• Accueil
  • > Archives pour le Jeudi 5 novembre 2015

La “Medaglia Miracolosa”: Quante Grazie Sai Sopportare?

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

La “Medaglia Miracolosa”: Quante Grazie Sai Sopportare?
di Fabio Fineschi – La Croce – Quotidiano

medaglia miracolosa

Per buona creanza e professionalità sarebbe bene evitare le autocitazioni ma una volta, da qualche parte, ho scritto: “Scienza e fede sono due modi di usare la ragione”. La seconda, quindi, scaturisce dalla ragione né più né meno quanto la prima. Spesso, in coloro che negano questa cosa, si intuisce il fatto che non si sono mai trovati, o voluti trovare, nella condizione di doversi/volersi confrontare con il trascendente o meglio con il Suo ingresso nella storia degli uomini: La S.S. Rivelazione. Se ne parla, certo, a volte anche troppo ma di frequente La si tratta come una parentesi, un incidente della storia e, comunque, una cosa ormai morta, cristallizzata nei fondali della storia stessa.

Nell’estate del 1997 ero al mare, già da più di un anno non stavo bene, mi ero fatto visitare da svariati specialisti ma nessuno diagnosticava niente: io dimagrivo, avevo addosso un malessere generale, non avevo forze, ero intrattabile e la mia pelle era piena di sfoghi antiestetici. Ogni mattina, prima di andare, di malavoglia, sulla spiaggia mi recavo in chiesa e mi sedevo su una panca con lo sguardo rivolto ad una statua bronzea della Madonna. La pregavo di farmi stare bene, non di guarire perché nessuno mi aveva fatto una diagnosi. La mia mente era confusa, non so neanche se le mie erano vere e proprie preghiere, so solo che mi raccomandavo a Lei ma, credo, mi sarei raccomandato a chiunque. All’epoca era ancora vivo il nonno di mia moglie, già molto anziano, prossimo alla fine e, un paio di volte alla settimana, veniva a casa un medico di base ormai in pensione da tempo, anche lui in là con gli anni, per accudire quest’uomo. Per una serie di circostanze io e quell’anziano medico non ci eravamo mai incontrati. Una mattina, però, non me la sentivo neanche di uscire, restai in casa, e così fui presente all’arrivo del vecchio professionista: dott. Alessandro Rocco. Mentre accudiva il nonno di mia moglie iniziammo a parlare, ci trovammo subito bene, avevamo degli interessi in comune a riguardo della psicologia e della pedagogia. Un attimo prima di andarsene, però, il dottore mi disse chiaramente che io ero molto malato e, senza visitarmi, fece anche una diagnosi rivelatasi poi, a fronte degli esami medici, azzeccatissima. Il piccolo particolare sta nel fatto che quell’anziano medico era devotissimo alla Madonna, si era consacrato a Lei e mi dette in dono una delle medaglie miracolose, quelle che Maria fece far coniare a S. Caterina Labouré durante l’apparizione di Parigi alle ore 17,30 del 27 novembre del 1830. Successivamente il medico mi fece fare la consacrazione alla devozione di Maria e, devo dire, ho beneficiato altre volte delle Sue grazie. L’esortazione della Madonna verso la sorella che sarebbe stata, poi, Santa Caterina Labourè era stata di far coniare innumerevoli medaglie come quella che Le mostrò durante l’apparizione e di raccomandare agli uomini di portarla al collo o, comunque, sempre appresso. Il risultato di tutto questo è ampliamente riscontrabile in rete.

La medaglia: cosa non è
Non è un ferro di cavallo, un corno rosso o un portafortuna, no, quella medaglia è più assimilabile ad un luogo, un punto d’incontro tra la terra e il cielo. Il possesso di quella medaglia comporta l’impegno a stabilire una relazione con Colei che ce ne ha fatto dono: Maria. Mettersi nelle Sue mani, affidarsi a Lei, parlandoci, stabilendo un contatto quotidiano, chiamando in causa durante le nostre fatiche. Uscire dalla logica tutta secolare di poter gestire la vita da soli, di potere e sapere rimediare, con le nostre sole forze, a tutto ciò che ci capita. Personalmente, p r o p r i o attraverso questa esperienza, ho potuto constatare la mia personale fragilità e insipienza. Andando su Google potrete trovare molte notizie a proposito della “Medaglia miracolosa” e anche come procurarvela. L’incontro e il confronto con Maria ci riportano lì, nei giorni e negli anni di quell’evento che ha scosso il mondo, accanto a Lei, a questa Donna che vive da 2000 anni e grazie alla quale tutto è stato possibile. Maria è la radice di carne che lega terra e cielo, eternità e storia terrena. Attraverso la Medaglia miracolosa la Madonna cerca il contatto con gli uomini, Ella desidera dispensarci le Sue grazie ma questo è possibile solo su nostra esplicita richiesta, creando questo rapporto tra noi e Lei. Se preferite, pensate alla Medaglia come ad un arcaico, santo smartphone che vi mette in contatto con la Madre di Dio: io mi permetto di consigliarvelo.

Forse questo è il mio scritto migliore: senza filosofeggiamenti, senza cercare d’aver ragione o di stupire e nella consapevolezza che ogni uomo è quasi sempre meno bello delle parole che scrive.

Cercate la Medaglia miracolosa, provate ad ascoltare il mio consiglio che mi permetto di rivolgere a tutti: credenti e non credenti, di destra e di sinistra, uomini, donne o transgenici che siate. Parlate con Lei, chiedete tutte le grazie di cui ritenete di aver bisogno ricordandovi sempre di quanto Gesù ebbe a dire a Santa Faustina kowalska: “Io ti farò tutte le grazie che tu sarai in grado di sopportare”.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Rue du Bac - Medaglia Miracolosa, Santa Caterina Labouré, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Morto a 91 anni il filosofo René Girard

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Morto a 91 anni il filosofo René Girard
di Daniele Zappalà – Avvenire

rene girard

«I Demoni di Dostoevskij. Poi, Alla ricerca del tempo perduto di Proust». Fu una risposta senza esitazioni, ma tanto più indimenticabile per la dolcezza di voce e di sguardo con cui René Girard la pronunciò, nel suo piccolo appartamento parigino a due passi dalla Tour Eiffel, davanti a un cronista che ci mise un bel po’ a decifrare come fosse possibile che un simile monumento delle scienze umane occidentali, al termine di un’intervista, potesse rispondere con tanta naturalezza a una domanda che avrebbe fatto ridere o al contrario indisposto tanti altri: «Perdoni la facezia. Ma quali romanzi porterebbe assolutamente su un’isola deserta?».

Dietro al grande studioso c’era un uomo di una rara generosità intellettuale, spesso testimoniata da quanti negli anni hanno potuto incontrare o “sentire” Girard. C’erano ancora imprevisti picchi, molto discreti, dietro il massiccio della fama accademica dell’antropologo scopritore della teoria del desiderio mimetico e del capro espiatorio, appena scomparso a 91 anni, dopo una lunga malattia. Come intuivano i più stretti collaboratori di una vita, questi intimi picchi abitavano l’uomo in simbiosi con la fede di Girard, nato nel giorno di Natale del 1923 ad Avignone, la città del Palazzo dei papi. Con Menzogna romantica e verità romanzesca, uscito nel 1961 e da allora ristampato di continuo in tutto il mondo (per Bompiani in Italia), partì proprio dall’analisi dei più grandi romanzi occidentali la cavalcata di Girard in una nuova prateria vergine dell’antropologia filosofica, riassunta forse da una celebre massima del libro: «L’uomo desidera sempre secondo il desiderio dell’Altro».

Dalle iniziali letture girardiane dei capolavori di Stendhal, Cervantes, Flaubert, Proust e Dostoevskij, quella teoria si è poi diffusa come una sorta di bing bang teorico nei campi più svariati delle scienze umane, come mostra oggi l’estrema varietà dei temi toccati dai convegni dell’Arm, l’Associazione delle ricerche mimetiche, voluta in Francia dagli allievi e amici di Girard per offrire un pur minimo coordinamento, una sorta di mappatura, al rizoma intellettuale propagatosi lungo i decenni dalla grande intuizione di Girard. «La sua eredità culturale sarà assicurata da tanti e vorrei dire in questo momento che non c’è nessun cenacolo girardiano, perché René ha saputo parlare fin da subito a un vasto pubblico sulle due sponde dell’Atlantico, conservando fino all’ultimo questo gusto dell’apertura», ci dice Benoît Chantre, fra i più stretti amici e presidente dell’Arm, con voce paralizzata dal dolore. Nel 2007, proprio Chantre aveva dialogato con Girard nell’ultima grande opera del pensatore, ancora straordinariamente magmatica e avvolgente, uscita in Italia con il titolo Portando Clausewitz all’estremo (Adelphi).

I critici più attenti l’hanno subito interpretata come un monito dal sapore profetico, puntato sulle enormi capacità d’autodistruzione del genere umano: una sorta di attualizzazione, in chiave filosofica e per i lettori del XXI secolo, del ritratto del nichilismo umano contenuto a livello letterario proprio nei Demoni di Dostoevskij, l’opera preferita da Girard: «Siamo la prima società a sapere che può autodistruggersi in modo assoluto. Ma ci manca la credenza che potrebbe sostenere questo sapere». Lungo la densa parabola intellettuale girardiana, dal primo fino a quest’ultimo capolavoro, sono tante le opere che hanno impressionato i lettori di tutto il mondo. Volumi scritti quasi tutti negli Stati Uniti, in quella Stanford dove Girard ha condotto quasi tutta la sua carriera accademica. E dove gli studenti del campus della celebre università avevano imparato a incrociare Girard pure la domenica, lungo il percorso verso la Messa. In Italia, dove il pensiero girardiano è stato accolto con grande favore anche da contrade intellettuali ideologicamente opposte, è uscito nel 1980, per Adelphi, La violenza e il sacro, prima de Il capro espiatorio (1987, Adelphi). «L’amore, come la violenza, abolisce le differenze», aveva scritto in una delle tante opere con cui aveva precisato nel tempo il suo pensiero, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1983, Adelphi).

E di amore ha sempre molto trattato tutta l’opera girardiana, concentrata in proposito pure sul senso profondo, innestato nella stessa natura umana, della Passione di Cristo: per Girard, il Sacrificio che si è offerto come modello, ribaltamento e possibile via d’uscita rispetto alla strada antica, antropologicamente radicata, degli olocausti rituali per placare l’aggressività sociale connessa alle intime trappole del desiderio.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fedor Michajlovic Dostoevskij, Marcel Proust, René Girard, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono
Il cristiano include, non chiude le porte a nessuno, anche se questo provoca resistenze. Chi esclude, perché si crede migliore, genera conflitti e divisioni e ne renderà conto un giorno davanti al tribunale di Dio. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

donare

L’atteggiamento di Gesù è includere
Nella Lettera ai Romani San Paolo esorta a non giudicare e a non disprezzare il fratello, perché questo – afferma il Papa – porta ad escluderlo dal “nostro gruppetto”, ad essere “selettivi e questo non è cristiano”. Cristo, infatti, “con il suo sacrificio sul Calvario” unisce e include “tutti gli uomini nella salvezza”. Nel Vangelo si avvicinano a Gesù i pubblicani e i peccatori, “cioè, gli esclusi, tutti quelli che erano fuori”, e “i farisei e gli scribi mormoravano”:

“L’atteggiamento degli Scribi, dei Farisei è lo stesso, escludono: ‘Noi siamo i perfetti, noi seguiamo la legge. Questi sono peccatori, sono pubblicani’. E l’atteggiamento di Gesù è includere. Ci sono due strade nella vita: la strada dell’esclusione delle persone dalla nostra comunità e la strada dell’inclusione. La prima può essere piccola ma è la radice di tutte le guerre: tutte le calamità, tutte le guerre, incominciano con un’esclusione. Si escludono dalla comunità internazionale ma anche dalle famiglie, fra amici, quante liti… E la strada che ci fa vedere Gesù e ci insegna Gesù è tutt’altra, è contraria all’altra: includere”.

C’è resistenza di fronte all’inclusione 
“Non è facile includere la gente – osserva Papa Francesco – perché c’è resistenza, c’è quell’atteggiamento selettivo”. Per questo Gesù racconta due parabole: quella della pecorella smarrita e della donna che perde una moneta. Sia il pastore che la donna fanno di tutto per ritrovare ciò che hanno perduto. E quando ci riescono sono pieni di gioia:

“Sono pieni di gioia perché hanno trovato quello che era perso e vanno dai vicini, dagli amici perché sono tanto felici: ‘Ho trovato, ho incluso’. Questo è l’includere di Dio, contro l’esclusione di quello che giudica, che caccia via la gente, le persone: ‘No, questo no, questo no, questo no…’, e si fa un piccolo circolo di amici che è il suo ambiente. E’ la dialettica fra esclusione e inclusione. Dio ci ha inclusi tutti nella salvezza, tutti! Questo è l’inizio. Noi con le nostre debolezze, con i nostri peccati, con le nostre invidie, gelosie, sempre abbiamo quest’atteggiamento di escludere che – come ho detto – può finire nelle guerre”.

Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio
Gesù – afferma Papa Francesco – fa come il Padre che lo ha inviato per salvarci, “ci cerca per includerci”, “per essere una famiglia”:

“Pensiamo un po’ e almeno, almeno!, facciamo il nostro piccolo, non giudichiamo mai: ‘Ma questo fa così…’. Ma Dio sa: è la sua vita, ma non lo escludo dal mio cuore, dalla mia preghiera, dal mio saluto, dal mio sorriso, e se l’occasione viene gli dico una bella parola. Mai escludere, non abbiamo diritto! E come finisce Paolo la Lettura: ‘Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio’. Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio e dovrò rendere conto di me stesso. Chiediamo la grazia di essere uomini e donne che includono sempre, sempre!, nella misura della sana prudenza, ma sempre. Non chiudere le porte a nessuno, sempre col cuore aperto: ‘Mi piace, non mi piace’, ma il cuore è aperto. Che il Signore ci dia questa grazia”.

Publié dans Commenti al Vangelo, Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa
Per Bergoglio c’è una lotta violenta tra la luce e il buio. Alle guardie svizzere ha detto che il pericolo per il Vaticano non arriva da eserciti stranieri, ma dal diavolo che vuole dividere. Si incarna in chi tradisce la fiducia con azioni e maldicenze
di Gian Antonio Stella – Corriere della Sera

papa francesco

«Aquí la Gracia de Dios es mucha pero el demonio está en persona… ». Era questa, scrive Gianluigi Nuzzi in Via crucis (Chiarelettere), la battuta più usata nella commissione di cui facevano parte i due «corvi» vaticani. In spagnolo, la lingua del Papa: «Qui la Grazia di Dio è molta ma il demonio è presente in persona». E sono tanti, oggi, a pensare: appunto…

Papa Francesco batte e ribatte da tempo sul tema della comunità, delle chiacchiere, della zizzania. La più netta fu l’omelia nel settembre di due anni fa, quando invitò i gendarmi della Santa Sede ad allontanare i pettegoli: «C’è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. Il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? È una guerra che non si fa con le armi che noi conosciamo: si fa con la lingua».

Poi fu ancora più chiaro: «Qualcuno di voi potrà dirmi: “Ma, Padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa Città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la Città”. Anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la Città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno».

Dicono Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che firmano i libri sul Vaticano in uscita domani e intorno a cui lo scandalo è deflagrato come tritolo, che hanno fatto solo il loro mestiere. Difficile negarlo. Ma è dura negare anche che chi ha passato loro le carte, per quanto dica d’averlo fatto «per aiutare il Papa», ha tradito quel rapporto di fiducia che spinse proprio Francesco ad affidare loro un compito delicatissimo.

Non è un caso che ieri l’Osservatore Romano avesse un titolone che, parlando della Messa del Papa in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti, diceva: «Il serpente sulla croce». Certo, non è tema nuovo per Francesco. Ne aveva parlato a marzo partendo dall’episodio biblico degli ebrei che si ribellano alle fatiche della fuga nel deserto e cominciano «a sparlare di Dio» e molti di loro finiscono morsi da serpenti velenosi: «Solo la preghiera di Mosè che innalza un bastone con un serpente, simbolo della Croce su cui verrà appeso Cristo, diverrà per chi lo guarda salvezza dal veleno». Ed era tornato sul tema un mese e mezzo fa. Quello spazio ai serpenti di oggi, però, la dice lunga…

Fatto è, ha scritto l’anno scorso su Avvenire Stefania Falasca, la giornalista da decenni amica di Jorge Mario Bergoglio, «che forse nessun altro Pontefice, nella storia recente, con un linguaggio puntuto ed efficace ha battuto tanto su questo male. E di fatto non c’è piaga dolente come questa della maldicenza…». Del resto, proseguiva, «il male biforcuto prodotto dalla “clericas invidia”, come la definiva il celebre moralista Haring ai tempi del Concilio, è ben noto. E non c’è qui bisogno di scomodare Dante che definiva l’invidia “meretrice delle corti”».

Batte e ribatte, batte e ribatte, il Papa: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello».

E ancora: «Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua!».

Maledetta lingua! La lingua che divide le parrocchie, le comunità, la Chiesa: «Non vi dico di tagliarvi la lingua ma…».

Insomma, «quando si dice di una persona che ha la lingua di serpente, cosa si vuol dire? Che le sue parole uccidono! Pertanto, non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. È tanto brutto chiacchierare! All’inizio può sembrare una cosa piacevole, anche divertente, come succhiare una caramella. Ma alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi».

E c’è chi ricorda come un presagio il giorno in cui le colombe liberate dal Papa furono attaccate da un gabbiano e da un corvo. «Lo Spirito santo ci liberi dai corvi, segni del male!», scrisse una certa Ninetta sulla pagina Facebook del Papa contro chi ricordava che «anche i corvi sono creature di Dio». Certo è che Francesco ha vissuto così male le fughe di notizie da non potere, oggi, sorridere della lettera che gli mandò il presidente del San Lorenzo, la squadra di Baires per cui tifa: «Saludamos el primer Papa cuervo!». Perché proprio il corvo, pensa un po’, è il simbolo della squadra.

Publié dans Anticristo, Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Mormorazione, Papa Francesco I, Riflessioni | Pas de Commentaire »