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Il delirio eugenetico e la felicità

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2015

Il delirio eugenetico e la felicità
di Mario Adinolfi – La Croce – Quotidiano

selezione

In Danimarca esiste un progetto chiamato “Down Syndrome Free” che prevede che entro il 2030 il numero di nuovi nati affetti da trisomia 21 sia pari a zero. Come intendono i danesi centrare l’obiettivo? Offrendo alla donne in gravidanza tutti gli strumenti di diagnosi prenatale in maniera totalmente gratuita al fine di individuare i bambini malati e eliminarli, sempre a spese dello Stato, si intende. Pianificazioni analoghe sono state immaginate anche in Francia dove un video che incoraggiava le mamme di bambini down è stato rimosso dalla tv pubblica perché « turbava le donne francesi » e non le rendeva dunque malleabili rispetto all’obiettivo di azzerare le nascite di down nel paese.

Il delirio eugenetico sbarcato anche in Italia con la folle sentenza che ha rimosso uno dei pochi divieti rimasti in piedi nella legge 40, il divieto assoluto di selezione eugenetica degli embrioni, coltiva una strana idea di felicità: una società sarebbe felice secondo questi nuovi epigoni di note teorie naziste, se si conforma ad un modello di bellezza ed efficienza che evidentemente esclude debolezza e malattia. Basta Giacomo Leopardi e Stephen Hawking, basta Michel Petrucciani e Alex Zanardi. Chi è menomato, handicappato, anche solo molto brutto, turba la nostra felicità e dunque, se pure non può essere eliminato perché ormai è nato, in futuro non dovrà nascere. Se poi la vita lo metterà nella condizione di soffrire per qualche pesante malattia, abbia la buona creanza di capire che è un peso per la famiglia e la società, si faccia eliminare con un’altra bella legge costruita alla bisogna: l’eutanasia.

E’ possibile la costruzione di questa ideale “società felice » priva di dolore e malattia? No, non solo non è possibile, ma è anche terribilmente non auspicabile, pur essendo di fatto dietro l’angolo. La retorica del “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio malato?” si scontra con altre infinite domande da “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio brutto?” a “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio stupido?”. Vorremmo tutti figli che siano un mix tra Leonardo da Vinci e Brad Pitt, potessimo scegliere e costruire in laboratorio chiederemmo per tutti i nostri figli il massimo delle doti. E costruiremmo così l’inferno in terra, è stato per l’appunto il sogno nazista della razza dei perfetti, finalizzata al dominio del mondo.

Il sogno eugenetico è delirio, ma marcia sulle gambe di progetti come quello danese e di sentenze come quella della Corte costituzionale italiana. Gli esiti sono pericolosissimi e purtroppo non sembrano turbare i sonni di molti. E invece proprio da un sonno della ragione sono stati mostruosamente generati. Torniamo umani, mi verrebbe da dire. Torniamo a noi, ai nostri genitori che si sono incontrati e in qualche modo amati, generandoci così, imperfetti e pieni di contraddizioni, talvolta malati nel corpo o nell’anima, ma comunque meravigliosamente unici e non omologabili. Questa preziosa diversità è il bene da tutelare, contro i progetti neonazisti di chi vuole farci marciare in fila per due, tutti così belli e tutti così aitanti da essere diventati indistinguibili.

Sarà la notte in cui tutte le vacche sono nere.

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Mostra d’arte religiosa vietata/ Cari bambini, vi hanno tolto l’aria e gli occhi

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2015

Mostra d’arte religiosa vietata/ Cari bambini, vi hanno tolto l’aria e gli occhi
di Corrado Bagnoli – Il Sussidiario.net

palazzo strozzi

Carissimi Mattia, Francesco, Antonio, Martina, Yuri, Rafi, Giorgia e carissimi tutti voi che mi guardate dai vostri banchi ogni mattina; che avete negli occhi e nella testa uno spazio così vasto che ci vuole stare dentro il mondo intero e anche di più, oggi devo dirvi una cosa che non avrei mai pensato di dovervi dire: la scuola non c’è più!

Tante volte, forse, avete sentito questa frase: da qualche sindacalista o politico che gridava allo scandalo delle supplenze; da qualche alunno che si lamentava del crollo del soffitto della palestra; da qualche mamma che si disperava per l’assenza della mensa. Sì, tante volte avete sentito dire: la scuola è morta. Ma oggi ve lo dice il vostro maestro. Oggi è morta per davvero, qui, a Firenze: proprio tra di noi, sui nostri banchi ha buttato fuori il suo ultimo respiro.

Vi ricordate quando solo qualche giorno fa abbiamo raccolto le foglie, in questo autunno straordinario che stiamo vivendo? Vi ricordate quando abbiamo letto anche qualche poeta che ha raccontato a modo suo le foglie e voi poi avete voluto raccontarle a modo vostro? Quanto è stato straordinario riconoscere nei rossi, negli ori, nei gialli di quelle foglie, l’oro, il rosso e il giallo dei quadri che vi ho mostrato e che anche voi avete voluto tentare poi di copiare? La scuola era viva in quei colori, nell’aria che respiravamo nel giardino, nell’ansia quasi di raccontarci tutto quello che avevamo scoperto. La scuola era viva perché c’eravate voi con la vostra voglia di guardare, capire, abbracciare il mondo dal più piccolo granellino di terra raccolto sotto la pianta, fino al più grande capolavoro della pittura antica o contemporanea che abbiamo visto insieme. La scuola era viva.

E dunque? La nostra palestra ha un bel soffitto, la mensa funziona, tutti i maestri qui sono di ruolo. Ma allora, perché la scuola è morta? Ecco: oggi ho saputo che la visita che avevamo deliberato per andare a visitare la mostra “Bellezza Divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana”, qui, dietro l’angolo, a Palazzo Strozzi, è stata annullata. Per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche, visto il tema religioso della mostra. Proprio così: una riga per decretare la fine della scuola. Chagall, Van Gogh, Fontana, Munch, Matisse erano lì ad aspettarci a Palazzo Strozzi, nella Firenze di chiese e crocefissi ad ogni angolo di strada, che da ogni parte protestanti, ebrei, musulmani, seguaci di Confucio, taoisti ogni anno vengono a visitare con gli occhi pieni di meraviglia e di stupore. Quasi come voi davanti alle foglie del giardino, alle parole dei poeti e, sono sicuro, come voi a quella mostra davanti ai quadri che non ci sarà più nessuna occasione di vedere. 

Vi hanno tolto l’aria e gli occhi: per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche? Perché, viene da pensare, solo le famiglie cattoliche hanno il diritto di portare i loro figli a vedere le opere di più grandi artisti di ogni tempo? Perché solo ai figli delle famiglie cattoliche è riservato il diritto alla bellezza e al genio che ha saputo interpretare il cuore dell’uomo e la sete di significato di tutta l’umanità? Ecco da dove nasce la morte della scuola: da un consiglio d’interclasse che annulla la possibilità di guardare la bellezza di opere grandi e uniche, compiendo un atto irragionevole che nasce da un pensiero discriminatorio proprio nei confronti di coloro che invece si vogliono tutelare.

Scusatemi Mattia e Yuri, e Martina e Giorgia: ho dovuto usare parole anche forse troppo difficili, ma so che avete capito. La scuola è morta perché, per una scelta che non ha ragioni e che offende anzi la ragione, ci viene impedito di guardare quelle opere che stanno qui, dietro l’angolo. Forse un giorno ci impediranno anche di scendere in giardino a guardare le foglie, perché poi magari leggeremo le parole di Rilke che, parlando dell’autunno, racconta come tutto cade, come anche la terra cade, come tutti noi. Eppure, dice Rilke alla fine del suo testo, qualcosa esiste che tiene questo cadere nelle sue mani. Sarà offensivo anche nella sua umanissima religiosità? Toglieremo quel verso? Non guarderemo più le foglie, non leggeremo più poesie, non guarderemo più opere d’arte. Forse impacchetteranno anche la strada che facciamo per venire qui. Certo, per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche.

Ecco bambini, ecco genitori: quando  muore la ragione, muore anche la scuola. E anch’io muoio, anch’io che sono un semplice maestro, uno che ha creduto che il mio mestiere fosse quello di dovervi aiutare a spalancare tutte le finestre per guardarvi intorno. Tutti, cattolici e non.

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Dio è morto in Germania

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2015

Dio è morto in Germania
Per far posto ai migranti si aboliscono le feste cristiane e nella chiesa di Lutero non prega più nessuno
di Giulio Meotti – Il FoglioOlanda, ciò che faceva Hitler ora lo fa lo stato dans Anticristo

Jubi Kirche Predigt
“Dal 1990 al 2010 abbiamo chiuso 340 chiese, 46 delle quali sono state demolite”, dice il responsabile finanziario della chiesa evangelica tedesca. “Saremo costretti a vendere altri mille edifici”

Padre Joachim Deterding, il pastore della chiesa evangelica Königshardt-Schmachtendorf a Oberhausen, ha appena offerto alle autorità tedesche la sua chiesa per ospitare un certo numero di migranti. Ha deciso che, per evitare di apparire “offensivo” nei confronti dei musulmani, spoglierà la chiesa anche di ogni simbolo cristiano. Saranno dismessi il fonte battesimale e le croci. A rivelare la storia è la Westdeutsche Allgemeine Zeitung. E’ la prima volta che una chiesa consacrata viene usata per accogliere gli immigrati. Il luogo di culto guglielmino, creato nel 1906, riceverà lavatrici e cibo ogni giorno, anziché fedeli cristiani.

Si cambia regione e la scena si ripete. Le scuole e le parrocchie di Düsseldorf hanno appena deciso che la tradizionale festa cristiana d’autunno, quella di San Martino che si celebra l’11 novembre, quest’anno sarà denominata “festa delle luci” per non traumatizzare i migranti. La preside della scuola salesiana di Oberkassel, Nanette Weidelt, ha detto al Rheinische Post che il nuovo nome è stato adottato “per facilitare l’integrazione”. Anche la Croce Rossa derl quartiere di Gerresheim ha comunicato il cambio del nome: “Abbiamo volutamente scelto il nuovo nome perché l’integrazione e l’unità consentono di raggiungere il maggior numero possibile di bambini”.

Storie simbolo di un paese che cammina spedito verso la realizzazione del detto di Friedrich Nietzsche: “Gott ist tot”. Dio è morto. E che da anni vive alle prese con una sorta di malessere demografico epocale.

Un malessere che è stato enucleato da Rudolf Bauer nel suo nuovo libro, “Was ist los mit den Christen?” (cosa non va con i cristiani?). E che spinge tanti a parlare di “nuovo Kulturkampf”. Il paese che ha dato i natali a Papa Benedetto XVI, dove il presidente Joachim Gauck era un pastore protestante e anche la cancelliere Angela Merkel è figlia di un pastore che dirigeva un seminario a Templin; un paese la cui musica sacra è la migliore del mondo, dove le chiese sono ricchissime e costituiscono il secondo più grande datore di lavoro in Germania, questo paese si è imposto come la testa d’ariete della secolarizzazione occidentale. Come “export nation” non soltanto in termini economici, ma di marginalizzazione della religione nello spazio pubblico.

In “La festa è finita”, lo scrittore Peter Hahne si domanda se “la Germania può ancora definirsi un paese cristiano o se non sarebbe più esatto dire che la Germania è un paese prevalentemente ateo dove convivono varie minoranze religiose”. La cancelliera Merkel, a differenza dei suoi predecessori, non ha croci appese alle pareti dell’ufficio. Al massimo se ne trova una fra la Costituzione tedesca e le opere di Bertolt Brecht. Eppure, è la stessa Merkel ad aver detto: “Non è che abbiamo troppo islam, è che abbiamo poca cristianità”.

Un recente studio condotto alla University of Chicago dal sociologo Tom W. Smith rivela che i cittadini dell’ex Repubblica democratica tedesca hanno di gran lunga “il più alto tasso di ateismo al mondo”. E Detlef Pollack, professore di Sociologia della religione all’Università di Münster, ritiene che la Germania orientale, con il suo ateismo dilagante, stia contagiando anche il resto del paese e che l’est sia diventato un cosiddetto “trendsetter”, e predice che “almeno il 70 per cento delle persone in Germania” finirà per secolarizzarsi completamente.

C’è chi parla di una nuova “Jugendweihe”, come veniva chiamata nella Ddr: lo stato comunista faceva il possibile per contrastare la religione, e per indurre le famiglie a sostituire la Cresima con una cerimonia di devozione allo stato, tramite appunto la Jugendweihe, nella quale il ragazzo si impegnava a servire fedelmente il regime. Nella lingua della Ddr c’era sempre qualcosa di parareligioso. Come “Grabweihe”, consacrazione della tomba, che sostituiva “Beerdigung”, funerale. Una sorta di misticismo agnostico in voga nuovamente in Germania in quello che viene definito “der neue Atheismus”, il Nuovo Ateismo.

Andreas Püttmann, ricercatore presso la Fondazione Konrad Adenauer, in un libro ha definito la Germania “Gesellschaft ohne Gott”, la società senza Dio. Il saggio ha avuto un incredibile successo di pubblico ed è arrivato alla quarta edizione. “Sulla Germania di oggi hanno avuto un’influenza profonda due dittature, quella nazista e quella comunista: entrambe miravano alla distruzione della religione”, spiega Püttmann al Foglio. “Hanno lasciato entrambe un segno profondo. Poi c’è un diffuso pensiero scientista che vede la religione come qualcosa di arcaico. Così oggi soltanto l’11 per cento di cattolici è praticante e appena il tre per cento di protestanti. Metà dei tedeschi ha smesso di andare a messa dal 1991 a oggi. Così la Germania avrà una minoranza cristiana di appena il dieci-quindici per cento della popolazione nel giro di qualche anno. E questo avrà un effetto profondo sulla società. Qualcosa è andato perso per sempre. E anche un comunista come Gregor Gysi ha detto di aver ‘paura di una società senza Dio’. E’ una rivoluzione silenziosa”.

La rubrica heute.de della rete televisiva tedesca Zdf pubblica dati sull’imponente crescita degli abbandoni nelle chiese cristiane: “Centinaia di migliaia di cristiani tedeschi ogni anno rinunciano formalmente alla loro fede”. Duecentomila tedeschi hanno presentato dichiarazioni ufficiali per rinunciare alla loro appartenenza alla chiesa protestante, il numero più alto in quasi vent’anni. Un numero simile si pensa che abbia lasciato la chiesa cattolica.

In Baviera, la regione più ricca d’Europa, il tasso di abbandono è aumentato del 62 per cento. Una indagine dell’Istituto Sinus di Heidelberg, resa nota dal settimanale Die Zeit, rivela che un milione di fedeli ha intenzione di abbandonare la confessione cattolica o quella protestante e che, se si considerano anche coloro che ci stanno pensando, il totale degli “apostati” sale a cinque milioni e mezzo di persone. Come scrive la Welt, i cristiani in Germania diventeranno una minoranza nei prossimi vent’anni e ogni anno, aggiunge la Faz, “la chiesa cattolica perde il dieci per cento dei suoi fedeli”. Meno del cinquanta per cento della popolazione apparterrà a chiese cattoliche e protestanti mentre le congregazioni lentamente muoiono. Entro il 2033, le chiese avranno meno di 40 milioni di membri e il cristianesimo sarà una minoranza. E se nel 1950 un cattolico su due partecipava ai servizi domenicali, secondo un sondaggio dell’Istituto demoscopico Allensbach, uno dei principali del paese, oggi solo l’8 per cento dei cattolici dell’ovest e il 17 per cento di quelli dell’est dichiara di recarsi tutte le domeniche in chiesa. L’età media è di sessant’anni per i cattolici e i protestanti. “La tendenza sul lungo periodo della religiosità in Germania mostra – a dispetto di tutti i tentativi di ridimensionarla – una tale caduta che si deve parlare di un’implosione di dimensioni epocali”, ha scritto Püttmann nel suo libro.

Uno studio della Dresdner Bank prevede che nei prossimi anni la metà delle chiese della Germania dovrà chiudere o subire una trasformazione per altri usi. “Tra il 1990 e il 2010 abbiamo chiuso 340 chiese, 46 delle quali sono state demolite”, ha comunicato Thomas Begrich, responsabile finanziario della chiesa evangelica tedesca. “Saremo costretti a vendere altri mille edifici”. Lotta per la sopravvivenza anche la torre più pendente del mondo, che non sorge a Pisa come si pensa, ma nella città tedesca di Bad Frankenhausen, famosa per le sue spa. La chiesa, vecchia settecento anni e simbolo delle molte guerre che hanno devastato la geografia tedesca, non ha più fedeli.

Si perdono ormai le storie di luoghi di culto sconsacrati: la chiesa di St. Raphael a Berlino-Gatow, chiusa e ristrutturata per accogliere un grande negozio; la chiesa parrocchiale di Neuruppin (nordest), che adesso funge da centro congressi per manager; la chiesa di San Martino a Bielefeld (ovest), dove ora si tengono party e feste di nozze, la chiesa di Milow (est), trasformata in filiale di una cassa di risparmio. Con cento membri, soltanto dodici dei quali si presentano regolarmente per il servizio domenicale, la chiesa di Woltersdorf è stata rinnovata da un comitato di volontari composto da atei e agnostici che credono che la chiesa sia “parte della identità architettonica del villaggio”. Non più come luogo di culto, ma estetico. Molte chiese tedesche sono anche state convertite in moschee. La più famosa, questa estate, a Horn. Si tratta della chiesa Kapernaumkirche, acquistata dall’associazione islamica sunnita al Nour (la luce) con lo scopo di trasformarla in un luogo di culto per i fedeli di Allah. Al Nour riunisce circa l’80 dei musulmani di Amburgo.

Il pastore Johannes Block può considerarsi il successore di Martin Lutero. E’ il vicario della Stadtkirche St. Marien zu Wittenberg, proprio la chiesa di Lutero, “la Basilica di San Pietro del protestantesimo”. Qui, Lutero ha sfidato Papa Leone X, qui ha pronunciato i suoi sermoni incendiari contro il commercio vaticano delle indulgenze, qui ha affisso le 95 tesi e portato all’ascesa il movimento protestante. Ma oggi, ogni domenica, Block predica a non più di cento fedeli cristiani, un numero mai così basso in una città di 135 mila abitanti e il cui nome ufficiale è “Lutherstadt” (Città di Lutero). Secondo il professor Pollack, appena il quattro per cento dei cittadini protestanti tedeschi frequenta oggi regolarmente la chiesa, rispetto al 10 al 15 per cento del 1950. Nello stato della Sassonia-Anhalt, dove si trova Wittenberg, solo il 13,8 per cento della popolazione appartiene alla chiesa protestante.

“La gente pensava che la chiesa sarebbe cresciuta dopo la fine del comunismo, ma non è stato così”, ha detto Block. Circa 4.600 residenti di Turingia e Sassonia-Anhalt cancellano la loro appartenenza alla chiesa ogni anno, mentre circa 13 mila in media muoiono. Le mille persone che si uniscono alla chiesa ogni anno non possono compensare la perdita nella regione di Goethe e Bach. “Nella Repubblica democratica tedesca era difficile per i pastori essere accettati nella società, ma la gente era a conoscenza di noi”, ha detto Diethard Kamm, assistente del vescovo responsabile della zona.

“L’appartenenza alla chiesa significava dire, ‘questo è ciò in cui credo e me ne assumo le conseguenze’. Oggi invece la gente pensa ‘io sono padrone della mia vita, perché dovrei avere bisogno della chiesa?’”.

Come ha detto Niek Tramper, segretario generale dell’Alleanza Evangelica, “questo era un paese che inviava missioni. Ora è diventato un paese da convertire nuovamente”. Parole pronunciate dal duomo di Erfurt, l’imponente chiesa di San Severo il cui selciato è stato calpestato da Lutero, una delle più belle costruzioni medioevali che si possono ancora vedere in Germania. Il simbolo di quell’“Europa delle cattedrali” di cui parlava Robert Schuman ma di cui è rimasta soltanto una memoria appassita.

Un centro studi bavarese qualche giorno fa ha detto che, entro il 2020, i musulmani in Germania potrebbero raggiungere la cifra di venti milioni se continuasse l’attuale flusso di migranti e che già oggi l’islam è la religione tedesca in maggior crescita. Ma questo, il folle Nietzsche, non lo aveva previsto.

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Il cristianesimo detiene la verità contro la follia nietzscheana

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2015

«Se Nietzsche non finiva nell’imbecillità sarebbe finito nell’imbecillità il nietzscheanesimo. A pensare nell’isolamento e con superbia si finisce per diventare idioti.

Ogni uomo che non avrà ammorbidito il cuore dovrà alla fine indebolire il cervello».

Gilbert Keith Chesterton – Ortodossia

cristianesimo croce

«Non possiamo non accennare a un pensatore che ha veramente dominato la speculazione moderna, Friedrich Nietzsche (1844 – 1900). La sua teoria del superuomo è l’espressione più impressionante ed esasperata dell’orgoglio considerato non come un vizio capitale, ma come una virtù, cui corrisponde il disprezzo per l’umiltà, vista come una forma di debolezza e di sottosviluppo spirituale.

Come abbiamo già detto Nietzsche, morto in manicomio, tragicamente realizza in se stesso l’osservazione di un maestro della chiesa antica, Palladio, secondo il quale l’esasperata esaltazione del proprio io conduce a perdere la retta percezione di se stessi e quindi alla pazzia». 

Padre Livio Fanzaga – I vizi capitali e le contrapposte virtù

315fyfr dans Fede, morale e teologia

«Nietzsche non perde mai l’occasione dl fustigare ogni senso di pietà per i deboli e per i malati. Vero Don Chisciotte della morte, il filosofo condanna qualunque misura in favore dei diseredati, e denuncia nella preoccupazione per le vittime la causa di ciò che egli interpreta come invecchiamento precoce della nostra civiltà. [...] non vi è dubbio che la difesa evangelica delle vittime sia più umana del nietzscheanesimo […]. È il cristianesimo a detenere la verità contro la follia nietzscheana». 

René Girard – Vedo Satana cadere come la folgore

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L’amore al prossimo ha qualche cosa di sacro

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2015

don dolindo ruotolo

“L’amore al prossimo ha qualche cosa di sacro ed ha il carattere di quella delicatezza che si ha nel trattare le cose sacre, proprio perché appartengono a Dio. È un concetto questo di altissima importanza, che ci fa intendere ancora di più perché Gesù Cristo fa una sola cosa dell’amore verso Dio e verso il prossimo, e perché i santi hanno avuto un’estrema gentilezza nella carità, ed un senso di delicato riguardo anche per le creature irragionevoli od insensibili, come gli animali, i fiori, e tutte le opere del creato”.

di don Dolindo Ruotolo

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Beato Giovanni Duns Scoto

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2015

Beato Giovanni Duns Scoto
di Benedetto XVI - Udienza generale (7 luglio 2010)
Tratto da: La Santa Sede

duns scoto
8 novembre, memoria liturgica del Beato Giovanni Duns Scoto

[...] voglio presentarvi un’altra figura importante nella storia della teologia: si tratta del beato Giovanni Duns Scoto, vissuto alla fine del secolo XIII. Un’antica iscrizione sulla sua tomba riassume le coordinate geografiche della sua biografia: “l’Inghilterra lo accolse; la Francia lo istruì; Colonia, in Germania, ne conserva i resti; in Scozia egli nacque”. Non possiamo trascurare queste informazioni, anche perché possediamo ben poche notizie sulla vita di Duns Scoto. Egli nacque probabilmente nel 1266 in un villaggio, che si chiamava proprio Duns, nei pressi di Edimburgo. Attratto dal carisma di san Francesco d’Assisi, entrò nella Famiglia dei Frati minori, e nel 1291, fu ordinato sacerdote. Dotato di un’intelligenza brillante e portata alla speculazione – quell’intelligenza che gli meritò dalla tradizione il titolo di Doctor subtilis, “Dottore sottile”- Duns Scoto fu indirizzato agli studi di filosofia e di teologia presso le celebri  Università di Oxford e di Parigi. Conclusa con successo la formazione, intraprese l’insegnamento della teologia nelle Università di Oxford e di Cambridge, e poi di Parigi, iniziando a commentare, come tutti i Maestri del tempo, le Sentenze di Pietro Lombardo. Le opere principali di Duns Scoto rappresentano appunto il frutto maturo di queste lezioni, e prendono il titolo dai luoghi in cui egli insegnò: Ordinatio (in passato denominata Opus Oxoniense – Oxford), Reportatio Cantabrigiensis (Cambridge), Reportata Parisiensia (Parigi). A queste sono da aggiungere almeno i Quodlibeta (o Quaestiones quodlibetales), opera assai importante formata da 21 questioni su vari temi teologici. Da Parigi si allontanò quando, scoppiato un grave conflitto tra il re Filippo IV il Bello e il Papa Bonifacio VIII, Duns Scoto preferì l’esilio volontario, piuttosto che firmare un documento ostile al Sommo Pontefice, come il re aveva imposto a tutti i religiosi. Così – per amore alla Sede di Pietro –, insieme ai Frati francescani, abbandonò il Paese.

Cari fratelli e sorelle, questo fatto ci invita a ricordare quante volte, nella storia della Chiesa, i credenti hanno incontrato ostilità e subito perfino persecuzioni a causa della loro fedeltà e della loro devozione a Cristo, alla Chiesa e al Papa. Noi tutti guardiamo con ammirazione a questi cristiani, che ci insegnano a custodire come un bene prezioso la fede in Cristo e la comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale.

Tuttavia, i rapporti fra il re di Francia e il successore di Bonifacio VIII ritornarono ben presto amichevoli, e nel 1305 Duns Scoto poté rientrare a Parigi per insegnarvi la teologia con il titolo di Magister regens. Successivamente, i Superiori lo inviarono a Colonia come professore dello Studio teologico francescano, ma egli morì l’8 novembre del 1308, a soli 43 anni di età, lasciando, comunque, un numero rilevante di opere.

A motivo della fama di santità di cui godeva, il suo culto si diffuse ben presto nell’Ordine francescano e il Venerabile Giovanni Paolo II volle confermarlo solennemente beato il 20 Marzo 1993, definendolo “cantore del Verbo incarnato e difensore dell’Immacolata Concezione”. In tale espressione è sintetizzato il grande contributo che Duns Scoto ha offerto alla storia della teologia.

Anzitutto, egli ha meditato sul Mistero dell’Incarnazione e, a differenza di molti pensatori cristiani del tempo, ha sostenuto che il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se l’umanità non avesse peccato. “Pensare che Dio avrebbe rinunciato a tale opera se Adamo non avesse peccato, – scrive Duns Scoto – sarebbe del tutto irragionevole! Dico dunque che la caduta non è stata la causa della predestinazione di Cristo, e che – anche se nessuno fosse caduto, né l’angelo né l’uomo – in questa ipotesi Cristo sarebbe stato ancora predestinato nella stessa maniera” (Reportata Parisiensia, in III Sent., d. 7, 4). Questo pensiero nasce perché per Duns Scoto l’Incarnazione del Figlio di Dio, progettata sin dall’eternità da parte di Dio Padre nel suo piano di amore, è il compimento della creazione, e rende possibile ad ogni creatura, in Cristo e per mezzo di Lui, di essere colmata di grazia, e dare lode e gloria a Dio nell’eternità. Duns Scoto, pur consapevole che, in realtà, a causa del peccato originale, Cristo ci ha redenti con la sua Passione, Morte e Risurrezione, ribadisce che l’Incarnazione è l’opera più grande e più bella di tutta la storia della salvezza, e che essa non è condizionata da nessun fatto contingente.

Fedele discepolo di san Francesco, Duns Scoto amava contemplare e predicare il Mistero della Passione salvifica di Cristo, espressione della volontà di amore, dell’amore immenso di Dio, il Quale comunica con grandissima generosità al di fuori di sé i raggi della Sua bontà e del suo amore (cfr Tractatus de primo principio, c. 4). Questo amore non si rivela solo sul Calvario, ma anche nella Santissima Eucaristia, della quale Duns Scoto era devotissimo e che vedeva come il Sacramento della presenza reale di Gesù e come il Sacramento dell’unità e della comunione che induce ad amarci gli uni gli altri e ad amare Dio come il Sommo Bene comune (cfr Reportata Parisiensia, in IV Sent., d. 8, q. 1, n. 3). “E come quest’amore, questa carità – scrivevo nella Lettera in occasione del Congresso Internazionale a Colonia per il VII Centenario della morte del beato Duns Scoto, riportando il pensiero del nostro autore – fu all’inizio di tutto, così anche nell’amore e nella carità soltanto sarà la nostra beatitudine: «il volere oppure la volontà amorevole è semplicemente la vita eterna, beata e perfetta»” (AAS 101 [2009], 5).

Cari fratelli e sorelle, questa visione teologica, fortemente “cristocentrica”, ci apre alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine: Cristo è il centro della storia e del cosmo, è Colui che dà senso, dignità e valore alla nostra vita! Come a Manila il Papa Paolo VI, anch’io oggi vorrei gridare al mondo: “[Cristo] è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita… Io non finirei più di parlare di Lui” (Omelia, 29 novembre 1970).

Non solo il ruolo di Cristo nella storia della salvezza, ma anche quello di Maria è oggetto della riflessione del Doctor subtilis. Ai tempi di Duns Scoto la maggior parte dei teologi opponeva un’obiezione, che sembrava insormontabile, alla dottrina secondo cui Maria Santissima fu esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento: di fatto, l’universalità della Redenzione operata da Cristo – evento assolutamente centrale nella storia della salvezza – a prima vista poteva apparire compromessa da una simile affermazione. Duns Scoto espose allora un argomento, che verrà poi adottato anche dal beato Papa Pio IX nel 1854, quando definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Questo argomento è quello della “Redenzione preventiva”, secondo cui l’Immacolata Concezione rappresenta il capolavoro della Redenzione operata da Cristo, perché proprio la potenza del suo amore e della sua mediazione ha ottenuto che la Madre fosse preservata dal peccato originale. I Francescani accolsero e diffusero con entusiasmo questa dottrina, e altri teologi – spesso con solenne giuramento – si impegnarono a difenderla e a perfezionarla.

A questo riguardo, vorrei mettere in evidenza un dato, che mi pare importante. Teologi di valore, come Duns Scoto circa la dottrina sull’Immacolata Concezione, hanno arricchito con il loro specifico contributo di pensiero ciò che il popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare le realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente. Possano sempre i teologi mettersi in ascolto di questa sorgente e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli! Lo ricordavo qualche mese fa: “Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo… L’essenziale è rimasto nascosto! Invece, ci sono anche nel nostro tempo i piccoli che hanno conosciuto tale mistero. Pensiamo a santa Bernardette Soubirous; a santa Teresa di Lisieux, con la sua nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura” (Omelia. S. Messa con i membri della Commissione Teologica Internazionale, 1 dicembre 2009).

Infine, Duns Scoto ha sviluppato un punto a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto. Il nostro autore sottolinea la libertà come qualità fondamentale della volontà, iniziando una impostazione che valorizza maggiormente quest’ultima. Purtroppo, in autori successivi al nostro, tale linea di pensiero si sviluppò in un volontarismo in contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista. Per san Tommaso d’Aquino la libertà non può considerarsi una qualità innata della volontà, ma il frutto della collaborazione della volontà e dell’intelletto. Un’idea della libertà innata e assoluta – come si evolse, appunto, successivamente a Duns Scoto – collocata nella volontà che precede l’intelletto, sia in Dio che nell’uomo, rischia, infatti, di condurre all’idea di un Dio che non è legato neppure alla verità e al bene. Il desiderio di salvare l’assoluta trascendenza e diversità di Dio con un’accentuazione così radicale e impenetrabile della sua volontà, non tiene conto che il Dio che si è rivelato in Cristo è il Dio “logos”, che ha agito e agisce pieno di amore verso di noi. Certamente l’amore supera la conoscenza ed è capace di percepire sempre di più del pensiero, ma è sempre l’amore del Dio “logos” (cfr Benedetto XVI, Discorso a Regensburg, Insegnamenti di Benedetto XVI, II [2006], p. 261). Anche nell’uomo l’idea di libertà assoluta, collocata nella volontà, dimenticando il nesso con la verità, ignora che la stessa libertà deve essere liberata dei limiti che le vengono dal peccato. Comunque, la visione scotista non cade in questi estremismi: per Duns Scoto un atto libero risulta dal concorso di intelletto e volontà e se egli parla di un “primato” della volontà, lo argomenta proprio perché la volontà segue sempre l’intelletto.

Parlando ai seminaristi romani, ricordavo che “la libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell’umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell’epoca moderna” (Discorso al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 20 febbraio 2009). Però, proprio la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti. La libertà, come tutte le facoltà di cui l’uomo è dotato, cresce e si perfeziona, afferma Duns Scoto, quando l’uomo si apre a Dio, valorizzando la disposizione all’ascolto della Sua voce: quando noi ci mettiamo in ascolto della Rivelazione divina, della Parola di Dio, per accoglierla, allora siamo raggiunti da un messaggio che riempie di luce e di speranza la nostra vita e siamo veramente liberi.

Cari fratelli e sorelle, il beato Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa. Di questo amore noi siamo i testimoni su questa terra. Maria Santissima ci aiuti a ricevere questo infinito amore di Dio di cui godremo pienamente in eterno nel Cielo, quando finalmente la nostra anima sarà unita per sempre a Dio, nella comunione dei santi.

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Padre Livio Fanzaga impressionato dalla profondità spirituale di Francesco

Posté par atempodiblog le 6 novembre 2015

Padre Livio Fanzaga impressionato dalla profondità spirituale di Francesco
Il conduttore di Radio Maria racconta dell’incontro con il Pontefice dello scorso 29 ottobre e annuncia le iniziative dell’emittente per il Giubileo
di Antonio Gaspari – Zenit

papa francesco e padre livio

Fin dall’inizio del Pontificato Radio Maria si è battuta in difesa di Papa Francesco. E padre Livio Fanzaga, giovedì scorso, 29 ottobre, di ritorno dall’udienza con il Pontefice, ha raccontato a ZENIT:

“Il Papa ci ha incoraggiato. Ha fatto un discorso tutto positivo dove coglie tutto quello che è radio Maria. La sua forza per l’evangelizzazione, la capacità di essere al passo dei tempi.  Ci ha indicato la sfida dei prossimi anni, che è quella di utilizzare al meglio i grandi risultati della tecnica senza mai discostarsi dal coraggio, dalla preghiera, dall’evangelizzazione, dalla consolazione, dall’impegno per entrare anche nel cuore dei mondani.  il Papa ci ha incoraggiato, ci ha esortato, ma adesso bisogna lavorare”.

Spiegando il motivo di questo affetto nei confronti del Santo Padre, padre Livio ha detto: “Come il pastore sente l’odore delle pecore così le pecore sentono l’odore del proprio pastore. Il Papa ci stupisce sempre per la sua bontà, la sua tenerezza, la sua sapienza”.

“Devo dire la verità – ha aggiunto – Ciò che mi ha convinto di Papa Francesco è stata la lettura delle sue opere precedenti, dei suoi esercizi spirituali, dei suoi libri e delle sue opere di carattere spirituale, le sue riflessioni, il suo episcopato. Leggendo queste cose sono rimasto impressionato. Ho subito colto la sua profondità spirituale. Papa Francesco mi ha dato un contributo decisivo. Leggendo quei testi e poi commentando a Radio Maria le sue prediche a Santa Marta mi sono arricchito spiritualmente.  Mi ha dato molto ed io ho cercato di spiegarlo ai radioascoltatori.

Alla domanda di quanto Bergoglio sia stato importante per la fondazione di Radio Maria in Argentina, padre Livio ha raccontato che è stato proprio l’allora arcivescovo di Buenos Aires a concedere le frequenze. “È iniziata come radio diocesana ed è diventata Radio Maria, non è un associazione civile ma un associazione religiosa. Il cardinale Bergoglio aveva capito lo spirito della nostra radio. Oggi Radio Maria Argentina insieme a radio Maria in Spagna e radio Maria in Germania, insieme a quella italiana è una elle tre emittenti più diffuse al mondo”.

Guardando al Giubileo della Misericordia, Fanzaga ha annunciato che Radio Maria svolgerà azioni concrete per favorire la preghiera e l’accesso ai sacramenti negli ospedali, nelle carceri, nelle parrocchie. “L’intento – ha sottolineato – è quello di portare ovunque la voce del Papa e quella di Maria”, perché “la Madonna è Madre di Misericordia, ed ha una funzione speciale di mediazione: è dispensatrice di Provvidenza”.

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La “Medaglia Miracolosa”: Quante Grazie Sai Sopportare?

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

La “Medaglia Miracolosa”: Quante Grazie Sai Sopportare?
di Fabio Fineschi – La Croce – Quotidiano

medaglia miracolosa

Per buona creanza e professionalità sarebbe bene evitare le autocitazioni ma una volta, da qualche parte, ho scritto: “Scienza e fede sono due modi di usare la ragione”. La seconda, quindi, scaturisce dalla ragione né più né meno quanto la prima. Spesso, in coloro che negano questa cosa, si intuisce il fatto che non si sono mai trovati, o voluti trovare, nella condizione di doversi/volersi confrontare con il trascendente o meglio con il Suo ingresso nella storia degli uomini: La S.S. Rivelazione. Se ne parla, certo, a volte anche troppo ma di frequente La si tratta come una parentesi, un incidente della storia e, comunque, una cosa ormai morta, cristallizzata nei fondali della storia stessa.

Nell’estate del 1997 ero al mare, già da più di un anno non stavo bene, mi ero fatto visitare da svariati specialisti ma nessuno diagnosticava niente: io dimagrivo, avevo addosso un malessere generale, non avevo forze, ero intrattabile e la mia pelle era piena di sfoghi antiestetici. Ogni mattina, prima di andare, di malavoglia, sulla spiaggia mi recavo in chiesa e mi sedevo su una panca con lo sguardo rivolto ad una statua bronzea della Madonna. La pregavo di farmi stare bene, non di guarire perché nessuno mi aveva fatto una diagnosi. La mia mente era confusa, non so neanche se le mie erano vere e proprie preghiere, so solo che mi raccomandavo a Lei ma, credo, mi sarei raccomandato a chiunque. All’epoca era ancora vivo il nonno di mia moglie, già molto anziano, prossimo alla fine e, un paio di volte alla settimana, veniva a casa un medico di base ormai in pensione da tempo, anche lui in là con gli anni, per accudire quest’uomo. Per una serie di circostanze io e quell’anziano medico non ci eravamo mai incontrati. Una mattina, però, non me la sentivo neanche di uscire, restai in casa, e così fui presente all’arrivo del vecchio professionista: dott. Alessandro Rocco. Mentre accudiva il nonno di mia moglie iniziammo a parlare, ci trovammo subito bene, avevamo degli interessi in comune a riguardo della psicologia e della pedagogia. Un attimo prima di andarsene, però, il dottore mi disse chiaramente che io ero molto malato e, senza visitarmi, fece anche una diagnosi rivelatasi poi, a fronte degli esami medici, azzeccatissima. Il piccolo particolare sta nel fatto che quell’anziano medico era devotissimo alla Madonna, si era consacrato a Lei e mi dette in dono una delle medaglie miracolose, quelle che Maria fece far coniare a S. Caterina Labouré durante l’apparizione di Parigi alle ore 17,30 del 27 novembre del 1830. Successivamente il medico mi fece fare la consacrazione alla devozione di Maria e, devo dire, ho beneficiato altre volte delle Sue grazie. L’esortazione della Madonna verso la sorella che sarebbe stata, poi, Santa Caterina Labourè era stata di far coniare innumerevoli medaglie come quella che Le mostrò durante l’apparizione e di raccomandare agli uomini di portarla al collo o, comunque, sempre appresso. Il risultato di tutto questo è ampliamente riscontrabile in rete.

La medaglia: cosa non è
Non è un ferro di cavallo, un corno rosso o un portafortuna, no, quella medaglia è più assimilabile ad un luogo, un punto d’incontro tra la terra e il cielo. Il possesso di quella medaglia comporta l’impegno a stabilire una relazione con Colei che ce ne ha fatto dono: Maria. Mettersi nelle Sue mani, affidarsi a Lei, parlandoci, stabilendo un contatto quotidiano, chiamando in causa durante le nostre fatiche. Uscire dalla logica tutta secolare di poter gestire la vita da soli, di potere e sapere rimediare, con le nostre sole forze, a tutto ciò che ci capita. Personalmente, p r o p r i o attraverso questa esperienza, ho potuto constatare la mia personale fragilità e insipienza. Andando su Google potrete trovare molte notizie a proposito della “Medaglia miracolosa” e anche come procurarvela. L’incontro e il confronto con Maria ci riportano lì, nei giorni e negli anni di quell’evento che ha scosso il mondo, accanto a Lei, a questa Donna che vive da 2000 anni e grazie alla quale tutto è stato possibile. Maria è la radice di carne che lega terra e cielo, eternità e storia terrena. Attraverso la Medaglia miracolosa la Madonna cerca il contatto con gli uomini, Ella desidera dispensarci le Sue grazie ma questo è possibile solo su nostra esplicita richiesta, creando questo rapporto tra noi e Lei. Se preferite, pensate alla Medaglia come ad un arcaico, santo smartphone che vi mette in contatto con la Madre di Dio: io mi permetto di consigliarvelo.

Forse questo è il mio scritto migliore: senza filosofeggiamenti, senza cercare d’aver ragione o di stupire e nella consapevolezza che ogni uomo è quasi sempre meno bello delle parole che scrive.

Cercate la Medaglia miracolosa, provate ad ascoltare il mio consiglio che mi permetto di rivolgere a tutti: credenti e non credenti, di destra e di sinistra, uomini, donne o transgenici che siate. Parlate con Lei, chiedete tutte le grazie di cui ritenete di aver bisogno ricordandovi sempre di quanto Gesù ebbe a dire a Santa Faustina kowalska: “Io ti farò tutte le grazie che tu sarai in grado di sopportare”.

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Morto a 91 anni il filosofo René Girard

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Morto a 91 anni il filosofo René Girard
di Daniele Zappalà – Avvenire

rene girard

«I Demoni di Dostoevskij. Poi, Alla ricerca del tempo perduto di Proust». Fu una risposta senza esitazioni, ma tanto più indimenticabile per la dolcezza di voce e di sguardo con cui René Girard la pronunciò, nel suo piccolo appartamento parigino a due passi dalla Tour Eiffel, davanti a un cronista che ci mise un bel po’ a decifrare come fosse possibile che un simile monumento delle scienze umane occidentali, al termine di un’intervista, potesse rispondere con tanta naturalezza a una domanda che avrebbe fatto ridere o al contrario indisposto tanti altri: «Perdoni la facezia. Ma quali romanzi porterebbe assolutamente su un’isola deserta?».

Dietro al grande studioso c’era un uomo di una rara generosità intellettuale, spesso testimoniata da quanti negli anni hanno potuto incontrare o “sentire” Girard. C’erano ancora imprevisti picchi, molto discreti, dietro il massiccio della fama accademica dell’antropologo scopritore della teoria del desiderio mimetico e del capro espiatorio, appena scomparso a 91 anni, dopo una lunga malattia. Come intuivano i più stretti collaboratori di una vita, questi intimi picchi abitavano l’uomo in simbiosi con la fede di Girard, nato nel giorno di Natale del 1923 ad Avignone, la città del Palazzo dei papi. Con Menzogna romantica e verità romanzesca, uscito nel 1961 e da allora ristampato di continuo in tutto il mondo (per Bompiani in Italia), partì proprio dall’analisi dei più grandi romanzi occidentali la cavalcata di Girard in una nuova prateria vergine dell’antropologia filosofica, riassunta forse da una celebre massima del libro: «L’uomo desidera sempre secondo il desiderio dell’Altro».

Dalle iniziali letture girardiane dei capolavori di Stendhal, Cervantes, Flaubert, Proust e Dostoevskij, quella teoria si è poi diffusa come una sorta di bing bang teorico nei campi più svariati delle scienze umane, come mostra oggi l’estrema varietà dei temi toccati dai convegni dell’Arm, l’Associazione delle ricerche mimetiche, voluta in Francia dagli allievi e amici di Girard per offrire un pur minimo coordinamento, una sorta di mappatura, al rizoma intellettuale propagatosi lungo i decenni dalla grande intuizione di Girard. «La sua eredità culturale sarà assicurata da tanti e vorrei dire in questo momento che non c’è nessun cenacolo girardiano, perché René ha saputo parlare fin da subito a un vasto pubblico sulle due sponde dell’Atlantico, conservando fino all’ultimo questo gusto dell’apertura», ci dice Benoît Chantre, fra i più stretti amici e presidente dell’Arm, con voce paralizzata dal dolore. Nel 2007, proprio Chantre aveva dialogato con Girard nell’ultima grande opera del pensatore, ancora straordinariamente magmatica e avvolgente, uscita in Italia con il titolo Portando Clausewitz all’estremo (Adelphi).

I critici più attenti l’hanno subito interpretata come un monito dal sapore profetico, puntato sulle enormi capacità d’autodistruzione del genere umano: una sorta di attualizzazione, in chiave filosofica e per i lettori del XXI secolo, del ritratto del nichilismo umano contenuto a livello letterario proprio nei Demoni di Dostoevskij, l’opera preferita da Girard: «Siamo la prima società a sapere che può autodistruggersi in modo assoluto. Ma ci manca la credenza che potrebbe sostenere questo sapere». Lungo la densa parabola intellettuale girardiana, dal primo fino a quest’ultimo capolavoro, sono tante le opere che hanno impressionato i lettori di tutto il mondo. Volumi scritti quasi tutti negli Stati Uniti, in quella Stanford dove Girard ha condotto quasi tutta la sua carriera accademica. E dove gli studenti del campus della celebre università avevano imparato a incrociare Girard pure la domenica, lungo il percorso verso la Messa. In Italia, dove il pensiero girardiano è stato accolto con grande favore anche da contrade intellettuali ideologicamente opposte, è uscito nel 1980, per Adelphi, La violenza e il sacro, prima de Il capro espiatorio (1987, Adelphi). «L’amore, come la violenza, abolisce le differenze», aveva scritto in una delle tante opere con cui aveva precisato nel tempo il suo pensiero, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1983, Adelphi).

E di amore ha sempre molto trattato tutta l’opera girardiana, concentrata in proposito pure sul senso profondo, innestato nella stessa natura umana, della Passione di Cristo: per Girard, il Sacrificio che si è offerto come modello, ribaltamento e possibile via d’uscita rispetto alla strada antica, antropologicamente radicata, degli olocausti rituali per placare l’aggressività sociale connessa alle intime trappole del desiderio.

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Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono
Il cristiano include, non chiude le porte a nessuno, anche se questo provoca resistenze. Chi esclude, perché si crede migliore, genera conflitti e divisioni e ne renderà conto un giorno davanti al tribunale di Dio. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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L’atteggiamento di Gesù è includere
Nella Lettera ai Romani San Paolo esorta a non giudicare e a non disprezzare il fratello, perché questo – afferma il Papa – porta ad escluderlo dal “nostro gruppetto”, ad essere “selettivi e questo non è cristiano”. Cristo, infatti, “con il suo sacrificio sul Calvario” unisce e include “tutti gli uomini nella salvezza”. Nel Vangelo si avvicinano a Gesù i pubblicani e i peccatori, “cioè, gli esclusi, tutti quelli che erano fuori”, e “i farisei e gli scribi mormoravano”:

“L’atteggiamento degli Scribi, dei Farisei è lo stesso, escludono: ‘Noi siamo i perfetti, noi seguiamo la legge. Questi sono peccatori, sono pubblicani’. E l’atteggiamento di Gesù è includere. Ci sono due strade nella vita: la strada dell’esclusione delle persone dalla nostra comunità e la strada dell’inclusione. La prima può essere piccola ma è la radice di tutte le guerre: tutte le calamità, tutte le guerre, incominciano con un’esclusione. Si escludono dalla comunità internazionale ma anche dalle famiglie, fra amici, quante liti… E la strada che ci fa vedere Gesù e ci insegna Gesù è tutt’altra, è contraria all’altra: includere”.

C’è resistenza di fronte all’inclusione 
“Non è facile includere la gente – osserva Papa Francesco – perché c’è resistenza, c’è quell’atteggiamento selettivo”. Per questo Gesù racconta due parabole: quella della pecorella smarrita e della donna che perde una moneta. Sia il pastore che la donna fanno di tutto per ritrovare ciò che hanno perduto. E quando ci riescono sono pieni di gioia:

“Sono pieni di gioia perché hanno trovato quello che era perso e vanno dai vicini, dagli amici perché sono tanto felici: ‘Ho trovato, ho incluso’. Questo è l’includere di Dio, contro l’esclusione di quello che giudica, che caccia via la gente, le persone: ‘No, questo no, questo no, questo no…’, e si fa un piccolo circolo di amici che è il suo ambiente. E’ la dialettica fra esclusione e inclusione. Dio ci ha inclusi tutti nella salvezza, tutti! Questo è l’inizio. Noi con le nostre debolezze, con i nostri peccati, con le nostre invidie, gelosie, sempre abbiamo quest’atteggiamento di escludere che – come ho detto – può finire nelle guerre”.

Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio
Gesù – afferma Papa Francesco – fa come il Padre che lo ha inviato per salvarci, “ci cerca per includerci”, “per essere una famiglia”:

“Pensiamo un po’ e almeno, almeno!, facciamo il nostro piccolo, non giudichiamo mai: ‘Ma questo fa così…’. Ma Dio sa: è la sua vita, ma non lo escludo dal mio cuore, dalla mia preghiera, dal mio saluto, dal mio sorriso, e se l’occasione viene gli dico una bella parola. Mai escludere, non abbiamo diritto! E come finisce Paolo la Lettura: ‘Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio’. Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio e dovrò rendere conto di me stesso. Chiediamo la grazia di essere uomini e donne che includono sempre, sempre!, nella misura della sana prudenza, ma sempre. Non chiudere le porte a nessuno, sempre col cuore aperto: ‘Mi piace, non mi piace’, ma il cuore è aperto. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa
Per Bergoglio c’è una lotta violenta tra la luce e il buio. Alle guardie svizzere ha detto che il pericolo per il Vaticano non arriva da eserciti stranieri, ma dal diavolo che vuole dividere. Si incarna in chi tradisce la fiducia con azioni e maldicenze
di Gian Antonio Stella – Corriere della Sera

papa francesco

«Aquí la Gracia de Dios es mucha pero el demonio está en persona… ». Era questa, scrive Gianluigi Nuzzi in Via crucis (Chiarelettere), la battuta più usata nella commissione di cui facevano parte i due «corvi» vaticani. In spagnolo, la lingua del Papa: «Qui la Grazia di Dio è molta ma il demonio è presente in persona». E sono tanti, oggi, a pensare: appunto…

Papa Francesco batte e ribatte da tempo sul tema della comunità, delle chiacchiere, della zizzania. La più netta fu l’omelia nel settembre di due anni fa, quando invitò i gendarmi della Santa Sede ad allontanare i pettegoli: «C’è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. Il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? È una guerra che non si fa con le armi che noi conosciamo: si fa con la lingua».

Poi fu ancora più chiaro: «Qualcuno di voi potrà dirmi: “Ma, Padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa Città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la Città”. Anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la Città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno».

Dicono Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che firmano i libri sul Vaticano in uscita domani e intorno a cui lo scandalo è deflagrato come tritolo, che hanno fatto solo il loro mestiere. Difficile negarlo. Ma è dura negare anche che chi ha passato loro le carte, per quanto dica d’averlo fatto «per aiutare il Papa», ha tradito quel rapporto di fiducia che spinse proprio Francesco ad affidare loro un compito delicatissimo.

Non è un caso che ieri l’Osservatore Romano avesse un titolone che, parlando della Messa del Papa in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti, diceva: «Il serpente sulla croce». Certo, non è tema nuovo per Francesco. Ne aveva parlato a marzo partendo dall’episodio biblico degli ebrei che si ribellano alle fatiche della fuga nel deserto e cominciano «a sparlare di Dio» e molti di loro finiscono morsi da serpenti velenosi: «Solo la preghiera di Mosè che innalza un bastone con un serpente, simbolo della Croce su cui verrà appeso Cristo, diverrà per chi lo guarda salvezza dal veleno». Ed era tornato sul tema un mese e mezzo fa. Quello spazio ai serpenti di oggi, però, la dice lunga…

Fatto è, ha scritto l’anno scorso su Avvenire Stefania Falasca, la giornalista da decenni amica di Jorge Mario Bergoglio, «che forse nessun altro Pontefice, nella storia recente, con un linguaggio puntuto ed efficace ha battuto tanto su questo male. E di fatto non c’è piaga dolente come questa della maldicenza…». Del resto, proseguiva, «il male biforcuto prodotto dalla “clericas invidia”, come la definiva il celebre moralista Haring ai tempi del Concilio, è ben noto. E non c’è qui bisogno di scomodare Dante che definiva l’invidia “meretrice delle corti”».

Batte e ribatte, batte e ribatte, il Papa: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello».

E ancora: «Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua!».

Maledetta lingua! La lingua che divide le parrocchie, le comunità, la Chiesa: «Non vi dico di tagliarvi la lingua ma…».

Insomma, «quando si dice di una persona che ha la lingua di serpente, cosa si vuol dire? Che le sue parole uccidono! Pertanto, non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. È tanto brutto chiacchierare! All’inizio può sembrare una cosa piacevole, anche divertente, come succhiare una caramella. Ma alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi».

E c’è chi ricorda come un presagio il giorno in cui le colombe liberate dal Papa furono attaccate da un gabbiano e da un corvo. «Lo Spirito santo ci liberi dai corvi, segni del male!», scrisse una certa Ninetta sulla pagina Facebook del Papa contro chi ricordava che «anche i corvi sono creature di Dio». Certo è che Francesco ha vissuto così male le fughe di notizie da non potere, oggi, sorridere della lettera che gli mandò il presidente del San Lorenzo, la squadra di Baires per cui tifa: «Saludamos el primer Papa cuervo!». Perché proprio il corvo, pensa un po’, è il simbolo della squadra.

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Il New Age è anche dentro la Chiesa?

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2015

Il New Age è anche dentro la Chiesa?
Molti cristiani, affascinati da libri come quelli di Paulo Coelho o di Bryan Weiss, hanno iniziato a modificare senza volerlo aspetti fondamentali della fede
di Miguel Pastorino – Aleteia

new age

Il New Age (Nuova Era) non è una setta, né una religione. È piuttosto una corrente socio-culturale vaga, dilatata e imprecisa nella quale confluisce acriticamente una caterva di ingredienti provenienti dalle fonti più diverse: religioni tradizionali, magia, terapie alternative, gnosticismo, occultismo, psicologia transpersonale, spiritismo, fisica quantistica, ecologia, meditazione, yoga, ovnis, pensiero positivo, teosofia, mistici e maestri spirituali di tutte le tradizioni religiose.

È di fronte a questo panorama che l’eclettico consumatore del New Age, avido di esperienze spirituali e allergico a ogni manifestazione spirituale che implichi vincoli o impegni istituzionali, adotta e sceglie gli elementi che si adattano maggiormente ai suoi desideri o alle sue ricerche personali.

Dilatato e mutevole, senza fondatori concreti e visibili, senza espressioni sociali e programmatiche organiche, il New Age evolve silenziosamente, diffondendosi nell’intimità e nella moltiplicazione di corsi, articoli occasionali, riviste, libri, laboratori, seminari, guru, conferenzieri e attraverso un esteso tessuto di gruppi pseudoreligiosi e sette. Le sue idee e le sue pratiche, la sua letteratura e la sua “spiritualità” penetrano anche nei pori delle grandi religioni e Chiese storiche.

Una spiritualità di mercato
In questa corrente, ciascuno si sente libero di inserire nel proprio credo personale le esperienze, pratiche e offerte che ritiene convenienti, senza istituzioni né mediazioni che si frappongano nel cammino. Il New Age non accetta alcuna verità fuori dall’ambito della propria esperienza soggettiva. Una libertà che sfocia nel dogmatismo della pura soggettività: “Quello che piace a me, quello sento… perché mi piace, perché lo sento così”. Mera intimità di sensazioni piacevoli. Una “spiritualità” che non solo non unisce, ma ci allontana sempre più gli uni dagli altri, chiude ciascuno in un ego recondito ed esoterico, in cui non c’è posto per il “prossimo scomodo”. Una spiritualità in base alla mentalità consumistica in cui non resta tempo per guardare l’altro, ma solo per soddisfare la propria necessità e pensare soltanto “in positivo”.

La logica strumentale della tecnoeconomia ha colonizzato la cultura, trasformando tutto in un mero prodotto di consumo. Anche l’elemento divino è immesso sul mercato in utili confezioni usa e getta. I clienti, desiderosi di dosi rinfrescanti per l’anima, abbracciano l’una e l’altra tecnica spirituale, o a volte varie allo stesso tempo, con la mente e il portafogli fissi sulla loro efficacia.

L’Era dell’Acquario e la tradizione gnostico-esoterica
Il nome stesso, New Age, rimanda a una concezione astrologica della storia. Il momento attuale è quello del passaggio dall’era dei Pesci – che corrisponderebbe all’era cristiana – all’era dell’Acquario – che corrisponde al New Age. Con l’arrivo astrologico dell’Acquario nascerà una nuova umanità, un nuovo ordine mondiale, un nuovo modo di vivere e comprendere la religiosità, un’era di pace, abbondanza e armonia… una Nuova Era in cui le religioni classiche, e soprattutto il cristianesimo, arriveranno alla fine ed emergerà un nuovo paradigma, pronto a rivelarci i suoi segreti.

Il “grande segreto” dei movimenti gnostici, sempre riservati a un’élite, si vende ora sul “mercato religioso”. Mediante un’iniziazione progressiva a una certa conoscenza, si raggiunge la verità nascosta: “siamo la divinità”. La consapevolezza dell’“Io Sono” è la consapevolezza della propria divinità. È la coscienza panteista, e per questa via spirituale Dio non è più una persona, ma un’energia impersonale che invade tutto e di cui facciamo parte, con la vaga espressione “Siamo energia”.

Questa concezione si nutre della tradizione esoterica millenaria, che canonizza tutta una serie di personaggi di dubbia reputazione e grandi maestri dell’occultismo occidentale, insieme a maghi, alchimisti, rosacrociani e teosofi. Circoli ermetici, logge esoteriche e società occultiste hanno sempre camminato lungo binari paralleli a quelli delle religioni tradizionali, cercando segreti occulti e una filosofia perenne. Il New Age, però, fa dell’esoterismo qualcosa di essoterico, ovvero di pubblico. Da ciò la diffusione di tanta letteratura su angeli, cabala, alchimia, libri apocrifi e il fascino per la stregoneria e le religioni precristiane (celti, egizi, assiri, indigeni…).

Seguendo i suoi precursori teosofi, il New Age ha anche posto l’enfasi sulle religioni transpersonaliste (che chiamiamo orientali) come il buddismo e l’induistmo, dalle quali prende gli elementi che più le interessano, decontestualizzandoli dalla loro cosmovisione originaria.

Non si vuole sapere nulla dell’ascesi, né del sacrificio, ma solo creare una religiosità per uomini e donne di successo, in cui non ci siano fallimenti, debolezza o errore. Si prende dalle religioni orientali solo quello che conviene.

Magia e occultismo con facciata scientifica
La cosmovisione del New Age pretende di essere olistica, integratrice, e di raggiungere la fusione tra religioni e scienza. Cerca di usare un linguaggio pseudoscientifico e si affanna a presentare temi spirituali con una facciata scientifica e viceversa. Questo spiega la promozione di ogni tipo di terapie alternative e di pseudoterapie, come ad esempio la terapia delle vite passate. Presunti psicologi insegnano tecniche ipnotiche per tornare a presunte vite precedenti. Troviamo così ogni tipo di feticisti, astrologi, veggenti e stregoni che si rifugiano dietro a titoli nebulosi come quelli di “parapsicologo” o “terapeuta”.

In fondo c’è il vecchio anelito della magia e della scienza: avere tecniche che riescano a manipolare tutto a proprio beneficio, e per sostenere i loro postulati come “scientifici” si ricorre alla psicologia di James e Jung, alla fisica quantistica di F. Capra e ad alcuni scritti di Lessing, Theilard de Chardin, Maslow, A. Huxley e molti altri.

Non dimentichiamo che la religione (qualunque essa sia) lega l’uomo, lo mette in relazione, e da ciò deriva un’etica nei confronti dell’altro e dell’ambiente in cui vive, mentre la magia è puramente strumentale, funzionalista e disinteressata al bene comune.

Dalla meditazione alla follia…
Anche se alcune delle nuove terapie “complementari” possono contenere elementi preziosi, bisogna dire che nel contesto in cui sono presentate e vissute dal New Age la maggior parte di loro ha provocato gravi danni psicologici e conseguenze spirituali in molti dei praticanti. Basta dire che i viaggi astrali, l’invocazione di maestri ascesi, le meditazioni di iperventilazione ed espansione della coscienza, le regressioni ipnotiche e la quasi totalità dei metodi di controllo mentale hanno generato deliri mistici, o sdoppiamento della personalità e vari altri stati psicopatologici.

Parlando delle induzioni a stati di trance, l’esperto J. M. Baamonde scrive: “Anche queste similitudini indicherebbero la non convenienza di promuovere questi stati alterati della coscienza, per il rischio implicito di generare seri danni psicologici a causa di personificazioni e automatismi incoscienti che in alcuni casi assumeranno il carattere di deliri sistematizzati. Una delle conseguenze più abituali è il sorgere di problemi schizofrenici di varia intensità in chi si dedica a questi culti che hanno una sottostruttura psicotica”.

Nove sette per il New Age
A partire dagli anni Ottanta negli Stati Uniti e dagli anni Novanta nel resto del mondo, le sette con maggiore crescita – che sono proprio quelle che sventolano la bandiera del New Age – promettono e offrono ogni sorta di benessere attraverso queste tecniche “spirituali”, assai costose e pericolose per la salute. Molti di questi gruppi si presentano non come quello che sono realmente, ma come istituti terapeutici o centri olistici, in cui il linguaggio pseudoscientifico e le strategie di marketing sono una semplice facciata, dietro la quale si nasconde una vera setta distruttiva o semplice ciarlataneria.

Cattolici nel New Age?
La sfida principale per le Chiese oggi è la penetrazione del New Agenella propria pastorale. In molti ritiri, la Parola di Dio viene progressivamente messa da parte. Al suo posto, si propongono tecniche psicologiche, meditative ed esoteriche. In varie chiese si offrono corsi di Rei Ki e di Yoga ben poco purificati dai loro contenuti orientali (karma, reincarnazione, chakra…). L’enneagramma è un’altra delle tecniche promosse.

Molti cristiani, affascinati da libri come quelli di Paulo Coelho o di Bryan Weiss, hanno iniziato a modificare senza volerlo aspetti fondamentali della fede.

Al riguardo, sono particolarmente interessanti le parole rivolte da papa Giovanni Paolo II al terzo gruppo di vescovi statunitensi in occasione della loro visita ad limina apostolorum del 28 maggio 1993:

“Mentre la secolarizzazione di molti aspetti della vita continua ad avanzare, c’è una nuova domanda di spiritualità, come dimostra la comparsa di molti movimenti religiosi e terapeutici che pretendono di dare una risposta alla crisi di valori della società occidentale. Questa inquietudine dell’homo religiosusproduce alcuni risultati positivi e costruttivi, come la ricerca di un nuovo significato della vita, una nuova sensibilità ecologica e il desiderio di andare al di là di una religiosità fredda e razionalista. Dall’altro lato, questo risveglio religioso porta con sé alcuni elementi molto ambigui, incompatibili con la fede cristiana.

… Le idee del New Age a volte si fanno strada nella predicazione, nella catechesi, nei congressi e nei ritiri, e così arrivano a influire anche sui cattolici praticanti, che forse non sono consapevoli dell’incompatibilità di queste idee con la fede cristiana.

Nella loro prospettiva sincretista e immanente, questi movimenti parareligiosi prestano poca attenzione alla Rivelazione; piuttosto, cercano di arrivare a Dio attraverso la conoscenza e l’esperienza, basate su elementi che prendono in prestito dalla spiritualità orientale e da tecniche psicologiche. Tendono a relativizzare la dottrina religiosa a favore di una vaga visione del mondo, che si esprime mediante un sistema di miti e simboli rivestiti di un linguaggio religioso. Spesso propongono inoltre una concezione panteista di Dio, incompatibile con la Sacra Scrittura e la tradizione cristiana, sostituendo la responsabilità personale delle nostre azioni di fronte a Dio con un senso del dovere di fronte al cosmo, distorcendo così il vero concetto del peccato e la necessità della salvezza per mezzo di Cristo”.

Richiamiamo l’attualità delle parole dell’Apostolo:
“Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza… Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo” (Colossesi 2, 9-10.18-19)

“Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero” (2 Timoteo 4, 2-5)

Per approfondire:

Pontificio Consiglio della Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age”

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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Gesù: “Trovano tempo per tutto, solamente non ne trovano per me”

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2015

Gesù a santa Faustina Kowalska: “Trovano tempo per tutto, solamente non ne trovano per me”.

famiglia tra tv pc e cellulare

Il tempo per recitare il SANTO ROSARIO si può trovare OGNI GIORNO. Basta volerlo e chiedere l’aiuto di Dio…

Quando qualcuno mi obietta: “Ma io devo lavorare tutto il giorno! Non ho mica il tempo per queste cose! Vorrei ma… non posso!”, io replico: “Non hai proprio tempo! Che peccato! E quindi oggi non avrai avuto neppure tempo per fare colazione, per pranzare, per cenare, per stare su whatsapp e facebook…”. 

Lo sguardo basso dell’interlocutore solitamente conferma che pur non avendo “assolutamente” tempo per pregare (1) non si è saltato alcuno dei tre pasti canonici e (2) si è rimasti “connessi” tutto il giorno.

Quindi: si tratta solo di usare meglio il proprio tempo (e la propria libertà).

di Diego Manetti

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Tre verità… per l’eternità

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2015

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“Ogni cristiano dovrebbe avere in mente sempre queste tre verità: io sono nato per l’eternità. Mi trovo alle porte dell’eternità. Io sono padrone della mia eternità felice o infelice”.

Beato Clemente Marchisio

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La santità consiste nella carità

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2015

caravaggio
Sette Opere di Misericordia - Caravaggio

“La santità consiste essenzialmente nella carità, ogni atto che non è di carità, in qualche modo e in qualche grado almeno equivalente, non apporta santificazione né in chi la fa né in chi la riceve”.

Beato Giustino M. Russolillo

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