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Fuochi d’artificio, le regole salva-vita

Posté par atempodiblog le 19 décembre 2015

Decalogo dei carabinieri
Fuochi d’artificio, le regole salva-vita
Tratto da: Avvenire

Fuochi d'artificio, le regole salva-vita dans Articoli di Giornali e News botti-pericolosi
Immagine tratta da: Caffeina libri

I botti “illegali” di Capodanno sono sempre un pericolo. Ogni anno, purtoppo, il primo giorno dell’anno i cronisti stilano una sorta di bollettino di guerra. Tanti feriti gravi con spesso anche dei morti. In molti Comuni i sindaci hanno emesso ordinanze di divieto dell’uso di fuochi artificiali, ma in molti, è sicuro, non ne terranno conto. Altri Comuni lasciano fare.

In ogni caso l’Arma dei carabinieri ha messo a punto una sorta di decalogo con alcune semplici regole di comportamento da adottare per l’uso sicuro dei fuochi d’artificio. L’obiettivo è di farlo conoscere il più possibile, soprattutto tra i più giovani. Inoltre i carabinieri invitano con decisione a diffidare dall’acquisto di materiale pirotecnico illegale, non rispondente alle normative vigenti, e a segnalare ogni illecita detenzione al 112 o alla Stazione Carabinieri più vicina. Solo così sarà possibile evitare mutilazioni, che in questi giorni si sono già ripetuti in alcuni casi, e lutti.

Fuochi d’artificio, ecco le regole salva-vita da ricordare:

1) Va sempre tenuto a portata di mano un estintore da usare in caso di incendio. Mai bagnarli con acqua, alcuni fuochi sia legali che illegali hanno contengono alluminio, quest’ultimo se a contatto con l’acqua potrebbe andare in autocombustione provocando lo scoppio non voluto dell’artifizio. In caso di ustione è consigliabile raffreddare la zona colpita per limitare i danni alla pelle determinati dall’aumento della temperatura.

2) Quando si trovano fuochi d’artificio che funzionano male e perciò non bruciano, non si deve mai cercare di riaccenderli ma bisogna allontanarsi dalla zona e segnalare la loro presenza alle forze di Polizia per la loro corretta inertizzazione, mediante l’intervento di personale specializzato.

3) Non cercare di accendere i fuochi trovati per terra: taluni impiegano ore (sino a 12) a bruciare il cartoncino pressato della spoletta. Il movimento del corpo nell’avvicinarsi ad un fuoco inesploso, a causa del piccolo movimento di aria che si crea, può alimentare la fiammella provocando l’esplosione.

4) Non provare a recuperare la miscela esplosiva od esplodente dai fuochi non esplosi e non provare a costruire fuochi d’artificio artigianali: delle semplici cause esterne tipo la pressione, l’urto, lo sfregamento ed il calore potrebbero determinare un’esplosione non controllata, con conseguenze anche gravi.

5) È assolutamente vietato vendere ed acquistare in forma ambulante prodotti realizzati clandestinamente. Costituisce reato, che punisce sia il commerciante sia l’acquirente. Nei casi dubbi, prima di acquistare il prodotto rivolgetevi ai Carabinieri telefonando al 112.

6) Se il gioco pirotecnico che state acquistando è privo di etichetta, è sempre da considerarsi proibito e, quindi, non di sicuro utilizzo.

7) Al momento dell’accensione, mai avvicinare viso e occhi alla miccia.

8) I bambini non vanno mai lasciati soli a usare fuochi di artificio.

9) I fuochi di artificio vanno accesi all’aperto, lontano da case, automobili e dalla scatola degli altri fuochi per limitare il rischio di incendio e incidenti.

10) Fare attenzione alla direzione in cui si lanciano i fuochi: non ci siano delle persone, perciò non vanno lanciate verso zone buie né da balconi né da finestre.

11) I fuochi non vanno mai accesi dentro nessun tipo di contenitore, soprattutto se in ferro, perché l’esplosione degli artifizi potrebbe generare la dispersione di schegge in tutte le direzioni che si trasformerebbero in tanti piccoli e pericolosi “proiettili”.

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Papa Francesco: Dio cambia il mondo facendosi piccolo come un bambino

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2015

Papa Francesco: Dio cambia il mondo facendosi piccolo come un bambino
Sostando davanti al Presepe, contemplate la misericordia divina. Papa Francesco ha preso spunto dall’udienza ai donatori del Presepio e dell’Albero di Natale che oggi pomeriggio verranno inaugurati in Piazza San Pietro, per ricordare che Dio non ama le rivoluzioni dei potenti, ma tocca i nostri cuori con la sua umile bontà. Il Pontefice ha quindi sottolineato che, seguendo l’intenzione di San Francesco, nel Presepe possiamo cogliere la tenerezza di Dio che si china verso chi ha bisogno. Quest’anno l’Albero è stato donato dalla Baviera, mentre il Presepe è stato allestito dalla Provincia Autonoma e dall’arcidiocesi di Trento. Gli addobbi sono opera della “Fondazione Lene Thun”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Papa Francesco: Dio cambia il mondo facendosi piccolo come un bambino dans Avvento Santo-Natale

“Il Presepe ci ricorda questo: Dio, per la sua grande misericordia, è disceso verso di noi per rimanere stabilmente con noi”. Papa Francesco ha messo l’accento sul significato più profondo del Presepe, di quello in Piazza San Pietro come di quello che trova ospitalità nelle nostre case nel periodo natalizio.

Dio non ama le rivoluzioni dei potenti, la sua forza è la mitezza
“Il Presepe – ha avvertito ancora il Papa – ci dice inoltre che Egli non si impone mai con la forza. Per salvarci, non ha cambiato la storia compiendo un miracolo grandioso. È invece venuto in tutta semplicità, umiltà, mitezza”.

“Dio non ama le imponenti rivoluzioni dei potenti della storia e non utilizza la bacchetta magica per cambiare le situazioni. Si fa invece piccolo, si fa bambino, per attirarci con amore, per toccare i nostri cuori con la sua bontà umile; per scuotere, con la sua povertà, quanti si affannano ad accumulare i falsi tesori di questo mondo”.

Queste, ha soggiunto, erano anche le intenzioni di San Francesco, quando inventò il Presepe. Il Poverello d’Assisi, infatti, desiderava fare memoria della nascita del Bambino di Betlemme per poter “intravedere” i “disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato”.

Nel Presepe, cogliamo la misericordia di Dio che si china su di noi
Di qui l’invito “a sostare davanti al Presepe, perché lì la tenerezza di Dio ci parla”. Lì, infatti, “si contempla la misericordia divina, che si è fatta carne umana e può intenerire i nostri sguardi”. Soprattutto, però, ha ribadito, “desidera smuovere i nostri cuori”:

“È bello che sia presente in questo Presepe una figura, che coglie subito il mistero del Natale. È quel personaggio che compie un’opera di bene, chinandosi per porgere aiuto ad un anziano. Egli non soltanto guarda Dio, ma anche lo imita, perché, come Dio, si china con misericordia verso chi ha bisogno”.

Ai bimbi che hanno decorato l’albero: Michelangelo ha iniziato così
Francesco non ha poi mancato di rivolgere un pensiero speciale ai bambini che hanno decorato l’albero, definiti dal Papa “piccoli artisti”:

“Siete ancora molto giovani, ma esponete già le vostre opere in Piazza San Pietro. E questo è bello eh! Coraggio, avanti! Michelangelo ha incominciato così eh!”.

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«Il Signore apra la Porta del nostro cuore a tutti»

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2015

«Il Signore apra la Porta del nostro cuore a tutti»
© Copyright – Libreria Editrice Vaticana
Tratto da: Avvenire

Santo Natale in Vaticano
Foto di Siciliani

«Dio viene a salvarci e non trova miglior maniera per farlo che camminare con noi, fare la vita nostra. E nel momento di scegliere il modo, come fare la vita, lui non sceglie una grande città di un grande impero, non sceglie una principessa, una contessa, per madre, una persona importante, non sceglie un palazzo di lusso. Sembra che tutto sia stato fatto intenzionalmente quasi di nascosto. Maria, una ragazzina di 16, 17 anni, non (di) più, in un villaggio perduto nelle periferie dell’Impero Romano; e nessuno conosceva quel villaggio, sicuro. Giuseppe, un ragazzo che l’amava e voleva sposarla, un falegname che guadagnava il pane di ogni giorno. Tutto (in) semplicità, tutto di nascosto. E anche il rifiuto, perché erano fidanzati e in un villaggio così piccolo, voi sapete come sono le chiacchiere, no? Vanno in giro… E Giuseppe se ne accorse che lei era incinta, ma lui era giusto. Tutto di nascosto anche con la calunnia, con le chiacchiere. E l’Angelo spiega a Giuseppe il mistero: “Quel figlio che porta la tua fidanzata è opera di Dio, è opera dello Spirito Santo”. “Quando Giuseppe si destò dal sonno fece quello che aveva ordinato l’Angelo del Signore e se ne andò da lei e la prese per sposa”. Ma tutto di nascosto, tutto umili. Le grandi città del mondo non sapevano nulla. E così è Dio fra noi.

Se tu vuoi trovare Dio, cercalo nell’umiltà, cercalo nella povertà, cercalo dove Lui è nascosto: nei bisognosi, nei più bisognosi, nei malati, gli affamati, nei carcerati. E Gesù quando ci predica la vita, ci dice come sarà il Giudizio nostro, non dirà: “Ma, tu vieni con me perché (hai) avete fatto tante belle offerte alla Chiesa, tu sei un benefattore della Chiesa, vieni, vieni al Cielo, perché…”. No! L’entrata al Cielo non si paga con i soldi, eh? Non dirà: “Tu sei molto importante, hai studiato tanto e hai avuto tante onorificenze, vieni al Cielo…”. No! Le onorificenze non aprono la porta del Cielo. Cosa ci dirà Gesù per aprirci la porta del Cielo? “Ero affamato e mi hai dato da mangiare; ero senzatetto e mi hai dato una casa; ero così, ero ammalato e sei venuto a trovarmi; ero in carcere, sei venuto a trovarmi”. Gesù è nell’umiltà. E l’amore di Gesù è grande. Per questo oggi all’aprire questa Porta Santa, io vorrei che lo Spirito Santo aprisse il cuore di tutti i romani e gli facesse vedere qual è la strada della salvezza. Non c’è lusso, non c’è la strada delle grandi ricchezze, non c’è la strada del potere. C’è la strada dell’umiltà. E i più poveri, gli ammalati, i carcerati…, ma Gesù dice di più, eh?: “I più peccatori, se si pentono, ci precederanno nel Cielo”, loro hanno la chiave. Quello che fa la carità è quello che si lascia abbracciare dalla misericordia del Signore. Noi oggi apriamo questa porta e chiediamo due cose. Primo, che il Signore ci apra la porta del nostro cuore, a tutti. Tutti ne abbiamo bisogno, tutti siamo peccatori, tutti abbiamo bisogno di sentire la Parola del Signore e che la Parola del Signore venga. Secondo, che il Signore faccia capire che la strada della sufficienza, che la strada delle ricchezze, che la strada della vanità, che la strada dell’orgoglio, non sono strade di salvezza.

Che il Signore ci faccia capire che la sua carezza di Padre, la sua misericordia, il suo perdono, è quando noi ci avviciniamo a quelli che soffrono, quelli scartati nella società: lì è Gesù. Questa porta, che è la porta della carità, la porta dove sono assistiti tanti, tanti scartati, ci faccia capire che anche sarebbe bello che ognuno di noi, ognuno dei romani, eh?, ognuno di tutti i romani si sentisse scartato e sentisse il bisogno dell’aiuto di Dio. Oggi noi preghiamo per Roma, per tutti gli abitanti di Roma, per tutti, incominciando da me, perché il Signore ci dia la grazia di sentirci scartati, perché noi non abbiamo alcun merito: soltanto Lui ci dà la misericordia e la grazia. E per avvicinarsi a quella grazia dobbiamo avvicinarci agli scartati, ai poveri, a quelli che hanno più bisogno, perché su quell’avvicinamento tutti noi saremo giudicati.

Che il Signore oggi, aprendo questa porta, dia questa grazia a tutta Roma, a ogni abitante di Roma per poter andare avanti in quell’abbraccio della misericordia dove il Padre prende il Figlio ferito ma il ferito è il Padre: Dio è ferito d’amore e per questo è capace di salvarci tutti. Che il Signore ci dia questa grazia.

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La Comunità vera

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2015

fiori

“La Comunità vera fa fiorire la persona di cui accresce la libertà”.

Card. Angelo Scola

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Bimba nasce Down, condannato ginecologo

Posté par atempodiblog le 17 décembre 2015

Bimba nasce Down, condannato ginecologo
di Lucia Bellaspiga – Avvenire

Sindrome di Down

Dieci anni fa una bimba di Mantova è nata con la sindrome di Down e oggi il ginecologo di sua mamma è stato condannato dalla Cassazione. Dovrà risarcire la madre e il padre, che comunque decisero di non riconoscerla. Una sentenza choc non solo perché nei primi due gradi di giudizio il medico era stato assolto. Non solo perché intanto la bambina, che speriamo cresca amata in una famiglia adottiva, ha ormai dieci anni. Ma perché il ginecologo, si legge nella sentenza, non è stato condannato per una colpa medica (non ha sbagliato una diagnosi o letto male i risultati di un esame, insomma), ma non avrebbe impostato un giusto rapporto con la sua paziente. In pratica, poiché la donna (una cittadina della Repubblica Ceca, appena ventenne) aveva da subito fatto sapere che voleva un figlio sano e che, in qualsiasi altro caso, lo avrebbe abortito, il medico avrebbe avuto il dovere di prospettarle tutti gli esami prenatali utili a rilevare eventuali malformazioni del feto. Non ha sbagliato nel suo operato, (il bi-test era positivo, ma data la giovanissima età non ha consigliato un’amniocentesi, e questo è normale), ma nel non informarla al 100%. Da oggi i medici per tutelarsi proporranno a ogni donna incinta tutte le analisi prenatali esistenti atte a rilevare ogni possibile difetto?

«Su noi, persone disabili, c’è una grande sensibilità formale. Nella sostanza, invece, la società sta regredendo a grandi passi e questa sentenza ne è la prova».

A parlare non è la bambina con sindrome di Down di cui sopra, abbandonata dai genitori alla diagnosi e ‘corpo del reato’ per il ginecologo di sua madre. È però un’altra persona come lei, cioè ‘non perfetta’ secondo la mentalità che sottende alla sentenza di Cassazione: Germana Lancia, 53 anni, romana, è nata affetta da una grave e progressiva patologia altamente invalidante. Una di quelle che le analisi prenatali magari scoprirebbero ‘in tempo’ per interrompere la gravidanza. Una delle centomila possibili malattie dalle quali – si pretende oggi – i medici dovrebbero garantirci…

«Sulla scia di questa assurda sentenza – commenta Germana, responsabile allo sportello disabili dell’università La Sapienza – da oggi dovrebbero essere condannati tutti i medici, a prescindere dal loro operato. Anche di fronte a un lieve malore, dovrebbero far firmare un’informativa che riporti tutte le patologie possibili e pure un avvertimento: ‘possibile anche la morte’.

Purtroppo la decisione dei giudici si adatta a una società che considera lecito eliminare un bambino perché non sano e ‘non perfetto’. Avanti così e arriveremo a considerare eliminabili tutte le persone disabili e coloro che hanno una malattia cronica».

Un malinteso senso di vita ‘degna’, in effetti, già oggi spaccia per filantropici eutanasia e aborto (chissà perché chiamato terapeutico, come se curasse anziché uccidere).

«Ma la vera dignità la mostriamo noi – si ribella Germana – giorno per giorno, convivendo con difficoltà che per altri sarebbero inimmaginabili e ringraziando per quel pochissimo che la società ci offre. Sono una persona che dipende dagli altri, mi sposto in carrozzina elettrica, faccio dialisi tutti i giorni, ma nei miei e nostri confronti la condanna è già emessa: dalle barriere culturali e architettoniche che, in spregio alle leggi vigenti, ci rendono davvero disabili».

Germana, che in passato aveva scritto al presidente Ciampi per chiedergli l’eutanasia, e anni dopo gli aveva scritto per ringraziarlo di non avergliela concessa, è una che non molla, che vive una vita piena di limiti eppure gratificante nella sfera affettiva e professionale, «e la forza mi arriva dalla mia instancabile fede – spiega –, ho sempre pensato che chi ha problemi occupa un posto speciale nell’immenso cuore di Dio… ma è ovvio che anche una persona atea può avere la mia stessa forza e anche di più».

Fatica a pensare che la bambina nata con la sindrome di Down in dieci anni non sia riuscita a fare breccia nell’affetto dei suoi genitori («un bimbo quando è preso tra le braccia è sempre un esserino indifeso da amare»).

Non fatica invece a credere che preventivamente «si sarebbero volentieri liberati di questo piccolo dono con gli occhi a mandorla, perché sulle persone disabili vige una grande ipocrisia: si celebrano tante giornate mondiali, ma poi sono ‘vite indegne’…

Se potessi parlare con una madre che scopre di avere in grembo una creatura disabile, vorrei dirle di non preoccuparsi, che la società le starà accanto nel suo difficile percorso, che mai nessuno discriminerà la sua bambina… Vorrei, ma so che la realtà non è questa. Come ben dimostrano i giudici di questa sentenza e i genitori di questa povera bambina scartata».

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ISIS/ Bambini con la sindrome di down e disabili condannati a morte: la fatwa nazista

Posté par atempodiblog le 17 décembre 2015

ISIS/ Bambini con la sindrome di down e disabili condannati a morte: la fatwa nazista
de Il Sussidiario.net

Diversamente abili

In perfetto stile nazista, l’Isis ha emanato una fatwa contro i bambini vittime della sindrome di down e in generale tutti quelli che sono disabili.

La fatwa prevede l’uccisione dei bambini considerati inutili agli scopi dello stato islamico. Alcuni giudici islamici hanno infatti deciso che i seguaci dell’Isis sono autorizzati a eliminare fisicamente tutti i neonati con la sindrome di Down o altre malformazioni congenite.

Secondo il gruppo di attivisti dei diretti umani iracheni dell’organizzazione Mosul Eye, risultano già uccisi almeno 38 neonati con la sindrome di down, tramite iniezione letale. La strage è avvenuta nei territori di Mosul e del nord Iraq.

Sempre secondo l’organizzazione, la maggior parte di questi bambini era nata da coppie composte da combattenti giunti dall’estero che avevano sposato donne siriane, irachene ed asiatiche.

In particolare il giudice che avrebbe dato il via alla fatwa sarebbe tale Abu Said Alijazrawi, un arabo saudita. Come si sa la stessa pratica era stata adottata dai nazisti con il nome di eutanasia per bambini, almeno 5mila bambini sotto i 16 anni di età con problemi mentali e fisici vennero uccisi dai tedeschi.

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Spalancare la porta del cuore

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2015

Confessionale

Nella catechesi all’udienza generale di oggi Papa Francesco è tornato a parlare dell’Anno Santo appena cominciato, proponendo all’attenzione dei fedeli, raccolti in Piazza San Pietro, due segni centrali del Giubileo e cioè la Porta Santa e la Confessione. [...]

“Attraversare la Porta Santa [...] è segno di una vera conversione del nostro cuore. Quando attraversiamo quella Porta è bene ricordare che dobbiamo tenere spalancata anche la porta del nostro cuore. Io sto davanti alla Porta Santa e chiedo: ‘Signore, aiutami a spalancare la porta del mio cuore!’.

Non avrebbe molta efficacia l’Anno Santo se la porta del nostro cuore non lasciasse passare Cristo che ci spinge ad andare verso gli altri, per portare Lui e il suo amore. Dunque, come la Porta Santa rimane aperta, perché è il segno dell’accoglienza che Dio stesso ci riserva, così anche la nostra porta, quella del cuore, sia sempre spalancata per non escludere nessuno. Neppure quello o quella che mi dà fastidio: nessuno”.

Confessione, segno importante del Giubileo
“Un segno importante del Giubileo è anche la Confessione. Accostarsi al Sacramento con il quale veniamo riconciliati con Dio equivale a fare esperienza diretta della sua misericordia. E’ trovare il Padre che perdona: Dio perdona tutto. Dio ci comprende anche nei nostri limiti, e ci comprende anche nelle nostre contraddizioni. Non solo, Egli con il suo amore ci dice che proprio quando riconosciamo i nostri peccati ci è ancora più vicino e ci sprona a guardare avanti”.

C’è festa nel cielo quando chiediamo perdono
E a braccio ha aggiunto: “Dice di più: che quanto riconosciamo i nostri peccati e chiediamo perdono c’è festa nel Cielo: Gesù fa festa. Eh, questa è la Sua misericordia: non scoraggiamoci. Avanti, avanti con questo!”.

di Adriana Masotti – Radio Vaticana

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Una Chiesa umile

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2015

papa francesco misericordioso

“Una Chiesa umile, che non si pavoneggi dei poteri, delle grandezze. Umiltà non significa una persona languida, fiacca, che fa gli occhi in bianco… No, questa non è umiltà, questo è teatro! Questo è fare finta di umiltà.

L’umiltà ha un primo passo: ‘Io sono peccatore’. Se tu non sei capace di dire a te stesso che sei peccatore e che gli altri sono migliori di te, non sei umile. Il primo passo nella Chiesa umile è sentirsi peccatrice, il primo passo di tutti noi è lo stesso.

Se qualcuno di noi ha l’abitudine di guardare i difetti degli altri e chiacchierare sopra non è umile, si crede giudice degli altri”.

Papa Francesco

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Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2015

Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male
La speranza nella misericordia di Dio apre gli orizzonti e ci rende liberi, mentre la rigidità clericale chiude i cuori e fa tanto male: così il Papa nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La prima Lettura del giorno, tratta dal Libro dei Numeri, parla di Balaam, un profeta ingaggiato da un re per maledire Israele. Balaam – osserva il Papa – “aveva i suoi difetti, ma persino i peccati. Perché tutti abbiamo peccati, tutti. Tutti siamo peccatori. Ma non spaventatevi – esorta il Pontefice – Dio è più grande dei nostri peccati”. “Nel suo cammino Balaam incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore”. “Non cambia di partito” ma “cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede”: il Popolo di Dio dimora nelle tende in mezzo al deserto e lui “oltre il deserto vede la fecondità, la bellezza, la vittoria”. Ha aperto il cuore, “si converte” e “vede lontano, vede la verità”, perché “con buona volontà sempre si vede la verità”. “E’ una verità che dà speranza”.

“La speranza – afferma Papa Francesco – è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:

“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.

Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti” – dice il Papa – sono “uomini chiusi nei loro calcoli”, “schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani “chiudono il cuore, chiudono la libertà”, mentre “la speranza ci fa leggeri”:

“Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati”.

Il Papa conclude l’omelia raccontando un fatto accaduto nel 1992 a Buenos Aires, durante una Messa per i malati. Stava confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, “con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza”:

“E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”.

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Papa Francesco: “Tanti suicidi tra i giovani per disoccupazione”

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2015

Papa Francesco: “Lavoro è diritto di tutti, non dono per raccomandati. Tanti suicidi tra i giovani per disoccupazione”
della Redazione de L’Huffington Post

sperare contro ogni speranza

“Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti”. Lo ha detto il Papa nell’udienza ai gruppi del Progetto Policoro, istituito dalla Cei 20 anni fa, per promuovere l’occupazione giovanile. Il lavoro, ha rimarcato il Papa, è “dignità: non perdiamo di vista – ha sollecitato – l’urgenza di riaffermare questa dignità, essa è propria di tutti e di ciascuno, ogni lavoratore ha diritto di vederla tutelata, e in particolare i giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, il loro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non saranno inutili”.

Papa Francesco si è rivolto direttamente ai tanti giovani che in Italia faticano a trovare un impiego:

“Il vostro lavoro io l’ho molto a cuore perché soffro quando vedo tanta gioventù senza lavoro, disoccupata. In Italia dai 25 anni in giù quasi il 40%”. E “cosa fa un giovane senza lavoro?”, si è chiesto ad alta voce Bergoglio. “Si ammala, deve andare dallo psichiatra, o cade nelle dipendenze o si suicida”, ha denunciato il Papa sottolineando che “le statistiche dei suicidi giovanili non sono pubblicate: si trovano escamotage per non pubblicarli”. O ancora, un ragazzo che non ha prospettive, ha elencato Francesco, “cerca qualcosa che gli dia un ideale e fa il guerrigliero”. “Ma sono loro – ha aggiunto – la nostra carne, sono la nostra carne di Cristo. Vi sono vicino, contate su di me. Questo – ha confidato – mi tocca tanto”.

“Vi assicuro la mia preghiera, vi sono vicino, contate su di me per questo perché questo tocca tanto. E per favore non dimenticatevi di pregare per me perché anche io ho bisogno di preghiere”, ha detto Francesco.

Il Papa dunque è convinto che aiutare creare lavoro per i ragazzi, come fa la Cei con Policoro, “è anche una responsabilità di evangelizzazione, attraverso il valore santificante del lavoro. Non di un lavoro qualunque, però! Non del lavoro che sfrutta, che schiaccia, che umilia, che mortifica, ma del lavoro che rende l’uomo veramente libero, secondo la sua nobile dignità”.

“Quanti giovani oggi – ha osservato il Papa – sono vittime della disoccupazione, quanti di loro hanno ormai smesso di cercare lavoro, rassegnati a continui rifiuti o all’indifferenza di una società che premia i soliti privilegiati, che sono corrotti, e impedisce a chi merita di affermarsi. Il lavoro – ha rimarcato – non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti”.

“Voi rappresentate certamente – ha detto il Papa ai gruppi del Progetto Policoro, lanciato 20 anni fa dalla Conferenza episcopale italiana per favorire l’occupazione giovanile – un segno concreto di speranza per tanti che non si sono rassegnati, ma hanno deciso di impegnarsi con coraggio per creare o migliorare le proprie possibilità lavorative. Il mio invito – ha aggiunto papa Bergoglio – è quello di continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento giovanile in forma comunitaria e partecipata. Spesso – ha aggiunto – dietro un progetto di lavoro c’è tanta solitudine: a volte i nostri giovani si trovano a dover affrontare mille difficoltà e senza alcun aiuto, le stesse famiglie, che pure li sostengono, anche economicamente, non possono fare tanto, e molti sono costretti a rinunciare, scoraggiati”. “Qui – ha esortato il Papa – potete fare la vostra parte: sostenere le nuove energie spese per il lavoro; promuovere uno stile di creatività che ponga menti e braccia attorno a uno stesso tavolo, pensare insieme, progettare insieme, ricevere e dare aiuto: sono queste le forme più efficaci per esprimere la solidarietà come dono”. “E qui – ha aggiunto a braccio riferendosi alla domanda che gli aveva posto uno degli animatori – c’entra la Chiesa, perché la Chiesa è madre di tutti, accomuna tutti”. Papa Francesco ha anche incoraggiato a “continuare nel vostro impegno – ha detto – di sviluppare progetti a misura d’uomo, progetti rispettosi della dignità di chi li realizza e di chi ne beneficia; progetti che sappiano dare il giusto valore allo sforzo profuso, ma anche al meritato riposo, progetti concreti per esigenze concrete”.

Papa Bergoglio ha anche apprezzato le “idee forza” del Progetto Policoro, “una grande iniziativa di promozione giovanile, una vera occasione – lo ha definito – di sviluppo locale a dimensione nazionale”. “Le sue idee-forza – ha dunque rimarcato il Pontefice – ne hanno segnato il successo: la formazione dei giovani, il lancio di cooperative, la creazione di figure di mediazione come gli ‘animatori di comunità’ e una serie di gesti concreti, segno visibile dell’impegno di questi venti anni di presenza attiva”.

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Stanchi di rincorrere prestazioni, ai giovani serve un altro stile di vita

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2015

Stanchi di rincorrere prestazioni, ai giovani serve un altro stile di vita
Dallo spirito del Giubileo un messaggio che non riguarda solamente i credenti. Una vita attiva per sentirsi in pace anche per quel che si è, non solo per ciò che si fa
di Alessandro D’Avenia – La Stampa

esaurimento

Un filosofo contemporaneo ha visto in Prometeo l’archetipo della società di oggi, composta da uomini stanchi, che hanno creato una vita che li incatena e divora continuamente. Il loro fegato ricresce ogni giorno, pronto per essere nuovamente distrutto dal meccanismo della prestazione. Per Prometeo non c’è misericordia: «La società del XXI secolo è una società della prestazione. I suoi stessi cittadini sono “soggetti di prestazione”. Sono imprenditori di se stessi». (Byung-Chul Han, La società della stanchezza). La tecnica sostituisce ciò che è umano nell’uomo.

La stanchezza che caratterizza la società occidentale colpisce in modo particolare i giovani, ora disarmati di fronte ad una vita che chiede loro di essere oggetto di prestazioni e non soggetto di possibilità (adolescenza è l’irruzione di ciò che è propriamente umano, è l’assunzione di un destino: la necessità e l’entusiasmo di creare a partire da ciò che si è) e che si rifugiano nelle loro stanze come gli hikikomori o sono costretti a far regredire il loro corpo e il loro spirito a larva anoressica; ora armati a vuoto con l’unico scopo di distruggere (a maggior potenza creatrice corrisponde sempre maggiore estensione del caos), con violenza sul corpo altrui, o sul proprio, ferito per sapere di aver sangue e vita dentro di sé. Regressione fetale da un lato, esplosione kamikaze dall’altro: in entrambi i casi si mostra una forza sorprendente, di per sé creativa, che può impegnarsi a fini distruttivi, fino all’autodistruzione. L’assenza di misericordia trasforma l’amore di sé in amore della morte.

La prestazione è il contrario della misericordia, la capacità di interiorizzare, negli occhi dell’altro, la propria vita e accettarla per quello che è: un limite capace di superarsi, un limite capace di creare e di essere nuovo inizio, un inedito darsi. I giovani di oggi cercano, come ogni generazione, questa misericordia nella generazione precedente: la possibilità di riceversi così come sono. Ciò si impara primariamente in famiglia, la cui essenza è avere almeno un posto al mondo in cui si è accettati (se non si è frutto di un menu, e quindi oggetto di attesa di prestazione) e si accetta l’altro per come viene ed è e non per quello che può dare o fare. Un posto in cui qualcuno possa dire all’altro “io darei la vita per te, come sei, adesso”. E quell’adesso è fondamentale, ed è misericordia.

Invece anche la famiglia, più fragile, diventa spesso luogo di prestazione: il figlio è caricato di tutte le attese dei genitori, che crollano se il figlio fallisce, perché la loro realizzazione non è primariamente nell’amore della coppia, ma nelle aspettative sul bambino (genitori che si ribellano per un cattivo voto del figlio, ma d’altronde la scuola è spesso ridotta a prestazione e voti, o si scannano durante le partite di calcio dei bambini). Se la felicità si identifica con una prestazione efficace, l’insuccesso è bandito. Invece la crescita e la maturità sono tessute di fallimenti, attraverso i quali il giovane impara che la realtà resiste ai suoi desideri di onnipotenza narcisistica e impara a stare al mondo, introducendovi la sua novità con la pazienza e il coraggio necessari. Questo è conquistare la maturità: interiorizzare il limite, trasformando il destino in destinazione. La società della prestazione spazza via la possibilità di fallire, perché non conosce misericordia, esilia la fragilità costitutiva dell’umano, generando soggetti spesso depressi e frustrati, perché non riescono ad essere quello che occhi senza misericordia si aspettano. Il doping diventa necessario: tanti professionisti hanno bisogno di drogarsi per essere produttivi, come si dopano le piante e gli animali perché forniscano materia nuova ogni giorno per gli scaffali.

Viene meno lo stupore paziente dell’essere “così” di cose e persone, viene meno la stessa consistenza di cose e persone che hanno bisogno di tempo per darsi a conoscere. “Rispetto” e “riguardo” dicono che per avere accesso alla realtà bisogna guardarla (-spectare -guardare) con un certo distacco, più e più volte (ri-), nel tempo, senza esigere il tutto-e-subito. Tolto il ri- della misericordia rimane solo lo spettacolo (spectare) dell’eterno presente, del multitasking, dello sguardo che pretende, della prestazione che affatica e divora, come l’aquila, il fegato del giovane Prometeo, portatore di fuoco.

Non c’è spazio perché il nostro io disarmato sia e cresca, nella pazienza delle stagioni. Il corpo si trasforma in protesi da migliorare con la chirurgia, l’amore si riduce a tecnica di seduzione e di piacere, la felicità si riduce a benessere, la salvezza a sicurezza, gli altri diventano app da smartphone. Riguardo e rispetto, cioè misericordia, sono merce rara, perché non dipendono dalla tecnica che tutto può, ma da un cuore capace di accogliere la realtà, prima di aver pensato di sfruttarla.

Un giovane non guardato e amato per ciò che è e non per ciò che dovrebbe dare e fare, si stanca della sua esistenza prima ancora di cominciare il compimento, che ne segna corpo e spirito. Non impara a conoscere e amare se stesso per quello che è, quindi non trova il coraggio per essere nuovo inizio (dare e fare come conseguenza dell’essere), agisce un copione per cui non ha talento, finendo con ribellarsi (o si chiude o esplode) al continuo fallimento a cui è paradossalmente costretto. La solitudine di Prometeo potrebbe guarire, la sua ferita rimarginarsi, se ricominciassimo, anche grazie al Giubileo (che non riguarda solo i credenti) a creare uno stile di vita basato, non sulla prestazione che genera stanchezza, ma su una vita attiva nutrita da uno sguardo che sappia farci sentire in pace per quello che siamo e non solo per quello che possiamo dare/fare. Se trovassimo questo sguardo, al fegato divorato ogni giorno dalla prestazione, potremmo sostituire un cuore ogni giorno rigenerato dalla misericordia.

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Papa apre Porta Santa a San Giovanni: è tempo del perdono, non della rigidità

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2015

Papa apre Porta Santa a San Giovanni: è tempo del perdono, non della rigidità
In questo tempo di gioia si riscopra la presenza di Dio per diventare strumenti di misericordia. E’ la richiesta di Francesco alla Messa per l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, la terza aperta dal Papa dopo quella di Bangui, in Centrafrica, e quella di San Pietro, l’8 dicembre.
di Francesca Sabatinelli – Radio Vaticana

papa porta santa

L’apertura della Porta Santa è un invito alla gioia, e in questo tempo di misericordia è il momento di riscoprire la presenza e la tenerezza di Dio Padre, ed è il momento di essere strumenti di misericordia, perché per questo saremo “giudicati”. E’ ciò che chiede il Papa ai fedeli, nel giorno in cui apre la Porta Santa “porta del Signore”,  “porta della giustizia”, di San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma. Nell’omelia, Francesco ripete le parole di Sofonia il profeta, rivolte a Gerusalemme, chiede di esultare e di rallegrarsi, perché “il Signore ha revocato ogni condanna e ha deciso di vivere in mezzo a noi”:

“Questa terza domenica di Avvento attira il nostro sguardo verso il Natale ormai vicino. Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza; non ci è consentita nessuna forma di tristezza, anche se ne avremmo motivo per le tante preoccupazioni e per le molteplici forme di violenza che feriscono questa nostra umanità. La venuta del Signore, però, deve riempire il nostro cuore di gioia”.

E’ Sofonia “che apre il nostro cuore alla fiducia”, perché “Dio protegge il suo popolo”:

“In un contesto storico di grandi soprusi e violenze, ad opera soprattutto di uomini di potere, Dio fa sapere che Lui stesso regnerà sul suo popolo, che non lo lascerà più in balìa dell’arroganza dei suoi governanti, e che lo libererà da ogni angoscia”.

Dubbio, impazienza o sofferenza, spiega ancora Francesco, non devono lasciarci cadere le braccia, come ci chiede Sofonia, perché, come ribadisce anche l’apostolo Paolo, “Il Signore è vicino”:

“Per questo dobbiamo rallegrarci sempre, e con la nostra affabilità dare a tutti testimonianza della vicinanza e della cura che Dio ha per ogni persona ».

Anche il “semplice segno”, dell’apertura della Porta Santa a San Giovanni e in tutte le cattedrali del mondo, “è un invito alla gioia”:

“Inizia il tempo del grande perdono. E’ il Giubileo della Misericordia. E’ il momento per riscoprire la presenza di Dio e la sua tenerezza di Padre.
Dio non ama le rigidità, lui è Padre, è tenero. Tutto fa con tenerezza di Padre ».

Anche per i fedeli di oggi vale la risposta di Giovanni Battista alle folle che chiedevano cosa fare e dunque il suo invito “ad agire con giustizia e a guardare alle necessità di quanti sono nel bisogno”. Ma c’è qualcosa in più:

“A noi, invece, viene chiesto un impegno più radicale. Davanti alla Porta Santa che siamo chiamati a varcare, ci viene chiesto di essere strumenti di misericordia, consapevoli che saremo giudicati su questo. Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande”.

“Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande”, prosegue il Papa perché « la fede in Cristo provoca ad un cammino che dura per tutta la vita: quello di essere misericordiosi come il Padre”:

“La gioia di attraversare la Porta della Misericordia si accompagna all’impegno di accogliere e testimoniare un amore che va oltre la giustizia, un amore che non conosce confini. E’ di questo infinito amore che siamo responsabili, nonostante le nostre contraddizioni”.

In conclusione, la richiesta di pregare per tutti coloro che “attraverseranno la Porta della Misericordia” perché possano “comprendere e accogliere l’infinto amore del nostro Padre celeste, che ricrea, trasforma e riforma la vita”.

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Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2015

Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio
Dio è innamorato della nostra piccolezza, la sua misericordia non ha fine. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, alla quale hanno preso parte anche i cardinali del Consiglio dei Nove, che iniziano oggi la dodicesima riunione di lavoro con il Santo Padre. I lavori del Consiglio proseguiranno fino a sabato 12 dicembre. Nell’omelia, il Pontefice ha sottolineato che la misericordia è come una carezza, come l’abbraccio di un genitore che dà consolazione e sicurezza al proprio bambino.
di Alessandro Gisotti  – Radio Vaticana

papa misericordioso

“Il Signore è misericordioso e grande nell’amore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina muovendo dalla prima Lettura – tratta dal libro di Isaia – laddove in un monologo del Signore si comprende che Dio ha scelto il suo popolo “non perché fosse grande o potente”, ma “perché era il più piccolo di tutti, il più miserabile di tutti”.

Dio si innamora della nostra piccolezza
Dio, prosegue, “si è innamorato di questa miseria, si è innamorato proprio di questa piccolezza”. E in questo monologo di Dio col suo popolo, ribadisce, “si vede questo amore”, un “amore tenero, un amore come quello del papà o della mamma, quando” parla con il bambino che “la notte si sveglia spaventato da un sogno”. E lo rassicura: “Io ti tengo per la destra, stai tranquillo, non temere”:

“Tutti noi conosciamo le carezze dei papà e delle mamme, quando i bambini sono inquieti per lo spavento: ‘Non temere, io sono qui; Io sono innamorato della tua piccolezza; mi sono innamorato della tua piccolezza, del tuo niente’. Anche: ‘Non temere i tuoi peccati, Io ti voglio tanto bene; Io sono qui per perdonarti’. Questa è la misericordia di Dio”.

Il Signore prende su di sé le nostre debolezze
Francesco rammenta, quindi, un Santo che faceva molte penitenze, ma il Signore gli chiedeva sempre di più fino a quando gli disse che non aveva più niente da donargli e Dio gli rispose: “Dammi i tuoi peccati”:

“Il Signore ha voglia di prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre stanchezze. Gesù quante volte faceva sentire questo e poi: ‘Venite a me, tutti voi che siete affaticati, stanchi e io vi darò ristoro. Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra, non temere piccolino, non temere. Io ti darò forza. Dammi tutto ed Io ti perdonerò, ti darò pace”.

La misericordia di Dio ci faccia più misericordiosi con gli altri
Queste, riprende, “sono le carezze di Dio, queste sono le carezze del nostro Padre, quando si esprime con la sua misericordia”:

“Noi che siamo tanto nervosi, quando una cosa non va bene, strepitiamo, siamo impazienti… Invece Lui: ‘Ma, stai tranquillo, ne hai fatta una grossa, sì, ma stai tranquillo; non temere, Io ti perdono. Dammela’. Questo è quello che significa quando abbiamo ripetuto nel Salmo: ‘Il Signore è misericordioso e grande nell’amore’. Noi siamo piccoli. Lui ci ha dato tutto. Ci chiede soltanto le nostre miserie, le nostre piccolezze, i nostri peccati, per abbracciarci, per accarezzarci”.

“Chiediamo al Signore – ha concluso Francesco – di risvegliare in ognuno di noi e in tutto il popolo la fede in questa paternità, in questa misericordia, nel suo cuore. E che questa fede nella sua paternità e la sua misericordia ci faccia un po’ più misericordiosi nel confronto degli altri”.

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Guardare in alto

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2015

Guardare in alto
di Stefano Chiappalone – Comunità Ambrosiana

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Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento(Papa Francesco)

La candida sagoma squadrata del campanile risalta tra l’azzurro del cielo di una serena domenica autunnale e i rami degli alberi che lo velano leggermente, quasi un sipario che la natura stessa offre per inquadrare ancor meglio il piccolo capolavoro innalzato dall’ingegno umano a gloria di Dio – più precisamente “Deo Optimo Maximo et Sancto Mauritio”, come si legge sulla facciata. Nulla di trascendentale (forse), almeno a prima vista, eppure è bastato sollevare un attimo lo sguardo per ritrovarsi di fronte a quell’abbinamento di semplici forme e pochi colori che calamita l’occhio e lo spirito verso l’alto. Sollevare lo sguardo è in effetti un’operazione inconsueta per l’uomo moderno, e il sottoscritto non fa eccezione in quanto appartenente a quella involuzione dell’homo sapiens che potremmo qualificare homo curvus, più avvezzo a fissare le buche nell’asfalto che lo splendore dei cieli. Il nostro mondo non costruisce torri e persino certi edifici di culto difettano di campanili. Non che manchino edifici alti, che anzi proliferano da qualche decennio sotto forma di grattacieli – talora persino di qualche interesse estetico – o di casermoni ad uso abitativo – generalmente di grande valore antiestetico. Tuttavia, più che dalla tensione verso l’alto, essi sembrano animati dall’affanno di prolungare lo spazio terreno, non molto diversi pertanto da quella Londra sotterranea descritta ne Il Padrone del mondo di Robert H. Benson (1871-1914) in cui “essendosi accorti che lo spazio non è limitato alla superficie del globo, gli uomini di tutto il mondo avevano incominciato a fabbricare sottoterra”. I nostri condomini, in altre parole, somigliano a grigie caverne emerse in superficie, delineando una skyline ben diverso da quella gioiosa società di torri e campanili che ha plasmato i paesaggi dell’Europa che fu – insieme agli alberi che, di fatto, oggi è più facile veder potare che piantare. L’albero come il campanile, tende verso l’alto e verso il futuro, sfuggendo alle nostre pretese di fabbricare e consumare tutto qui ed ora:

Chi iniziava a costruire le cattedrali aveva la certezza che né lui né i suoi figli le avrebbero viste completate. Edificavano, ma per i posteri. Chi oggi pianta più un noce? Chi oggi ha il senso del futuro?”, si chiedeva lo storico pisano Marco Tangheroni (1946-2004).

Dal campanile, all’albero, ai soffitti – altro sintomo e simbolo dell’orientamento interiore della società. Se i Gonzaga, signori di Mantova, si addormentavano contemplando i putti e le altre figure che facevano capolino dall’oculo affrescato da Andrea Mantegna (1431-1506) sulla volta della Camera degli Sposi, più modestamente da studente universitario provai una piccola gioia nel vedere il soffitto irregolare con travi di legno a vista del mio piccolo alloggio pisano – un soffitto tipicamente toscano che al risveglio mi evocava sinuosi viali di cipressi che conducevano alle dolci colline un tempo contese dai Visconti e dai Gherardesca. Era una società che mirava in alto anche architettonicamente, a volte anche troppo: la competizione tra casate nobiliari si manifestava persino nell’altezza delle case-torri, che le leggi antimagnatizie in molte città provvidero ad abbassare forzatamente per tenere a bada la hybris dei loro costruttori e il celebre campanile dell’antica repubblica marinara divenne ancor più celebre per il suo inatteso inclinarsi. Torniamo però ai soffitti: per le strade di Pisa e di Roma mi è capitato spesso di sbirciare, complice la bella stagione, al di là delle finestre aperte di qualche antica dimora, i soffitti affrescati a beneficio esclusivo di fortunati eredi. Se però dovevo accontentarmi di sbirciare dalla strada quelle blasonate volte, non mi erano affatto precluse quelle della dimora del Re dei Re, dove ognuno può sentirsi a casa. Dall’azzurro stellato delle chiese medievali al tripudio di angeli di quelle barocche, centinaia di cieli mi hanno spinto a guardare in alto, a partire dalla chiesa parrocchiale che mi vide bambino nel natio borgo abruzzese. Ero troppo piccolo per non annoiarmi un po’ durante la Messa e tuttavia ero abbastanza piccolo da lasciarmi incantare volando oltre le coltri d’incenso fino a quel misterioso agnello dipinto sulla volta del presbiterio, nonché ai tre angioletti di stucco poco sopra l’altare che ancora oggi torno a guardare con lo stesso incanto di allora, quando il mio cuore di bambino percepiva inconsapevolmente – e forse meglio di ora – quel “Sursum corda – in alto i cuori” con cui la liturgia ci invita a sollevare lo sguardo verso il Santo dei Santi.

Nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore Papa Francesco esortava a levare lo sguardo al Cristo dipinto nella cupola:

Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è ‘Ecce Homo’. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. […] Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono”.

Dalla cupola del Brunelleschi, la riflessione del pontefice si spostava idealmente allo Spedale degli Innocenti, dal volto di Cristo al volto dell’uomo:

Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità!”. Guardare in alto diviene ancora più urgente nei tempi di crisi, quando tutto sembra andare in direzione contraria lasciandoci tentare dallo scoraggiamento. Nell’Avvento di alcuni anni fa, Papa Benedetto ricordava le antiche parole della liturgia: Excita, Domine, potentiam tuam, et veni [Ridesta, Signore, la tua potenza e vieni]: con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente nei giorni dell’Avvento. Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. […] Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce”.

Che ci crolli il mondo addosso o che il mondo stesso stia per crollare, possiamo ancora dirigere gli occhi e il cuore verso l’alto per accorgerci che non siamo mai abbandonati a noi stessi:

L’assalto di Mordor irruppe come un’immensa ondata sulle colline assediate, e le voci ruggivano come una marea che sale fra boati e fragore. Come se ai suoi occhi fosse improvvisamente apparsa una visione, Gandalf trasalì: si voltò a guardare verso nord, dove i cieli erano limpidi e pallidi. Poi alzò le mani e gridò con voce possente che sovrastava ogni altro rumore: Arrivano le Aquile! E molte altre voci gli risposero gridando: Arrivano le Aquile! Arrivano le Aquile! […] Allora tutti i Capitani dell’Ovest gridarono, perché i loro cuori erano pieni di una nuova speranza in mezzo a tutta l’oscurità”.

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Giubileo, fede e opere buone: come si ottiene il perdono dei peccati

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2015

Giubileo, fede e opere buone: come si ottiene il perdono dei peccati
Bergoglio non utilizza il termine indulgenza. Chiave di volta resta la penitenza. Per l’Anno Santo tutti i sacerdoti hanno facoltà di assoluzione anche per l’aborto
di Luigi Accattoli – Corriere della Sera

confessionale privacy

Giubileo della Misericordia, cioè Perdonanza, come una volta erano detti i Giubilei. E indulgenza, una delle parole chiave dei Giubilei, che vuol dire anch’essa perdono: la parola latina «indulgere» vale «usare indulgenza». Ma di quali peccati si cerca il perdono e attraverso quali pratiche? Di tutti i peccati, attraverso il pellegrinaggio, la confessione e la comunione, la preghiera secondo le intenzioni del Papa, le «opere di misericordia».
Francesco sta modificando lingua e regole dei «Giubilei universali» come sono stati praticati dalla Chiesa di Roma lungo sette secoli: dal 1300 al 2000. Resta il contenuto essenziale: cioè la chiamata alla penitenza e alla conversione. Ma non si parla più di «pratiche» e preghiere per l’acquisto dell’indulgenza. Su quelle regole ancora Giovanni Paolo II nel 2000 aveva fatto pubblicare direttive «aggiornate», che stavolta non ci sono state.
Nei discorsi di ieri Bergoglio non ha mai usato la parola «indulgenza». L’aveva usata nella Bolla di indizione del Giubileo e nella «Lettera all’arcivescovo Fisichella» ma solo al singolare e come sinonimo di perdono: «Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente», diceva per esempio nella Bolla.
Non dice «lucrare» o «acquistare l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradizionale, non distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», qualche volta dice indulgenza e altre volte «grazia del Giubileo». Insomma riduce ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi papi, gli elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi penitenziale cattolica che fu all’origine della «protesta» di Lutero.

Una novità che va letta nel segno dell’avvicinamento della Chiesa all’umanità di oggi e nel segno della semplificazione di linguaggi e pratiche ricevuti dalla tradizione. Per misurarne la portata basterà ricordare la definizione di «indulgenza» che era stata data da Paolo VI in un documento del 1967 e che fu ripetuta nelle norme dettate da Papa Wojtyla per il Giubileo del 2000: «L’indulgenza è la remissione davanti a Dio della pena temporale dovuta per i peccati già cancellati in quanto alla colpa».
Francesco non si interessa ai riti ma alla sostanza della «conversione» e della «grazia del perdono» a cui alludevano le parole perdonanza e indulgenza. Si adopera a dire quella sostanza con parole comprensibili all’uomo d’oggi e a fare in modo che a quella grazia possano accedere tutti: anche il carcerato che non può uscire dalla sua cella, come ha specificato nella «Lettera a Fisichella»; anche chi non può venire a Roma. È per questo che ha voluto «porte sante» in tutto il mondo.
«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere facilitatori della Grazia», ha detto una volta. Invierà, il Mercoledì delle Ceneri, ottocento «missionari della Misericordia» in tutto il mondo, cioè sacerdoti che saranno autorizzati ad assolvere ogni tipo di «colpa», comprese quelle per le quali è prevista la scomunica riservata al Papa, tipo la profanazione dell’Eucarestia.
Per l’aborto ha già deciso che per tutto l’Anno Santo i sacerdoti di tutto il mondo lo possano assolvere: e anche per il «peccato d’aborto» c’è la scomunica «riservata al vescovo». Capita dunque che ordinariamente il confessore dica alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere a tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con la sua decisione Francesco ha dato a quella facilitazione la massima estensione.
Ci sarà un perdono allargato per i divorziati risposati? Forse una parola arriverà anche per loro, ma questo è un altro capitolo che riguarda l’applicazione di quanto discusso dal Sinodo di ottobre e non sappiamo quando il Papa la formulerà.

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