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L’assurdo crearsi di superstizioni e pregiudizi

Posté par atempodiblog le 7 juin 2015

Attraverso l’episodio il Manzoni mette in evidenza l’assurdo crearsi di superstizioni e pregiudizi, che in questo caso non ha avuto conseguenze, in altri casi ha portato ad atrocità di ogni genere.

di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco

L’assurdo crearsi di superstizioni e pregiudizi dans Alessandro Manzoni 1zx6yaw

La strada che Renzo aveva presa, andava allora, come adesso, diritta fino al canale detto il Naviglio: i lati erano siepi o muri d’orti, chiese e conventi, e poche case. In cima a questa strada, e nel mezzo di quella che costeggia il canale, c’era una colonna, con una croce detta la croce di sant’Eusebio. E per quanto Renzo guardasse innanzi, non vedeva altro che quella croce. Arrivato al crocicchio che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti, vide a dritta, in quella strada che si chiama lo stradone di santa Teresa, un cittadino che veniva appunto verso di lui.

«Un cristiano, finalmente!» disse tra sé; e si voltò subito da quella parte, pensando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il forestiero che s’avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno sguardo sospettoso; e tanto più, quando s’accorse che, in vece d’andarsene per i fatti suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso che era; e tenendolo con la sinistra, mise l’altra mano nel cocuzzolo, e andò più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo, stralunando gli occhi affatto, fece un passo addietro, alzò un noderoso bastone, e voltata la punta, ch’era di ferro, alla vita di Renzo, gridò: – via! via! via!

- Oh oh! – gridò il giovine anche lui; rimise il cappello in testa, e, avendo tutt’altra voglia, come diceva poi, quando raccontava la cosa, che di metter su lite in quel momento, voltò le spalle a quello stravagante, e continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella in cui si trovava avviato.

L’altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro. E arrivato a casa, raccontò che gli s’era accostato un untore, con un’aria umile, mansueta, con un viso d’infame impostore, con lo scatolino dell’unto, o l’involtino della polvere (non era ben certo qual de’ due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l’avesse saputo tener lontano. – Se mi s’accostava un passo di più, – soggiunse, – l’infilavo addirittura, prima che avesse tempo d’accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch’eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; perché un po’ di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! -

E fin che visse, che fu per molt’anni, ogni volta che si parlasse d’untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: – quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste.

Renzo, lontano dall’immaginarsi come l’avesse scampata bella, e agitato più dalla rabbia che dalla paura, pensava, camminando, a quell’accoglienza, e indovinava bene a un di presso ciò che lo sconosciuto aveva pensato di lui; ma la cosa gli pareva così irragionevole, che concluse tra sé che colui doveva essere un qualche mezzo matto. «La principia male, – pensava però: – par che ci sia un pianeta per me, in questo Milano. Per entrare, tutto mi va a seconda; e poi, quando ci son dentro, trovo i dispiaceri lì apparecchiati. Basta… coll’aiuto di Dio… se trovo… se ci riesco a trovare… eh! tutto sarà stato niente».

Tratto dal CAP. XXXIV de ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni

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“Se la festa del Corpus Domini non esistesse, bisognerebbe inventarla”

Posté par atempodiblog le 7 juin 2015

Padre Raniero Cantalamessa: “Se la festa del Corpus Domini non esistesse, bisognerebbe inventarla”
Per molto tempo quella del Corpus Domini fu l’unica processione in uso in tutta la cristianità e anche la più solenne.
Tratto da: Zenit

“Se la festa del Corpus Domini non esistesse, bisognerebbe inventarla” dans Fede, morale e teologia j9ssbq

Credo che la cosa più necessaria da fare nella festa del Corpus Domini non sia illustrare questo o quell’aspetto dell’Eucaristia, ma ridestare ogni anno stupore e meraviglia davanti al mistero. La festa è nata in Belgio, all’inizio del sec. XIII; i monasteri benedettini furono i primi ad adottarla; Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264, pare anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, oggi venerato a Orvieto.

Che bisogno c’era di istituire una nuova festa? La Chiesa non ricorda l’istituzione dell’Eucaristia il Giovedì Santo? Non la celebra ogni Domenica e anzi ogni giorno dell’anno? Infatti il Corpus Domini è la prima festa che non ha per oggetto un evento della vita di Cristo, ma una verità di fede: la reale presenza di lui nell’Eucaristia. Risponde a un bisogno: quello di proclamare solennemente tale fede; serve a scongiurare un pericolo: quello di abituarsi a tale presenza e non farci più caso, meritando così il rimprovero che Giovanni Battista rivolgeva ai suoi contemporanei: “In mezzo a voi c’è uno che voi non conoscete!”.

Questo spiega la straordinaria solennità e visibilità che questa festa ha acquistato nella Chiesa cattolica. Per molto tempo quella del Corpus Domini fu l’unica processione in uso in tutta la cristianità e anche la più solenne.

Oggi le processioni hanno ceduto il passo ai cortei e ai sit-in (in genere, di protesta); ma se è caduta la coreografia esterna, rimane intatto il senso profondo della festa e il motivo che l’ha ispirata: tenere desto lo stupore di fronte al più grande e più bello dei misteri della fede. La liturgia della festa riflette fedelmente questa caratteristica. Tutti i suoi testi (letture, antifone, canti, preghiere) sono pervasi da un senso di meraviglia. Molti di essi terminano con il punto esclamativo: “O sacro convito, in cui si riceve Cristo!” (O sacrum convivium), “O vittima di salvezza!” (O salutaris hostia).

Se la festa del Corpus Domini non esistesse, bisognerebbe inventarla. Se c’è un pericolo che i credenti oggi corrono nei confronti dell’Eucaristia è quello di banalizzarla. Una volta non la si riceveva così spesso e si dovevano premettere digiuno e confessione. Oggi praticamente tutti si accostano ad essa… Intendiamoci: è un progresso, è normale che la partecipazione alla Messa comporti anche la comunione, esiste per questo. Tutto ciò però comporta un rischio mortale. S. Paolo nella seconda lettura di oggi dice: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”.

Io credo che sia una grazia salutare per un cristiano passare attraverso un periodo di tempo in cui ha paura di accostarsi alla comunione, trema al pensiero di ciò che sta per accadere e non finisce di ripetere, come Giovanni il Battista: “Tu vieni da me?” (Matteo 3, 14). Noi non possiamo ricevere Dio che come “Dio”, conservandogli, cioè, tutta la sua santità e la sua maestà. Non possiamo addomesticare Dio!

La predicazione della Chiesa non dovrebbe aver paura – ora che la comunione è diventata una cosa così abituale e così “facile” – di usare qualche volta il linguaggio dell’epistola agli Ebrei e dire ai fedeli: “Voi vi siete accostati al Dio giudice di tutti…, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quella di Abele” (Ebrei 12, 22-24). Nei primi tempi della Chiesa, al momento della comunione, risuonava un grido nell’assemblea: “Chi è santo si accosti, chi non lo è si penta!”.

Uno che non aveva fatto l’abitudine all’Eucaristia e ne parla sempre con commosso stupore era S. Francesco d’Assisi. “L’umanità trepidi, l’universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull’altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo Figlio di Dio vivo…O ammirabile altezza e degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi sotto poca apparenza di pane!”

Ma non deve essere tanto la grandezza e la maestà di Dio la causa del nostro stupore di fronte al mistero eucaristico, quanto piuttosto la sua condiscendenza e il suo amore. L’Eucaristia è soprattutto questo: memoriale dell’amore di cui non esiste maggiore: dare la vita per i propri amici.

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