La storia dei “no” e dei “sì” della monaca di Monza

Posté par atempodiblog le 28 août 2015

La storia dei “no” e dei “sì” della monaca di Monza
della prof.ssa Francesca Procaccini (audio) - Radio Maria

monaca e padre

Gertrude è un personaggio storico ed è stata identificata in suor Virginia figlia di Martino de Leyva, feudatario di Monza. Se la figlia è interessante, molto di più lo è il padre, strettamente connesso con lei. Il padre, in ossequio alla legge del maggiorascato, aveva destinato al chiostro tutti i cadetti dell’uno e dell’altro sesso per lasciare l’intero patrimonio familiare al primogenito, chiamato a tenere alto il prestigio del casato.

Si possono già intuire gli elementi che campeggiano nel fosco scenario di questa drammatica storia. Condizionamenti socio-economici e culturali, fondati sull’orgoglio e su uno smodato desiderio di potere, trasformano il padre in un carnefice; sì, una parola forte ma appropriata. Carnefice, freddo e astuto. Egli agisce con una volontà lucida ed inflessibile, seguendo solo la logica del calcolo. Mette in atto le forme più sottili e subdole di violenza psicologica per costringere la figlia, verso la quale non prova alcun sentimento né di affetto né di pietà, a farsi monaca.

Vedremo come la sua strategia sia così demoniaca da far apparire necessarie e ineludibili le decisioni che lui prende contro la volontà della ragazza. Lo stesso Manzoni che è sempre tanto indulgente, sempre pronto a condannare il peccato ma non il peccatore, arriva a dire non ci regge il cuore di dargli il titolo di padre. Sono parole che la dicono lunga, tutto era fuorché un padre. Veramente un tiranno.

La rete tesa con tanto cinismo e spregiudicatezza, con la complicità di tutti, comprese le suore del convento, intrappolerà definitivamente la povera vittima.

[…] Leggiamo il dialogo tra la ragazza e il padre perché è una delle pagine dove l’ipocrisia di quest’ultimo raggiunge l’acme della perfidia, trasformandosi in bieco e palese ricatto.  Ci sono tutti gli estremi del ricatto più subdolo. Ecco, scorriamo qualche riga del testo:

Al legger quella lettera, il principe *** vide subito lo spiraglio aperto alle sue antiche e costanti mire. Mandò a dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a batter il ferro, mentre era caldo. Gertrude comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: – perdono! – Egli le fece cenno che s’alzasse; ma, con una voce poco atta a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiederlo; ch’era cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in somma bisognava meritarlo. Gertrude domandò, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare. Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull’animo della poveretta, come lo scorrere d’una mano ruvida sur una ferita. Continuò dicendo che, quand’anche… caso mai… che avesse avuto prima qualche intenzione di collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un ostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d’onore, com’era lui, non sarebbe mai bastato l’animo di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé. La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però a ogni fallo c’era rimedio e misericordia; che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indicato: ch’essa doveva vedere, in questo tristo accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei…
- Ah sì! – esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.
- Ah! lo capite anche voi, – riprese incontanente il principe. – Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancellato. Avete preso il solo partito onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perché l’avete preso di buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e tutto il merito sopra di voi. Ne prendo io la cura -. Così dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al servitore che entrò, disse: – la principessa e il principino subito -. E seguitò poi con Gertrude: – voglio metterli subito a parte della mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvi come si conviene. Avete sperimentato in parte il padre severo; ma da qui innanzi proverete tutto il padre amoroso.

Non ci sono commenti. Gertrude resta così inchiodata ad una decisione che aborrisce e diventerà spettatrice sgomenta di tutti i festeggiamenti preparati per il grande evento. Passiva, svuotata di qualsiasi volontà si reca l’indomani al monastero per chiedervi di essere ammessa, fingerà perfettamente anche con il vicario incaricato di appurare la sua reale vocazione. Oramai le sue resistenze sono tutte quante crollate. Lei non opporrà più nessuna resistenza.

Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre.

[…] Ci saranno altri “sì” della sventurata, ancora più gravi e inconfessabili.

[…] La sua può essere definita la storia di tanti “no” sognati, progettati, rimandati e mai pronunciati; e di tanti “si” detti per debolezza, per paura, per vergogna e per orgoglio. Ogni “sì” rappresenterà un passo in avanti verso il suo totale degrado morale.

Commenta Attilio Momigliano:

La fonte poetica dell’episodio è il senso di pietà diffuso con cui il Manzoni guarda il formarsi di quell’esistenza colpevole e triste e il sorgere della deformità spirituale di Gertrude; mirabile è la commossa imparzialità con cui segue l’intrecciarsi della colpa e della sventura in quella creatura. […] Dal principio alla fine della storia si svolge anello per anello, una catena che sembra fatale e non è, perché la volontà sicura di Gertrude potrebbe spezzarla in qualunque momento ma Gertrude è debole, e tutti i deboli nelle situazioni difficili sono travolti da un processo a catena, da una serie di atti di inerzia che li portano a scegliere l’unica soluzione di cui sia capace un debole: l’accettazione d’un destino aborrito.

Quindi pietà, tanta pietà, per una creatura a cui è stato negato l’amore. Violentata nelle sue aspirazioni più legittime. Abituata solo a fare dell’orgoglio, dell’ambizione e del potere i suoi punti di forza. […] Le colpe di Gertrude sono il difetto nella volontà, mancanza di responsabilità e rinuncia alla propria libertà interiore. Tutti capisaldi della concezione morale del Manzoni, ma anche capisaldi della morale cristiana. Quindi, lei viene ad essere priva di quello che è necessario per poter operare delle scelte responsabili e buone, nel senso di essere in sintonia con la volontà di Dio.

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