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L’Immacolata (di Clemente Rebora)

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2015

L’Immacolata
di Clemente Rebora (12 novembre 1955)

Immacolata A tempo di blog
Federico Barocci – Immacolata Concezione

I

L’Amante Padre aveva in suo consiglio

la Tuttabella a modellar le cose

secondo l’Esemplare di suo Figlio:

del gioire di lei Egli gioiva

mentre ponendo i cardini del mondo

il ciel voltava sull’informe abisso.

Così il creato, ov’è più meraviglia,

sorse per lei, e stelle e rose, e i cuori

presero a lei a palpitar di Dio

quando da lei il Sol che tutto avviva

sorse in luce d’amor per ogni nato,

onde con lei nei secoli portenti

di carità degli infuocati eroi

fan lieto il Regno, e sorgono i viventi,

per ben risorger dopo la vigilia

dei tempi a quella festa che già piglia

sembianza dall’Assunta tutta santa.

E tu, la Pura il Creatore esprimi

Ond’ogni creatura a lui somigli;

sul tenebroso mal, risorto Cristo,

a nuova terra, e a nuovo cielo, eterni,

che qui prepara ognun se ha buona fede,

la creazion geme tutta intera,

e geme chi nel parto della Madre

da quel Sangue è figliato che a lui diede.

O creazion, che ansiosa aneli,

non più al peccato ma servir d’ascesa

marianamente per Gesù al Padre:

perché, finito il tempo, giunga l’ora,

– assorbita in vittoria e guerra e morte –

allor che il Padre ogni lagrima asciughi:

e sia, ecco, tutto in tutti il nostro Dio.


II

Ignare a quella sete che per noi

patì là in Croce Cristo benedetto

onde sgorga la Fonte da Maria

che quanti appaga infin l’imparadisa,

urlan le genti, dopo aver mangiato

terra per cibo: – bruciamo di sete!

e come pazze si scontran cercando

sorsi a ristoro, e le sorgive tutte

di loro stragi sfociano inquinate.

Tu l’unica sorgente, o Immacolata,

donde fluisce acqua di vita al Cielo

che per l’amore in vino e vino in sangue

a Cana è pregustata e sul Calvario

versata al mondo dal Cuore Divino!

 

III

Beati son gli immacolati in via,

in custodia docili, Maria!

Nel labirinto dei giorni tu sei,

certezza di speranza, in ogni inciampo,

filo d’Arianna a quanti van sperduti:

e il mostro è vinto, il Tesoro è trovato;

tesoro ai cuori, nascosto nel campo.

Dal mareggiar del mondo più diviso

Vedo le folle accorrere alla Grotta

Tua, Vergine, Regina della Storia,

dove è fiumana il flusso della grazia

a quanti il mal in mente o in corpo strazia,

per raddrizzar la rotta al Paradiso.

Per te, com’Eva si rivolse in Ave,

in Àmor Roma suo mister rivela,

dov’è materna Chiesa che dà pace.

Rigenerati, a noi per te vien detto:

Prendi questo vestito di candore,

immacolato portalo al Signore,

onde avere con Lui eterna vita.

O vita di Gesù, e vera e nuova,

canto di chi la serba,

schianto di chi la perda,

gaudio se si ritrova!

A noi chiamati in te promesso il giorno:

Prendi l’amor, questa lampada accesa;

splenda il tuo segno, che avvenga il suo Regno:

onde, giungendo lo Sposo alle Nozze

tutto palese senza nascondiglio

incontro possa corrergli con luce

che Sua bellezza svelata riveli,

e insieme ai santi fratelli felici

dentro la sala regale dei cieli

vivere amante senza fine in festa

gloriando al Padre per la Madre il Figlio.

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Virtualmente asociale

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2015

Virtualmente asociale
«Ciascuno con una propria storia che si struggeva di rivelare»…
di Annalisa Teggi – Capriole Cosmiche

tutti connessi

Di solito, anzi spesso, anzi sempre, quando ero adolescente/giovane nessuno si accorgeva se ero o non ero presente a una festa, se me ne andavo dopo cinque minuti, se mancavo a una gita degli scout e occasioni simili. Ero la classica persona trasparente, che nessuno nota. Non ne facevo un problema, stavo bene in disparte.

Ma la trasformazione dei rapporti interpersonali, che ora passano attraverso ogni sorta di social networks, ha fatto anche di me una “prima donna”. Ho sperimentato sulla mia pelle che abbandonare un gruppoWhatsapp equivale a un lutto, equivale a dichiarare una guerra mondiale.

Sarà per quel verbo «tizio ha abbandonato il gruppo», perché fa pensare al malvagio che abbandona il cane in autostrada o al padre degenere che abbandona la famiglia per mettersi con la giovane segretaria. «Abbandonare» è un verbo decisamente troppo forte per il mondo di Whatsapp, è inadeguato. Io opterei per «tizio ora se ne frega di questo gruppo».

Infatti, io non ho abbandonato proprio nessuno. E torniamo dunque ai fatti.

Esiste una categoria sociale pericolosa, i genitori degli alunni. Quando questa congrega si organizza in cellule pseudo-terroristiche come il gruppo Whatsapp «Mamme della classe 3 A» il mondo è in pericolo. Succedono cose assurde: gente che per i corridoi di scuola non ti guarda neppure in faccia, si permette di criticarti virtualmente con una familiarità che nemmeno tuo marito ha. È assurdo il livello di intimità e amicizia fittizie che si creano solo virtualmente.

E poi la moltiplicazione del gossip, delle inutilità verbali, dei cuoricini e dei sorrisi. Ecco, a fronte di una discussione seria degenerata in chiacchiere da bar, mi sono detta che Whatsapp va bene per quando mio marito è all’estero e mi aggiorna su cosa fa, ma non va bene se a tema c’è l’educazione dei miei figli. E dopo aver visto una lista di n-mila messaggi sul suddetto gruppo di mamme, ho deciso di cambiare rotta. Ho chiesto a me stessa un sacrificio: se ci sono questioni o problemi che riguardano la scuola, fai la fatica di parlarne a viva voce con le altre mamme, non delegare al virtuale. E poi, semplicemente, mi sono tolta dal gruppo. Senza rancori, senza scenate… esattamente come accadeva da adolescente, quando andavo via da una festa e nessuno mi badava.

Apriti cielo. Si è generato il panico universale. Sono state ipotizzate cause disastrose, alcune hanno avuto sensi di colpa tremendi, è stata anche chiamata in causa la maestra per verificare che io stessi bene. Incontrandomi allegra e spensierata nei corridoi, c’è chi ha pensato: «Come fa lei a parlare tranquilla con noi, visto che non è più nel gruppo?». Bé, d’ora in poi io parlo e parlerò con le altre mamme nei corridoi, mi concedo il lusso di questo social network gratuito e non virtuale. Mi ripropongo di essere un po’ meno sociale virtualmente, magari di passare per una asociale virtuale.

Questa scelta non è un dito puntato contro gli altri, ma un’educazione e attenzione che voglio imporre a me stessa. La scorsa settimana ho partecipato a Firenze a un evento scolastico nazionale, Performance d’Autore, in occasione del quale 700 studenti italiani delle scuole superiori si sono incontrati per approfondire la conoscenza di un autore della letteratura italiana non troppo studiato, Vasco Pratolini (famoso soprattutto per Metello).

Per preparare i ragazzi a questa giornata di studio e dibattito avevamo suggerito loro la lettura di alcuni testi di Pratolini, tra cui il bellissimo racconto Lungo viaggio di Natale. E proprio questo testo si è rivelato di un’attualità disarmante.

La voce narrante racconta un suo viaggio in treno nella notte della Vigilia di Natale per tornare da suo padre. Siamo nell’Italia del secondo dopoguerra – quasi un altro mondo, rispetto a noi – e siamo su un vagone di terza classe, freddissimo. Il protagonista è seduto da solo in questo vagone gelido e il controllore gli suggerisce di cambiare posto, di spostarsi nel vagone attiguo che è pieno di gente: «’Stia mica lì solitario! Vada più avanti che c’è più gente! Dove c’è gente c’è calore».

Il protagonista si sposta e nel vagone accanto trova un microcosmo di gente diversa e molto colloquiale. Sono tutti sconosciuti, ma immediatamente si mettono a parlare tra loro. C’è una prostituta di Genova, un minatore che ha vissuto per vent’anni in Francia, un milanese arrogante, un russo che a stento capisce qualcosa di italiano e altri. Insomma, mondi lontani e si direbbe incompatibili tra loro. E invece nasce tra loro un’intimità immediata, ciascuno condivide le proprie idee, litiga, ironizza, deride. Il narratore commenta: «Noi eravamo già tutti amici, creature che si facevano caldo l’una con l’altra, ciascuno con una propria storia che si struggeva di rivelare».

Ogni uomo è una storia, ma non solo. Ogni uomo è una storia che si strugge di rivelare. Cioè: l’uomo naturalmente vuole condividere la sua storia. La propria storia ciascuno la comprende guardandola attraverso gli occhi di qualcun altro, ma non tanto perché sono gli altri a spiegarci chi siamo, bensì perché il vero di noi emerge nel momento della condivisione e non nel mondo dei propri pensieri.

in treno

Mettendo a tema questo racconto, è stato per me immediato chiedere ai ragazzi che avevo di fronte: quando oggi saliamo su un treno accade quel che racconta Pratolini? No. Ognuno sta per conto suo, cuffie nelle orecchie, e smanetta col cellulare. Si sente parte di una comunità, che per lo più è virtuale (fatta di persone che non sono presenti), e si preclude la possibilità di essere parte delle piccole comunità in cui si imbatte concretamente.

«Ma come? – si obietterà – È meglio mettersi a parlare con uno sconosciuto piuttosto che scrivere su Whatsapp alla mia migliore amica?» Probabilmente sì. Non voglio fare la bacchettona che rifiuta la tecnologia. Ma colgo un rischio, su di me innanzitutto. Sento che diventa facile delegare alla tecnologia, cioè ai messaggi virtuali, le cose importanti. Quante volte sento la tentazione di pensare a una persona e dire «questa cosa gliela scrivo, anziché dirgliela a voce» e mi rendo conto che spesso sono questioni importanti quelle che sarei tentata di delegare al mondo virtuale, perché è facile e mi toglie la fatica del batticuore di guardare negli occhi quella persona. Si tratta di una solitudine pericolosamente mascherata da «socialità» e che rischia di farci perdere TRE piccioni con una fava: sul treno, col mio cellulare accesso, rischio di allontanarmi dalla mia amica che è il destinatario del mio messaggio e sicuramente mi allontano dalla trama di vita che ho a un centimetro da me. Da ultimo, ma non meno importante, perdo anche un pezzo di me, se è vero che la mia storia si rivela quando ne rendo partecipe la piccola comunità delle persone a me care, o anche degli sconosciuti con cui chiacchiero.

È fatica parlare di persona alla gente. A volte non ti ascoltano. A volte parlano troppo. A volte ti verrebbe da voltargli le spalle. Però è solo dalla fatica che nasce qualcosa, come le doglie del parto: nessuno le vorrebbe attraversare … ma portano frutto.

Ora, lo so che è uscito il nuovo libro di Bruno Vespa e pure quello di Fabio Volo, ma io mi azzardo lo stesso a consigliarvi di leggere quel racconto di Pratolini e di comprare il libro in cui è contenuto, Diario sentimentale. Forse non sarebbe improprio sottotitolarlo: «Incontri di varia umanità, per gente che ha il coraggio di essere virtualmente un po’ meno sociale».

PS: avevo concluso la scrittura di questo articolo, ma il telegiornale mi ha messo a conoscenza di un fatto accaduto a Giacarta. Un 24enne ha causato un incidente con la sua Lamborghini, in cui è rimasto ucciso un uomo e altri passanti sono stati gravemente feriti. Il pilota del bolide è rimasto illeso e mentre stava uscendo dalla sua vettura accartocciata era già intento a scrivere messaggi col cellulare. Emblematico: hai intorno il disastro, ma tu sei già altrove.

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Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2015

Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli
Tratto da: Leggo

Con i botti di Capodanno Fido e Felix rischiano la vita: Ecco come aiutarli dans Amicizia No-ai-botti

Ogni fine anno si trasforma in un incubo per i nostri amici animali. Non solo per quelli che dividono la casa con noi. Pensate che negli uccelli il fragore dei botti li fa fuggire dai nidi e li induce a volare al buio alla cieca anche per chilometri, andando a morire sfracellati su un muro o contro cavi elettrici. Quelli che riescono ad atterrare o a posarsi in qualche albero spesso muoiono assiderati a causa delle rigide temperature invernali e alla mancanza di un riparo.

Negli animali degli allevamenti come mucche, cavalli e conigli, le conseguenze delle esplosioni possono provocare nelle femmine gravide addirittura l’aborto.

Cani, gatti e piccoli animali domestici, poi, si spaventano a morte per i botti della notte di San Silvestro. Il motivo? La loro soglia uditiva infinitamente più sviluppata e sensibile di quella umana. L’uomo ha un udito con una percezione compresa tra le frequenze denominate infrasuoni, intorno ai 15 hertz, e quelle denominate ultrasuoni, sopra i 15.000 hertz. Cani e gatti, invece, dimostrano facoltà uditive di gran lunga superiori: il cane fino a circa 60.000 hertz mentre il gatto fino a 70.000 hertz. Dunque, provate a immaginare cosa avviene nella testa dei nostri amici pelosi. Per gli esemplari sofferenti di cuore poi può essere davvero un rischio mortale. Perciò ecco alcuni consigli dei veterinari per gestire al meglio i nostri pets alla vigilia del conto alla rovescia.

Non lasciare mai il cane all’aperto, preferire invece stanze piccole, magari lontane dalla strada o da zone dove qualcuno può sparare petardi.

E’ preferibile non lasciare l’animale da solo, ma se proprio non si può fare diversamente, rendere viva la stanza con un po’ di musica o televisione a basso volume e luce.

Se si è in casa, evitare di rassicurare cani e gatti ad ogni rumore coccolandoli: quello che per noi è un gesto di affetto fatto al fine di tranquillizzare l’animale, provoca l’effetto contrario poiché suggerisce che c’è qualcosa che non va. Meglio continuare a chiacchierare normalmente.

Se l’animale si agita troppo, farsi prescrivere dal veterinario dei fiori di bach: non fanno male (non preoccupatevi se sono sciolti in alcol, in realtà la percentuale è minima una volta diluiti) ed è consigliabile iniziare a somministrarli anche qualche giorno prima del 31 dicembre per favorire il rilassamento. Ma evitate le soluzioni dei sedativi fai da te.

Lasciamo pure che si rifugino dove preferiscono, anche se si tratta di un luogo che normalmente gli è “vietato”. Durante le passeggiate teniamoli al guinzaglio, evitando anche di liberarli nelle aree per gli animali per evitare fughe dettate dalla paura. E’ fondamentale non portarli fuori nelle ore immediatamente precedenti perché spesso gli scoppi iniziano con anticipo. E ricordate che spesso si continua a sparare – sebbene in misura molto minore – anche nei giorni successivi il 31 dicembre e fino all’Epifania. Per cui: occhi e orecchie aperte!

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Lombardi: “Dovremmo imparare dai centrafricani che cos’è il Giubileo”

Posté par atempodiblog le 2 décembre 2015

Lombardi: “Dovremmo imparare dai centrafricani che cos’è il Giubileo”
Il portavoce vaticano commenta l’ultimo viaggio pontificio, sottolineando il coraggio di papa Francesco nell’affrontarlo
di Zenit

Papa in Africa

Quello tra il Papa e l’Africa è stato un “bell’incontro” e gli africani sono stati “perfettamente a loro agio” nell’incontrare e nel ricevere il Pontefice. Lo ha riferito padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, in un intervista alla Radio Vaticana.

Lombardi si è quindi soffermato sulla sempre più ricorrente abitudine del Papa a parlare a braccio durante i suoi viaggi, specie con i giovani.

“Lui ama molto questo modo spontaneo – ha commentato – questo modo dialogico, questo modo coinvolgente, facendo anche rispondere e parlare le persone presenti in modo tale che si senta e si veda che sono parte attiva di un processo di dialogo e di impegno”.

Pertanto “il carisma di comunicazione spontanea, di gesto e di espressione totale che il Papa ha, riesce a superare anche le differenze linguistiche”, risultando particolarmente efficace in Africa, così come lo era stato in Asia.

In merito alla storica decisione di aprire la prima Porta Santa a Bangui, il portavoce vaticano ha parlato di un gesto “tutt’altro che locale, ma veramente universale”, in cui il Pontefice ha voluto privilegiare l’attenzione “alla periferia della Chiesa, ai poveri, alle persone che soffrono”. L’evento di Bangui è comunque soprattutto il segno che “la misericordia di Dio si può incontrare dappertutto”.

L’Anno della Misericordia, ha proseguito Lombardi, è legato in modo particolare al “Sacramento della Confessione” e “questo i centrafricani, i giovani lo hanno capito benissimo”, al punto che “dovremmo imparare dai centrafricani che cos’è il Giubileo”.

Recandosi in Centrafrica, nonostante gli allarmi sulla sicurezza, il Santo Padre ha dimostrato “una totale determinazione, non lasciandosi mai mettere in incertezza”, affermando come priorità il suo soccorso a una popolazione “in difficoltà”, per incoraggiarla a “trovare la via per il futuro”.

Il portavoce vaticano ha anche riferito di aver incontrato, poco prima della partenza per l’Africa, una persona che lo aveva messo in guardia dai rischi di quella visita pastorale: quella stessa persona, incontrata poi nella moschea di Bangui, si era complimentata con il Papa, tramite Lombardi, per il modo impeccabile con cui tutto il seguito papale aveva affrontato il viaggio e i rischi ad esso connessi.

Un simile coraggio, ha osservato Lombardi, fu comunque dimostrato anche dagli immediati predecessori di Francesco: nel 2012 Benedetto XVI si recò in Libano, “in una situazione di Medio Oriente incendiato”, mentre San Giovanni Paolo II andò a Sarajevo in tempo di guerra e, ancor prima, nel 1983, in Nicaragua, in una “situazione di tensione interna ed esterna nel Paese”, poi, successivamente, in Perù, sotto il tiro dei terroristi di Sendero Luminoso.

Il tema dell’AIDS, che coinvolge in modo particolare l’Uganda, dove il virus dell’HIV fu scoperto 33 anni fa, non è stato affatto “sottovalutato”, come qualcuno ha insinuato.

In tal senso, la risposta data da Bergoglio durante la conferenza stampa sul volo di ritorno, va inquadrata “in un contesto molto più ampio e generale di tutte le responsabilità che l’umanità e i popoli hanno per creare giustizia, sviluppo” e per contrastare “povertà” e “mancanza di salute”.

In conclusione, l’elemento che più ha colpito il Santo Padre e il suo seguito in Africa è stata la “gioventù” di questo continente dall’altissima natalità. “Il Papa è presente, la Chiesa è presente; è presente per questi bambini, è presente per questi giovani, è presente per il futuro di questo popolo”, ha detto a tal proposito Lombardi.

“La Chiesa dà il suo contributo, non pensa certo di farla da sola. Lo fa con gli altri, per il dialogo, per la pace, con l’aiuto di tutte le persone di buona volontà e in particolare dei credenti”, ha quindi concluso.

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Per qual motivo Dio si è incarnato?

Posté par atempodiblog le 1 décembre 2015

Nativià

Per qual motivo Dio si è incarnato? Perché Gesù Cristo, il Verbo di Dio, ha voluto inserirsi nella nostra storia umana? Solo per salvarla, rivelando i valori trascendenti e ultramondani di tutte le nostre azioni. Questa è la verità che tanto rende sublime la nostra esistenza: siamo destinati a Dio, all’eternità, alla felicità eterna che dipende dalle nostre libere scelte. Gesù è venuto per testimoniare e garantire la verità” (Gv 18,37).

Il noto scrittore francese François Mauriac, nell’introduzione alla sua celebre “Vita di Gesù” (F. Mauriac, La vita di Gesù, Ed. Mondadori, Milano 1943), scriveva:

“C’è stato bisogno che Dio s’immergesse nell’umanità e che ad un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio… Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che vedo, che a ciò che si incorpora nella mia sostanza; ed è perciò che ho fede nel Cristo”.

Bisogna aver fede in Cristo per salvare l’uomo! Per elevare la storia, bisogna salvare gli uomini! E Cristo ci dice: “Venite a me, voi tutti che soffrite e siete affaticati, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). Egli solo ha parole di vita eterna! Egli solo è la salvezza dell’uomo.

Giovanni Paolo II – Discorso gli Alpini d’Italia (19 maggio 1979)

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La Farisea

Posté par atempodiblog le 1 décembre 2015

“François Mauriac. Comment ne pas se réjouir de voir l’audience du grand romancier catholique se maintenir vivante et conserver sa force d’attraction?”.

Paolo VI Udienza Generale. Mercoledì, 30 novembre 1977 – Spiritualità dell’Avvento

scandalizzata

La Farisea
del Card. Gianfranco Ravasi – Avvenire

Alla sera della sua vita, Brigida Pian aveva finalmente scoperto che non bisogna assomigliare a un servitore orgoglioso, preoccupato di abbagliare il padrone pagando il suo debito fino all’ultimo obolo, e che il Padre nostro non s’aspetta che si sia i contabili minuziosi dei nostri meriti. Ella sapeva adesso che non importa meritare, bensì amare.

Lo pubblicò nel 1941 e, come accadde per altri suoi romanzi, lo scrittore cattolico francese François Mauriac fu accusato di pessimismo nei confronti della religiosità di allora. In realtà con quest’opera intitolata “La farisea” egli colpiva una malattia costante della spiritualità, quella dell’ipocrisia che fiorisce dalla superbia. La parabola lucana del fariseo e del pubblicano (18, 9-14) ne è la rappresentazione emblematica.

Efficace è, comunque, anche il ritratto che Mauriac delinea di questa donna la quale conosce solo una religione fredda e disumana che si nutre di opere e di giudizi esteriori, che ignora la comprensione e la misericordia e che presume di conoscere i segreti dei cuori.

Piena di sé, Brigida Pian passa in mezzo alle debolezze ma anche alle ricchezze interiori degli altri con altero disprezzo, convinta di essere la perfetta cartina di tornasole della vera fede, e così non s’accorge di precipitare in un baratro oscuro ove Dio è assente ed è invece pieno solo dell’io umano.

Alla fine, però, c’è anche per lei la redenzione sulla via della conversione, la realtà che riteneva del tutto inutile per la sua vita “perfetta”. E la scoperta finale è lapidariamente espressa da Mauriac in quella frase: «Non importa meritare, bensì amare».

Una lezione da meditare sempre, soprattutto quando si è troppo convinti di essere a posto con la religione.

libri

Passi scelti da La Farisea di F. Mauriac:

“Donna stupefacente: un miracolo di deformazione. Ai suoi occhi, le apparenze del male valgono quanto il male, quando vi trova il suo interesse. Una natura profonda, ma come quei vivai, dove l’occhio segue tutti i guizzi dei pesci: così nella signora Brigida appaiono ad occhio nudo i più segreti motivi dei suoi atti.
Come soffrirebbe, se la potenza di giudizio e di condanna che ella rivolge verso gli altri, dovesse un giorno rigirarsi contro lei stessa!
Si scandalizza che io mi faccia difensore di questi due ragazzi e che m’aspetti un grande benefizio per Gianni, da questo primo amore. Ella stringe le labbra, mi dà del vicario savoiardo”.
Ho avuto l’audacia di metterla in guardia contro quella temeraria interpretazione del volere divino di cui abusano troppe persone pie. […]”.

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L’abate Calou gli prese la testa fra le mani e la scosse dolcemente, come per svegliarlo.
“Non bisogna voler entrare nella vita degli altri, loro malgrado: ricordati questo insegnamento, piccolo.
Non bisogna aprire la porta di quella seconda né di quella terza vita, che Dio solo conosce.
Non bisogna mai volgere il capo verso la città segreta, la città maledetta degli altri, se non si vuol essere mutati in una statua di sale.”

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“Ma via, se fosse stata in convento ne avrebbe avuto la direzione e avrebbe fatto tremare la comunità, dove a lungo si sarebbe scelta le sue vittime. Al contrario, bisogna esser contenti che nessuno le sia stato consegnato anima e corpo in un chiostro! E’ là che una Brigida Pian avrebbe dato tutta la misura di sé.
A noi due almeno resta la libertà di morire di fame senza rivederla più…”.

“Ti concedo che avrebbe concorso alla santificazione delle suore”, disse Ottavia, ancora in lacrime, ma con un pallido sorriso.
“Hai notato che nella vita delle grandi religiose c’è qualche volta una superiora della razza della signora Brigida che le aiuta a guadagnare il Cielo per la strada più penosa, ma nello stesso tempo più corta, perché non invecchiano troppo”, ella aggiunse: “non è bello quel che ho detto… La nostra benefattrice… Oh! Questo è male!”.

315fyfr dans Fede, morale e teologia

Ma davanti al Santo Sacramento esposto, poi vicino alla Vergine dietro al coro… […], ella (Brigida Pian, ndr) rimase sotto l’interiore minaccia di una disapprovazione: “E’ una prova”, ella pensava, “io l’accetto…”. E nel suo pensiero questo voleva dire: “Nota bene, Signore, che l’accetto e non tralascio di riportare questa accettazione sulla colonna dei miei profitti”.

Poiché la pace le sfuggiva sempre, entrò in un confessionale e si accusò di essere stata violenta, non certo ingiustamente (ché la sua collera era giustificata), ma di non aver saputo contenere la sua legittima indignazione nei limiti di una carità ben guidata.

315fyfr dans Fede, morale e teologia

Quella mattina l’abate Calou credette d’aver ricevuto un segno divino. Egli era incline per natura (come Pascal) ad aspettare da Dio un cenno sensibile, una testimonianza materiale.

[…] Preparò la predica della domenica seguente con cura attenta pur lasciandole una portata generale, ne pesò ogni parola, perché la sconosciuta vi potesse scorgere una risposta destinata a lei sola. […] Egli era sempre stato attento agli imprevedibili contraccolpi, ai prolungamenti sconosciuti dei nostri atti, quando, sia pure con le migliori intenzioni, interveniamo nel destino di un altro. 

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E’ in noi che Iddio parla

Posté par atempodiblog le 1 décembre 2015

E' in noi che Iddio parla dans Citazioni, frasi e pensieri wwmcm1

“Immagino che la mia matrigna in quel momento dovesse godere in senso assoluto: Ella assaporava quel piacere che non appartiene che a Dio, di conoscere tutto del destino di una persona che crede di svelarcelo, e di sentirsi padrona di poterle far prendere una direzione piuttosto che un’altra. Poiché ella non dubitava del suo potere sulla coscienza ansiosa di Puybaraud e ne ricevette conferma da Ottavia stessa…”.

[...] Durante la prima settimana di soggiorno del signor Puybaraud, Brigida Pian non si annoiò per niente a Larjuzon: le sue giornate erano troppo corte per dar fondo alla sua felicità d’aiutare un uomo a sbrogliare la matassa della sua vita interiore; ella non aveva più la sensazione di buttare via il tempo, né di andar contro la sua vocazione, che era quella di rivelare agli altri i disegni che Dio aveva fatto su di loro, dal fondo dell’eternità.

[…] Ben presto, Brigida Pian dovette riconoscere che aveva a che fare con un agnello più renitente di quanto non apparisse a tutta prima.

“E’ un’anima sfuggente…”, ella si diceva alla seconda settimana. Finì di accusarlo di sottrarsi alla grazia, vale a dire alle sue imposizioni.

[…] Ma Brigida Pian non ignorava che spesso è necessario strappare alle anime la maschera di falsa umiltà di cui essere si rivestono.

Ella affermava, come se ne avesse ricevuto comunicazione da Dio stesso, che il signor Puybaraud si era staccato dal collegio, inquantoché da tutta l’eternità si trovava destinato al chiostro. Assicurava che per lui, il vero dilemma riguardava l’unica questione: a quale porta battere, a che regola assoggettarsi?

[…] Benché Ottavia tenesse in grande considerazione la signora Brigida, a distanza ella trovava il coraggio di resisterle e metteva in guardia il suo amico da un’eccessiva sfiducia nelle proprie facoltà.

Gli assicurava che “anche una persona molto superiore a noi per la virtù, l’esperienza e le ispirazioni, non può supplire a quella personale conoscenza del volere divino che è frutto della virtù dell’abbandono…

Secondo la mia opinione è bene ascoltare i consigli venuti da fuori, purché non ci distolgono dall’obbedienza attenta e sorvegliata di ciò che avviene in noi.

D’altronde è in noi che Iddio parla, non credete, amico mio? […]”.

François Mauriac – La Farisea

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