Genoveffa de Troia e i tre “no”

Posté par atempodiblog le 4 janvier 2016

I tre “no”  di Genoveffa de Troia
Vita, insegnamento e spiritualità di un’anima distesa sulla Croce
di fr. Leonardo Triggiani – Voce di Padre Pio

Genoveffa de Troia e Padre Pio

Genoveffa nacque a Lucera (Foggia) il 21 dicembre 1887 da Pasquale De Troia e Vincenza Terlizzi. La piccola era tanto malferma in salute che si temeva di perderla da un momento all’altro. A quattro anni apparve una piaga sulla sua gamba destra, che mai accennò a guarire. Col passare degli anni, le piaghe si moltiplicarono sempre più sul suo corpo che divenne tutto una piaga: il piede destro, un moncherino attaccato all’arto da una sottilissima lamina di sostanza che dava la sensazione di un imminente distacco; le ossa mostravano fori profondi; il cranio, lentamente roso, aveva l’aspetto di un crivello.

Genoveffa fu la prima di cinque figli. Quando nacque, anche se malaticcia, arricchì la sua povera casa, fece sentire ricchi i suoi genitori. Venuta l’età della scuola, dovette rinunciarvi, anche a motivo di salute, oltre che di povertà. I suoi l’affidarono alle Suore della Carità residenti nell’ex convento dei Frati Cappuccini in Lucera, perché apprendesse qualcosa di utile per la vita, e le Suore le affidarono anche il compito di tenere pulita la chiesetta conventuale. Lei accettò di buon animo, perché ciò le dava la possibilità di stare vicino al tabernacolo.

Mai un lamento sfuggì dalle sue labbra: «Viva Gesù! Tutto per Gesù!» – erano le parole che le fiorivano sulla bocca allorché si acuivano i dolori.

Nata in una famiglia povera, tanto povera da essere costretta a cambiare ben 14 volte abitazione tra Lucera e Foggia: inadempiente nel pagamento della pigione perché povera, veniva sistematicamente sfrattata e sloggiata. Fu sofferente al punto da restare immobile e incollata al suo lettino per 44 anni. Genoveffa aveva compreso bene lo spirito delle beatitudini evangeliche, tanto da rispondere a chi le chiedeva come stava: «Sto bene perché soffro, starei male se non soffrissi».

Per comprendere il messaggio di Genoveffa, è necessaria una carellata sui suoi dolori. Si può dire che ella la croce l’ha trovata nella culla, l’ha portata in vita e l’ha lasciata nella tomba! Fin da piccola, consegnò la sua anima a Dio e il suo corpo ai dolori! Già dalla nascita era apparso un corpicino da nulla, al quale il medico previde non più di 24 ore di vita. Per questo fu subito battezzata e cresimata.

«La gioia di Dio bussa alla porta dei sofferenti, non per deriderli, ma per compiervi la sua paradossale opera di trasfigurazione» (Paolo VI). E Dio ha bussato spesso alla porta di Genoveffa, tanto che qualcuno non ha esitato a definirla la «Novella Rita da Cascia», per via degli interminabili anelli di tutta una catena di dolori fisici e morali.

Padre Pio, esperto sulla via della croce, diceva di Genoveffa: «È un’anima prediletta di Gesù distesa da molti anni sulla croce».

Tre “no” hanno caratterizzato la sua pur lunga giornata terrena. A quattro anni, strani dolori e piaghe per il corpo. In uno dei tanti viaggi all’Incoronata dove la mamma annualmente la portava per implorare la guarigione della figlia, una voce l’avvolge e le dice: «Tu non guarirai mai».

A 11-12 anni, stando dalle suore a Lucera, chiede di diventare una di loro. Proprio una suora le dice chiaro il secondo no: «Tu non sarai mai suora».

A 16-17 anni, nella chiesa di sant’Anna a Lucera, mentre spolvera l’altare, una voce le dice chiaro il terzo no: «Ti metterai a letto e non ti alzerai mai più».

Sono tre “no” uno più pesante dell’altro che avrebbero distrutto qualsiasi fibra e intelligenza. Lei ne esce rafforzata.

Genoveffa aveva l’abitudine, quasi scrupolosa, di non lasciare mai nessuno senza risposta: così per le lettere che riceveva, così per le preghiere che le venivano richieste. E quando prometteva di pregare – cosa, questa, che lei faceva sempre – s’impegnava a farlo sul serio, persona per persona. Non bastandole, per questo, le ore del giorno, ricorreva a quelle della notte. Gli amici non la lasciavano mai troppo tempo sola. Aveva il segreto di una parola semplice, chiara, nutrita di teologia, anche se illetterata.

Genoveffa era convinta che è bello servire Dio, è ancora più bello servirlo nel dolore fino alla morte. E la sua “Via crucis” durò 44 anni, durante i quali i suoi amici hanno assistito al progressivo sbocciare di un fiore di affascinante bellezza.

L’11 dicembre 1949, alle ore 10,35, Genoveffa si addormentò in terra e si risvegliò in cielo. Dal 25 aprile 1965 il suo corpo riposa nella chiesa dell’Immacolata dei Padri Cappuccini in Foggia. Il 7 marzo 1992, il Papa ha solennemente proclamato esservi assoluta certezza circa l’eroicità delle virtù di Genoveffa. A partire da quel radioso mattino, Genoveffa gode del titolo di “Venerabile”. Tutto lascia sperare di vedere presto l’umile Terziaria Cappuccina di Via Briglia nella gloria degli altari.

Genoveffa insegna che l’ora meglio impiegata della nostra vita è quella in cui amiamo di più il Signore, come lo scopo della nostra vita è di realizzare il sogno che Dio ha concepito sulla nostra culla, ricordando che la vita ci è data per fabbricare per noi la virtù e per gli altri la felicità. Genoveffa, benché analfabeta, questo l’aveva capito molto bene e ne fece il programma della sua vita: beneficò gli altri, santificò se stessa!

A 66 anni anni dalla sua morte, dopo una lunga interminabile vita crocifissa, dopo che la Chiesa ha proclamato l’eroicità delle sue virtù e l’ha detta Venerabile, lei – Genoveffa – l’umile sofferente di Via Briglia a Foggia, dice a noi ancora pellegrini quaggiù “gementi e piangenti in una valle di lacrime”: «Beati quelli che nel cuore della notte credono nello splendore dell’alba». 

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