La Madonna ferita, storia della Vergine lignea di Nagasaki

Posté par atempodiblog le 8 août 2015

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[…] Scrive il rinomato quotidiano Asahi Shinbun: “La bomba atomica ‘Fat Man’ (il grassone) il 9 agosto del 1945 ha ridotto in macerie anche la magnifica cattedrale di Urakami, allora la più grande chiesa dell’Asia.

L’accecante lampo nucleare che in un istante ha ucciso 70.000 persone, ha ridotto in frantumi vetrate istoriate, ha fatto crollare pareti, incendiato l’altare e fuso le campane. Ma tra le macerie incenerite, è stata trovata quasi intatta la testa di un statua in legno della Vergine Maria. L’aspetto dell’icona religiosa, devastata dalla guerra, è impressionante: gli occhi della Madonna sono due cavità bruciacchiate; una fessura carbonizzata sulla guancia destra assomiglia a una lacrima che ne riga il volto”. Per molti fedeli quella testa è sopravvissuta in modo miracoloso; per tutti è un simbolo religioso di speranza.

La signora Shigemi Fukaori, anziana parrocchiana di Urakami, fissando quietamente la statua ha detto: “Quando l’ho vista per la prima volta, ho pensato che la Vergine Maria piangesse. Questo è un eloquente simbolo di pace che dovrebbe essere conservato per sempre”.

E così è avvenuto. Tra le vittime di quella esplosione atomica circa 8.500 erano cattolici; parecchi di loro, in quel momento erano raccolti a pregare nella chiesa di Urakami. Ora i cattolici di Nagasaki, sotto la guida dell’arcivescovo Takami il collaborazione con il sindaco Taue, che rappresenta tutti gli altri cittadini, sono diventati promotori del movimento per l’abolizione delle armi nucleari. La venerata testa della Madonna ferita è fonte di ispirazione e stimolo alla preghiera.

“La potente reliquia- scrive l’Asahi – ha viaggiato molto come simbolo della pace. Ma il viaggio più lungo l’ha intrapreso (nel 2010, n.d.c.) quando è stata portata a New York in occasione della conferenza per la revisione del trattato di non-proliferazione nucleare. Nel tragitto i leader religiosi l’hanno portata in Vaticano, dove è stata benedetta dal papa Benedetto XVI e a Guernica, Spagna, per una cerimonia in memoria delle vittime di un attacco nazista durante la guerra civile spagnola”.

L’arcivescovo Takami, i cui genitori sono stati uccisi della conflagrazione atomica, ha detto: “Abbiamo viaggiato all’estero con la statua per chiedere alla Vergine di intercedere per la pace. Ci sono molte maniere di rivolgere appelli alla gente – attraverso fotografie, film, racconti sugli orrori della guerra – ma per noi (la statua) di Maria, bombardata dall’atomica ha un differente potere evocativo”.

Fonte: AsiaNews
Tratto da: Luci sull’Est

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Card. Stella: Francesco vuole sacerdoti misericordiosi e vicini al popolo

Posté par atempodiblog le 6 août 2015

Card. Stella: Francesco vuole sacerdoti misericordiosi e vicini al popolo
Un pastore secondo il cuore di Dio. La Chiesa celebra [il 4 agosto] la memoria di San Giovanni Maria Vianney, patrono di tutti i parroci del mondo. Ancora oggi, a 150 anni dalla morte, il Santo Curato d’Ars è una figura di grande attualità per i sacerdoti e in molti aspetti ricorda lo stile pastorale di Papa Francesco. Alessandro Gisotti [di Radio Vaticana] ne ha parlato con il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero:

Card. Stella: Francesco vuole sacerdoti misericordiosi e vicini al popolo dans Fede, morale e teologia Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

R. – A me sembra che il Curato d’Ars sia una figura che ormai è entrata nella vita della Chiesa e soprattutto che dovrebbe incidere con la sua propria storia, con il suo insegnamento nella vita dei sacerdoti di oggi. In che senso? E’ stato un pastore estremamente vicino al gregge, nel senso che ne ha condiviso la storia, ne ha condiviso un po’ anche le povertà, che erano tipiche di quel tempo. E’ stato un grande esempio per questo gregge, soprattutto con la sua semplicità di vita, con la sua povertà personale. Semplicità e povertà sono due virtù che hanno una grande attualità, anche per il mondo di oggi. Il sacerdote che si presenta umile, povero, semplice, direi che ha una marcia in più per farsi capire!

D. – San Giovanni Maria Vianney era un parroco che viveva in mezzo al popolo di Dio. Pensiamo anche alle tante ore passate nel confessionale. Papa Francesco ricorda un po’ con il suo stile pastorale proprio la figura del Curato d’Ars…
R. – Direi che uno dei messaggi sostanziali, importanti di Papa Francesco sia il messaggio sulla misericordia. Ha esortato i preti a diventare, ad essere dei confessori con il cuore aperto all’accoglienza dei peccatori. Proprio il Curato d’Ars ci ha insegnato quest’arte di ricevere i peccatori con cuore aperto. La cosa unica è che in questo stesso ambito il Papa ci insegna a prendere anche noi, come sacerdoti, l’abitudine della Confessione. Abbiamo visto il Papa inginocchiarsi, il marzo scorso, durante la liturgia penitenziale, davanti al suo confessore, nella Basilica di San Pietro. Io penso che sia un’immagine che ci deve essere molto cara. Il Papa ha detto – e lo ripete sempre – “Io sono un peccatore”. E ogni peccatore ha bisogno di essere purificato e di incontrare la misericordia del Signore. Io direi che un grande esempio che avvicina il Santo Curato d’Ars e Papa Francesco sia la predica sulla misericordia e l’esercizio della misericordia per gli altri e per se stessi.

D. – L’Anno della misericordia è vicino. Quali frutti potrà dare questo anno così speciale, in particolare ai sacerdoti nel loro ministero?
R. – I sacerdoti oggi lavorano tanto. Quindi vorrei che questo Anno della misericordia portasse ulteriore lavoro ai sacerdoti, ma non un lavoro burocratico, non un lavoro amministrativo, ma un lavoro veramente sacerdotale, un lavoro proprio nel senso profondo di ricevere i frutti di questo incontro con Dio nella vita liturgica, nel Sacramento della riconciliazione, ed anche una necessità di approfondire la fede. Confido che l’Anno giubilare porterà lavoro ai sacerdoti, però un vero lavoro sacerdotale, che li affatichi di più, nel senso di una fatica salutare. Fatica, impegno, sacrificio nel senso che Dio vuole e che il Papa desidera.

D. – Qual è la cosa che, anche considerando le conversazioni che ha potuto avere con il Santo Padre, sta più a cuore a Papa Francesco riguardo ai sacerdoti?
R. – Io ricordo un incontro con il Papa qui in Congregazione, lo scorso mese di maggio, quando il Papa disse: “Si parla tanto della riforma della Curia Romana – il  Papa stava visitando i dicasteri della Curia Romana – ma la riforma della Curia è legata ad una riforma della Chiesa, ad una rinnovata riscoperta del Vangelo. E a questo rinnovamento della Chiesa, si arriva solamente attraverso il ministero dei sacerdoti”. Ecco, quindi torniamo alla questione di sempre: il peso dei sacerdoti nella vita ecclesiale. Il Papa desidera molto l’autenticità della vita. Il Papa ci dà un grande esempio di vicinanza al popolo cristiano. Il sacerdote ha in Papa Francesco un vero modello, un modello vicino. C’è nella vita di Papa Francesco, nel suo stile di essere vescovo e di essere sacerdote, un qualche cosa che accomuna e ricorda a tutti i sacerdoti della Chiesa alcune esigenze primordiali, sostanziali: vita di preghiera, disciplina personale, dedizione apostolica, amore per il gregge, stare con il proprio gregge… pastori del gregge, fedeli, umili, semplici. La gente ascolta ciò che diciamo, guarda come agiamo, le nostre azioni, ma soprattutto considera ciò che siamo!

Divisore dans San Francesco di Sales

La misericordia e il perdono spalancano le porte dei cuori
Mi ricorderò sempre di come ho conquistato un’anima. Vi racconto questa stupidaggine: riguarda un ragazzo della Parrocchia. C’erano dei ragazzi di Parrocchia che erano dei somarelli a scuola e non avevano voglia di studiare a cui dissi “sentite ragazzi faccio un fioretto vi farò delle lezioni di latino” nonostante tutto il lavoro che avevo da fare, però un paio di volte alla settimana facevo la lezione a sei o sette ragazzi. Un giorno uno di loro si presentò alla lezione di latino con il suo cane e, quest’ultimo, continuava ad abbaiare mentre gli altri ragazzi ridevano a questa scenetta… “ma scusa”, dico, “porta fuori il cane”, non l’avessi mai detto! Ha preso il cane e se n’è uscito; non veniva più in Chiesa. Non dovevo dire una cosa del genere. Sapete cosa ho fatto? Gli ho telefonato e gli ho detto “ti chiedo scusa, sono stato maleducato”.

Facendo questo ho conquistato un’anima, se non lo avessi fatto (e avevo mille ragioni per non farlo) l’avrei persa. Questo è un piccolo esempio di come nella vita familiare la capacità di perdonare è fondamentale, oggi. La misericordia e il perdono ci spalancano le porte dei cuori. Sono quei tratti di santità che hanno una valore sociale e familiare incredibili. Sono quelle che Gesù ci dice: “siate misericordiosi come il Padre Celeste”, “nella misura in cui giudicate sarete giudicati”, “perdonate e vi sarà perdonato”, “date e vi sarà dato”.

di padre Livio Fanzaga – Radio Maria
Per approfondire  Freccia dans Viaggi & Vacanze La misericordia e il perdono

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Maria Elena Boschi, Camillo Langone e un problema serio

Posté par atempodiblog le 6 août 2015

Maria Elena Boschi, Camillo Langone e un problema serio
Camillo Langone sostiene che Maria Elena Boschi è una “mangiaostie a tradimento”. Al di là dei toni giornalistici adoperati, il problema è molto, molto serio.
di Stefano Fontana – Vita nuova. Settimanale cattolico di Trieste

Una dottrina propria dans Alessandro Gnocchi fkqwyh

Il ministro per i rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, fedelissima del premier Matteo Renzi, partecipando alla trasmissione “Sette” ha detto di essere cattolica ma di avere sulle unioni civili un parere diverso da quello della Chiesa ufficiale e di essere favorevole quindi ai matrimoni tra omosessuali. Sul quotidiano “Il Foglio”, Camillo Langone ne ha parlato nei toni che riportiamo qui sotto:

“Mangiaostie a tradimento Maria Elena Boschi, ma perché la domenica invece di fare la comunione non fai come me, che della comunione sono indegno siccome cattivo, e ti ingolli una tigella, che è tonda uguale, oppure una toscanissima schiacciata? “Vengo dall’esperienza delle Giornate mondiali della Gioventù, sono cattolica, ma sulle unioni civili ho una posizione diversa rispetto a quella ufficiale della Chiesa” hai detto a Sette.

No, Maria Elena, non sei cattolica, sei un cuculo della chiesa cattolica, un parassita della chiesa cattolica. Non esistono posizioni non ufficiali della Chiesa, la Chiesa è il corpo di Cristo, chi avvalora posizioni non ufficiali della Chiesa sta macellando il corpo del Cristo che pregò affinché i suoi discepoli fossero “una cosa sola”. Tu sei tradimento e divisione, Maria Elena. Tu sei il soldato romano che si gioca a dadi la tunica di Gesù crocefisso, Maria Elena. Tu sfrutti una cosa che non è tua e per la quale non hai sofferto, Maria Elena. “Io sarei favorevole al matrimonio omosessuale”. Puoi essere favorevole anche al matrimonio fra uomini e criceti però devi esserlo da apostata, Maria Elena. Cristo disse all’adultera, colpevole soltanto di essere stata con un uomo, di non peccare più, e quindi nessun cattolico, nessun cristiano può esortare a peccare ancora, a peccare fino alla fine dei propri giorni, e figuriamoci se parte di questo peccato è a carico dei contribuenti (vedi reversibilità della pensione per le coppie omosessuali), di bambini incolpevoli (vedi adozioni per le coppie omosessuali) e di donne povere (vedi noleggio uteri per le coppie omosessuali). Che poi la tigella col lardo è così buona”.

Il problema è serio. Un cattolico può dirsi pubblicamente cattolico e, anzi, vantare questa sua cattolicità – “Vengo dall’esperienza delle Giornate mondiali della Gioventù, sono cattolica” – se nega valore a principi di fede e di morale fondamentali della religione cattolica, attestati dalle Scritture e continuamente ribaditi dal Magistero? (quella che la Boschi chiama “Chiesa ufficiale” in verità è il Magistero Ecclesiastico – non c’è una Chiesa ufficiale e una non ufficiale). Il buon senso direbbe di no.

Concedendo a tutti una pur non meritata buona fede, una motivazione di un simile comportamento potrebbe essere la seguente: ci sono delle verità di fede a cui tutti i credenti devono aderire, ma questi problemi della sessualità, della famiglia, delle unioni civili appartengono ad ambiti che sono lasciati alla coscienza individuale. Questa motivazione, però, è sbagliata. La dottrina sul matrimonio è stata stabilita direttamente e chiaramente da Gesù stesso. Egli ha elevato il matrimonio naturale a sacramento e così facendo ha confermato il matrimonio anche naturale. E’ competenza della Chiesa non solo l’ambito di fede ma anche quello della morale, compresa la morale naturale. Un cattolico non solo non può non credere che il matrimonio sia un sacramento, ma nemmeno che il matrimonio tra uomo e donna sia unico e indissolubile sul piano naturale. Le questioni in cui la Boschi rivendica la sua libertà di coscienza non sono tali.

Una seconda motivazione, in bocca questa non tanto alla nostra Maria Elena ma a tanti cattolici che continuamente la ribadiscono, è che, pur stabiliti i punti di principio, bisogna comunque dialogare e non imporli. Niente lotte, quindi. Anche questa motivazione è piuttosto puerile. Se il Parlamento sta approvando una legge profondamente sbagliata, ossia disumana, e lo farà entro un certo tempo, stiamo lì a discutere o facciamo una battaglia per impedire l’approvazione di quella legge? Ci sono i momenti e i luoghi del dialogo, ci sono i momenti della lotta civile e rispettosa, ma lotta. Altrimenti i cattolici dovrebbero solo organizzare convegni e tavoli di confronto. Eppoi, quale dialogo se, come fa la signora Boschi, abbiamo già rinunciato in partenza alle nostre verità? Il dialogo diventa l’alibi per pensarla diversamente dalla “Chiesa ufficiale” e continuare a dirsi cattolici lo stesso. Perché, poi, se questa etichetta ormai non frutta granché a livello di voti e di consenso?

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Una dottrina propria
La maggior parte dei cattolici ormai oggi, in totale buona fede, pensando di continuare ad essere cattolici, dicono “mah, si la Chiesa… sono d’accordo su quasi tutto, però su questa cosa per esempio no”, sulla questione dei divorziarti-risposati no, oppure sulla questione dell’aborto no, oppure sulla questione del divorzio no, oppure sulla questione dell’eutanasia no, oppure su tutte queste cose insieme no. Quindi su tutta una serie di questioni i cattolici si fanno una morale, una teologia, una dottrina propria. E’ ovvio che chiunque dissenta in qualche cosa che riguarda la struttura fondamentale della fede, della dottrina… non è più cattolico, però questo sembra  difficile da far capire oggi.
Spesso le persone più disorientate dalla ferma dottrina che sta ribadendo Benedetto XVI sono tanti cattolici, i quali non si rendono conto di come un Papa possa dire delle cose che non vanno discusse, vanno imparate. Questo verbo “imparare” piace molto poco.

Alessandro Gnocchi – Radio Maria

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70 anni dopo Hiroshima

Posté par atempodiblog le 6 août 2015

70 anni dopo Hiroshima
La città di Hiroshima ha commemorato oggi con un minuto di silenzio il 70esimo anniversario dal lancio della bomba atomica sulla città giapponese da parte degli Stati Uniti
di Luca Romano – Il Giornale

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La città di Hiroshima ha commemorato oggi con un minuto di silenzio il 70esimo anniversario dal lancio della bomba atomica sulla città giapponese da parte degli Stati Uniti, in una cerimonia alla quale hanno preso parte i rappresentanti di un centinaio di Paesi.

Migliaia di persone hanno rispettato un minuto di silenzio nel Parco Memoriale della Pace alle 8.15 ora locale, nel momento esatto in cui, sette decadi fa, un aereo americano ha sganciato la prima bomba nucleare della storia, giusto a pochi metri di distanza da dove è avvenuta la celebrazione. Tra i presenti l’ambasciatrice americana in Giappone, Caroline Kennedy, e il sottosegretario di Stato americano per il controllo delle armi e la sicurezza internazionale, Rose Gottemoeller, rappresentanti di altre potenze come l’Inghilterra, la Francia, la Russia.

Dopo il minuto di silenzio, il sindaco della città, Kazumi Matsui, ha chiesto al primo ministro giapponese, Shinzo Abe, e ad altri leader mondiali, tra i quali il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, che “lavorino instancabilmente per ottenere un mondo libero dagli armamenti nucleari ».

Nel suo discorso, Matsui ha affermato che il vertice dei leader del G7 che si celebra l’anno prossimo nella località costiera di Shima offrirà “la perfetta opportunità per dare un messaggio congiunto sull’abolizione degli armamenti nucleari”. Inoltre, il sindaco ha invitato Obama a “visitare una delle città bombardate, ascoltare con le proprie orecchie gli ‘hibakusha’ (nome che è stato dato in Giappone ai sopravvissuti degli attacchi nucleari, ndr) e riflettere sulla realtà dell’armamento atomico”. Il sindaco di Hiroshima ha anche difeso il carattere pacifista della costituzione giapponese, dopo che il Governo centrale aveva spinto verso una controversa reinterpretazione della carta per promuovere un protocollo più attivo delle forze di autodifesa a livello globale. Il Giappone “deve promuovere un cammino verso una vera pace in tutto il mondo, attraverso l’esempio che offre la sua Costituzione”, ha dichiarato Matsui, lui stesso figlio di un ‘hibakusha’.

“Settant’anni dopo, Hiroshima e Nagasaki restano il manifesto più potente dell’atrocità della guerra. Anche nei momenti più difficili della contrapposizione Est-Ovest, quell’attacco nucleare è stato un monito assoluto a evitare di precipitare nello stesso orrore, fino a far prevalere il coraggio della pace”.

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Freccia Il Santo Rosario e la bomba atomica di Hiroshima

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Salva la vita a uno sconosciuto con due parole

Posté par atempodiblog le 6 août 2015

Salva la vita a uno sconosciuto con due parole: e lui lo ripaga in un modo incredibile
di Emiliana Costa – Il Mattino

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Jamie Harrington, giovane irlandese, è diventato un eroe social dopo aver salvato la vita di uno sconosciuto che voleva gettarsi da un ponte, chiedendogli semplicemente: “Stai bene?”.
E l’uomo, che a quel punto ha deciso di non suicidarsi, ha ripagato il gesto di generosità dando il nome di Jamie a suo figlio in arrivo.
La storia a lieto fine, condivisa in Rete, è diventata virale.

È accaduto a Dublino, in Irlanda. Come riporta il Mirror, Jamie si stava recando in un alimentari, quando all’improvviso ha visto l’uomo seduto sul davanzale del ponte.

“Mi sono avvicinato – racconta – e gli ho chiesto se stava bene. L’ho convinto a scendere giù e siamo stati 45 minuti seduti sulle scale del ponte a parlare della sua vita. Poi mi ha chiesto di non avvertire i soccorsi, ma non potevo lasciarlo solo e così ho chiamato un’ambulanza”.

E circa tre mesi dopo la sorpresa. “Mi ha telefonato – conclude Jamie – e mi ha detto che la moglie aspettava un bambino e lo avrebbero chiamato come me. Non riuscivo a credere di averlo salvato domandandogli solo ‘stai bene’. Ma lui mi ha risposto che nessuno glielo aveva mai chiesto”.

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L’azzurro della nazionale italiana e il manto della Vergine

Posté par atempodiblog le 5 août 2015

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L’azzurro delle maglie della nazionale italiana è indirettamente legato al culto mariano dei principi e re piemontesi, i Savoia che erano accesi devoti di Maria.Il Blu Savoia, un azzurro intenso, colore ufficiale della monarchia (usato anche per le onorificenze maggiori del regno) deriva infatti dal colore del manto della Vergine che nell’iconografia tradizionale è di colore azzurro.

Tratto da: Parrocchia di Filetta

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5 agosto, compleanno della Mamma del Cielo

Posté par atempodiblog le 5 août 2015

Prepariamo il posto alla Santa Bambina dans Citazioni, frasi e pensieri Compleanno-Maria-Santissima

La Madonna racconta la sua vita
[...] Per quanto la Vergine abbia messo il sigillo della segretezza sulla sua vita, tuttavia qualcosa ha rivelato attraverso i messaggi. Si tratta di particolari tutt’altro che trascurabili. Quello più rilevante riguarda la questione se la Madonna sia morta prima di essere stata assunta in cielo. Al riguardo la Gospa è categorica. Proprio nel giorno dell’Assunta così risponde: «Mi chiedete della mia assunzione. Sappiate che io sono salita al cielo prima della morte» (15/08/1981). L’affermazione della Madonna si pone così nel solco della tradizione più antica che parla della «Dormizione» della Beata Vergine Maria, intesa come momento di grazia nel quale la Madre di Dio «è stata pienamente conformata al Figlio suo Risorto, il vincitore del peccato e della morte» (CCC, 966). «Nella tua maternità hai conservato la verginità, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio; hai raggiunto la sorgente della Vita, tu che hai concepito il Dio vivente e che, con le tue preghiere, liberi le nostra anime dalla morte» (Liturgia bizantina).

L’altro particolare che la Regina della pace ha rivelato, chiedendo il coinvolgimento dei fedeli, riguarda il giorno della sua natività, la cui festa liturgica è celebrata dalla Chiesa l’8 Settembre. La Madonna ha voluto dare molta enfasi a questa rivelazione con un messaggio commovente: «il 5 Agosto prossimo si celebri il secondo millennio della mia nascita. Per quel giorno Dio mi permette di donarvi grazie particolari e di dare al mondo una speciale benedizione. Vi chiedo di prepararvi intensamente con tre giorni da dedicare esclusivamente a me. In quei giorni non lavorate. Prendete la corona del rosario e pregate, digiunate a pane e acqua. Nel corso di tutti questi secoli mi sono dedicata completamente a voi: è troppo se adesso vi chiedo di dedicare tre giorni a me?» (01/08/1984). La precisazione della Madonna può essere un prezioso punto di riferimento per gli storici e gli esegeti, sempre che la vogliano accogliere. L’intenzione della Madre di Dio è però un’altra. Vuole che i suoi figli si rendano conto del suo amore inesauribile e universale, che abbraccia l’intero cammino dell’umanità e di ogni persona in particolare. Anche quello che ci chiede per festeggiare il suo compleanno è a nostro completo vantaggio. Quel giorno i veggenti e i giovani del villaggio hanno preparato per l’incontro con la Madonna una torta enorme con gli auguri di rito. Non era però possibile sistemarvi sopra tutte le candeline necessarie…

Tratto da: Medjugorje. Il cielo sulla terra— Padre Livio Fanzaga, ed. PIEMME

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Papa Francesco: non custodire la fede in un deposito sotterraneo

Posté par atempodiblog le 5 août 2015

PELLEGRINAGGIO DEI MINISTRANTI DI LINGUA TEDESCA
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Martedì, 4 agosto 2015

Papa Francesco: non custodire la fede in un deposito sotterraneo dans Fede, morale e teologia Santo-Padre-Francesco

[Multimedia]


Cari Ministranti, buonasera!

1. Vi ringrazio per la vostra numerosa presenza, che ha sfidato il sole romano d’agosto. Ringrazio il Vescovo Nemet, vostro Presidente, per le parole con cui ha introdotto questo incontro. Vi siete posti in cammino da diversi Paesi per il vostro pellegrinaggio verso Roma, luogo del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo. È significativo vedere che la prossimità e familiarità con Gesù Eucaristia nel servire all’altare, diventa anche l’occasione per aprirsi agli altri, per camminare insieme, per scegliere mete impegnative e trovare le forze per raggiungerle. È fonte di autentica gioia riconoscersi piccoli e deboli ma sapere che, con l’aiuto di Gesù, possiamo essere rivestiti di forza e intraprendere un grande viaggio nella vita in sua compagnia.

Anche il profeta Isaia scopre questa verità, vale a dire che Dio purifica le sue intenzioni, perdona i suoi peccati, risana il suo cuore e lo rende idoneo a svolgere un compito importante, quello di portare al popolo la parola di Dio, divenendo strumento della presenza e della misericordia divina. Isaia scopre che, ponendosi con fiducia nelle mani del Signore, tutta la sua esistenza ne viene trasformata.

2. Il brano biblico che abbiamo ascoltato ci parla proprio di questo. Isaia ha una visione, che gli fa percepire la maestà del Signore, ma, al tempo stesso, gli rivela quanto Egli, pur rivelandosi, rimanga distante. Isaia scopre con stupore che è Dio a fare la prima mossa – non dimenticatevi di questo: sempre è Dio a fare la prima mossa nella nostra vita – scopre che è Dio ad avvicinarsi per primo; egli si accorge che l’azione divina non viene impedita dalle sue imperfezioni, che è unicamente la benevolenza divina a renderlo idoneo alla missione, trasformandolo in una persona del tutto nuova e quindi capace di rispondere alla sua chiamata e di dire: “Eccomi, manda me” (Is 6,8).

3. Voi, oggi, siete più fortunati del Profeta Isaia. Nell’Eucaristia e negli altri sacramenti sperimentate l’intima vicinanza di Gesù, la dolcezza ed efficacia della sua presenza. Non incontrate Gesù posto su un irraggiungibile trono alto ed elevato, ma nel pane e nel vino eucaristici, e la sua Parola non fa vibrare gli stipiti delle porte ma le corde del cuore. Come Isaia, anche ciascuno di voi scopre che Dio, pur facendosi in Gesù vicino e chinandosi con amore verso di voi, rimane sempre immensamente più grande ed oltre le nostre capacità di comprenderne l’intima essenza. Come Isaia, anche voi fate l’esperienza che l’iniziativa è sempre di Dio, poiché è Lui che vi ha creati e voluti. È Lui che, nel battesimo, vi ha resi nuove creature ed è sempre Lui ad attendere con pazienza la risposta alla sua iniziativa e ad offrire perdono a chiunque glielo chiede con umiltà.

4. Se non opponiamo resistenza alla sua azione Egli toccherà le nostre labbra con la fiamma del suo amore misericordioso, come fece con il profeta Isaia e questo ci renderà idonei ad accoglierlo e a portarlo ai nostri fratelli. Come Isaia, anche noi siamo invitati a non rimanere chiusi in noi stessi, custodendo la nostra fede in un deposito sotterraneo nel quale ritirarci nei momenti difficili. Siamo invece chiamati a condividere la gioia di riconoscersi scelti e salvati dalla misericordia di Dio, ad essere testimoni che la fede è capace di dare nuova direzione ai nostri passi, che essa ci rende liberi e forti per essere disponibili e idonei alla missione.

5. Com’è bello scoprire che la fede ci fa uscire da noi stessi, dal nostro isolamento e, proprio perché ricolmi della gioia di essere amici di Cristo Signore, ci fa muovere verso gli altri, rendendoci naturalmente missionari! Ministranti missionari: così vi vuole Gesù!

Voi cari ministranti, più sarete vicini all’altare, più vi ricorderete di dialogare con Gesù nella preghiera quotidiana, più vi ciberete della Parola e del Corpo del Signore e maggiormente sarete in grado di andare verso il prossimo portandogli in dono ciò che avete ricevuto, donando a vostra volta con entusiasmo la gioia che vi è stata donata.

Grazie per la vostra disponibilità a servire all’altare del Signore, facendo di questo servizio una palestra di educazione alla fede e alla carità verso il prossimo. Grazie di aver anche voi iniziato a rispondere al Signore, come il Profeta Isaia: “Eccomi, manda me” (Is6,8).

Tratto da: La Santa Sede

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Tredici anni, il ricatto dell’alcol

Posté par atempodiblog le 5 août 2015

Tredici anni, il ricatto dell’alcol
di Vito Solinaro – Avvenire

Tredici anni, il ricatto dell'alcol dans Articoli di Giornali e News 2res4r8

Valentina e Allegra sono davanti al pc; la webcam è già in funzione. Aspettano di collegarsi con Ivan, che è puntuale e le saluta agitando la mano. «Vai a prendere una bottiglia», l’invito delle due. Ivan esegue e si presenta davanti alla telecamerina con la vodka. «Bevi, poi lo faremo noi», dicono le ragazze. Ivan beve. Tanto: 6 bicchieri in plastica da caffè. Valentina e Allegra fingono di farlo, conoscono bene gli effetti dell’alcol. E stavolta hanno ottime ragioni per non esagerare. Quando Ivan è semiubriaco, Allegra lo esorta a togliersi i vestiti: «Poi toccherà a noi due», assicura. Ivan si toglie i vestiti. Si aspetta che le due amiche lo imitino. Ma Allegra lo gela: «Ora procura a me e a Valentina 300 euro, e poi vogliamo il numero di carta di credito di tuo padre. Hai un giorno, se non lo fai pubblicheremo il tuo filmato su Facebook».

Valentina, Allegra e Ivan hanno 13 anni. Frequenteranno la terza media. Ma non è la prima volta che sono protagonisti di una forma del cosiddettosexting (ragazzini che diffondono foto e video osé online dietro un compenso o perché costretti). In questa storia, dove di irreale ci sono solo i nomi, i tre sono anche accomunati dalla prima causa di morte dei giovani italiani: l’alcol.

Rientrano infatti in quell’agghiacciante numero di minori italiani, 800mila, considerati consumatori a rischio. Non da un sondaggio o da una tendenza statistica. Ma da parametri clinici. E la cifra schizza fino a un milione 620mila se si considerano tutti i giovani sotto i 25 anni.

Nel giorno in cui si scatena il dibattito politico sulla chiusura per quattro mesi del Cocoricò di Rimini, decisa dalla questura, vale la pena raccontare l’altra faccia dello sballo 2.0: dopo gli eccessi relativi alle ‘nuove droghe’, raccontate su Avvenire di domenica, ecco
l’emergenza alcol.

E il cocktail con Internet, che sta favorendo la diffusione delle bevande tra i ragazzini. Anche il fenomeno della neknominationinveste
i giovanissimi: si tratta di una gara a chi beve di più e più rapidamente, davanti a una telecamera. Il filmato viene quindi postato sui social network dando così il via alla nomination: cioè la chiamata verso altri tre ragazzi/e che, entro 24 ore, sono invitati ad accettare la sfida. Se non lo faranno, incorreranno in una ‘multa’: pagare da bere agli altri (rigorosamente sostanze alcoliche), oppure essere derisi dal pubblico della Rete.

Ma web o non web, l’Italia è la nazione europea più precoce nel consumo alcolico. Altro che adolescenti. La media scende ora ai 12 anni. Siamo ormai al confine con l’infanzia. Sta nascendo una generazione chimica che costruisce relazioni, emozioni, sensazioni sulle sostanze, oltre che sul web. Il 25% degli adolescenti maschi e il 7% delle ragazze della stessa fascia di età si sta bruciando il futuro inconsapevolmente.

L’1% dei nostri ragazzi sotto i 19 anni è alcol-dipendente in carico ai Servizi socio-sanitari, mentre il 19% dei pazienti che corre al Pronto soccorso a causa di una intossicazione è un under 14. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha recentemente rilanciato un allarme dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che identifica,
dati alla mano, nella fascia di età 12-25 anni il livello di massima vulnerabilità all’alcol. Significa che fino a 25 anni non siamo in grado di metabolizzarlo (tranne che in minime quantità). 6 grammi all’ora è la capacità del nostro fegato di ‘trattare’ in sicurezza questa sostanza tossica e cancerogena; ma in occasione dell’ormai diffusissimo
binge drinking (letteralmente «abbuffata alcolica»), gli adolescenti, con l’assunzione di 5-6 drink, assumono anche 80 grammi di alcol in un’ora.

Prima non c’erano evidenze scientifiche, oggi basta una risonanza magnetica per verificare i danni (permanenti) all’ippocampo, che è l’area cerebrale coinvolta nei processi della memoria e dell’orientamento. Bastano tre mesi di binge drinking nel solo fine settimana, sottolineano dall’Iss, per ottenere una riduzione della massa dell’ippocampo pari al 20-30%. Un deficit cognitivo che non si potrà più recuperare. Un enorme danno al cervello. Che, prima o poi, esigerà altri debiti. Come avviene in età presenile, quando chi ha consumato alcol avrà una più facile predisposizione alla demenza.

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La divina unione tra la Madonna e il glorioso San Giuseppe

Posté par atempodiblog le 1 août 2015

Il santo proposito di San Giuseppe

Il fatto che l’Evangelista, pur evidenziando il proposito di verginità di Maria, la presenti ugualmente come sposa di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità storica di ambedue le notizie. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento, vi fosse un’intesa sul progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo, che aveva ispirato a Maria la scelta della verginità in vista del mistero dell’Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un contesto familiare idoneo alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l’ideale della verginità.

Giovanni Paolo II

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La divina unione tra la Madonna e il glorioso San Giuseppe

Ora qual divina unione tra nostra Signora ed il glorioso san Giuseppe! Unione, che faceva, che quel bene de’ beni eterni nostro Signore, fosse ed appartenesse a san Giuseppe, così come apparteneva a Maria, non secondo la natura, che aveva presa nelle viscere della nostra gloriosa Vergine; natura, che era stata formata dallo Spirito Santo del purissimo sangue di Lei; ma secondo la grazia, la quale lo rendeva partecipe di tutti i beni della sua cara sposa, e la quale faceva che egli andasse meravigliosamente crescendo nella perfezione; e ciò per la comunicazione continua, che aveva con nostra Signora, la qual possedeva tutte le virtù in così alto grado, che nessun altra né candida, né pura creatura vi può giungere.

Nientedimeno il glorioso san Giuseppe era quello, che maggiormente vi si approssimava; e siccome si vede uno specchio ricevere i raggi del sole dal riverbero d’un altro specchio, e rimandarli cosi al vivo che non si potrebbe quasi giudicare qual sia quello, che li riceve immediatamente dal sole, o quello, che non li riceve se non per riflesso; parimente nostra Signora era come un purissimo specchio opposto ai raggi del Sole di giustizia: raggi, che apportavano nell’anima sua tutte le virtù nella loro perfezione; quali perfezioni, e virtù facevano un riflesso così perfetto in san Giuseppe, che pareva quasi  ch’egli fosse così perfetto, o che avesse le virtù in sì alto grado, come le aveva la Vergine santissima.

Ma in particolare (per non deviare dal nostro proposito) in qual grado pensiamo noi che avesse la verginità, quella virtù, che ci rende simili agli angioli? Se la santissima Vergine non fu solamente vergine tutta pura, e tutta candida; ma come canta la santa Chiesa nel responsorio delle lezioni dei mattutini, santa ed immacolata verginità, cioè che era la stessa verginità: quanto pensiamo noi che quel che fu eletto da parte dell’eterno Padre per custode della sua verginità, o per dir meglio per compagno (poiché ella non aveva bisogno d’esser guardata da altri, che da se medesima) quanto dico, doveva egli esser grande in questa virtù?

Ambedue avevano fatto voto d’osservar verginità in tutto il tempo della lor vita, ed ecco che Iddio vuole che siano uniti col legame di un santo matrimonio, non già per farli disdire, né pentirsi del voto; ma per confermarli, e fortificarli l’un l’altro a perseverare nella santa impresa; e per questo lo fecero ancora di viver verginalmente insieme in tutto il resto della lor vita.

Tratto da: Trattenimenti spirituali di San Francesco di Sales Vescovo e Principe di Ginevra Volume unico. – Brescia : Tipografia Pasini nel Pio Istituto di S. Barnaba, 1830, pp. 363 – 364.

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Bisogno di misericordia

Posté par atempodiblog le 1 août 2015

Bisogno di misericordia
di don Federico Pichetto – Il Sussidiario

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C’è un fatto di cronaca che, nel brusio delle mille emergenze estive, non è riuscito a far sentire a sufficienza la propria voce. Alcuni giorni fa – erano le 4.30 del mattino – sulla tangenziale di Napoli un uomo di 29 anni (un millenial!), in evidente stato di ebbrezza, ha deciso repentinamente di invertire la rotta del suo viaggio e di intraprendere, senza scrupoli, la tangenziale stessa in senso di marcia contrario. L’ora era davvero molto particolare e per 5 Km quest’uomo, che a bordo aveva anche la propria compagna di 22 anni, non ha incrociato nessuno fin tanto che un altro automobilista, appena svegliatosi per recarsi a lavoro, non ha percorso lo stesso tratto di strada in direzione corretta arrivando inevitabilmente a scontrarsi col ventinovenne ubriaco.

Immediata è partita la richiesta di soccorsi, ma proprio lì – in quel frangente fra la chiamata dei soccorsi e il loro arrivo – un uomo ignaro di tutto è passato accanto all’incidente ed è rimasto sgomento dallo spettacolo delle lamiere accartocciate. Ha constatato che per il povero automobilista sobrio non c’era più niente da fare e ha intercettato il braccio del conducente dell’altro mezzo che cercava di districarsi tra i rottami della tragedia. Accanto a lui i respiri ansimanti di una compagna che si sarebbe spenta in ospedale da lì a poco e il silenzio totale di una tangenziale fantasma in un’anonima alba di luglio. L’uomo ignaro non conosceva la dinamica dell’incidente e si è accostato al “pirata della strada” prendendogli la mano, consolandolo e facendogli forza fino all’arrivo dell’ambulanza.

Che strana questa vicenda! Pur essendo lucida e inequivocabile, è come se nascondesse dentro qualcosa di affascinante e di tremendo allo stesso tempo, ossia la pietà – la compassione – per il carnefice e la sua mostruosità. Nella società della colpa tutto questo è ovviamente impensabile e l’uomo ignaro è stato in poche ore ricoperto da insulti sul web, stigmatizzando una pietà non meritata e un dolore – che il primo soccorritore esprimeva – come un dolore inutile, sprecato.  Non è certamente mia intenzione, dunque, fare la morale su questo episodio, ma porre qualche riflessione sì.

La prima che mi viene in cuore è questa: ci rendiamo conto di quanto sia più facile guardare alle cose per quello che sono quando siamo disarmati e senza pregiudizi? Quell’uomo, il soccorritore, non sapeva niente e – proprio per questo – ha potuto trattare il carnefice da “uomo”. I gesti di carità, nella vita della Chiesa, sono nati in forma anonima proprio per questo: una carità è vera nella misura in cui è gratuita, nella misura in cui l’altro proprio non la merita. Fare la carità a chi la merita non è cristianesimo, è un’ultima forma di filantropia. 

Quanta ribellione sento poter crescere in chi legge queste affermazioni: mi rendo conto che tanti pensano all’assassino dei propri figli, a chi perseguita i cristiani nel mondo, agli irresponsabili che con i loro gesti hanno fatto male alla vita propria e di chi li circondava. Ma la carità, la misericordia, è anzitutto per loro. Il primo perdonato è il buon ladrone che – per inciso – non era crocifisso perché aveva rubato delle pere al mercato, ma quasi certamente per fatti di sangue. Eppure egli per noi è buono. La sua bontà non si è manifestata tanto nel non fare il male, ma nel lasciarsi guardare dal Bene, da Colui che è il Bene.

Il Cristo sulla croce non ha formulato un codice etico esclusivo, ma ha guardato all’altro – perfino al ladrone – come ad un povero. Io sono fermamente convinto che questa nostra resa – parlo di molti cristiani in occidente – alla mentalità capitalista abbia regalato al marxismo in tutte le sue salse la parola “povero”. Mentre la povertà è qualcosa che è entrata nella storia come “sorella” solo con il Cristianesimo. Noi siamo un popolo di poveri, un popolo di salvati. E non possiamo non essere pieni, nei nostri occhi, di quella tenerezza che ci ha tratto fuori dal nulla.

Chi si lascia prendere dalla foga della giustizia spesso non cerca di restituire a ciascuno le sue responsabilità, ma solo di rintracciare un colpevole, qualcuno da biasimare e da odiare. Nel volto dell’altro, diciamocelo, noi non vediamo anzitutto il volto del povero, ma l’incarnazione della parte più meschina di noi condannando la quale crediamo di poter facilmente condannare e chiudere i conti con noi stessi.

Puniamo nostra moglie, ma forse puniamo noi, puniamo i nostri figli, ma forse puniamo il nostro Io, puniamo il mondo, ma forse puniamo il nostro male, quello che abbiamo terribilmente paura di fare e di essere. Per questo il perdono fa bene: perché riporta l’altro a quello che è, ossia il riflesso di un bene promesso, una parte di me nuovamente amabile.

Noi, pertanto, non abbiamo bisogno di vendetta o di vittoria, noi abbiamo bisogno di lacrime, abbiamo bisogno di misericordia. Per questo vorrei finire spingendomi ancora un po’ oltre e chiedermi chi può restituire uno sguardo del genere alla nostra vita. Forse ci costa ammetterlo, ma solo il divino può salvare l’umano, solo la Presenza del divino cambia, trasforma, perdona. Non sono le nostre idee sulla Chiesa, sul Papa, sulla società, sulla politica, sull’amore o sul lavoro a salvare quello che sta avvenendo. Non è l’esibizione scomposta di una lezione morale che salva il nostro matrimonio, che salva i nostri figli, che salva noi stessi dal mostro che siamo. E’ un Altro. E’ il primo soccorritore che passa quando ancora non è arrivata nessuna ambulanza e – senza indagare troppo – ci prende la mano e ci perdona.

Senza la chiarezza di questo bisogno continueremo a giustificare le decisioni già prese con discorsi fondati su parole in definitiva mai vissute. In fin dei conti noi pensiamo di non aver bisogno di nessuno per guardare nostra figlia, per ascoltare nostro marito o per sopportare il nostro collega molesto. Noi sappiamo già come lui dovrebbe essere e abbiamo fior di teorie pronte a spiegare la bontà del nostro giudizio, la sua stessa ortodossia ed evidenza. Rimane il fatto, però, che lui, che lei, c’è, ci sono. E quel braccio che penzola fuori dalle lamiere all’alba di una mattina di luglio rischia di trovarci pieni di giusti giudizi, ma poveri di vera compassione. Lasciandoci soli nel nostro splendido fortino. Capaci di tutto, ma incapaci di piangere per il povero che vive dentro di noi.

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SENTENZA SARAH SCAZZI/ Sabrina, Cosima e la pietà dell’Innominato che non c’è

Posté par atempodiblog le 1 août 2015

SENTENZA SARAH SCAZZI/ Sabrina, Cosima e la pietà dell’Innominato che non c’è
di Monica Mondo – Il Sussidiario

SENTENZA SARAH SCAZZI/ Sabrina, Cosima e la pietà dell’Innominato che non c’è dans Articoli di Giornali e News n1tn5u

Del delitto di Avetrana, si attendeva la sentenza con malsana ansietà, in un tempo in cui le notizie più gravi non smuovono alcuna attenzione. C’è da riflettere, sulla passione morbosa con cui il pubblico, da sempre, segue le efferatezze della cronaca nera, inscenando discussioni con gli amici, i colleghi, occupando le telefonate con la suocera, per non dire dei talk show serali. D’estate, poi, col caldo il cervello fuma, e non c’è massacro a Kobane o sequestro di cristiani che turbi la stanca resa all’afa. Ma il sangue dietro l’angolo, quello ridesta, spinge agli straordinari in tv e perfino le edicole morenti si rivitalizzano per un po’. E si vogliono sapere tutti i particolari, i dettagli più macabri, si scava nelle esistenze dei presunti assassini, si attendono i processi non, come si dovrebbe, con mestizia, ragionando sul male degli uomini, ma tifando per la sentenza, quasi sempre la più dura. Meglio ancora se i delitti si tingono un po’ di rosa, e c’è di mezzo un tradimento o un segreto amoroso.

Meglio se c’è un’innocente che muova la commozione più superficiale, che un “povero angelo!” non si nega a nessuno. E’ lo stesso pubblico che di solito se ne infischia di testimoniare, di svolgere un dovere civile, di mostrare almeno indignazione davanti alle ingiustizie di diverso tipo. Lo stesso pubblico che, appartato nelle riposte stanze di casa, ha fatto spallucce e pensato a proteggere, coprire, giustificare i criminali, per non aver guai, per non crearsi nemici, perché nulla cambi. E’ accaduto così anche nel delitto Scazzi. La cosa forse più incredibile e passata in sordina è la quantità di dichiarazioni false e inattendibili di molti interpellati a deporre. Un paese chiuso, per una famiglia chiusa, impenetrabile, nei suoi recessi di follia. Come in una novella di Verga, quelle più truci, quelle di una realtà di lupi e sepolti in miniera, con le bestie. Come in una tragedia antica, dove almeno c’era la nobiltà di esagerare gli eventi a scopo catartico. Avetrana è un nome che d’ora in poi alimenterà sospetti e inquietudine, toccherà aggirarsi guardinghi, diffidare di ogni sguardo o sorriso, e spiace per le persone perbene.

Due donne sono in carcere, da anni. Con l’ergastolo davanti, poca roba. Sono madre e figlia, l’assassinata è la loro nipote. Perché? Non s’è mai capito davvero, ed è impossibile forse capirlo. Nessuna possibile causa appare lontanamente plausibile. Gelosia tra due ragazzine? Maddai. La follia, soltanto quella. Eppure per follia non si pianifica ogni cosa, la trappola, la cintura intorno al collo, l’amica in attesa deviata col cellulare, il coinvolgimento del cane guardiano, papà Michele, che obbedisca ancora un volta, e trovi il modo di sbarazzarsi del corpo. Col fratello, pure. E magari si accusi, tanto la sua vita peggio di così. E poi le menzogne, le recite a favor di telecamera, di una ragazza solo un po’ grassoccia e a disagio con quel piercing al naso, ma come tante, come quelle che escono coi nostri figli. Da che mondo ancestrale proviene, su cosa e da chi s’è formata, quali sogni, desideri, futuro, sentimenti covava, se non quelli della vipera, della fiera troppo stupida per non sapere che il male non si può nascondere, viene a galla come i cadaveri gonfi e orrendi dai pozzi.

Piangeva, piange, Sabrina. Prega la madre, invoca i santi (di quale pantheon di divinità feroci?) che consolino questa messa in croce che grida vendetta, come fa ogni buona donna di mafia. Che donne sono, queste due donne, in cui misericordia e amorevolezza, tenerezza sono bandite, per farle dure come scorza e aspre come l’aceto. La corte d’appello, dopo tre giorni di camera di consiglio, ha confermato per entrambe l’ergastolo. C’erano ben sedici giudici popolai, costretti a vedere immagini incancellabili, ad ascoltare oscene scusanti, a pensare ogni attimo agli occhi e ai sogni di quella ragazzina bionda, uccisa da mani che credeva amiche.

Hanno deciso, anche senza prove plateali, arma del delitto, confessioni, eccetera. Si è detto sempre che si trattava di un processo indiziario. Epperò quando gli indizi sono tanti, si sommano, e fanno una prova. Ergastolo, ovvero una vita perduta, distrutta, finita, parrebbe, e allora sarebbe giusta e migliore la fine, per mano propria o di stato. Invece tocca credere che anche quelle due vite disgraziate hanno un senso, perché sono state volute, perché possono fare della loro rovina la salvezza, per se stesse e per gli altri. Possono trasformare le loro mani omicide in mani pronte a curare, sanare, accarezzare, perdonare, anzitutto la propria colpa.

Sì, viene in mente l’Innominato. S’è trovato di fronte un animo grande, che ha avuto pietà anche della sua nefandezza. E’ questa pietà che dobbiamo covare in noi, anche per gli assassini, perché il nostro sistema di detenzione, il nostro modo di guardarli non sia mai privo di speranza e possibilità di perdono. E’ troppo facile sibilare disprezzo, odio, e augurare la morte. Le bestie, fanno così, e non hanno ragione. Cosima e Sabrina, hanno fatto così. Lo sgomento, invece. Che porti a pregare, a osare chiedere la redenzione. O il male ci farà prede, e non avremo più voglia di guardare al domani.

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Una nazione che ha dimenticato la buona notizia
di Angela Pellicciari – Il Tempo

[...] Siamo diventati una nazione senza Dio. Una nazione che ha dimenticato la buona notizia: Gesù è venuto per salvare i peccatori. Cioè noi. La patria del cattolicesimo ha compiuto un’apostasia di massa e non sa nemmeno più cosa sia il peccato. Abbiamo scordato che il peccato ci toglie la vita perché ci separa da Dio autore della vita. E così un prete, durante l’omelia al funerale della ragazza assassinata, può augurarsi che “le bestie” che hanno compiuto un simile misfatto non facciano parte della comunità dei fedeli locali. Ma come? La buona notizia è che Gesù è venuto per quelle bestie. Perché quelle bestie possano cambiare vita e smettere di essere tali.

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