• Accueil
  • > Archives pour le Samedi 14 novembre 2015

Papa: vicino al dolore della Francia, tutto questo « non è umano »

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2015

Papa: vicino al dolore della Francia, tutto questo “non è umano”
La condanna totale della “violenza che non può risolvere nulla” e una preghiera di “conforto” per chi è stato colpito da così “orribili attacchi”, rivolti alla Francia e “alla pace di tutta l’umanità”. Sono alcune delle parole con le quali Papa Francesco ha espresso in un comunicato ufficiale e poi in telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il suo profondo sgomento per la terribile strage che ieri sera ha insanguinato Parigi – sei attacchi armati in simultanea, rivendicati dall’Is, che hanno fatto, bilancio provvisorio, 128 morti e oltre 250 feriti, dei quali cui un centinaio in gravi condizioni. Il Papa ha voluto commentare quanto accaduto anche in breve colloquio telefonico con il direttore di TV2000, Lucio Brunelli.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

parigi

Se fosse possibile personificare il dolore più incredulo, basterebbe ascoltare le parole del Papa e ancor più quello che, tra una parola e l’altra, dicono i suoi silenzi:

“Io sono commosso ed addolorato e non capisco … ma queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani…”.

“Questo è un pezzo…”
Lo sgomento di Francesco è il sentimento del mondo civile, che ha dovuto assistere alla mattanza di Parigi. Una città trasformata in un arena senza scampo, gente inerme che passa dalla vita alla morte freddamente crivellata come in uno di quei videogame barbari, dove si gode nel fare a pezzi chiunque si pari davanti al mirino. Pezzi come la terza guerra mondiale che da tanto tempo si combatte, quella che il Papa va ricordando a tutti:

“Eh sì, questo è un pezzo. Ma non ci sono giustificazioni per queste cose (…) Questo non è umano…”.

Attacco alla pace dell’umanità
Francesco aveva già esecrato di primo mattino l’orrore scatenato nella capitale francese. Lo aveva fatto attraverso le parole di padre Federico Lombardi. “Siamo sconvolti da questa nuova manifestazione di folle violenza terroristica e di odio che condanniamo nel modo più radicale insieme al Papa e a tutte le persone che amano la pace”, aveva affermato il direttore della Sala Stampa Vaticana.

“Preghiamo per le vittime e i feriti e per l’intero popolo francese. Si tratta di un attacco alla pace di tutta l’umanità che richiede una reazione decisa e solidale da parte di tutti noi per contrastare il dilagare dell’odio omicida  in tutte le sue forme”.

“Voglio tanto bene” alla Francia
Nelle parole del telegramma giunto più tardi e indirizzato all’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, c’è ovviamente spazio per l’invocazione a “Dio, Padre di misericordia”, cui Francesco affida le vittime e le loro famiglie, come ripete più volte nella conversazione telefonica:

“Per questo sono commosso e addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro (…) sono vicino a tutti quelli che soffrono e a tutta la Francia, cui voglio tanto bene”.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Pellegrini verso l’eternità con zaini pieni di opere d’amore

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2015

Pellegrini verso l’eternità con zaini pieni di opere d’amore
Tratto dal commento di Padre Livio Fanzaga al messaggio della Madonna di Medjugorje del 2 novembre 2015
Fonte: Medjugorje Liguria

Gesù

La Madonna, che, quando Suo Figlio guarda cosa c’è nel nostro cuore, vuole che tutti quanti i Suoi figli siano pieni di bontà e di amore, non di odio e di indifferenza. Non odio e indifferenza verso gli altri, non giudizio, non condanna, non cattiveria, non invidia, non gelosia, in noi non entrino i veleni del male, dell’odio, della cattiveria, della vendetta, ma che ci sia il perdono, la comprensione, ci sia la compassione, ci sia l’aiuto, ci sia la bontà, ci sia la disponibilità. La Madonna sa già che ci chiederemo come sia possibile questo.

Molte volte sentiamo ribollire in noi i fermenti del male e la Madonna ci dice: “non scoraggiatevi, non perdete la speranza, non perdete la forza”, perché il diavolo lavora molto su questo, per dire che amare è impossibile, “voi lo potete fare”, con l’aiuto di Dio ovviamente, possiamo far sì che la vita, invece di essere una vita protesa come i cani affamati a sbranare gli altri,possa essere una vita protesa ad aiutare gli altri, contrastando quindi la cupidigia, l’invidia e la cattiveria che c’è nel mondo.

“Io vi incoraggio e benedico”, la Madonna ci dice: “molti miei figli cercano nella vita l’avidità, i beni, a spese degli altri, cioè la sopraffazione, l’ingordigia…, sappiate che tutte queste cose che purtroppo molti dei miei figli mettono al primo posto, cioè le cose di questa terra, “tutto scomparirà”, scomparirà tutto ciò che noi mettiamo al primo posto che non sia l’amore, “e resteranno solo l’amore e le opere dell’amore”.

L’amore e le opere dell’amore “vi apriranno le porte del Paradiso, Io vi attenderò presso quelle porte perché voglio abbracciare tutti i miei figli”.

Cerchiamo di guardare nel nostro zaino, siamo pellegrini verso l’eternità, siamo pellegrini verso la morte, o se vogliamo verso il passaggio fatale, verso il passaggio di quel confine oltre il quale incomincia l’Eternità! Quando arriveremo ai confini dell’Eternità, ricordiamoci, guardiamo cosa abbiamo nello zaino, là c’è la dogana; tutto ciò che abbiamo nello zaino che non sia l’amore e le sue opere, dovremo svuotarlo e di là nello zaino porteremo soltanto l’amore e le opere d’amore.

Allora, sbrighiamoci a svuotare lo zaino dalle cose inutili o addirittura dalle cose cattive. Riempiamo lo zaino di amore, di solidarietà, di bontà, di opere buone, piccole o grandi che siano, ma che con disponibilità e atteggiamento di bontà dobbiamo mettere nel cuore all’inizio della giornata, per diffonderlo tutto il giorno. Così, cari amici, riempiamo il nostro zaino di ciò che porteremo nell’aldilà e di cui gioiremo per tutta l’Eternità.

Publié dans Fede, morale e teologia, Medjugorje, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Delitto di Ancona, siamo “pronti” a che i nostri figli diventino assassini?

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2015

Delitto di Ancona, siamo “pronti” a che i nostri figli diventino assassini?
di Davide Tartaglia – Il Sussidiario.net

omicidio di ancona

“Ma chi è pronto ad affrontare l’impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l’incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti”.

Queste parole di Philip Roth, da Pastorale Americana, sono le prime che mi sono venute in mente di fronte allo strazio imponderabile che ha improvvisamente raggiunto una tranquilla famiglia di Ancona. Una famiglia per bene: Fabio Giacconi, quarantanovenne sottufficiale dell’Aeronautica, ridotto ad un’agonia ormai senza speranze, e Roberta Pierini, sua moglie, uccisa da due colpi di pistola esplosi dall’appena maggiorenne Antonio Tagliata, fidanzato della figlia Martina, ragazza di soli sedici anni e presunta complice del suo amato.

Nel romanzo sopracitato dello scrittore statunitense, la follia omicida della giovane Merry si abbatte su un piccolo ufficio postale del paese uccidendo due uomini, come protesta contro l’insopportabile America degli anni sessanta, contro la guerra in Vietnam, probabilmente contro se stessa e la sua idiosincratica insicurezza, evidenziata da una balbuzie inguaribile. Probabilmente verso suo padre Seymour Levov, il padre perfetto, l’uomo che incarnava il sogno americano del successo, della tranquillità familiare, del benessere come paradiso terrestre. Quello del vecchio Levov è un risveglio brusco. La follia omicida della giovane figlia lo costringe a fare i conti con la morte, con l’imprevedibilità del destino, innanzitutto con la domanda di senso sul dolore, sul tempo, sul nulla. Domande che il vecchio aveva definitivamente espulso dalla sua vita programmata, costruita e oliata alla perfezione.

Ma nemmeno questa possibilità è stata concessa alla coppia di mezz’età marchigiana. Il giovane Tagliata, quello che sarebbe potuto essere il loro genero, il loro unico genero, li ha lasciati in una pozza di sangue senza nemmeno il tempo di porsi quell’ultima domanda, quella più terribile ed essenziale: “cosa ci facciamo qui?”, “a chi abbiamo dato la nostra vita?”, “a chi affidare quest’ultimo respiro?”.

Forse a Fabio, in coma irreversibile, sarà dato il tempo di quest’ultimo passo, il tempo di un’ultimo barlume di coscienza nel pallore delle mura dell’ospedale. Fabio, come tutti i padri del mondo, desiderava il meglio per la sua bambina. Fabio, come i padri di tutti i tempi, desiderava il miglior uomo al fianco della sua piccola. E forse Antonio non rispondeva proprio al canone del maresciallo. Il ragazzo di cui si era innamorata la giovane Martina aveva alle spalle una famiglia turbolenta, un passato oscuro. Forse troppo oscuro da sopportare anche per un ragazzo dalla scorza tanto apparentemente dura quanto profondamente fragile come Antonio.

Antonio Tagliata ha i capelli da bullo della scuola, da chi si difende da solo dai colpi della vita, e come unica arma ha le nocche della mano che allena con la boxe; e chissà, chissà cos’aveva visto negli occhi di Martina, chissà quale possibilità, chissà quale destino lontano dalla durezza della strada e dalla violenza a cui il padre l’aveva abituato. Lo stesso destino che ognuno di noi ha immaginato dentro ogni amore, anche quello più passeggero e flebile, anche dentro l’infatuazione adolescenziale che durava appena gli ultimi venti giorni di agosto. Ma sarebbero stati felici, ne erano certi Antonio e Martina. Perlomeno erano certi che avrebbero fatto di tutto per esserlo, lo esigevano a tutti i costi. Lo esigeva il loro amore. Lo esigeva la loro libertà impazzita. Fino al corto circuito. Fino a quell’insana idea, che come un virus avrà assalito l’intreccio amoroso dei giovani. Una linea sottile, superata la quale l’io sembra diventare onnipotente, padrone ultimo di sé e dell’altro: “uccidiamoli, saremo finalmente liberi, io e te. E nessun altro. Poi ce ne andremo, senza sapere bene né dove, né come, né quando”.

La pistola procurata chissà come — da un nomade di dubbia provenienza, confessa Antonio —, gli otto colpi (Martina ricorda perfettamente il numero, due sulla madre, sei sul corpo del padre che fuggiva verso il balcone alla ricerca di aiuto) e poi il vortice del non senso, del vuoto, del nulla. Il sogno crivellato in quegli otto colpi. Al silenzio dei due killer pian piano si sostituisce il chiacchiericcio dei media. Il tribunale degli spettatori con pop-corn e Coca Cola, noi, quelli aldilà dello schermo.

Senza rendersi conto che questo non è un film. Senza rendersi conto che un fatto del genere non si liquida con qualche commento come quello della folla che fila via dal multisala, prendendo la parte di uno dei protagonisti; questa è realtà. E questa è una tragedia che riguarda tutti. Girando per i social network si percepisce subito chiaro che lo scivolamento nella soap opera o nel compatimento pietistico è la conseguenza di un atteggiamento a monte, l’atteggiamento di una strenua difesa. Per arginare l’ombra spaventosa dell’incomprensione, dello sconcerto, della terra che ci frana sotto i piedi. La difesa della nostra vita tranquilla, della nostra vita di onesti lavoratori, di figli accondiscendenti e ubbidienti, di genitori accoglienti.

La difesa dal rischio di doversi accorgere che in fondo non siamo proprio quello che pensiamo di essere, di scoprire che la tragedia di Martina, Antonio, Fabio e Roberta è la tragedia di ognuno di noi. E’ irresistibile la tentazione di prendere il nostro male, estirparlo e riversarlo nei corpi perforati e ormai inermi dei due genitori o nei corpi svuotati dei due giovani. 

E’ irresistibile la tentazione di rifiutare l’accaduto come qualcosa che in fondo non ci interessa, ridurlo a qualcosa di esterno, che riguarda “loro”, che riguarda quegli efferati assassini, ragazzi senza speranza, o al massimo riguarda i loro genitori, troppo duri e irreprensibili. Senza renderci conto che, se anche ognuno nella propria barricata, in fondo ci troviamo tutti nello stesso angusto recinto.

Ma quegli efferati assassini, questa volta, sono proprio i nostri ragazzi.

Martina andava a scuola tutti i giorni, senza mai saltare un’ora di lezione all’Iis Vanvitelli Stracca Angelini. Sedeva affianco ai nostri figli, faceva ginnastica insieme a loro, prendeva l’autobus, tornava a casa, andava al cinema e sognava una famiglia. Il vuoto di Antonio e Martina è il nostro vuoto.

Il peccato di Antonio e Martina è il nostro peccato. Dice il testo di una canzone: “non è morto il male nel mondo e noi tutti lo possiamo fare, non è difficile essere come loro”. Si riferiva ai criminali dei campi di sterminio di Auschwitz, penso che ripeterebbe oggi le stesse parole.

E’ questa la nostra tentazione, quella di chiudere la partita, di circuire l’ignoto, di bloccare l’imponderabile prima che venga a bussare alle porte della nostra vita borghese, chiedendoci che cosa speriamo, chiedendoci cosa salva il rapporto con i nostri genitori, con i nostri figli; chiedendoci su che cosa abbiamo fondato il breve tempo che ci è concesso su questa terra.

Ma se vogliamo vivere da uomini, se vogliamo che quei corpi non siano caduti invano, se vogliamo nutrire la speranza che ci sia un destino buono anche per la gioventù irrimediabilmente spezzata di quei due ragazzi, non possiamo perdere l’occasione di lasciarci interrogare fino al midollo dalla crudezza dello strazio che ha investito queste due famiglie.

Non possiamo perdere l’occasione di chiederci che cosa può salvarci e metterci nelle condizioni di stare di fronte all’incomprensibilità del dolore e della tragedia di tutti noi.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »