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Il Papa: “Occhio a preti rigidi (mordono!) e ad ammissioni in seminari”. E ai vescovi: “Presenti in diocesi, oppure dimettetevi!”

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2015

Il Papa: “Occhio a preti rigidi (mordono!) e ad ammissioni in seminari”. E ai vescovi: “Presenti in diocesi, oppure dimettetevi!”
Colloquio a tutto campo del Papa con i sacerdoti partecipanti al convegno organizzato della Congregazione per il Clero alla Urbaniana
di Salvatore Cernuzio – Zenit

papa parla ai pretiFiori, frutti, funghi e foglie secche. Poi: preti rigidi che “mordono”; seminaristi quasi sadici perché, in fondo, “psichicamente ammalati”; mamme che danno “schiaffi spirituali” e vescovi giramondo che si preoccupano poco dei problemi in diocesi e che forse farebbero meglio a “dimettersi”. Sono le immagini e le metafore che costellano il ‘compendio’ sulla formazione e il ministero dei sacerdoti che Francesco stila oggi durante la lunga udienza ai partecipanti al Convegno alla Pontificia Università Urbaniana, promosso dalla Congregazione per il Clero in occasione del 50° anniversario dei Decreti Conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis. Due Decreti che – dice il Papa – sono “un seme” gettato dal Concilio “nel campo della vita della Chiesa” e che nel corso di questi cinque decenni “sono cresciuti, sono diventati una pianta rigogliosa, certamente con qualche foglia secca, ma soprattutto con tanti fiori e frutti che abbelliscono la Chiesa di oggi”. Insieme, essi sono “due metà di una realtà unica: la formazione dei sacerdoti, che distinguiamo in iniziale e permanente, ma che costituisce per essi un’unica esperienza di discepolato”.

I preti sono uomini, non formati in laboratorio

“Il cammino di santità di un prete inizia in seminario!”, sottolinea infatti Bergoglio, identificando tre fasi topiche: “Presi fra gli uomini”, “costituiti in favore degli uomini”, presenti “in mezzo agli altri uomini”. “Presi fra gli uomini” nel senso che “il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni”. “Anche i preti hanno una storia”, mica sono “funghi” che “spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione”, dice Francesco.  È importante, perciò, che i formatori e gli stessi preti tengano conto di tale storia personale lungo il cammino della formazione. “Non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio”, aggiunge a braccio, “no, incomincia in famiglia con la tradizione della fede e tutte le esperienze della famiglia”. Occorre, pertanto, che tutta la formazione “sia personalizzata, perché è la persona concreta ad essere chiamata al discepolato e al sacerdozio”.

Famiglia primo centro vocazionale. “Non dimenticate mamme e nonne”

Soprattutto bisogna ricordare il fondamentale “centro di pastorale vocazionale” che è la famiglia: “chiesa domestica e primo e fondamentale luogo di formazione umana”, dove può germinare “il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale”. “Non dimenticatevi delle vostre mamme e delle vostre nonne”, esorta Francesco. Poi, elenca gli altri contesti comunitari: “scuola, parrocchia, associazioni, gruppi di amici”, dove – dice – “impariamo a stare in relazione con persone concrete, ci facciamo modellare dal rapporto con loro, e diventiamo ciò che siamo anche grazie a loro”.

“Un buon prete”, dunque, “è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore”, evidenzia Francesco. Per questo “la formazione umana” è necessaria per i sacerdoti, “perché imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti”.

“I preti nevrotici? Non va… Vadano dal medico a farsi dare una pastiglia”

Inoltre un prete pacificato con sé stesso e con la sua storia “saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore”. Non è normale infatti “che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere”, osserva Papa Francesco: “Non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo. Ma se tu hai una malattia e sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico clinico che ti darà una pastiglia che ti fanno bene. Anche due! Ma per favore che i fedeli non parlino delle nevrosi dei preti. E non bastonate i fedeli”.

I sacerdoti sono infatti “apostoli della gioia” e con il loro atteggiamento possono “favorire o ostacolare l’incontro tra il Vangelo e le persone”. “La nostra umanità è il ‘vaso di creta’ in cui custodiamo il tesoro di Dio”; bisogna perciò averne cura “per trasmettere bene il suo prezioso contenuto”. Mai un sacerdote deve “perdere la capacità di gioia, se la perde c’è qualcosa che non va”, raccomanda il Santo Padre.

E ammette “sinceramente” di aver “paura dei rigidi”: “I preti rigidi meglio tenerli lontano, ti mordono”, dice con ironia. “Mi viene in mente quello che disse Sant’Ambrogio nel secolo IV; dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore. Dove c’è la rigidità, ci sono solo i suoi ministri. E il ministro senza il Signore diviene rigido. E questo è un pericolo per il popolo di Dio”.

“Mai e poi mai perdere le proprie radici!”

Inoltre, un prete – rimarca Francesco – “non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno generato”. “Le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati. Noi sacerdoti non caliamo dall’alto, ma siamo chiamati da Dio, che ci prende ‘fra gli uomini’, per costituirci ‘in favore degli uomini’”.

A tal riguardo, il Papa racconta un aneddoto: “Nella Compagnia, alcuni anni fa, c’era un prete bravo, bravo, giovane, due anni di sacerdozio… È entrato in confusione, ha parlato col padre spirituale, con i superiori, i medici: ‘Io me ne vado, non ne posso più’. Io conoscevo la mamma, gente umile, non una di queste ‘donnacce’… e gli ho detto: ‘Perché non vai dalla tua mamma e le dici tutto questo?’. E lui è andato, ha passato una giornata con la mamma. È tornato così. La mamma gli ha dato due schiaffi spirituali, gli ha detto 3 o 4 verità, lo ha messo al suo posto, è andato avanti. Perché? Perché è tornato alla radice”.

“Prega come hai imparato a pregare da bambino”

Quindi “in seminario – spiega il Papa – tu devi fare la preghiera mentale. Si, si, questo si deve fare, imparare. Ma prima di tutto prega come ti ha insegnato tua mamma, come hai imparato a pregare da bambino. Anche con le stesse parole. Incomincia a pregare così, poi andrai avanti nella preghiera”.

Pastori, non funzionari

Le radici, quindi. “Questo è un punto fondamentale della vita e del ministero dei presbiteri”, afferma Francesco. L’altro è che “si diventa preti per servire i fratelli e le sorelle”. Perché “non siamo sacerdoti per noi stessi e la nostra santificazione è strettamente legata a quella del nostro popolo, la nostra unzione alla sua unzione”. Sapere e ricordare di essere “costituiti per il popolo”, aiuta inoltre i preti “a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali”. Insomma, “pastori, non funzionari”. Tantomeno il sacerdote è “un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata”. No, no, “ciò che dal popolo è nato, col popolo deve rimanere”. Il prete è sempre “in mezzo agli altri uomini” e “si diventa preti per stare in mezzo alla gente”, ribadisce Bergoglio.

Vescovi impegnati e viaggiatori: “Se  non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti!” 

Quindi la “vicinanza” è un requisito fondamentale, che è richiesto anche ai “fratelli vescovi”. “Quante volte – esclama il Papa a braccio – sentiamo le lamentele dei preti: ‘Ma ho chiamato al vescovo perché ho un problema, la segretaria mi ha detto che è molto occupato, che è in giro, che non può attendermi entro tre mesi! Un vescovo sempre è occupato, grazie a Dio. Ma se tu, vescovo, ricevi la chiamata di un prete e non puoi incontrarlo perché hai tanto lavoro, almeno prendi il telefono e chiamalo. E chiedigli ‘ma è urgente, non è urgente?’, in modo che ti sente vicino”.

Purtroppo invece “ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti”, laddove “vicinanza” può essere anche una telefonata”, un segno semplice “di amore di padre, di fratellanza”, prioritario rispetto alla “conferenza in tale città” o a “un viaggio in America”. “Ma senti, eh!”, bacchetta Francesco, “il decreto di residenza di Trento è ancora vigente e se tu non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti! E gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono… Ma se tu sei vescovo di quella diocesi: residenza”.

Il bene che preti e vescovi possono fare “nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone”. Perché non sono “filantropi o funzionari”, appunto, ma “padri e fratelli” che devono garantire “viscere di misericordia, sguardo amorevole”. “La paternità di un sacerdote fa tanto bene”, nel senso di “far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto attraverso i suoi ministri”.

“Se non si può assolvere, si dia una benedizione”

Perché “Dio non rifiuta mai”. E qui un’altra ‘bastonata’ del Papa, tutta a braccio: “Penso ai confessionali – dice -, Sempre si possono trovare strade per dare l’assoluzione. Alcune volte non si può assolvere. Ma ci sono preti che dicono: ‘No, questo non si può fare, vattene via!’. Questa non è la strada… Se tu non puoi dare l’assoluzione spiegagli: ‘Dio ti ama tanto. Per arrivare a Dio ci sono tante vie. Io non ti posso dare l’assoluzione, ti dò la benedizione. Torni, torni sempre qui che io ogni volta le darò la benedizione come segno che Dio la ama. E quell’uomo, quella donna, se ne andrà pieno di gioia perché ha trovato l’icona del Padre che non rifiuta mai”.

Un prete non ha “spazi privati”

Francesco invita quindi ad un “buon esame di coscienza” utile a orientare la propria vita e il proprio ministero a Dio: “Se il Signore tornasse oggi, dove mi troverebbe? Il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei ‘spazi’ privati?”. Attenzione - dice - perché “un prete non può avere uno spazio privato o è col Signore. Io penso ai preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, dormivano col telefono sotto il comodino e quando chiamava la gente, si alzavano e andavano a dare l’unzione. Non moriva nessuno senza sacramenti… Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è essere apostolico”.

“Occhi aperti alle ammissioni ai seminari. Dietro i rigidi ci sono disturbi psichici”

Un’ultima riflessione, prima di concludere, Francesco la affronta – ancora a braccio – sullo spinoso tema del discernimento vocazionale e della ammissione al seminario. Bisogna “cercare la salute di quel ragazzo”, raccomanda, la “salute spirituale, materiale, fisica, psichica”. Un altro aneddoto: “Una volta appena nominato maestro dei novizi, anno ’72, sono andato a portare per la prima volta dalla psichiatra gli esiti del test di personalità che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Lei era una brava donna e una buona cristiana, ma in alcuni casi era inflessibile: “‘Questo non può’. ‘Ma dottoressa, è tanto buono questo ragazzo!’. ‘Ma sappia, padre – spiegava la psichiatra al futuro Papa – ci sono giovani che sanno incoscientemente di essere psichicamente ammalati e cercano dalla sua vita strutture forti che li difendano e così poter andare avanti. E vanno bene fino al momento che si sentono ben stabiliti, poi lì cominciano i problemi…’”.

“Lei non ha pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori?”, domandava la donna, “entrano giovani, sembrano sani, ma quando si sentono sicuri la malattia incomincia a uscire”. Polizia, esercito, clero, sono infatti “le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti”, osserva Papa Francesco, “e poi tante malattie che tutti noi conosciamo”. “È curioso – aggiunge -: quando un giovane è troppo rigido, troppo fondamentalista, io non ho fiducia. Dietro di quello c’è qualcosa che lui stesso non sa”.

Quindi un monito chiaro: “Occhio alle ammissioni ai seminari, occhi aperti”.

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Per approfondire
2e2mot5 dans Diego Manetti Udienza ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero in occasione del 50.mo anniversario dei Decreti Conciliari “Optatam totius” e “Presbyterorum ordinis”, 20.11.2015 – Bollettino – Sala Stampa della Santa Sede

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La meravigliosa storia della “Medaglia Miracolosa”

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2015

La meravigliosa storia della “Medaglia Miracolosa”
La storia di Parigi è strettamente connessa con quella della fede cattolica, nel bene come nel male. Proprio nei decenni successivi alla Rivoluzione anticristiana di cui la capitale francese fu protagonista assoluta, la Vergine Ss.ma venne a visitarla, lasciando a tutti gli uomini un segno concreto del suo amore per noi.
di Corrado Gnerre – Radici Cristiane

La meravigliosa storia della “Medaglia Miracolosa” dans Angeli Rue-du-Bac

Nel Cristianesimo si dà grande importanza alla vita interiore, anzi possiamo dire che esso è l’unica religione della vita interiore. Si afferma, giustamente, che la conversione è adesione del cuore e che la dimensione della preghiera deve essere vissuta in “spirito e verità”. Eppure nel Cristianesimo si esprime con chiarezza anche l’importanza del “segno”. San Bernardo di Chiaravalle nell’epistola 11 così scrive:«[...] poiché siamo carnali, Dio fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne».

Nel Cristianesimo tutto diviene avvenimento, tutto diviene fatto, tutto diviene fisicamente visibile, tutto deve divenire segno. L’Incarnazione è il segno per eccellenza. È l’amore che si fa fatto, che diviene avvenimento. È l’amore che non si contenta di rimanere sul piano verbale e intellettuale, ma che pretende farsi carne, passione, condivisione. È l’amore che diviene visibile. Il grande avvenimento della Medaglia miracolosa s’inserisce pienamente in questa prospettiva.

La prima apparizione
La storia della Medaglia Miracolosa risale al 1830, a Parigi, a Rue du Bac, nella Casa Madre delle Suore di san Vincenzo de’ Paoli e di santa Luisa de Marillac. Vi furono delle apparizioni della Madonna a suor Caterina Labouré, poi diventata santa. Ella tenne nascosto il segreto per ben 46 anni, cioè fino alla morte, rivelandolo soltanto al suo confessore.

Nel luglio e nel novembre del 1830 avvennero le due principali apparizioni della Vergine Santissima nella Cappella del Noviziato. La prima delle due accadde di notte. Avvertita dall’Angelo Custode, santa Caterina si recò nella Cappella e andò ad inginocchiarsi ai piedi della Madonna che stava seduta al lato destro dell’altare. La Santa poté addirittura poggiare le sue mani sulle ginocchia della Madonna e contemplare il suo volto. Ella raccontò: «In quel momento provai la gioia più dolce della mia vita». Il colloquio durò più di due ore.

La Medaglia Miracolosa
Nella seconda apparizione santa Caterina ricevette dalla Vergine la missione di far coniare la celebre Medaglia che sarà poi definita “miracolosa”. La Madonna stessa le indicò il modello facendoglielo vedere. Leggiamo il racconto di santa Caterina.
Il 27 novembre 1830, che capitava il sabato antecedente alla prima domenica di Avvento, alle cinque e trenta di sera, facendo la meditazione in profondo silenzio, mi parve di sentire dal lato destro della cappella un rumore come il fruscio di una veste di seta. Avendo volto lo sguardo a quel lato, vidi la Santissima Vergine all’altezza del quadro di San Giuseppe. La sua statura era media, e la sua bellezza tale che mi è impossibile descriverla. Stava in piedi, la sua veste era di seta e di color bianco-aurora, fatta, come si dice, “alla vergine”, cioè accollata e con maniche lisce. Dal capo le scendeva un velo bianco sino ai piedi. Aveva i capelli spartiti e una specie di cuffia con un merletto di circa tre centimetri di larghezza, leggermente appoggiato ai capelli. Il viso era abbastanza scoperto; i piedi poggiavano sopra un globo; o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà[più tardi la Santa confesserà di aver visto sotto i piedi della Vergine anche un serpente color verdastro chiazzato di giallo]. Le sue mani, elevate all’altezza della cintura, mantenevano in modo naturale un altro globo più piccolo che rappresentava l’universo. Ella aveva gli occhi rivolti al cielo, e il suo volto diventò risplendente, mentre presentava il globo a Nostro Signore.

Tutto ad un tratto le sue dita si ricoprirono di anelli, ornati di pietre preziose, le une più belle delle altre, le une più grosse e le altre più piccole, le quali gettavano dei raggi gli uni più belli degli altri: questi raggi partivano dalle pietre preziose; le più grosse gettavano raggi più grandi, e le più piccole raggi meno grandi, sicché tutta se ne riempiva la parte inferiore, e io non vedevo più i suoi piedi [...]. Mentre io ero intenta a contemplarla, la Santissima Vergine abbassò gli occhi verso di me e intesi una voce che mi disse queste parole: “Questo globo che vedete rappresenta tutto il mondo, in particolare la Francia ed ogni singola persona [...]”. E la Vergine Santissima aggiunse: “Sono il simbolo delle grazie che io spargo sulle persone che me lo domandano”, facendomi comprendere quanto è dolce pregare la Santissima Vergine e quanto Ella è generosa con le persone che La pregano; quante grazie Ella accorda alle persone che gliele cercano e quale gioia Ella prova nel concederle. In quel momento, io ero e non ero… Non so… io godevo.

Ed ecco formarsi intorno alla SS.ma Vergine un quadro alquanto ovale, sul quale in alto, a modo di semicerchio dalla mano destra alla sinistra di Maria si leggevano queste parole scritte a lettere d’oro: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Allora si fece sentire una voce che mi disse: “Fate, fate coniare una medaglia su questo modello; tutte le persone che la porteranno, riceveranno grandi grazie specialmente portandola al collo; le grazie saranno abbondanti per le persone che la porteranno con fiducia”. All’istante mi parve che il quadro si voltasse e io vidi il rovescio della Medaglia. Vi era la lettera M (iniziale del nome Maria) sormontata da una croce senza crocifisso che aveva come base la lettera I (iniziale del nome Iesus, Gesù). Più sotto poi vi erano due cuori, uno circondato di spine (quello di Gesù), l’altro trapassato da una spada (quello di Maria). Dodici stelle infine circondavano il tutto. Poi tutto disparve, come qualcosa che si spegne, ed io sono rimasta ripiena non so di che, di buoni sentimenti, di gioia, di consolazione»…

Per santa Caterina le difficoltà furono tante. Ma due anni dopo, il 30 giugno 1832, venivano coniati i primi 1500 esemplari. La Santa diffuse la Medaglia tra gli operai, gli ammalati, i soldati, i poveri… per oltre 40 anni, fino alla sua morte che avvenne il 31 dicembre 1876. Fra i miracoli operati dalla Medaglia Miracolosa, vi fu la conversione dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, cui la Madonna apparve a Roma, nella Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, il 20 gennaio del 1842. Il corpo di santa Caterina riposa sotto l’altare, nella Cappella delle apparizioni, ai piedi della sua Regina Immacolata. Nella ricognizione, le sue mani che avevano toccato la Madonna e i suoi occhi che l’avevano contemplata apparvero conservati straordinariamente bene.

I significati
Concludendo, possiamo dire che per questo avvenimento sono da evidenziare due significati importanti. Il primo è specificamente mariologico e riguarda la Vergine come colei a cui il Signore della storia ha affidato la storia stessa e la salvezza di ognuno. Nel cosiddetto Protovangelo Dio chiaramente dice che dopo il peccato originale gli uomini si sarebbero divisi in due stirpi: quella del demonio e quella della Donna che avrebbe schiacciato la testa del serpente. Nel messaggio visivo della Medaglia miracolosa è chiaro questo invito a porsi sotto il manto dell’Immacolata.

Il secondo significato è più di carattere simbolico ma ugualmente importante. In un tempo in cui si diffondeva sempre più l’individualismo e un concetto di libertà intesa in senso assoluto, la Vergine viene a richiamare l’uomo alla dipendenza, addirittura offrendo un umile oggettino come vincolo; per giunta da portare preferibilmente al collo a mo’ di giogo per significare visibilmente la dipendenza.

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