagini sull’oggetto. E queste indagini hanno dato finora risultati sicuramente ancora molto parziali, ma certo anche sorprendenti, che investono la storia e la natura stessa dell’immagine del Volto Santo.
Negli studi di suor Blandina Paschalis Schlömer, allo stesso tempo pittrice e studiosa di icone, si sostiene lo strettissimo rapporto tra l’immagine del Velo di Manoppello e il volto impresso sulla Sindone (un’immagine, quest’ultima, determinata dalla ossidazione delle più superficiali fibrille del lino di cui il lenzuolo è composto, e di cui le indagini scientifiche svolte nel corso degli ultimi cento anni non sono ancora riuscite, come è noto, a determinare la causa). Un rapporto talmente stretto da permettere la totale compatibilità in sovrapposizione del Volto Santo con il volto della Sindone (e, in aggiunta, una piena compatibilità anche con le macchie di sangue del Sudario di Oviedo), secondo una numerosa serie di punti di contatto. Nello stesso tempo, esistono due fondamentali differenze tra le due immagini: innanzitutto la Sindone presenta gli occhi chiusi e il volto appare più rigido e ossuto, mentre il Volto Santo ha gli occhi aperti e appare più disteso; in secondo luogo, non tutte le ferite che appaiono sulla Sindone appaiono anche sul Volto Santo, e quelle che vi appaiono hanno dimensioni geometriche minori e sembrano comunque più sfumate.
L’osservazione di questa corrispondenza tra le due immagini ha innanzitutto condotto a riconsiderare la storia della trasmissione iconografica del volto di Cristo, in Oriente e in Occidente, oltre che di individuare il percorso del Volto Santo nei secoli precedenti il suo improvviso e misterioso arrivo a Manoppello. Il 31 maggio del 1999, il gesuita professor Heinrich Pfeiffer, uno dei massimi esperti di arte cristiana (insegna Storia dell’arte presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma), dopo anni di verifiche comunicò, presso l’Associazione della Stampa estera a Roma, il risultato delle sue ricerche, che cioè era stata ritrovata la Veronica romana, la famosa immagine del volto di Cristo acheiropoietos, nota a Roma tra XII e XVII secolo quando, custodita nella Basilica Vaticana, veniva periodicamente esposta alla venerazione dei fedeli. Immagine che una tradizione attribuiva all’episodio della donna – chiamata appunto Veronica, nome da interpretarsi probabilmente come la corruzione dei termini vera icona, “vera immagine” – che avrebbe asciugato con un panno il volto di Gesù durante la salita al Calvario.

L’icona del Sancta Sanctorum al Laterano, nota dalle fonti antiche come “acheropsita”. Dall’VIII al XII secolo vi era sovrapposto, secondo l’ipotesi di padre Heinrich Pfeiffer, il velo attualmente conservato a Manoppello, noto poi a Roma come la “Veronica” (“vera icona”)
L’icona del Sancta Sanctorum al Laterano, nota dalle fonti antiche come “acheropsita”. Dall’VIII al XII secolo vi era sovrapposto, secondo l’ipotesi di padre Heinrich Pfeiffer, il velo attualmente conservato a Manoppello, noto poi a Roma come la “Veronica” (“vera icona”)

«Il Volto Santo è la Veronica romana»
Sulle ragioni di questa identificazione con la reliquia un tempo più famosa della stessa Sindone, padre Pfeiffer ha già scritto anche su queste pagine (H. Pfeiffer, Ma la “Veronica” è a Manoppello, in 30Giorni, n. 5, maggio 2000, pp. 78-79), sostenendo con argomentazioni più che convincenti che la Veronica – che ci viene descritta dalle fonti medievali come un telo finissimo trasparente con l’immagine visibile da entrambi i lati – venne trafugata in una data imprecisata da Roma all’inizio del XVII secolo (un’altra ipotesi, fatta in base a documentazione d’archivio e considerazioni storiche da Saverio Gaeta retrodaterebbe questo passaggio all’occasione del Sacco di Roma del 1527, lasciando comunque inalterata la sostanza delle cose), comparendo a Manoppello tra 1608 e 1618, in accordo con la documentazione storica locale depurata dai tratti leggendari.
Riassumiamo brevemente alcuni dati fondamentali proposti da Pfeiffer per questa identificazione. Innanzitutto la Veronica che tuttora si conserva in San Pietro in Vaticano non mostra più alcuna immagine: i pochi studiosi del passato che poterono osservarla da vicino, come il De Waal e il Wilpert (ricordiamo che dal XVII secolo il telo presente a Roma non viene più esposto al pubblico), vi videro solo qualche macchia brunastra; anche chi ha potuto recentemente osservarla (ivi compreso il pontefice Giovanni Paolo II) non vi ha trovato traccia di immagine.
In secondo luogo il telo attualmente a Roma non è affatto trasparente, mentre il reliquiario del 1350 che conteneva la Veronica a Roma, tuttora conservato nel tesoro della Basilica Vaticana, costituito da due vetri di cristallo di rocca, era destinato evidentemente a un oggetto che poteva essere esposto da entrambi i lati. Questo reliquiario, di forma quadrata e dalle dimensioni compatibili con il velo di Manoppello, del quale è di poco più grande (ma abbiamo visto che il velo fu ritagliato) fu poi sostituito prima da un altro, alla metà del XVI secolo (ora perduto), e poi da quello attuale: un documento ci testimonia della solenne nuova collocazione della reliquia – cioè, come si ipotizza, del falso che la sostituisce – il 21 marzo 1606 in una nicchia ricavata all’interno del pilone della cupola detto appunto “della Veronica”. Come si legge in un elenco dell’archivista di San Pietro Giacomo Grimaldi datato 1618, il reliquiario del 1350 ha i vetri rotti: e un residuo, interpretato come vetro, si nota tuttora incollato sul bordo inferiore del velo di Manoppello. Similmente a quanto si è già detto a proposito delle indagini sulla natura fisica del tessuto con cui è fabbricato il velo, l’attuale impossibilità di rimuoverlo dall’ostensorio che ora lo contiene non ha ancora potuto fornire la certezza dell’identità materica di questo frammento con quanto resta del reliquario vaticano del 1350.
In terzo luogo la Veronica mostrava un volto con gli occhi aperti, come appare in tutte le sue rappresentazioni anteriori al 1616, mentre una copia fatta in quell’anno mostra un volto con gli occhi chiusi. Paolo V di lì a poco vieterà ulteriori copie della reliquia, sotto la pena della scomunica; Urbano VIII nel 1628 ordinerà infine che tutte le copie esistenti, fatte negli ultimi anni, siano distrutte.

Il volto di una persona reale
Ma padre Pfeiffer giunge ancora più oltre con le sue ricerche, che ci permettono di ritenere con grandissima probabilità che il Volto Santo di Manoppello, cioè la Veronica romana, sia uno dei due prototipi, cioè modelli fondamentali, per l’immagine di Cristo. Il secondo modello è la Sindone di Torino. Egli rimarca in particolare che le guance delle immagini del tipo classico di Cristo sono quasi sempre, come avviene per la Sindone e per il Volto Santo, disuguali: il volto è perciò asimmetrico, contrariamente a quanto accade per tutte le raffigurazioni delle divinità antiche, che presentano invece un volto ideale e simmetrico. Il Cristo classico ha dunque un volto personale e individuale; e di questo volto, per la struttura fortemente asimmetrica il modello è la Sindone, o la Sindone insieme con il Volto Santo (le due reliquie, probabilmente, per un certo periodo dovettero, come pensa Pfeiffer, circolare unite); per gli occhi e tutti gli aspetti più vitali, l’unico modello è costituito dal Volto Santo.
Dunque, concludiamo noi, un volto esistito, concreto, reale; non un modello astratto, magari preso a prestito dalla iconografia del filosofo, come spesso capita di leggere o ascoltare da storici dell’arte, cristianisti e anche teologi. Il volto di un uomo di carne, non di un’idea.
La ricerca iconografica porta infine padre Pfeiffer a sostenere l’identificazione, da molti condivisa, della Sindone di Torino con il Mandylion di Edessa, noto in questa città nel 544 al tempo dell’assedio dei Persiani, traslato a Costantinopoli nel 944, da qui scomparso nel 1204 e poi giunto in Occidente; e l’identificazione del Volto Santo di Manoppello con l’immagine del volto di Cristo trasferita da Kamulia (Cappadocia) a Costantinopoli nel 574, di qui sparita verso il 705, al tempo del secondo periodo di regno dell’imperatore Giustiniano II; questo telo finissimo, trasparente, giunto a Roma fu nascosto (forse attaccato sopra l’icona detta “acheropsita” del Sancta Sanctorum del Laterano), quindi sotto Innocenzo III (1198-1216) staccato e portato in San Pietro, con il nome di Veronica.
È ferma convinzione di padre Pfeiffer che il Volto Santo sia un’immagine acheiropoietos: «Prendendo le mosse dalla perfetta sovrapponibilità del volto della Sindone di Torino con il volto di Manoppello, si è indotti ad ammettere che sia l’immagine sul velo sia quella sulla Sindone si siano formate nello stesso tempo. Vale a dire nei tre giorni che vanno dalla sepoltura di Gesù alla sua resurrezione, all’interno del sepolcro. Il Sudario di Manoppello e la Sindone sono le uniche due vere immagini del volto di Cristo dette “acheropite” cioè non realizzate da mani d’uomo» (H. Pfeiffer in P. Baglioni, Bernini o no, è un capolavoro, in 30Giorni, n. 9, settembre 2004, pp. 67-69).
Esiste qualche indizio fisico che possa fare ritenere che, come l’immagine della Sindone è stata prodotta non artificialmente, così anche sia avvenuto per l’immagine del Volto Santo di Manoppello?

Velo Volto Santo
Il Velo del Volto Santo di Manoppello all’interno del reliquiario che attualmente lo contiene

Indagini scientifiche in corso
Nel 1998-1999 alcune prime indagini di carattere scientifico sul Volto Santo di Manoppello vennero compiute da Donato Vittore, professore nella Facoltà di Medicina dell’Università di Bari. Il Velo fu indagato con uno scanner digitale ad alta risoluzione; il risultato dichiarato da Vittore fu che nell’interspazio tra il filo dell’ordito e il filo della trama non si evidenziavano residui di colore. Questo gli permise di escludere che il Volto Santo fosse il risultato di una pittura a olio, data l’assenza di deposito di colore, e anche di una pittura ad acquerello, risultando i contorni dell’immagine molto netti nell’occhio e nella bocca e non riscontrandosi sbavature nel disegno come sarebbe avvenuto se il tessuto fosse stato intriso dalla pittura. Di queste indagini si attende ancora una pubblicazione sistematica, ma l’autore le ha illustrate, presentando diverse immagini di dettaglio, in vari convegni, l’ultimo dei quali a Lecce nel marzo 2007.
Stando così le cose, se si rivelasse confermata l’ipotesi, fatta nel 2004, che il tessuto sia composto di bisso marino, fibra liscia e impermeabile, occorrerebbe anche considerare che un simile tessuto è di fatto tecnicamente non pitturabile, poiché il colore tenderebbe a scivolare formando delle croste, che invece sulla tela non appaiono; mentre modifiche del colore potrebbero ottenersi su un simile tessuto per decolorazione (ma certo non con risultati di precisione di disegno simile a quella che si riscontra sul Velo di Manoppello).
Altre indagini in microscopia e spettroscopia sono state poi compiute da Giulio Fanti, professore di Ingegneria meccanica e termica presso l’Università di Padova. L’analisi in luce ultravioletta con la lampada di Wood ha confermato una prova che già era stata svolta nel 1971: né il tessuto né l’immagine del Volto mostrano una fluorescenza apprezzabile, come sarebbe da attendersi in presenza di sostanze di amalgama dei colori, mentre una spiccata fluorescenza appare dove sono evidenti segni di restauro, in corrispondenza degli angoli superiori destro e sinistro. Purtuttavia tracce di sostanze (pigmenti?) sembrano presenti anche su altre parti del Velo. L’analisi in luce infrarossa ha però mostrato anche l’assenza di una bozza preventiva sottostante l’immagine, e l’assenza di correzioni. Una restituzione in 3-D delle immagini acquisite ha mostrato ulteriori punti di corrispondenza tra l’immagine del Velo e quella della Sindone; si è notato infine che, al contrario dell’apparenza, le due immagini (anteriore e posteriore) del Velo non sono perfettamente speculari: ci sono singolari e difficilmente spiegabili differenze in alcuni particolari, tra fronte e retro, dal segno talmente sottile che l’idea che si possa in questo caso parlare di pittura è tecnicamente davvero problematica.
Altre indagini scientifiche sono tuttavia ancora in corso; si attende che possano fornire dati ulteriori in ordine a tre problemi fondamentali: il primo, la precisazione del rapporto di relazione del Velo con la Sindone; il secondo, la modalità di formazione dell’immagine sul Velo; il terzo, se siano due i momenti di questa formazione, uno riferito alle macchie di sangue (se si riveleranno davvero tali), l’altro al volto: la bidimensionalità delle supposte macchie ematiche, svincolate da un riferimento ai tratti a rilievo del volto, postulerebbe infatti due diversi momenti di impressione, esattamente come le indagini hanno dimostrato essere accaduto per la Sindone.
Rileggiamo il Vangelo di Giovanni: potrebbe essere proprio questo velo, “il sudario”, che Pietro e Giovanni videro nel sepolcro, «che gli era stato posto sul capo», e che apparve ai due Apostoli, «non disteso con i teli [cioè con la Sindone], ma, al contrario, avvolto in una posizione unica» (Gv20, 7). Rimasto, cioè, in posizione rilevata nel posto in cui era stato messo, sopra la Sindone e a contatto con essa, coprendo la zona del capo e del volto di Gesù. E Giovanni, «vide e credette» (Gv20, 8).

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Giornata antitratta nel nome di Santa Giuseppina Bakhita

Posté par atempodiblog le 8 février 2016

Giornata antitratta nel nome di Santa Giuseppina Bakhita
“Rompere le pesanti catene” e “l’intollerabile vergogna” di chi ancora oggi compra e vende esseri umani. Sono le parole che il Papa ha usato ieri all’Angelus per ricordare la seconda Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che si celebra oggi nel mondo, un triste fenomeno più volte denunciato da Francesco. La data dell’8 febbraio coincide con la memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, la schiava sudanese divenuta religiosa canossiana.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Giuseppina Bakhita

Quella bimbetta non si era mai messa un vestito addosso fin dal giorno in cui i due ceffi erano sbucati dal nulla tra i campi sbarrandogli il passo e puntandogli un coltellaccio al fianco, per poi portarsela via come si ruba una gallina da un pollaio. Quel giorno in cui la sua vita viene risucchiata in un incubo quella bimbetta di 9 anni per la paura dimentica tutto, perfino il suo nome e quello di mamma e papà con i quali viveva serena.

Schiava
Così ci pensano i mercanti di schiavi arabi, non a rivestirla ma a ribattezzarla. “Bakhita”, la chiamano, “fortunata”. Atroce sberleffo per quella piccola nata nel 1869 in un villaggio del Darfur, nel Sud Sudan, diventata adesso carne di scambio, condita da fame e frustate, merce umana che passa di mano in mano sui mercati di El Obeid e Khartoum. Un giorno, mentre è al servizio di un generale turco, le viene inciso un “tatuaggio” a colpi di lama sul corpo, 114 tagli, e le ferite coperte di sale perché così restino in rilievo…

La luce
Bakhita sopravvive a tutto e un giorno un raggio di luce colpisce l’inferno. Callisto Legnami si chiama l’agente consolare che la acquista dai trafficanti di Khartoum e quel giorno Bakhita-Fortunata indossa per la prima volta un vestito, entra in una casa, la porta viene chiusa e 10 anni di brutalità inenarrabili restano sulla soglia.

Due anni dura l’oasi quando il funzionario italiano, che la tratta con affetto, è costretto a rimpatriare sotto l’incalzare della rivoluzione mahdista. Bakhita ricorderà di quel momento: “Osai pregarlo di condurmi in Italia con sé”. Callisto Legnami accetta e nel 1884 Bakhita sbarca sulla penisola dove per la piccola ex schiava c’è ad attenderla un destino inimmaginabile. Diventa la bambinaia di Alice, la figlia dei coniugi Michieli, amici del Legnami, che abitano a Zianigo, frazione di Mirano Veneto.

Libera
Nel 1888 la coppia che la ospita deve partire per l’Africa e per 9 mesi Bakhita e Alice vengono affidate alle Suore Canossiane di Venezia. Dopo il corpo, Bakhita comincia a rivestire anche l’anima. Conosce Gesù, impara il catechismo, si affranca per sempre dalla sua condizione di “oggetto” cosicché quando la signora Michieli torna in Italia a riprendersi figlia e bambinaia, Bakhita si oppone: non la seguirà in Africa. La donna non accetta ma né il Patriarca di Venezia, Domenico Agostini, né il procuratore del re ai quali si rivolge le danno ragione: in Italia, le dicono, “non si fa mercato di schiavi”.

Suor “Moreta”
Il 9 gennaio 1890 dallo stesso Patriarca di Venezia Bakhita riceve Battesimo, Cresima e Prima Comunione con il nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata. Nel 1893 entra nel noviziato delle Canossiane, tre anni dopo pronuncia i voti e per ben 45 anni sarà cuoca, sacrestana e soprattutto portinaia del convento di Schio, dove lei imparerà a conoscere la gente e la gente ad apprezzare il docile sorriso, la bontà e la fede di quella “morèta”, “moretta”, e i ragazzini a voler assaggiare la “suora di cioccolata”.

“Bacio le mani ai negrieri”
Per tutta Schio è una giornata di lutto quando Giuseppina Bakhita muore l’8 febbraio 1947, sopraggiunta a causa di una polmonite. Fortunata davvero la sua vita e lo dirà lei stessa: “Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”.

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Festeggiamenti in onore della Beata Vergine al Santuario di Lourdes di Napoli

Posté par atempodiblog le 6 février 2016

SANTUARIO MADONNA DI LOURDES – NAPOLI
Missionari Vincenziani

Gradini San Nicola da Tolentino, 12 al Corso Vittorio Emanuele (Cariati)

Santuario Madonna di Lourdes

Bernadette Soubirous è vissuta 35 anni: ventidue a Lourdes (1844 – 1866), tredici a Nevers (1866 – 1879). Nel 1858, nella Grotta di Massabielle, a Lourdes, la Vergine Maria le appare diciotto volte. La vita di Bernadetta ne fu trasfigurata. La nostra lo sarà, se noi accettiamo come lei di metterci alla scuola di Maria, alla scuola del Vangelo.
Diceva spesso: “Maria SS.ma Immacolata è così bella, che dopo averla vita una volta, non si attende altro che di rivederla in Cielo per sempre”. E andò a vederla, “la sua Madre del Cielo”, il 16 aprile 1879.
Insieme con Bernadette seguendo le sue orme di semplicità, di servizio e soprattutto di preghiera incontreremo in questi giorni Maria “la Signora vestita di bianco”.

Festeggiamenti in onore della Beata Vergine Maria di Lourdes

8 – 11 febbraio / 18 febbraio – 4 marzo 2016

Per approfondire le notizie sul Santuario alla Beata Vergine di Lourdes di Napoli cliccare Festeggiamenti in onore della Beata Vergine al Santuario di Lourdes di Napoli dans Apparizioni mariane e santuari Freccia QUI

PROGRAMMA
a cura di p. Giuseppe Fiorentino C. M., Rettore del Santuario e Padri Vincenziani

8 febbraio (lunedì) – Apertura delle Celebrazioni Mariane
Ore 8:30 Santo Rosario

Ore 9:00 Santa Messa
Ore 17:30 Santo Rosario
Ore 18:00 Pellegrinaggio della GMV di Napoli – P. Giuseppe Martinelli, C. M. – Santa Messa
Ore 19:00 Processione aux flambeaux

9 febbraio – martedì
Ore 8:30 Santo Rosario

Ore 9:00 Santa Messa alla Grotta
Ore 17:30 Santo Rosario
Ore 18:00 Pellegrinaggio Parrocchia Medaglia Miracolosa, Rione Traiano – Celebrazione Eucaristica presieduta dal Parroco p. Lorenzo Manca, C. M.
Ore 19:00 Processione aux flambeaux

10 febbraio – mercoledì delle Ceneri
Ore 8:30 Santo Rosario

Ore 9:00 Santa Messa alla Grotta
Ore 18:00 Celebrazione Eucaristica
Ore 19:00 Processione aux flambeaux

11 febbraio – giovedì
Ore 8:00 – 9:00 Sante Messe

Ore 10:00 Celebrazione Eucaristica presieduta da p. Salvatore Farì, C. M., parroco della Parrocchia “San Gioacchino”
Ore 11:00 Celebrazione Eucaristica presieduta dal Rev.mo p. Giuseppe Guerra, C. M.
Ore 12:00 Supplica – Santa Messa presieduta dal Rev. p. Antonio Colamarino, Parroco Santa Maria Apparente
Ore 17:30 Santo Rosario
Ore 18:00 Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da Sua Ecc. Rev.ma mons. Beniamino De Palma, Arcivescovo-Vescovo della Diocesi di Nola con la partecipazione della Parrocchia “San Gaetano” in Pianesi, Cava dei Tirreni
Ore 19:00 Processione aux flambeaux

18 febbraio (giovedì) – Inizio della quindicina
Ore 8:30  Santo Rosario
Ore 9:00 Santa Messa alla Grotta

1 marzo – martedì
Ore 8:30 Santo Rosario
Ore 9:00 Santa Messa
Dalle ore 9:30 alle ore 12:00 Esposizione del Santissimo Sacramento e Adorazione
Ore 17:30 Santo Rosario
Ore 18:00 Pellegrinaggio  del Decanato. Santa Messa presieduta da Mgr. Giuseppe Carmelo, decano

2 –3 marzo (mercoledì – giovedì)
Ore 8:30 Santa Rosario
Ore 9:00 Santa Messa
Dalle ore 9:30 alle ore 12:00 Esposizione del Santissimo Sacramento e Adorazione

4 marzo – venerdì – Chiusura delle Celebrazioni Mariane
Ore 8:30 Santo Rosario

Ore 9:00 Santa Messa
Dalle ore 9:30 alle ore 12:00 Esposizione del Santissimo Sacramento e Adorazione
Ore 17:30 Santo Rosario
Ore 18:00 Pellegrinaggio Parrocchia Santa Maria Apparente con la partecipazione della Parrocchia “Concordia”, Parroco Don Mario Ziello
Celebrazione Eucaristica presieduta dal Rev.mo don Antonio Colamarino, Parroco di Santa Maria Apparente e processione del Santissimo Sacramento.

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COME ARRIVARE AL SANTUARIO DI LOURDES DI NAPOLI
a cura dei Padri Vincenziani

1. Dalla stazione ferroviaria:
Metropolitana – scendere a Mergellina. Pulmann C16 – fermata Piazza Cariati.
Oppure dalla stazione: qualsiasi pullman diretto a Piazza del Plebiscito – a 100m in Piazzetta Augusteo prendere funicolare-misto, scendere alla prima fermata (Corso Vittorio Emanuele);

2. Dall’autostrada:
All’uscita del casello, imboccare la Tangenziale – uscire a Fuorigrotta – imboccare il tunnel e quindi il Corso Vittorio Emanuele – Piazza Cariati;

3. Dalla città:
L’unico pullman che percorre l’intero Corso Vittorio Emanuele è il C16 – Capolinea: Mergellina-Piazza Canneto, fermata a Piazza Cariati.

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La Chiesa di Cristo nasce in ogni cuore che Lo conosce

Posté par atempodiblog le 5 février 2016

Gospa

C’è una frase troppo bella che va scritta su un foglietto e appiccicata sulla porta della cucina, non dimenticate mai questa frase, imparatela a memoria: “La sua Chiesa nasce in ogni cuore che Lo conosce”. Nel momento in cui attraverso la fede conosciamo Gesù, nel nostro cuore nasce la Chiesa! Quanto più noi conosciamo Gesù, tanto più noi irradiamo Gesù e tanto più noi siamo Chiesa.

“La sua Chiesa nasce in ogni cuore che Lo conosce”. Quindi nella preghiera, perché non si conosce Gesù Cristo con lo studio sui libri, se manca l’umiltà interiore, la luce dello Spirito Santo, la sete e la fame della verità, perché alla fine chi ci fa conoscere Gesù è lo Spirito Santo che opera nel nostro cuore, che però può operare se noi siamo umili. Allora lo Spirito Santo ci apre alla conoscenza della verità, perché come dice Santa Caterina da Siena: “l’orgoglio, la superbia, la presunzione, è quella nuvola che offusca l’occhio dell’intelletto”.

L’umiltà è una luce che ci toglie dall’accecamento e quindi nella preghiera umile e continua noi possiamo conoscere Gesù. “Pregate per poter conoscere mio Figlio”, preghiamo perché la luce dello Spirito Santo ci faccia conoscere Gesù. Gesù si fa conosce prima di tutto nella preghiera, nei Sacramenti, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera a tu per tu con Lui col cuore aperto, in questo modo Gesù si fa vivo, dentro di noi sentiamo la Sua presenza, il Suo amore, la Sua misericordia, il Suo perdono e la Sua amicizia, nonostante la nostra indegnità.

La Madonna ha detto che prega per noi perché riusciamo a conoscerLo, che noi possiamo guardare a Gesù con i Suoi occhi e amarLo col suo Cuore, servirLo con le nostre mani e i nostri piedi, che la Madonna ci conceda questa grazia. “Pregate affinché la vostra anima sia una cosa sola con Lui”, ogni giorno dobbiamo pregare per questo: “Gesù, ti chiedo questa immensa grazia: attraverso il Cuore di Maria, la mia anima sia unita alla Tua anima, alla tua Divinità”. Tutti i giorni facciamo questa preghiera.

di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Medjugorje Liguria

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