Le cinque sorelle di York e la necessità del rispetto della libertà personale

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2015

“[...] gli educatori hanno la possibilità di far comprendere il valore della vita sacerdotale; se poi sono preti, sarà soprattutto mediante la testimonianza della loro vita che potranno suscitare nei giovani che li avvicinano l’entusiasmo per la vocazione sacerdotale. Ciò tuttavia deve sempre avvenire nel rispetto della libertà personale del giovane, e in un contesto di delicatezza che eviti tutto ciò che potrebbe assumere l’aspetto di una pressione morale”.

di San Giovanni Paolo II

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LE CINQUE SORELLE DI YORK

[…] «Era una splendida e radiosa mattina del bel tempo estivo, e uno di quei monaci neri uscì dal gran portone dell’abbazia, volgendo i passi verso la casa delle belle sorelle. In alto il cielo era azzurro, e in basso la terra era verde; il fiume scintillava nel sole come un viale di diamanti, gli uccelli cantavano nell’ombra degli alberi, l’allodola si librava sui campi ondeggianti di frumento, e l’aria era piena del grave ronzio degl’insetti. Tutto era lieto e sorridente; ma il sant’uomo continuava ad andar triste, con gli occhi volti al suolo. La bellezza della terra non è che un respiro, e l’uomo non è che un’ombra. Che simpatia poteva avere un predicatore per l’una o per l’altra?
[…] «— Eravate molto allegre, figliuole, — disse il monaco.
«— Voi sapete com’è giocondo il dolce cuore di Alice, — rispose la maggiore, insinuando le dita nelle trecce della sorridente fanciulla.
«— E quanta gioia e allegrezza, padre, desta in noi lo spettacolo della natura, radiosa dello splendor del sole, — aggiunse Alice, arrossendo sotto lo sguardo austero del solitario.
«Il monaco non rispose che con un grave cenno del capo, e le sorelle continuarono il loro lavoro in silenzio.
«— Sempre a sciupare un tempo prezioso — disse infine il monaco, volgendosi alla sorella maggiore, — sempre a sciupare un tempo prezioso con codeste inezie. Ahimè, ahimè! Che si debbano così leggermente dissipare le poche bolle sulla superficie dell’eternità… le sole che il Cielo ci concede di vedere di quell’oscuro e profondo fiume!
«— Padre — disse la fanciulla, interrompendo come fecero tutte le altre, il lavoro, — stamattina noi abbiamo pregato, la nostra elemosina quotidiana è stata distribuita alla porta, i contadini malati sono stati curati… tutti i nostri compiti quotidiani li abbiamo eseguiti. Credo che questa nostra occupazione sia innocente.
«— Vedete qui — disse il frate, prendendole il telaietto di mano, — un groviglio intricatissimo di colori vistosi, senza altro oggetto e scopo che di formare un giorno il vano adornamento del vostro sventato e fragile sesso. Giorni e giorni sono stati impiegati in questo folle lavoro, e non è ancora a metà. L’ombra d’ogni giorno che tramonta cade sulle nostre tombe, e i vermi esultano sapendo che noi ci avviciniamo a quella meta. Figliuole, non v’è altro modo di passare le ore che fuggono?
«Le quattro sorelle maggiori abbassarono gli occhi come toccate dal rimprovero di quel sant’uomo; ma Alice levò i suoi, e li posò mitemente sul frate.
«— La nostra cara mamma — disse la fanciulla, — che il Cielo l’abbia in gloria!
«— Amen! — esclamò il frate in tono cupo.
«— La nostra cara mamma — balbettò la bionda Alice, — era ancora viva quando cominciammo questi ricami. Essa ci disse di riprenderli, quando non sarebbe stata più, di continuarli con gioia discreta nelle ore di riposo; ci disse che se avessimo passate insieme queste ore nell’innocente allegria e nelle occupazioni femminili, le avremmo trovate le più felici e tranquille della nostra vita, e che, se, poi, avessimo sperimentato gli affanni e le prove del mondo… se, attratte dalle sue tentazioni e abbagliate dal suo scintillio, avessimo mai dimenticato quell’amore e quel dovere che legava in santo vincolo le figlie d’una diletta madre… un’occhiata all’antico lavoro della nostra comune fanciullezza, avrebbe destato in noi i buoni pensieri dei giorni svaniti e fatto più amorevole e tenero il nostro cuore.
«— Alice dice la verità, padre — osservò la sorella maggiore, con qualche orgoglio. E, così dicendo, ripigliò il lavoro, imitata dalle altre.
«Il ricamo che ciascuna sorella aveva dinanzi a sé era grande e di disegno intricato e complesso; e la trama e i colori di tutti e cinque erano gli stessi. Le sorelle si chinarono leggiadramente sul loro lavoro; il monaco, poggiando il mento sulle mani, guardò dall’una all’altra in silenzio.

«— Quanto starebbe meglio — egli disse, — evitare tali pensieri e occasioni nel tranquillo silenzio della chiesa, consacrando la vostra vita al Cielo! L’infanzia, la fanciullezza, la giovinezza e la vecchiaia svaniscono con la stessa rapidità con cui si susseguono. Pensate che la polvere umana corre verso la tomba, e fissando con occhio fermo quella meta, evitate la nuvola che si leva dai piaceri del mondo, ingannando i sensi dei suoi seguaci. Il velo, figliuole, il velo!

[…] «Le sorelle, unanimi, esclamarono che la loro sorte era comune, e che v’eran dimore di pace e di virtù oltre le mura del convento.
«— Padre — disse la maggiore, levandosi con dignità, — avete udita la nostra risoluzione finale. La stessa pia cura che arricchì l’abbazia di Santa Maria, e ci lasciò, orfane, alla sua santa tutela, ordinò che nessuna costrizione dovesse essere imposta alla nostra inclinazione, ma che saremmo state libere di vivere a nostra scelta. Non ci parlate più d’una cosa simile, per piacere.
Sorelle, è quasi mezzogiorno. Rientriamo, fino a questa sera, in casa. — Con una riverenza al frate, la fanciulla si levò e s’avviò verso l’abitazione tenendo per mano Alice, e le altre sorelle la seguirono.
«Il sant’uomo, che aveva parlato della stessa cosa le altre volte, ma non aveva mai sperimentato un rifiuto così reciso, le seguì a qualche distanza, con gli occhi volti a terra, e con le labbra che si agitavano come pregando. Come le sorelle ebbero raggiunto il portico, affrettò il passo, e gridò loro di fermarsi.
«— Un momento! — disse il monaco, levando in aria la destra e volgendo un’irosa occhiata ad Alice e alla sorella maggiore. — Un momento, e udite da me che cosa sono le memorie che preferite all’eternità, e che si ridestano… se nella grazia furono assopite… per mezzo di futili trastulli. La memoria delle cose mondane è gravata, nell’altra vita, di amare delusioni, di tristezza, di morte; di tristi mutamenti e di mordenti ambasce. Verrà un giorno che un’occhiata a quelle insignificanti futilità aprirà profonde ferite nel cuore di qualcuna di voi, trafiggendola fino in fondo dell’anima. Quando arriva quell’ora… e, badate bene, arriverà… voltate le spalle al mondo a cui vi aggrappate, e cercate il rifugio che avete disprezzato. Trovate la cella più fredda del focolare dei mortali oscurato da tutte le sventure e da tutte le calamità, e piangetevi il sogno della giovinezza. Questa è la volontà del Cielo, non la mia — disse il frate, abbassando la voce e guardando le fanciulle che se ne andavano. — La benedizione della Vergine, figliuole mie, sia sopra di voi.
«Con queste parole scomparve per la porticina; e le fanciulle, rientrate in casa, quel giorno non furono più vedute.
«Ma, benché i monaci possano aggrottar la fronte, la natura continuerà a sorridere, e la mattina dopo, rifulse lo splendore del sole, e ancora la novella mattina, e poi l’altra. E nella luce mattutina, e nella tenera pace della sera, le cinque sorelle continuarono a passeggiare, a lavorare, a passare il tempo in lieti conversari, nel loro tranquillo pometo. [...]

Tratto da: Le avventure di Nicholas Nickleby di Charles Dickens

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