L’ipocrisia sociale in don Abbondio
Posté par atempodiblog le 2 juin 2015
L’ipocrisia sociale in don Abbondio
della prof.ssa Francesca Procaccini (audio) - Radio Maria
[…] Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. […]
Don Abbondio si era, dunque, creato un suo sistema per vivere senza problemi né contrasti di sorta e ad un uomo di questa fatta capita ciò che mai avrebbe potuto immaginare. Gli accade, come tutti sanno, di essere aspettato, proprio al termine di quella tranquilla passeggiata, da due bravi:
[…] – Signor curato, – disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.
– Cosa comanda? – rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
– Lei ha intenzione, – proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, – lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
– Cioè… – rispose, con voce tremolante, don Abbondio: – cioè. […]
Diciamo noi: che cos’è questo “cioè”? E’ l’uomo che si mette subito nella posizione di chi ha torto, perché abituato a tremare davanti al più forte, il quale assume il tono del superiore, facendo sentire l’altro in uno stato di inferiorità, ovviamente.
Il prepotente ha il piglio minaccioso ed iracondo. Ed egli risponde con voce tremula, sottomessa. Quello, il prepotente, ha il tono di accusatore e don Abbondio si scusa, quello considera il celebrare il matrimonio come una colpa ed egli dice:
Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi… e poi, vengon da noi, come s’andrebbe a un banco a riscuotere; e noi… noi siamo i servitori del comune.
– Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.
– Ma, signori miei, – replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, – ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ miei panni. Se la cosa dipendesse da me,… vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca…
[…] – Ma, – interruppe questa volta l’altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, – ma il matrimonio non si farà, o… – e qui una buona bestemmia, – o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e… – un’altra bestemmia. […]
– Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: – se mi sapessero suggerire…
– Oh! suggerire a lei che sa di latino! – interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. – A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti… ehm… sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Rodrigo?
– Il mio rispetto…
– Si spieghi meglio!
– … Disposto… disposto sempre all’ubbidienza […]
Don Abbondio vorrebbe continuare a parlare, ma i due non lo ascoltano più e si allontanano. Sapete bene che il povero parroco una volta giunto a casa non riuscirà a tacere e tra mille titubanze e incertezze vuoterà il sacco con la sua perpetua. Ho voluto riportare tutto il dialogo perché si commenta da sé.
Ora riflettiamo un po’: in che consiste l’umorismo del personaggio? Come dice Luigi Pirandello, in un saggio dedicato a don Abbondio, consiste in “avvertimento del contrario” e successivamente nel “sentimento del contrario”.
Mi spiego meglio: ognuno coglie fin da subito la distanza abissale che separa il comportamento di questo prete da quello che si aspetterebbe da un pastore di anime. Addirittura egli accusa i poveri sposi di aver combinato pasticci e di essere andati da lui per riscuotere come si va in banca. Sta veramente farneticando. Vorrebbe convincere i bravi a dargli dei consigli per uscire da quella situazione, si dichiara disposto all’obbedienza nei confronti di chi commette un sopruso e che sopruso. Don Abbondio con i suoi atti timorosi, con i gesti impacciati, con le sue frasi reticenti e del tutto improprie, non può non apparire comico, anzi potremmo dire ridicolo o grottesco.
Tuttavia se riflettiamo un attimo, il personaggio da comico diventa patetico e ci suscita non più riso, bensì un misto di sdegno e di compassione. In quella circostanza ci sarebbe voluto un eroe e invece chi troviamo? Don Abbondio, antieroe per eccellenza. Ecco scattare il “sentimento del contrario”, cioè quella comprensione umana che ci permette di capire il dramma che si nasconde dietro questo povero cristo. Dietro la sua assurdità, per cui è più corretto parlare, sempre secondo Pirandello, di “umorismo”. Sicuramente Manzoni in don Abbondio ha voluto simboleggiare la debolezza della natura umana che non va approvata, ma neppure stigamatizzata come qualcosa che non ci appartiene. Quanti di noi avrebbero avuto il coraggio di disubbidire sapendo con certezza che la minaccia si sarebbe trasformata in azione?
Un altro momento topico del suo umorismo è il soliloquio della sua salita al castello dell’Innominato in compagnia dell’Innominato stesso, come molti ricorderanno. L’Innominato a seguito dell’incontro con il cardinale Federigo ha deciso di cambiar radicalmente vita, ma don Abbondio non credere alla conversione e non vorrebbe seguirlo per andare a confortare Lucia che era ancora presente nel castello dopo il rapimento. […]
Il nostro eroe, don Abbondio, se la prende con i santi che come birboni hanno l’argento vivo addosso, se la prende con don Rodrigo che avrebbe potuto andare in Paradiso in carrozza mentre voleva andare a casa del diavolo a pie’ zoppo, se la prende con l’Innominato che dopo aver messo a soqquadro il mondo con le sue scelleratezze, lo metteva sottosopra con la conversione, se la prende anche con il cardinale perché era troppo precipitoso e si giocava la vita di un povero curato a pari e dispari, come se lo avesse gettato nelle fauci di un leone ed, infine, se la prende con Lucia che era nata per la sua rovina…
Al ritorno dal castello, don Abbondio, teme che i bravi dell’Innominato vedendo il cambiamento del loro padrone possano scambiare lui per un missionario artefice della conversione, un prete che teme di essere scambiato per un missionario. Don Abbondio rimane la stessa povera creatura di sempre anche durante il colloquio con il cardinale Federigo che gli chiede spiegazioni sul matrimonio non celebrato, di fronte alle parole infiammate dallo spirito d carità del suo superiore, il povero prete non trova altra giustificazione che questa: “il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare”. E
così lui si sente giustificato. [...] Il coraggio massimo lo ha dimostrato Gesù Cristo morendo sulla Croce per noi. [...] L’unica motivazione, l’unica sollecitazione, è l’amore: l’amore ci da il coraggio di agire.
L’ipocrisia, il peccato sociale più grave
Ritornando al nostro don Abbondio, la sua era stata una scelta opportunistica, per lui farsi prete significava solo assicurarsi un futuro senza problemi, non c’era stata altra considerazione. Tutto ciò è senz’altro deprecabile, ma c’è una colpa ancora maggiore in don Abbondio ed è la sua ipocrisia.
Il peccato sociale più grave è proprio l’ipocrisia: che falsifica le sue relazioni con i potenti, ai quali rivolge un ossequio obbligato ed insincero, ovvio, ma l’ipocrisia anche con gli umili che cerca di ingannare con la sua superiorità culturale. Come non ricordare la scena in cui accampa scuse al povero Renzo che arriva tutto baldanzoso per fissare l’ora delle nozze. Prima il parroco finge di non ricordare che quello era il giorno stabilito, poi protesta di non sentirsi bene, accenna ad imbrogli e ad ostacoli, a formalità non ancora espletando, enumerando in latino tutti i motivi che rendono non valido il matrimonio. Poi chiede un posticipo delle nozze, sapendo benissimo che bastavano quattro giorni per sconfinare nel periodo dell’Avvento in cui la Chiesa, allora, impediva la celebrazione dei matrimoni. Don Abbondio con il suo latinòrum e, come dice Renzo, vorrebbe intimidire il povero ragazzo analfabeta, e quindi ingannarlo.
Si può cogliere una sorta di parallelismo tra don Rodrigo e don Abbondio. A parte le motivazioni che sono totalmente diverse, entrambi cercano, comunque, di schiacciare il più debole. Il primo con la violenza bieca e brutale, che conosciamo, ed il secondo con la cultura, uno strumento così nobile che diventa, in questo caso, strumento di oppressione del più debole. Questo è gravissimo, pensate quanto grave deve essere stato per il Manzoni che sentiva nella cultura uno strumento di elevazione morale. E’ interessare notare che il Manzoni pur considerando la Chiesa fondata da Cristo e depositaria del messaggio evangelico, come l’unica istituzione in grado di salvare la civiltà dalla catastrofe, non risparmia neppure gli uomini di Chiesa e accanto alla luminosità del cardinale e allo spirito missionario di fra’ Cristoforo pone un don Abbondio.
Luci e ombre si mescolano, ma queste ultime servono soprattutto per far risplendere ancora di più le prime, hanno una funzione. A questo punto mi piacerebbe parlarvi di Donna Prassede, ma lascio prevalere il buon senso e mi fermo qui, comunque dico per chi volesse conoscere questa “santa di mestiere” o rispolverare questo personaggio che basta leggere i capitoli XXV e XXVII.
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