Il beato Giustino M. Russolillo ed Ernest Hello
Posté par atempodiblog le 28 juin 2015
Pensieri tratti da una lettera e dagli appunti del beato Giustino M. Russolillo:
1938
Caro D. Saggiomo,
mi occorre “L’uomo” di Ernest Hello. Sta a Posillipo. Domandare p. es. a Impagliazzo. Mi serve per le nostre stampe ecc.
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16 febbraio 1931
L’umanità ha anche il bisogno di ammirare. E si getta come in ginocchio per chiedere l’elemosina di una qualche cosa sublime. Il superiore, il sacerdote deve soddisfare con il sublime dell’eroismo questo bisogno della comunità e dell’umanità (leggendo Hello: L’uomo).
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11 febbraio 1936 – Da una agenda tascabile del 1932 – Triduo predicato a Posillipo, Bellavista
La funzione materna di Maria per l’alimentazione della vita soprannaturale sta nel metterci in relazione con le persone divine della ss. Trinità e con lo Spirito Santo, che viene prima nell’ordine delle relazioni tra la creatura e il Signore. Nostro bisogno della consolazione!
Prima c’è la liberazione da consolazioni profane, imbarazzi interni, influenze dello spirito del male. Poi purificazione del cuore, poi infusione di consolazioni.
Nisi efficiamini sicut parvuli non intrabitis in regnum coelorum – Se non diventerete come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. (Sonno, sorriso, ebbrezza, secondo Hello).
L’ebbrezza in Hello
Tratto da: Le siècle, les hommes et les idées, di Ernest Hello (traduzione di Giovanni Maria Bertin)
Si confondono due parole che, invece di esprimere cose due simili, esprimono cose due contrarie. Ecco queste due parole, la cui confusione distrugge la luce.
La prima è l’incomprensibile.
La seconda è l’inintelligibile.
L’incomprensibile è al di sopra dell’intelligenza; l’inintelligibile è al di sotto dell’intelligenza.
L’incomprensibile è il mistero.
L’inintelligibile è l’assurdo.
L’incomprensibile, troppo grande per noi, non può entrare tutto intero nella nostra intelligenza, a causa della sua dimensione, e soprattutto se noi parliamo dell’infinito, perché esso ha sorpassato ogni dimensione.
L’inintelligibile, al contrario, non può entrare nel nostro spirito, perché il nostro spirito è troppo grande, cioè troppo vero per lui. L’inintelligibile non può essere colto da noi, perché è senza verità, e perché il nostro spirito è fatto per cogliere la verità almeno in una certa misura.
La nostra intelligenza è una forza che si applica all’Essere.
Quando si tratta dell’Essere assoluto, immenso, infinito, la vocazione della nostra intelligenza è una abdicazione sublime, che lungi d’essere una morte, una restrizione, una diminuzione, è, al contrario, l’atto più fecondo, più attivo, più vivente, più sovrano che essa possa fare.
L’intelligenza è una forza che si esercita sopra un certo dominio. Al di sotto di questo dominio non ha niente da fare, ed ecco l’inintelligibile.
Al di sopra, essa si urta contro un dominio, è il dominio riservato, ed ecco l’incomprensibile.
L’incomprensibile è la cosa che non si abbraccia.
L’inintelligibile è la cosa nella quale non si può leggere.
L’etimologia di queste due parole stabilisce egregiamente la loro differenza.
L’incomprensibile è quello di cui nessuno fa il giro (non comprehendere).
L’ inintelligibile è ciò che non presenta all’occhio dello spirito alcun carattere (Non legere intus).
L’uomo che si ribella contro l’incomprensibile cade abitualmente nell’inintelligibile: c’è lì un castigo che non manca quasi mai.
L’intelligenza che s’inalbera davanti all’incomprensibile riceve questa punizione e questa umiliazione, di curvarsi e flettersi sotto l’inintelligibile.
Colui che rifiuta il mistero, cade nella superstizione.
Ora, la superstizione è ostile allo spirito e lo fa morire.
Il mistero è l’amico dell’intelligenza, egli la nutre e la conserva. L’esalta invece di schiacciarla. Mentre la superstizione la schiaccia invece di esaltarla. L’incomprensibile, è il mistero; è al di là dell’intelligenza. L’inintelligibile, è il non-senso; esso ne è al di qua.
Nei domini dell’inintelligibile, è l’oggetto che fa difetto all’intelligenza.
Nei domini dell’incomprensibile, è l’intelligenza che fa difetto al suo oggetto.
L’uomo non cammina sempre nella pianura, donde la sua intelligenza vede chiaro e lo conduce tranquillamente. Ora pende verso gli abissi dell’inintelligibile, ora si eleva verso le montagne dell’incomprensibile.
L’ebbrezza gli apre l’abisso in cui l’intelligenza lo perde.
L’estasi gli apre la montagna in cui l’intelligenza abdica nella gloria.
Il mistero risponde a uno dei bisogni più profondi della natura umana, il bisogno dell’adorazione.
L’uomo non adora ciò che comprende completamente ed ha ragione, perché ciò che comprende completamente non è l’infinito, e l’adorazione cerca l’infinito, come la bussola cerca il polo.
L’uomo ha sete di mistero, perché ha sete d’infinito. E questa sete d’infinito che spinge le anime superiori sulla strada che non finisce. Esse vanno alla scoperta con la sublime certezza di non scoprire mai tutto.
L’oggetto della ricerca essendo infinito, esso eccede sempre ogni scoperta. Aumenta la sete al tempo stesso che la soddisfa. “Né fame, né sazietà!”, esclama Sant’Agostino e aggiunge: “Io non so con qual nome chiamare questo stato che desidero; ma Dio può soddisfare coloro che non possono neppure più esprimersi, purché credano e sperino!”. Sant’Agostino ha ragione.
Né fame! Né sazietà! Ecco appunto il desiderio dell’uomo. S’egli comprendesse tutto, avrebbe la sazietà.
Se non comprendesse nulla avrebbe la fame. La verità, che talora solleva e talora abbassa i veli, lo protegge dalla fame, con la rivelazione, e dalla sazietà col mistero.
Elia sulla cima dell’Horel vide la tempesta, il terremoto e la folgore. Ma, quando passò il soffio leggero, Elia si velò la testa col suo manto; aveva riconosciuto l’approssimarsi del Signore: il mistero era là. I Serafini che apparvero a Isaia davanti al trono del Signore, si velavano la faccia con le loro ali.
Avevano sei ali; le loro sei ali si dividevano le funzioni di trasportarli e di velarli. Il loro volo e il loro velo avevano lo stesso agente, lo stesso strumento, delle ali, dovunque ali, sempre ali. Il volo ne impiegava due; il velo ne impiegava quattro. Le ali che li esaltavano negli abissi della Luce, li proteggevano anche. I veli che sono delle ali sono veli gloriosi come il volo che li accompagna.
Per volare e per velarsi, essi avevano bisogno di ali, e non avevano bisogno d’altro…
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