Udienza generale. Teoria gender è passo indietro. Ampia sintesi

Posté par atempodiblog le 15 avril 2015

Udienza generale. Teoria gender è passo indietro. Ampia sintesi
Il Papa ha dedicato la catechesi odierna durante l’udienza generale in Piazza San Pietro “a un aspetto centrale del tema della famiglia: quello del grande dono che Dio ha fatto all’umanità con la creazione dell’uomo e della donna e con il sacramento del matrimonio. Questa catechesi e la prossima riguardano la differenza e la complementarità tra l’uomo e la donna, che stanno al vertice della creazione divina”. Le due che seguiranno, saranno sul Matrimonio.
di Radio Vaticana

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Differenza tra uomo e donna è per la comunione
Papa Francesco ha iniziato con un breve commento al primo racconto della creazione, nel Libro della Genesi. “Qui leggiamo che Dio, dopo aver creato l’universo e tutti gli esseri viventi, creò il capolavoro, ossia l’essere umano, che fece a propria immagine: «a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Come tutti sappiamo – ha detto – la differenza sessuale è presente in tante forme di vita, nella lunga scala dei viventi. Ma solo nell’uomo e nella donna essa porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti (26-27): uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio. Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio”.

L’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna
“L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna”.

Teoria del gender, espressione di frustrazione: è passo indietro
“La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, e lo è per tutti, non solo per i credenti. Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta”.

La voce della donna abbia peso reale nella società e nella Chiesa
“Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. I segnali sono già preoccupanti, e li vediamo. Vorrei indicare, fra i molti, due punti che io credo debbono impegnarci con più urgenza. Il primo. E’ indubbio che dobbiamo fare molto di più in favore della donna, se vogliamo ridare più forza alla reciprocità fra uomini e donne. E’ necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa. Il modo stesso con cui Gesù ha considerato la donna, – ma diciamo che il Vangelo è così – in un contesto meno favorevole del nostro, perché in quei tempi la donna era proprio al secondo posto , no? E Gesù l’ha considerata in una maniera che dà una luce potente, che illumina una strada che porta lontano, della quale abbiamo percorso soltanto un pezzetto. Ancora non abbiamo capito in profondità quali sono le cose che ci può dare il genio femminile, le cose che la donna può dare alla società e anche a noi, che sa vedere le cose con altri occhi che completano il pensiero degli uomini.  E’ una strada da percorrere con più creatività e audacia”.

Crisi di fiducia in Dio genera crisi alleanza uomo-donna
“Una seconda riflessione riguarda il tema dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. Mi chiedo se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna. In effetti il racconto biblico, con il grande affresco simbolico sul paradiso terrestre e il peccato originale, ci dice proprio che la comunione con Dio si riflette nella comunione della coppia umana e la perdita della fiducia nel Padre celeste genera divisione e conflitto tra uomo e donna. Da qui viene la grande responsabilità della Chiesa, di tutti i credenti, e anzitutto delle famiglie credenti, per riscoprire la bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza tra l’uomo e la donna. La terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza tra l’uomo e la donna è vissuta nel bene. E se l’uomo e la donna la cercano insieme tra loro e con Dio, senza dubbio la trovano. Gesù ci incoraggia esplicitamente alla testimonianza di questa bellezza che è l’immagine di Dio”.

Dare a uomo e donna stessa dignità e uguaglianza
Infine, salutando i fedeli di lingua araba, ‎il Papa ha detto: “Dio creò l’uomo, maschio e femmina, a ‎sua ‎immagine, dando ad entrambi la stessa dignità e uguaglianza: ‎lavoriamo, nella ‎Chiesa e nella società, affinché tale uguaglianza ‎venga rispettata, rifiutando ogni ‎forma di‏ ‏sopruso o di ‎ingiustizia, in particolare contro le donne”.

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Perché alcuni peccati li assolve solo il Papa?

Posté par atempodiblog le 15 avril 2015

Perché alcuni peccati li assolve solo il Papa?
In occasione del Giubileo Papa Francesco invierà dei “missionari della carità” con l’autorità di rimettere i peccati riservati alla Sede apostolica
di Chiara Santomiero – Aleteia
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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Il Codice di diritto canonico prevede che ci siano dei peccati che i sacerdoti normali non possono assolvere e quindi bisogna ricorrere a qualcuno più in alto, cioè ad un penitenziere maggiore.

Avviene qualcosa di simile nella cura delle malattie: quando un medico non è abbastanza esperto, si ricorre ad uno specialista. E’ il caso dell’aborto, la cui assoluzione è riservata al vescovo o a un confessore da lui delegato. Per farsi assolvere dai peccati riservati al vescovo si ricorre al canonico penitenziere che si trova in ogni Chiesa cattedrale. Per un antico privilegio mai revocato possono assolvere dall’aborto anche i sacerdoti religiosi degli ordini mendicanti come domenicani, francescani, agostiniani e carmelitani.

I peccati che non possono essere assolti nemmeno dal vescovo sono cinque e per essi si deve ricorrere direttamente al Papa. Nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia “Misericordiae vultus” papa Francesco ha disposto che alcuni “Missionari della Misericordia” da lui inviati in tutto il mondo in occasione della Quaresima avranno l’autorità di rimettere anche questi peccati.

Si parla di peccati riservati alla Santa sede secondo la dizione del Codice di diritto canonico del 1917, valida ancora oggi. Sono:

– la profanazione dell’Eucarestia. Il Can 1367 prevede che “Chi getta via le specie consacrate oppure le sottrae o le ritiene a scopo sacrilego, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica”. La formula “latae sententiae” significa che non c’è bisogno di una dichiarazione esplicita per incorrere in questa pena severa, ma basta commettere l’atto per cui la pena è prevista.

– la violenza fisica contro il Pontefice: “Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice, incorre nella scomunica latae sententiaeriservata alla Sede Apostolica” (Can. 1370, § 1).

l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento, cioè chi compie atti sessuali con un sacerdote non può essere assolto da lui. Se il sacerdote lo facesse l’assoluzione non è valida, eccetto in punto di morte, come previsto dal Can 977, e quindi il sacerdote incorre in una scomunica riservata alla Santa Sede, come previsto dal Can 1378, par.1.

– l’ordinazione episcopale da parte di un vescovo senza mandato del Papa. “Il Vescovo che conferisca la consacrazione episcopale senza il mandato pontificio, e, similmente, chi riceve la consacrazione dalle sue mani, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica” (Can. 1382).

– la violazione del sigillo sacramentale (Can. 1388, par.1), cioè quando un sacerdote rivela i contenuti della confessione. Il sigillo o segreto sacramentale è inviolabile, e pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa. All’obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l’interprete per la confessione, se c’è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta notizia dei peccati dalla confessione (Can. 983).

In punto di morte chi si confessa, anche se lo fa presso un sacerdote sospeso a divinis, ottiene sempre una assoluzione valida.

Con la pubblicazione nel 2010 delle nuove Norme sui “gravioribus delictis” sono state introdotte altre fattispecie di peccato riservate alla Santa Sede, tra cui l’attentata ordinazione delle donne, e sono state precisate norme riguardo ai primi cinque peccati. Più specificamente è stata inseritia la registrazione e divulgazione compiute maliziosamente delle confessioni sacramentali, sulle quali già era stato emesso un decreto di condanna nel 1988.

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Fedor Dostoevskij e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente

Posté par atempodiblog le 15 avril 2015

Fedor Dostoevskij e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente
di Francesco Mario Agnoli – Libertà e Persona

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Martedì 24 marzo un redattore del quotidiano “La Voce di Romagna” si è andato a leggere il “Diario di uno scrittore” di Fedor Dostoevskij e ne ha tratto un breve articolo così presentato: “Dostoevskij aveva previsto tutto 140 anni fa: I cristiani vengono massacrati per opera di un’odra musulmana selvaggia e l’Europa è indifferente”. In realtà più che di una previsione si tratta di una constatazione. Solo che la Storia a volte si ripete.

Siamo nell’estate del 1876 e l’Europa e la Russia sono, come oggi, alle prese con la “questione d’Oriente”. Una questione che 140 anni fa era incentrata sulle convulsioni preagoniche dell’Impero turco e i cristiani perseguitati e massacrati non erano ancora quelli armeni (non ci mancava tanto), o di oggi, ma quelli della Bosnia, dell’Erzegovina e, soprattutto, della Bulgaria (a difesa dei quali la Russia farà, di lì a un anno, guerra alla Turchia). L’ortodosso, slavofilo Dostoevskij si indigna e scrive: nel “Diario” (che in quegli anni veniva regolarmente pubblicato ogn i due mesi): “Tutta l’Europa, o per lo meno, i suoi rappresentanti più eminenti, quegli stessi uomini e quelle stesse nazioni che hanno gridato contro la schiavitù, hanno distrutto il commercio dei negrieri, distrutto in casa loro il dispotismo, proclamato i diritti dell’uomo, creata la scienza e sbalordito il mondo con la sua forza, che hanno animato e celebrato l’anima umana con l’arte e i suoi ideali, acceso l’entusiasmo e la fede nel cuore degli uomini, promettendo loro in un prossimo futuro giustizia e verità; a un tratto questi stessi popoli e nazioni, tutti (quasi tutti), in un dato momento hanno voltate le spalle a milioni di esseri infelici, cristiani, uomini, loro fratelli, morenti, insultati, e aspettano con impazienza, e sperano l’istante in cui essi saranno schiacciati, come serpi, come cimici, e ammutoliranno finalmente le loro disperate grida di aiuto, che ora irritano e agitano l’Europa. Perché proprio serpi e cimici li ritengono, anzi peggio: decine, centinaia di migliaia di cristiani vengono massacrati come si elimina una rogna perniciosa, vengono estirpati dalla faccia della terra con tutte le radici. Sotto gli occhi dei fratelli morenti le sorelle vengono violentate, sotto gli occhio delle madri i bambini lattanti vengono scagliati in aria e ripresi a volo con le baionette; i villaggi sono distrutti, le chiese ridotte in macerie, tutto spietatamente sterminato, e ciò per opera di un’orda musulmana selvaggia, infame, maledetta, avversaria della civiltà”.

Sembra il quadro dell’Iraq e, ancor più, della Siria di oggi, con i cristiani perseguitati e uccisi dall’orda musulmana dell’IS (“autentico islam” lo ha definito il consulente della Casa Bianca Edward Luttwak ) e della Jihad. E anche oggi, come allora, non si tratta “dell’opera di una schiera di briganti, raccoltisi casualmente durante una rivolta o il disordine di una guerra (…) I briganti agiscono per ordine ricevuto, per disposizione dei ministri e dei dirigenti dello Stato, dello stesso sultano”. Magari non sarà proprio di un’armata al dichiarato servizio di un sultano o di un presidente della Repubblica, ma certamente, oggi come allora, nemmeno di briganti o altri disperati riuniti dal caso o da qualche sventura. In centoquarant’anni le armi della diplomazia si sono affinate, l’ipocrisia è aumentata e divenuta di rigore per chi non vuole finire nell’elenco degli “Stati canaglia”. Di conseguenza, difficilmente uno Stato, un governo sono disposti ad arruolare ufficialmente i briganti sotto le proprie insegne, a dare apertamente l’ordine delle stragi. E’ più che sufficiente fornire un “progetto”, i mezzi, le armi, l’addestramento per attuarlo, i “santuari”, dove riparare e riorganizzarsi in caso di bisogno. E non sono pochi gli Stati del Vicino Oriente sui quali grava il serio sospetto di avere contribuito, in un momento o nell’altro, in un modo o nell’altro alla nascita o alla crescita dell’Is.

All’epoca di Dostoevskij l’Europa si mostrò indifferente alla sorte dei cristiani ortodossi della Bosnia, dell’Erzegovina e della Bulgaria, tutti sotto dominio turco, ma alla fine consentì, sia pure ponendo condizioni (fra queste non toccare Costantinopoli,, mano libera all’Austria su Bosnia e Erzegovina), di intervenire alla Russia, che, scottata dalla guerra di Crimea, non osava farlo senza il placet europeo. Oggi l’Occidente (l’Europa al di qua e al di là dell’Atlantico, come alcuni amano dire) fa di peggio. Dopo avere finanziato e organizzato i ribelli anti-Assad ed essere stato sul punto di scendere in campo al loro fianco (intervento bloccato all’ultimo momento dall’appello del Papa, dallo sdegno dell’opinione pubblica mondiale, e, soprattutto, dalla Russia di Putin), si appresta a mettere in campo una nuova orda musulmana, che per i cristiani di Siria non sarà migliore di quella che già tanti di loro ha costretto all’esilio e tante stragi e distruzioni ha causato.

La rivista Al-Monitor riferisce che gli Usa si apprestano ad inviare in Turchia 400 esperti militari per addestrare in una base militare turca, situata nella città di Kirsehir, nell’Anatolia centrale (e in altre minori in Arabia Saudita e Qatar), nell’arco di tre anni 15.000 guerriglieri, definiti “moderati” (evidentemente sotto l’aspetto religioso in contrapposizione a “fondamentalisti”), precisando che i primi 2.000, da preparare in tempi brevi, saranno soprattutto turkmeni, provenienti dalle zone di Damasco e Aleppo.    Il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, in una recente intervista a Radio Vaticana, ne ha tratto le debite conclusione, dicendo che la guerra proseguirà finché potenze straniere la alimenteranno, e ha aggiunto: “Statunitensi e turchi hanno appena dichiarato di avere un piano di sostegno e addestramento dei gruppi ribelli per i prossimi tre anni. Quindi hanno già messo in programma che la guerra durerà altri tre anni, e la gente qui continuerà a soffrire e a morire per altri tre anni”. Il vescovo e tutti i cristiani di Siria sanno benissimo che i cosiddetti “moderati”, oltre ad avere una invincibile propensione a passare con i fondamentalisti, non sono molto meglio nel rapporto con i cristiani.

Dostoevskij è scomparso da tempo, ma forse si può ancora sperare nella Russia di Putin.

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Quando Ungaretti credette

Posté par atempodiblog le 15 avril 2015

Quando Ungaretti credette dans Articoli di Giornali e News Giuseppe_Ungaretti_basco-1

Pasqua 1928: Giuseppe Ungaretti – il grande poeta da tutti conosciuto per le sue poesie scritte al fronte durante la prima guerra mondiale-, dopo un periodo trascorso a Subiaco, approda “definitivamente” alla fede cattolica. Suggella la sua conversione con una poesia, La pietà, che inizia con un’ ammissione, “Sono un uomo ferito”,

e continua con versi di questo tenore: “Non ne posso più di stare murato/nel desiderio senza amore/…Fulmina le mie povere emozioni/liberami dall’inquietudine. Sono stanco di urlare senza voce…”.

La conversione di Ungaretti non giunge all’improvviso. Da giovane, come quasi tutti gli uomini di cultura italiani, si innamora del socialismo. Sono gli anni in cui la religione è sostituita dalla politica. La politica è vista come la strada verso la salvezza; è l’azione vera; è la via e la vita. Lo pensano Ungaretti, Mussolini, Battisti, Marinetti e tanti altri.

Pagheremo questa illusione con la prima guerra mondiale e con i suoi figli: comunismo, nazionalsocialismo e fascismo. Cioè con le religione atee della politica. Con l’uomo faber salutis suae; con il sogno di edificare il paradiso in terra. Sogno che genererà l’inferno dei gulag comunisti, dei lager nazisti e la seconda guerra mondiale.

Ungaretti è pienamente figlio di questo tempo. Uno dei tanti socialisti o nazionalisti o nazional-socialisti ante litteram che si gettano con entusiasmo nella prima guerra mondiale, in quell’inutile carneficina che inaugurerà la graduale autodistruzione dell’Europa. Questa guerra, pensa Ungaretti, porrà fine a tutte le guerre. Incendierà il mondo vecchio, per creare il mondo nuovo.

Ma non esiste solo l’utopia; ci sono anche i fatti. Al fronte, sulle montagne del Carso, sull’Isonzo, Ungaretti depone l’ideologia, perché tocca con mano la realtà: l’odio, la morte, la distruzione, la carne dilaniata dei compagni uccisi; ma anche la speranza, l’attaccamento alla vita, il rapporto di solidarietà tra i commilitoni, e il senso di Dio.

Qui, infatti, nel dolore e nella durezza di ogni giorno, Dio riaffiora. Nasce così una poesia poco studiata, benché contenuta nella celebre raccolta “L’Allegria”. E’ del 1916, e si intitola Dannazione. Sono pochi, bellissimi versi: “Chiuso tra cose mortali/ (anche il cielo stellato finirà)/ perché bramo Dio?”.

Il sentimento religioso è già tutto qui: ogni cosa muore, persino “i cieli, passeranno”; eppure nell’uomo, e solo in lui, vi è il desiderio di Dio. Un desiderio che non può rimanere “murato”, e che non può neppure essere saziato da cose, ideologie, illusioni mortali.

L’uomo desidera nulla di meno di Dio, del Bene, della Verità. Desidera nulla di meno dell’Amore. E questo desiderio, potremmo chiosare, balzando dalla poesia alla filosofia, trascende la nostra carne: non viene dai nostri atomi, nè dal nostro intestino. Sgorga dalla nostra anima immortale.

In una nota a Sentimento del tempo, Ungaretti scrive: “La sensazione dell’assenza radicale dell’essere è forse, in realtà, sensazione dell’assenza divina? Solo Dio può sopprimere il vuoto, essendo, Egli, l’Essere, essendo, Egli, la Plenitudine? E’ il sentimento dell’assenza di Dio in noi, rappresentato non simbolicamente, rappresentato, in realtà, da quell’orrore del vuoto, da quella vertigine, da quel terrore? Michelangelo e alcuni uomini dalla fine del ‘400 sino al ‘700 avevano, in Italia, quel sentimento, il sentimento dell’orrore del vuoto, cioè dell’orrore di un mondo privo di Dio”.

Nel 1931, già convertito, Ungaretti scrive un’altra poesia intitolata, come quella del 1916, Dannazione, ma molto più lunga. Sono riflessioni dell’uomo di fede che vacilla, che sente di poter di perdere il tesoro trovato, e che nel contempo ha una consapevolezza ormai incancellabile del suo valore: “Quest’anima/ che sa le vanità del cuore/e perfide ne sa le tentazioni/e del mondo conosce la misura/ e i piani della nostra mente giudica tracotanza,/ perché non può soffrire/ se non rapimenti terreni?/ Tu non mi guardi più, Signore…/E non cerco se non oblio/ nella cecità della carne”.

La carne: cioè gli inganni del mondo, le tentazioni che distolgono l’uomo dal vero oggetto del suo desiderio, che lo accecano; ma anche la realtà, il dolore, la gioia vera sperimentata nella vita concreta. Così, in Pietà, il poeta, memore del detto cristiano “caro cardo salutis est” (la carne è il cardine della salvezza), innalza una preghiera: “Purificante amore/ fa ancora che sia scala di riscatto/la carne ingannatrice”.

In generale, per Ungaretti, la Passione precede la Pasqua. E l’uomo che sa vedere oltre la sconfitta, il dolore, la morte, comprende che quello di Cristo è “un amore non vano”; capisce che Cristo è sempre accanto all’uomo, anche là dove il suo nome viene apertamente rinnegato e combattuto.

Lo ribadirà anche nel pieno della seconda guerra mondiale (1944), in Mio fiume anche tu, avendo come sfondo un’altra guerra, l’occupazione di Roma, gli stermini: “… Vedo ora nella notte triste, imparo,/ So che l’inferno s’apre sulla terra/Su misura di quanto/ L’uomo si sottrae, folle,/ Alla purezza della Tua passione…/Cristo, pensoso palpito,/Astro incarnato nell’umane tenebre,/Fratello che t’immoli/ Perennemente per riedificare/ Umanamente l’uomo,/Santo, Santo che soffri,/Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,/Santo, Santo che soffri/ Per liberare dalla morte i morti/ E sorreggere noi infelici vivi,/ D’un pianto solo mio non piango più,/Ecco, Ti chiamo, Santo,/ Santo, Santo che soffri”.

di Francesco Agnoli – La Croce – Quotidiano
Tratto da: Libertà e Persona

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I tre ingredienti per far funzionare la medicina della Divina Misericordia (S. Antonio di Padova)

Posté par atempodiblog le 14 avril 2015

I tre ingredienti per far funzionare la medicina della Divina Misericordia (S. Antonio di Padova) dans Fede, morale e teologia 20fqcg3

«Ottima “preparazione medicinale”, quando con queste tre eccellenti spezie, cioè col pentimento del cuore, con la confessione e con la riparazione dei peccati, unite al balsamo della divina misericordia, per opera del farmacista, cioè dello Spirito Santo, si confeziona il ricostituente per l’anima pentita!»

Sant’Antonio di Padova, Domenica III dopo Pasqua, §11
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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Santa Heilige Lidwina van Schiedam: Mistica e Passione

Posté par atempodiblog le 14 avril 2015

Santa Heilige Lidwina van Schiedam: Mistica e Passione
di Elio Guerriero – Avvenire

«La mistica è una missione particolare, un servizio alla Chiesa che viene adempiuto correttamente nell’incessante distacco da sé, nell’autodimenticarsi e nella servile disponibilità alla parola di Dio».
di Adrienne von Speyr

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Lidvina o Liduina nacque a Schiedam, a sud di Rotterdam in Olanda, verso il 1380. Bella ragazza, richiesta in sposa già a 12 anni, rifiuta le nozze chiedendo a Dio di amare lui solo. A 15 anni si rompe una costola, che le provoca una lesione interna, dalla quale non guarirà più. È costretta a letto, afflitta da una serie impressionante di mali. Per di più si nutre solo di poche briciole di pane spezzato nel latte e di un spicchio di mela. Passa le giornate distesa su un pagliericcio poggiato su una tavola di legno, totalmente immersa negli esercizi spirituali. Morta la mamma, è assistita da una vicina alla quale racconta le sue visioni, le sue visite in spirito agli infermi, i suoi viaggi in paradiso e all’inferno, i suoi pellegrinaggi ai santuari del tempo.

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Di lei si interessano i medici, perché Lidvina smentisce ogni loro prognosi; gli ecclesiastici, per lo più aderenti alla Devotio moderna, sospettosi verso i fenomeni mistici; e soprattutto i semplici fedeli. Questi accorrono per assistere ai numerosi prodigi, per vedere quel corpo martoriato nel quale si manifesta la potenza di Dio. Ella viene ormai considerata una santa viva che guarisce dalle malattie, opera miracoli, consiglia e profetizza. Insieme alle persone semplici, accorrono ora anche i potenti e i dotti. Tutti vogliono confidarsi con lei, che vorrebbe solo dedicarsi alle sue pratiche religiose. La più famosa fra le mistiche della Passione muore il 14 aprile 1433.

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Santa Liduina
di Domenico Agasso – Famiglia Cristiana

Sta pattinando con giovani e ragazze sulle distese ghiacciate presso il villaggio di Schiedam, e a un tratto cade, come avviene spesso a tutti. Ma poi non si rialza. C’è una costola fratturata, forse con lesioni interne. Portata a casa, la mettono subito a letto. Lei ha quindici anni: e in quel letto rimarrà per altri 38. Per sempre, fino alla morte. Prima della disgrazia aveva rifiutato un matrimonio combinato dai parenti (secondo l’uso del tempo) quando lei era sui dodici anni. Dopo l’incidente sopraggiungono altre malattie, in una disgraziata successione che trova impotenti i medici. Non guarisce, non muore, i dolori incrudeliscono, Liduina è a un passo dalla disperazione.

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Le viene in aiuto un prete, Giovanni de Pot, con discorsi sereni sulla sofferenza innocente di Gesù Cristo; ingiusta, ma salvatrice. Allo stesso modo, le dice, la frattura e gli altri suoi mali non sono una sciagura priva di senso. Al contrario, sono un’impresa che le affida il Signore: ora lei, dal suo letto, può collaborare alla Redenzione; ogni dolore suo porta salvezza ad altri. E Liduina dice di sì: se il patire ha quel senso e quella funzione, lei lo accetta. Solo, chiede qualcosa, un segno dall’alto – come hanno fatto certi personaggi dell’Antico Testamento – che confermi la volontà divina. E lo ottiene, scrivono i suoi biografi, citando le testimonianze: sopra il suo capo appare splendente l’Ostia eucaristica. E la vedono anche parenti e vicini, i quali poi rifiutano di ascoltare il parroco, accorso anche lui, che parla di “frode del demonio”. Anzi, ricorrono al vescovo, che manda a Schiedam un altro sacerdote.

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Dopo il fatto, è naturale che a casa sua venga gente anche da paesi vicini: le voci di miracolo attirano. Ma, col tempo, altri arrivano da Rotterdam, da vari luoghi della Contea d’Olanda, soggetta all’epoca ai Wittelsbach di Baviera. E poi dalle Fiandre, dalla Germania, perfino dall’Inghilterra. Non vengono più per il miracolo di quel giorno. Vengono per lei, perché lei è ora il miracolo. E la sua casa è il luogo della speranza. La sua voce guida la preghiera e orienta la vita di chi l’avvicina: malati e sani, buoni cristiani e furfanti, ricchi e poveri; qualcuno si traveste o si maschera per non farsi riconoscere dagli altri, ma davanti a lei si mostra com’è. Liduina accoglie tutti: ascolta, parla, soffre, consiglia, e quelli lasciano casa sua come uscendo da una festa: la malata incurabile libera i robusti dai loro mali segreti.

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La sua opera si conclude nella Settimana santa del 1433, quando le viene preannunciata in modo soprannaturale l’imminente morte, che arriva il martedì dopo la Pasqua. Leggera è la sua bara, perché Liduina passava giorni e giorni senza cibo, e si è ridotta a un’ombra e una voce. Nel 1890 papa Leone XIII autorizzerà il culto in suo onore.

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IL CASO/ Da Wojtyła a Francesco: suor Faustina e le “sviste” della Chiesa

Posté par atempodiblog le 13 avril 2015

IL CASO/ Da Wojtyła a Francesco: suor Faustina e le “sviste” della Chiesa
Non tutti sanno, infatti, che l’enorme “sì” che la chiesa sta dicendo alla Divina Misericordia, è stato preceduto da un “no” grande: un “no” pronunciato ai massimi livelli.
di Mauro Leonardi – Il Sussidiario

IL CASO/ Da Wojtyła a Francesco: suor Faustina e le “sviste” della Chiesa dans Articoli di Giornali e News Faustina-e-GPII

Ieri, con la Bolla d’indizione Misericordiae Vultus, è stato indetto a san Pietro il giubileo straordinario della Misericordia. Ho scritto “ieri” nonostante il papa abbia promulgato l’editto nella serata di sabato perché non bisogna dimenticare che per la Chiesa la domenica inizia il sabato sera. E ieri era domenica e non una domenica qualsiasi: era, come chiese Gesù a santa Faustina Kowalska il 22 febbraio 1931,  la domenica della Divina Misericordia. 

Il giubileo della Misericordia vivrà uno dei suoi momenti più alti durante la Gmg del 2016, a Cracovia, città della Kowalska e di Karol Wojtyla. Lì ora c’è il Santuario della Divina Misericordia, inaugurato da san Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio in patria, quello del 2002. Durante quella solenne funzione il papa di allora fece riferimento a una pagina del Diario di quell’umilissima suora nella quale si trovano queste parole di Gesù: “Amo la Polonia in maniera particolare e, se ubbidirà al mio volere, l’innalzerò in potenza e santità. Da essa uscirà la scintilla che preparerà il mondo alla mia ultima venuta”.

San Giovanni Paolo II nell’omelia disse: “Oggi, in questo Santuario, voglio solennemente affidare il mondo alla Divina Misericordia. Lo faccio con il desiderio ardente che il messaggio dell’amore misericordioso di Dio, qui proclamato mediante santa Faustina, giunga a tutti gli abitanti della terra e ne riempia i cuori di speranza. Tale messaggio si diffonda da questo luogo nell’intera nostra amata Patria e nel mondo. Si compia la salda promessa del Signore Gesù: da qui deve uscire ‘la scintilla che preparerà il mondo alla sua ultima venuta’”. Così, con la citazione esplicita del Diario, egli distoglieva l’attenzione dalla sua persona — perché tutti, quando leggevano quelle parole, pensavano che il soggetto fosse il Papa polacco — ma dall’altra, inserendo la citazione in modo esplicito nella sua omelia, attribuiva alle parole riportate dal Diario un rango diverso da quello della semplice “rivelazione privata”: diventavano parole di un Pontefice. 

Contraddicendo tutti quelli che vogliono contrapporre Giovanni Paolo II all’attuale vescovo di Roma, non solo Papa Francesco ha incastonato nel proprio pontificato una anno santo della Divina Misericordia — cioè di quello che è stato “il tema” del pontificato di Karol Wojtyla — ma l’ha imperniato sul santuario della Divina Misericordia di Cracovia e ha nominato protettori di quella Gmg Wojtyla e Kowalska, la santa che il Papa polacco non solo ha beatificato e canonizzato ma, prima ancora, ha disincagliato dalla condanna con cui il Sant’Uffizio aveva colpito se non lei, per lo meno la sua dottrina. 

Non tutti sanno, infatti, che l’enorme “sì” che la chiesa sta dicendo alla Divina Misericordia, è stato preceduto da un “no” grande: un “no” pronunciato ai massimi livelli. Il 28 novembre 1958 quella che è l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede emanava una Decreto in cui stabiliva:
1) doversi proibire la diffusione delle immagini e degli scritti che presentano la devozione della Divina Misericordia nelle forme proposte da suor Faustina;
2)essere demandata alla prudenza dei vescovi il compito di rimuovere le predette immagini che eventualmente fossero già esposte al culto”.

Tale proibizione venne ritirata il 15 aprile 1978 — cioè pochi mesi prima che il pontificato di Giovanni Paolo II iniziasse — “tenuti presenti i molti documenti originali non conosciuti nel 1959, considerate le circostanze profondamente mutate e tenuto conto del parere di molti ordinari polacchi”. Insomma, una specie di: “ci siamo sbagliati perché le traduzioni del Diario che avevamo erano poco fedeli all’originale”.

Tutti gli storici sanno che Karol Wojtyla, allora cardinale e arcivescovo di Cracovia, fu in primissimo piano nel difendere la suora di cui voleva promuovere la causa di beatificazione. Quando nel 2002 durante il suo ultimo viaggio in patria consacrò il santuario, Giovanni Paolo II, improvvisando, disse: «Qui passavo ogni giorno andando a casa dal lavoro alla Solvay e avendo ai piedi un paio di zoccoli. Mai avrebbe immaginato quel ragazzo con gli zoccoli che un giorno avrebbe consacrato la basilica della Divina Misericordia nel luogo dove tante volte aveva sostato in preghiera». 

Rileggo quanto ho scritto finora e lo trovo un po’ tortuoso, un po’ faticoso. Me ne dispiaccio ma, a volte, “fatica” è il nome con cui si aderisce alla vita. Avrei potuto scrivere che Faustina Kowalska è la scrittrice polacca più letta al mondo, e avrei detto il vero perché la sua opera, che si chiama Diario, ha venduto milioni di copie ed è stato tradotto in 30 lingue. Avrei potuto aggiungere che lei di questo non ha mai saputo nulla perché, morta nel 1938 a 33 anni, dava le sue pagine solo al suo direttore spirituale — don Michele Sopocko — che le ha divulgate dopo la sua morte e che per questo ha passato “i guai suoi”, anche se adesso la Chiesa lo ha proclamato beato.

Avrei detto il vero ma non avrei detto la verità, perché amare la Chiesa significa a volte anche parlare dell’attrito che i santi provano standoci dentro. Qualcuno ha detto che a volte la Chiesa perseguita i santi che poi canonizza. È una frase ad effetto che non è vera, perché la Chiesa non procede per dialettica. Siamo noi uomini che, per capire il misterioso corso della storia, ci innamoriamo di tesi, antitesi e sintesi. La Chiesa è fatta dagli uomini e da Dio, e uomini sono sia i santi che “i meno santi”. Certo è che i santi — quelli come san Francesco, come santa Faustina, come san Sopocko — non sono mai usciti dalla chiesa anche quando sembrava che nella Chiesa Dio si vedesse un po’ meno. I santi non hanno cercato né la rivoluzione né la fuga in avanti: hanno lavorato pieni di speranza fiduciosamente abbandonati tra le braccia della Madre della Speranza.

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Gesù brama che gli uomini credano alla Sua Infinita Misericordia

Posté par atempodiblog le 12 avril 2015

Gesù alla venerabile Josefa Menendez:

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«Nel corso dei secoli ho rivelato in diverse maniere il mio amore agli uomini: ho mostrato quanto Mi consuma il desiderio della loro salvezza. Ho fatto loro conoscere il mio Cuore! Questa devozione è stata come una luce irradiante sul mondo, e oggi è il mezzo di cui si serve per commuovere i cuori la maggior parte di coloro che lavorano alla propagazione del mio Regno.

Ora però voglio qualche cosa di più, poiché se chiedo amore in cambio di quello che Mi consuma, non è questo soltanto che desidero dalle anime: bramo che esse credano alla mia misericordia, che aspettino tutto dalla mia bontà, che non dubitino mai del mio perdono!

Sono Dio, ma Dio di amore! Sono Padre, ma un Padre che ama con tenerezza e non con severità. Il mio Cuore è infinitamente santo, ma anche infinitamente sapiente e, conoscendo la miseria e la fragilità umana, si china verso i poveri peccatori con una misericordia in­finita…

Amo le anime dopo il primo peccato, se vengono a chiederMi umilmente perdono, le amo ancora dopo che hanno pianto il secondo peccato, e se cadessero non dico un miliardo di volte, ma dei milioni di miliardi, Io le amo e le perdono sempre, e lavo nello stesso mio sangue l’ultimo come il primo peccato.

Non Mi stanco mai delle anime e il mio Cuore aspetta continuamente ch’esse vengano a rifugiarsi in lui, e ciò tanto più quanto più sono miserabili! Un padre non si prende forse più cura del figlio malato che di quelli sani? Le sue premure e le sue delicatezze non sono forse più grandi per lui? Così il mio Cuore effonde sui pec­catori, con più larghezza ancora che sui giusti, la sua compassione e la sua tenerezza.

Ecco ciò che desidero far sapere alle anime: insegnerò ai peccatori che la misericordia del mio Cuore è ine­sauribile; alle anime fredde e indifferenti che il mio Cuore è un fuoco che vuole infiammarle, perché le ama; alle anime pie e buone che il mio Cuore è la via per pro­gredire verso la perfezione e giungere con sicurezza al termine beato. Infine, alle anime a Me consacrate, ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle anime elette e predilette, Io chiedo una volta di più che Mi diano la loro fiducia e non dubitino della mia misericordia! E’ tanto facile at­tendere tutto dal mio Cuore!».

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I segni della fede

Posté par atempodiblog le 12 avril 2015

I segni della fede
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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La fede è un dono di grazia

Vi è un dolce rimprovero di Gesù all’apostolo Tommaso, il quale non aveva creduto alla testimonianza degli altri apostoli che affermavano di aver visto il Signore risorto. Ma insieme all’affettuoso richiamo dobbiamo cogliere anche un altro aspetto molto importante della pedagogia divina nei confronti della nostra fragilità, che spesso ci fa vacillare lungo in cammino di fede. Gesù viene incontro al desiderio di Tommaso di avere un segno che lo aiuti nell’atto di fede. Gli fa mettere il dito nel posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato, come Tommaso stesso aveva chiesto come condizione per poter credere.

Dio sa che la fede pura, che non ha bisogno di appoggiarsi ai segni, è un punto di arrivo e non di partenza. Infatti quando il cammino spirituale diventa un’autentica esperienza di Dio non si ha più bisogno di segni perché Dio è una presenza più vera e più sicura di qualsiasi cosa materiale che possiamo vedere o toccare. Ma all’inizio, quando la fede bambina fa i primi passi, deve aggrapparsi ai segni per procedere senza inciampare.

La fede è senza dubbio un dono di Dio, ma anche i segni che l’accompagnano lo sono. Non si deve disprezzarli, perché nei momenti di oscurità perfino i santi ne hanno avuto bisogno. Non si deve neppure fare di essi una condizione per credere. Infatti il segno senza la corrispondenza alla grazia non approda a nulla. Non è forse vero che, davanti ai segni più grandi, i cuori induriti non si smuovono? Non fece forse Gesù dei miracoli, come mai prima era accaduto, a conferma della sua autorità divina? Eppure ci furono di quelli che l’accusarono di compiere prodigi con l’aiuto del maligno.

Il segno è un sostegno alla fede se con esso si accoglie la grazia. In questa luce, caro amico, soffermiamoci a meditare quali sostegni mirabili Dio ci ha dato per accompagnarci nel cammino di fede.  [...]

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“E’ importantissimo, signori, sottolineare il fatto empirico e sensibile dell’apparizione pasquale. Se non facciamo questo, noi cristiani corriamo il grande rischio di trasformare il cristianesimo in una gnosi”.

Paolo VI

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L’incredulo Tommaso che ha bisogno di vedere e toccare per poter credere, mette la sua mano nel fianco aperto del Signore e, nel toccare, conosce l’intoccabile e lo tocca realmente, guarda all’invisibile e lo vede veramente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) [...] Noi siamo tutti come Tommaso, l’incredulo, ma noi tutti, come lui, possiamo toccare lo scoperto cuore di Gesù; ed in esso toccare, guardare il Logos stesso, così, mano e cuore rivolti a questo cuore, giungere alla confessione: “Mio Signore e mio Dio”.

Joseph Ratzinger – Guardare al crocifisso

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“Chi crede ai miracoli lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega lo fa perché ha una teoria contraria ad essi”.

Gilbert Keith Chesterton

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L’importanza dei segni
Tommaso viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli
di Padre Ignace de la Potterie

[...] Nell’ultimo episodio Gesù riappare ai discepoli una settimana dopo. Adesso c’è anche Tommaso, assente la prima volta. L’inizio è lo stesso, la vera novità è costituita dalla presenza di Tommaso, che riveste qui un duplice ruolo: essendo «uno dei Dodici» deve aver visto il Signore risorto; ma d’altra parte, lui è anche uno di quelli che non l’ha visto la prima volta e quindi rappresenta un pò tutti noi. Così il caso di Tommaso prefigura l’atteggiamento di tutti i credenti. Perciò vale per tutti l’invito: «Diventa un uomo di fede». Ma poi Gesù dice: «Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto», e l’evangelista utilizza due volte il perfetto. Ma viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli, i quali a loro volta avevano creduto a ciò che aveva detto loro la Maddalena.

Credere sui segni
Gesù dice allora all’apostolo: «Beati coloro che senza aver visto hanno creduto». Su questo versetto c’è molta confusione. Per Bultmann e per Marxsen sarebbe una critica radicale all’importanza dei segni e dell’apparizione pasquale del risorto. Una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore. Il fedele non deve vedere i segni come fatti storici ma come una rappresentazione simbolica che serve a far comprendere l’efficacia della croce. Allora la resurrezione non c’è! Ma un’altra lettura sbagliata è anche quella che traduce: «Beati coloro che senza aver visto crederanno». Non è corretto tradurre con un futuro. Ci sono due verbi all’aoristo, e in tutti gli altri casi di aoristo utilizzati da Giovanni questi hanno valore di anteriorità. Gesù si riferisce quindi al passato ed è questa la ripresa di quanto è accaduto all’inizio del capitolo, cioè il fatto che i discepoli hanno cominciato a credere già sui segni e poi anche sulla testimonianza degli altri senza avere visto il risorto. [...]

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Non è la richiesta di una fede cieca

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Guardare per credere

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Santa Teresina e la Vergine del sorriso

Spesso si dice che santa Teresa del Bambin Gesù non ebbe mai segni, nulla di straordinario, nella sua vita… in realtà non è vero. Dio da a ogni anima dei segni… chi fa un sogno, chi vede gli occhi di un immagine muoversi e così via… i segni sono importanti, come afferma anche padre De la Potterie.

Teresa di Lisieux, gravemente ammalata, tanto da far temere per la sua vita, fu miracolosamente guarita il 13 maggio 1883, domenica di Pentecoste, dall’intervento della Santissima Vergine.

Teresina vide la statua viva e maternamente sorridente, nello splendore della sua eterna giovinezza. Anche su questa vita eccezionale la Santa Vergine ha posto il sigillo di santità. D’altra parte come avrebbe potuto essere la santa dell’infanzia spirituale senza avere la Madonna come Maestra? E non è forse la Madonna colei che ci dona il Bambino Gesù?

Sunto di una riflessione di padre Livio Fanzaga

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Si ami e adori Dio in spirito e verità

Posté par atempodiblog le 11 avril 2015

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Quanto è falsa la nostra idea riguardo all’amore di Dio! Molte anime, anche virtuose, dicono di amarlo ma non ne hanno la vera cognizione e quindi non lo amano nella verità. Ognuna di queste anime ha qualche timore per una qualche cosa che lei pensa, quasi che il Signore fosse un uomo come qualsiasi altro mortale capace di rancori, di ricordi tristi del nostro passato e quindi sente un certo disagio nell’avvicinarsi a lui, a slanciarsi tra le sue braccia misericordiose e così se ne resta continuamente melanconica e non si accende, non si infervora di amore per lui.

Tutto questo lavoro, bisogna riconoscerlo, è opera del demonio che, acceso di odio contro Dio, suggerisce alle anime, specialmente religiose, come ad Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, delle falsità sul conto di Dio e l’anima, come i nostri progenitori, ingannata, aderisce alle false accuse e non adora Dio nella verità; comincia a pensare delle cose false di Dio e del suo essere di amore, dimenticando che egli, se non fosse stato amore infinito, non ci avrebbe creati e non avrebbe dato il suo Figlio unigenito al mondo caduto nella colpa. Torni dunque al suo paese questo demonio ingannatore e si ami e adori Dio in spirito e verità.

del Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Giubileo, la Bolla: «Misericordia, l’amore “viscerale” di Dio»

Posté par atempodiblog le 11 avril 2015

Giubileo, la Bolla: «Misericordia, l’amore “viscerale” di Dio»
Il documento di indizione: sarà aperta una «porta santa» in ogni diocesi. L’appello per la conversione dei criminali e dei corrotti. La confessione da riscoprire: saranno inviati preti «missionari della misericordia» con la facoltà di perdonare anche i peccati riservati alla Santa Sede

di Andrea Tornielli – Vatican Insider

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La misericordia di Dio «non è un’idea astratta, ma una realtà concreta» con cui «rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”». La misericordia è «l’architrave» che sorregge la Chiesa: va riscoperta e vissuta, perché «non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo». Lo scrive Francesco nella bolla di indizione del Giubileo straordinario, intitolata «Misericordiae vultus», consegnata questo pomeriggio ai rappresentanti delle Chiese dei cinque continenti durante i primi vespri della Domenica della Misericordia. Il documento contiene appelli ai criminali e ai corrotti perché si convertano e annuncia la novità di un Anno Santo che avrà per motto «Misericordiosi come il Padre» e sarà diffuso in ogni Chiesa: tutte le diocesi del mondo apriranno una porta santa, una «porta della misericordia» per i pellegrini. «Ho indetto un Giubileo straordinario della Misericordia – scrive Papa Bergoglio – come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti». Francesco ricorda che l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, aprirà la Porta Santa, che «sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza».

Una Porta Santa in ogni diocesi
La domenica successiva, scrive il Papa, si aprirà la Porta Santa nella basilica di San Giovanni in Laterano e quindi nelle altre Basiliche Papali. «Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella cattedrale che è la Chiesa madre per tutti i fedeli, oppure nella concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia». A scelta del vescovo, «essa potrà essere aperta anche nei santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione». Ogni Chiesa locale quindi, sarà direttamente coinvolta: «Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa».

Le parole sul Concilio
Francesco ricorda quindi che l’Anno Santo inizierà nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. «La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia». I padri conciliari «avevano percepito forte» l’esigenza «di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo».

L’amore «viscerale» di Dio
Il Giubileo si chiuderà il giorno di Cristo Re, il 20 novembre 2016. «Come desidero – scrive il Papa – che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro a ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio!». La misericordia di Dio «non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono». Francesco ricorda quindi quanto Gesù abbia compiuto gesti e segni «soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia». E la misericordia, secondo quanto insegnato da Gesù, «diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere».

L’«architrave» (dimenticato) della Chiesa
«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa – aggiunge Francesco – è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole». Forse «per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata». È il tempo «del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli».

Misericordia e credibilità
«È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio – spiega Papa Bergoglio – che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre». Nelle parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, «dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia».

Non giudicare e non condannare
Dopo aver ricordato che il pellegrinaggio è «un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza», Francesco ricorda come Gesù insegni a «non giudicare e a non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello». Quanto «male fanno le parole – aggiunge – quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia!». Non giudicare e non condannare significa, in positivo, «saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto».

Aprirsi ai poveri e ai sofferenti
Il Papa chiede di «aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi». Durante il Giubileo «ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite» e a «curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta». Non bisogna cadere «nell’indifferenza che umilia», e «nel cinismo che distrugge» ma guardare «le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto».

Riscoprire le opere di misericordia
Francesco invita quindi a riscoprire le opere di misericordia corporale e spirituale, «per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo». «Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base a esse saremo giudicati».

La confessione al centro
Il Papa chiede che venga posto «di nuovo al centro con convinzione il sacramento della riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia». E insiste perché «i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre», invitandoli a non essere «padroni» del sacramento, ma fedeli servitori del perdono di Dio. «Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio sebbene avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e a esprimere la gioia per averlo ritrovato».

Inoltre, «non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono».

I «Missionari della misericordia»
Francesco annuncia per la prossima Quaresima l’intenzione di inviare i «Missionari della Misericordia», sacerdoti «a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato». Il Papa chiede ai vescovi «di invitare e di accogliere questi Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono».

Criminali e corrotti: «Cambiate vita!»
Nella bolla di indizione del Giubileo trovano spazio due appelli. «Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita». Francesco li invita a non cadere «nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte a esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire». Un altro appello è per le persone fautrici o complici di corruzione. «Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale». La corruzione «con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici… È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo». Dio, aggiunge Francesco, «non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia».

Non cadere nel legalismo
«Misericordia e giustizia non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà», afferma Bergoglio, invitando a non cadere «nel legalismo» che oscura «il valore profondo che la giustizia possiede». «Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza». Ecco perché «a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento», il Nazareno è stato «rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre». La giustizia «da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo a essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono». Anche se ciò non significa «svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono».

Le indulgenze
In un passaggio della Bolla, Francesco, ripropone la dottrina delle indulgenze. «Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato».

Con ebrei e musulmani
Infine, la Bolla giubilare parla della valenza della misericordia per le religioni ebraica e musulmana, che «la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio». Israele «per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità». L’Islam, da parte sua, «tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani», anch’essi «credono che nessuno può limitare la misericordia divina». L’Anno Santo, è l’augurio conclusivo di Francesco, «possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione».

Qui 2e2mot5 dans Diego Manetti il testo integrale della Bolla  «Misericordiae vultus»

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Papa presiede indizione Bolla Anno Santo: misericordia è essenza Vangelo

Posté par atempodiblog le 10 avril 2015

Papa presiede indizione Bolla Anno Santo: misericordia è essenza Vangelo
Tratto da: Radio Vaticana

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Sarà una cerimonia solenne, presieduta domani pomeriggio alle 17.30 da Papa Francesco, a fare da cornice alla pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia. Dopo la lettura di alcuni brani della Bolla, dal titolo “Misericordiae vultus”, davanti alla Porta Santa della Basilica Vaticana, Francesco presiederà la celebrazione dei Primi Vespri della Domenica della Divina Misericordia, durante la quale consegnerà a sei rappresentanti della Chiesa nel mondo una copia del docuemnto. La festa della Divina Misericordia è legata indissolubilmente a San Giovanni Paolo II, che la introdusse, e al carisma di Santa Faustina Kowalska, che ne fu l’apostola. Alessandro De Carolis ne ha parlato con mons. Jozef Bart, rettore del Santuario della Divina Misericordia di Roma:

R. – La Divina Misericordia ha sempre acceso una straordinaria gioia nei cuori di tutti i fedeli, perché dalla Divina Misericordia scorrono grazie, grazie infinite. Ma quest’anno viviamo la festa della Divina Misericordia nell’annuncio da parte di Papa Francesco dell’indizione dell’Anno Santo e la gioia è ancora tanto più grande in quanto l’indizione dell’Anno Santo avviene proprio con i primi Vespri della Divina Misericordia.

D. – Che cosa l’ha colpita della decisione di Papa Francesco di indire un Anno della Misericordia?

R. – Quando Papa Francesco ha proclamato la decisione di aprire l’Anno Santo della Misericordia, io ho subito fatto riferimento al Pontificato di Giovanni Paolo II il quale ha fatto del suo pontificato l’immagine della misericordia, ma non solo: Giovanni Paolo II, proprio con la sua morte, con i primi Vespri della Divina Misericordia, ha dato un inizio al cammino di misericordia in questo terzo millennio. Giovanni Paolo II ci ha lasciato una grande eredità e questa eredità è racchiusa, contenuta nell’atto della consacrazione alla Divina Misericordia che Giovanni Paolo II ha compiuto il 17 agosto 2002 a Cracovia, nella capitale del culto della Divina Misericordia. In questo atto di consacrazione, Giovanni Paolo II chiede che tutta l’umanità, tutti gli abitanti della terra facciano l’esperienza di questa misericordia. Bene, la proclamazione di Papa Francesco dell’Anno della Misericordia è una risposta a questo atto di consacrazione, perché il Giubileo della Misericordia porterà a far giungere questo messaggio davvero a tutti gli uomini di buona volontà di questa terra.

D. – Lei da tanti anni è a servizio, in questo Santuario, del carisma di Santa Faustina Kowalska che Giovanni Paolo II volle far conoscere a tutto il mondo. Secondo lei, questo carisma in che modo ha arricchito la Chiesa, la vita dei fedeli?

R. – Giovanni Paolo II, nella “Dives in misericordia”, ha scritto che la Chiesa, la missione della Chiesa, in tutti i momenti della sua storia è quella di proclamare il messaggio della Divina Misericordia e di introdurre gli uomini in questa misericordia. Ora, questa misericordia è l’essenza del Vangelo. Papa Francesco dice che la misericordia è il meglio dell’insegnamento di Gesù, ma con Santa Faustina, con la canonizzazione di Santa Faustina, prima Santa del Grande Giubileo – il 30 aprile 2000 – questa Santa, questa mistica porta una nuova luce per la Chiesa, per l’annuncio della misericordia della Chiesa, per la celebrazione, per la pratica di questa misericordia.

E sono le cinque forme del culto che suor Faustina ci consegna: si tratta della festa della misericordia, della coroncina della misericordia, dell’ora della misericordia, dell’immagine della misericordia e la diffusione di questo culto nel mondo, in mezzo alle persone che sono toccate da moltiformi miserie spirituali e materiali.

D. – Fare l’esperienza della misericordia di Dio, fare l’esperienza del Suo perdono significa anche riscoprire il Sacramento della Riconciliazione…

R. – Sì. La Misericordia apre il cuore dell’uomo al Sacramento della Riconciliazione. Questa Misericordia si può toccare con mano e ogni peccatore, ogni uomo emarginato, già condannato umanamente parlando, invece ha la possibilità di rimettersi in piedi e di diventare santo proprio perché la Misericordia di Dio perdona tutti i peccati. E’ bene dirlo che proprio nella Festa della Misericordia – ciò che avverrà poi durante il Giubileo – la Chiesa concede l’indulgenza, il perdono per i peccati, le pene per i peccati commessi, alle condizioni che richiede l’indulgenza della Chiesa.

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L’Immagine, la festa, la coroncina, l’ora santa: le forme del culto alla Divina Misericordia

Posté par atempodiblog le 9 avril 2015

Suor Faustina Kowalska Apostola della Divina Misericordia
L’Immagine, la festa, la coroncina, l’ora santa: le forme del culto alla Divina Misericordia
Mons. Józef Bart – La Santa Sede

L'immagine di Gesù Misericordioso dans Misericordia Gesu_Misericordioso

La prima forma del culto della Divina Misericordia si esprime nella venerazione dell’Immagine di Gesù Misericordioso. Gesù chiede la venerazione pubblica di questa Immagine nelle Chiese di tutto il mondo. Questa venerazione deve essere solenne nel giorno della Misericordia e cioè nella prima Domenica dopo Pasqua. Il ruolo dell’Immagine è duplice:

1) Essa serve sia a Gesù sia agli uomini. Per Gesù l’Immagine è uno strumento attraverso il quale distribuisce la sua Grazia. Agli uomini l’Immagine serve come un recipiente con il quale attingono la Grazia dalla fonte della Misericordia (Quaderni di Suor Faustina, Parte I, n. 138).

2) L’Immagine è un segno che ricorda agli uomini la richiesta di compiere atti di misericordia o attraverso l’azione, o attraverso la parola, o attraverso la preghiera (Quaderni… , II, 162). Non dimentichiamo che la venerazione dell’Immagine senza la fiducia nella Divina Misericordia e la pratica di questa virtù non è adorazione della Divina Misericordia. Se veneriamo l’Immagine pieni di fiducia otteniamo da Gesù che la Sua Misericordia non soltanto ci salverà dalla perdizione eterna ma, come ha promesso Gesù, si occuperà dei nostri problemi puramente terreni, come se fossero i suoi. In breve, la promessa legata all’autentica venerazione dell’Immagine riguarda il progresso sulla strada della santità, la buona morte e la salvezza eterna.

La festa della Divina Misericordia

La seconda forma del culto della Divina Misericordia riguarda la festa della Divina Misericordia. Essa occupa nel Diario di Suor Faustina un posto centrale. Infatti Gesù già nella prima rivelazione ha fatto conoscere a Faustina la sua volontà di istituire questa festa e di celebrarla la prima Domenica dopo Pasqua. La scelta di questa Domenica indica chiaramente che nei piani di Dio esiste uno stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e questa festa dedicata a far capire l’aspetto della Misericordia compreso nel mistero della nostra Redenzione. Gesù richiede che questa festa sia preceduta dalla Novena che consiste nella recita della Coroncina alla Misericordia. Il Signore acclude a questa Novena la promessa: “Durante questa novena elargirò alle anime grazie di ogni genere”(Quaderni…, II, 197). Gesù chiede che durante la Festa della Misericordia venga solennemente benedetta I’Immagine che rappresenta la stessa Divina Misericordia e chiede la venerazione pubblica di tale Immagine in quel giorno.

Oltre a questo, il Signore vuole che i sacerdoti in quel giorno parlino nell’omelia della Divina Misericordia e dimostrino alle anime l’inconcepibile Misericordia di Gesù nella sua Passione e in tutta l’opera della Redenzione. La Festa della Divina Misericordia, secondo l’intenzione di Gesù, deve essere il giorno di riparazione e di rifugio per tutte le anime e specialmente per quelle dei poveri peccatori.

In questo giorno, infatti, l’immensa generosità di Gesù si spande completamente sulle anime infondendo grazie di ogni genere e grado, senza alcun limite, anche le più impensabili. Ne è la prova la grazia particolarissima che Gesù ha legato alla festa della Misericordia. Essa consiste nella totale remissione dei peccati che non sono stati ancora rimessi e di tutte le pene derivanti da questi peccati. La grandezza di questa grazia è in grado di ravvivare in noi la fiducia illimitata che Gesù desidera offrirci in questa giornata della Misericordia. La peculiarità della festa della Divina Misericordia che la distingue da tutte le altre feste e da tutte le altre forme di culto sta:

1) Nell’universalità dell’offerta di Dio a tutti gli uomini, anche a quelli che fino a questo momento non hanno mai praticato il culto alla Divina  Misericordia e cioè anche i peccatori che si sono convertiti. Essi sono chiamati a partecipare a tutte le grazie che Gesù ha promesso di elargire il  giorno della Festa.

2) La perfezione e la straordinarietà della festa della Misericordia si rivela nel fatto che durante questa giornata vengono offerti agli uomini tutti i  generi di grazie, sia spirituali che corporali, sia per i singoli, per le  comunità e per l’umanità intera.

3) Infine tutti i gradi della grazia sono in questo giorno alla portata di tutti, “In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le  grazie divine” ( Quaderni…, II, 138). Proprio  tale generosità di Gesù estesa contemporaneamente a tutte le anime è il motivo che permette di supplicare la Divina Misericordia con una grande ed illimitata fiducia per tutti i doni della Grazia che il Signore vuole distribuire durante questa festa. Infatti è proprio questa fiducia che apre a noi i tesori della misericordia. Ora è chiara la portata universale del desiderio di Gesù di celebrare questa festa quale rifugio di tutte le anime.

La Coroncina alla Divina Misericordia

Il terzo modo di adorare la Divina Misericordia si esprime, secondo l’intenzione di Gesù, per mezzo della preghiera della Coroncina alla Divina Misericordia. Attraverso questa preghiera noi offriamo al Padre Eterno tutta la Persona di Gesù, cioè la Sua divinità e tutta la Sua umanità che comprende corpo, sangue e anima. Offrendo al Padre Eterno il Figlio amatissimo, ci richiamiamo all’amore del Padre per il Figlio che soffre per noi. La preghiera della Coroncina si può recitare in comune o individualmente. Le parole pronunciate da Gesù a Suor Faustina, dimostrano che il bene della comunità e di tutta l’umanità si trova al primo posto: “Con la recita della Coroncina avvicini a Me il genere umano” (Quaderni…, II, 281) Alla recita della Coroncina Gesù ha legato la promessa generale: “Per la recita di questa Coroncina Mi piace concedere tutto ciò che Mi chiederanno” (Quaderni…, V, 124 -125). Nello scopo per il quale viene recitata la Coroncina Gesù ha posto la condizione dell’efficacia di questa preghiera: “Con la Coroncina otterrai tutto, se quello che chiedi è conforme alla Mia Misericordia”  (Quaderni…, VI, 93). In altre parole, il bene che chiediamo deve essere assolutamente conforme alla volontà di Dio. Gesù ha promesso chiaramente di concedere grazie eccezionalmente grandi a quelli che reciteranno la Coroncina. Si tratta delle tre grandi promesse:

1) Chiunque reciterà la Coroncina alla Divina Misericordia otterrà tanta misericordia nell’ora della morte – cioè la grazia della conversione e la  morte in stato di grazia – anche se si trattasse del peccatore più incallito (Quaderni…, II, 122).

2) Gesù ha promesso la grazia della conversione e della remissione dei peccati  agli agonizzanti in conseguenza della recita della Coroncina da parte degli stessi agonizzanti o degli altri (Quaderni…, II, 204 – 205).

3) Tutte le anime che adoreranno la Mia Misericordia e reciteranno la Coroncina nell’ora della morte non avranno paura. La Mia Misericordia li proteggerà in  quell’ultima lotta (Quaderni…, V, 124). Poiché queste tre promesse sono molto grandi e riguardano il momento decisivo del nostro destino, Gesù rivolge proprio ai sacerdoti un appello affinché consiglino ai peccatori la recita della Coroncina alla Divina Misericordia  come ultima zattera di salvezza (Quaderni…, 11, 129).

L’Ora della Misericordia

La quarta forma del Culto della Divina Misericordia è la preghiera delle ore tre del pomeriggio, in altre parole l’Ora della Misericordia. In quest’ora Gesù ci chiede di meditare sulla Sua Passione percorrendo magari la Via Crucis o, in mancanza di tempo, di raccoglierci per un breve momento in preghiera recitando per esempio la breve orazione: “Oh Sangue ed Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di Misericordia per noi, confido in Te” (Quaderni…, 1, 99). In quell’ora Gesù suggeriva a Faustina di chiedere Misericordia per tutto il mondo e per tutti i peccatori. Sappiamo che le tre pomeridiane sono l’ora della morte di Gesù e quindi l’ora della grande Misericordia per tutto il mondo. In quell’ora Gesù promette: “Non rifiuterò nulla a chi Mi prega per la Mia Passione” (Quaderni…, IV, 59). Gesù ha posto tre condizioni perché questa preghiera sia esaudita: – deve essere rivolta a Lui; – deve aver luogo alle tre del pomeriggio; – deve basarsi sul valore e sui meriti della Sua Passione. Certamente, oltre a ciò, come per tutte le promesse legate alle altre forme della devozione, la preghiera deve essere fiduciosa e costante e chi prega deve praticare la Misericordia. L’ora della Misericordia è destinata ad essere praticata da tutti gli uomini.

Diffusione del culto

Il quinto modo per adorare la Divina Misericordia consiste nel diffondere le varie forme di questo Culto. Dobbiamo essere consapevoli che invitare gli altri al culto della Misericordia è oggettivamente servizio maggiore di quello che si pratica da soli. Gesù ha legato a questa forma del culto alla Divina Misericordia due promesse: La prima è la protezione materna: “Le anime che diffondono il Culto della Mia Misericordia le proteggo per tutta la vita come una tenera madre protegge il suo bambino” (Q III, 20 – 21); La seconda promessa riguarda l’ora della morte: “Verso le anime che esalteranno e faranno conoscere ad altri la Mia Misericordia nell’ora della morte mi comporterò secondo la Mia Misericordia infinita” (Q III, 161);

Infine, ai sacerdoti che parleranno della Misericordia di Dio Gesù ha promesso che i peccatori induriti si inteneriranno alle loro parole. Questo vuol dire che le omelie incentrate sulla Divina Misericordia hanno un’efficacia straordinaria per la conversione dei peccatori.

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Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia

Posté par atempodiblog le 9 avril 2015

PENITENZIERIA APOSTOLICA
DECRETO
Si annettono Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia
La Santa Sede

Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia dans Commenti al Vangelo 311uqg2

“La tua misericordia, o Dio, non conosce limiti e infinito è il tesoro della tua bontà…” (Orazione dopo l’Inno “Te Deum”) e “O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono…” (Orazione della Domenica XXVI del Tempo Ordinario), umilmente e fedelmente canta la Santa Madre Chiesa. Infatti l’immensa condiscendenza di Dio, sia verso il genere umano nel suo insieme sia verso ogni singolo uomo, splende in modo speciale quando dallo stesso Dio onnipotente sono rimessi peccati e difetti morali e i colpevoli sono paternamente riammessi alla sua amicizia, che meritatamente avevano perduta.

I fedeli con intimo affetto dell’animo sono da ciò attratti a commemorare i misteri del perdono divino ed a celebrarli piamente, e comprendono chiaramente la somma convenienza, anzi la doverosità che il Popolo di Dio lodi con particolari formule di preghiera la Divina Misericordia e, al tempo stesso, adempiute con animo grato le opere richieste e soddisfatte le dovute condizioni, ottenga vantaggi spirituali derivanti dal Tesoro della Chiesa. “Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l’uomo, di ristabilire la giustizia nel senso di quell’ordine  salvifico  che  Dio dal  principio  aveva voluto nell’uomo e mediante l’uomo, nel mondo” (Lett. enc. Dives in Misericordia, 7).

Invero la Misericordia Divina sa perdonare anche i peccati più gravi, ma nel farlo muove i fedeli a concepire un dolore soprannaturale, non meramente psicologico, dei propri peccati, così che, sempre con l’aiuto della grazia divina, formulino un fermo proposito di non peccare più. Tali disposizioni dell’animo conseguono effettivamente il perdono dei peccati mortali quando il fedele riceve fruttuosamente il sacramento della Penitenza o si pente dei medesimi mediante un atto di perfetta carità e di perfetto dolore, col proposito di accostarsi quanto prima allo stesso sacramento della Penitenza:  infatti Nostro Signore Gesù Cristo nella parabola del figliuol prodigo ci insegna che il peccatore deve confessare la sua miseria a Dio dicendo:  “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio” (Lc 15, 18-19), avvertendo che questo è opera di Dio:  “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15; 32).

Perciò con provvida sensibilità pastorale il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, per imprimere profondamente nell’animo dei fedeli questi precetti ed insegnamenti della fede cristiana, mosso dalla dolce considerazione del Padre delle Misericordie, ha voluto che la seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata a ricordare con speciale devozione questi doni della grazia, attribuendo a tale Domenica la denominazione di “Domenica della Divina Misericordia” (Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Decr. Misericors et miserator, 5 Maggio 2000).

Il Vangelo della seconda Domenica di Pasqua narra le cose mirabili compiute da Cristo Signore il giorno stesso della Risurrezione nella prima apparizione pubblica:
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:  “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo:  “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse:  “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 19-23).

Per far sì che i fedeli vivano con intensa pietà questa celebrazione, lo stesso Sommo Pontefice ha stabilito che la predetta Domenica sia arricchita dell’Indulgenza Plenaria, come più sotto sarà indicato, affinché i fedeli possano ricevere più largamente il dono della consolazione dello Spirito Santo e così alimentare una crescente carità verso Dio e verso il prossimo, e, ottenuto essi stessi il perdono di Dio, siano a loro volta indotti a perdonare prontamente i fratelli.

Così i fedeli osserveranno più perfettamente lo spirito del Vangelo, accogliendo in sé il rinnovamento illustrato e introdotto dal Concilio Ecumenico Vaticano II:
«I cristiani, ricordando le parole del Signore:  “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con sempre maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo… Il Padre vuole che noi riconosciamo ed efficacemente amiamo in tutti gli uomini Cristo fratello, tanto con la parola che con l’azione» (Cost. past. Gaudium et spes, 93).

Il Sommo Pontefice pertanto, animato da ardente desiderio di favorire al massimo nel popolo cristiano questi sensi di pietà verso la Divina Misericordia, a motivo dei ricchissimi frutti spirituali che da ciò si possono sperare, nell’Udienza concessa il giorno 13 giugno 2002 ai sottoscritti Responsabili della Penitenzieria Apostolica, Si è degnato di largire Indulgenze nei termini che seguono: 

Si concede l’Indulgenza plenaria alle consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice) al fedele che nella Domenica seconda di Pasqua, ovvero della “Divina Misericordia”, in qualunque chiesa o oratorio, con l’animo totalmente distaccato dall’affetto verso qualunque peccato, anche veniale, partecipi a pratiche di pietà svolte in onore della Divina Misericordia, o almeno reciti, alla presenza del SS.mo Sacramento dell’Eucaristia, pubblicamente esposto o custodito nel tabernacolo, il Padre Nostro e il  Credo, con l’aggiunta di una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p. e. “Gesù Misericordioso, confido in Te”).

Si concede l’Indulgenza parziale al fedele che, almeno con cuore contrito, elevi al Signore Gesù Misericordioso una delle pie invocazioni legittimamente approvate.

Inoltre i naviganti, che compiono il loro dovere nell’immensa distesa del mare; gli innumerevoli fratelli, che i disastri della guerra, le vicende politiche, l’inclemenza dei luoghi ed altre cause del genere, hanno allontanato dal suolo patrio; gli infermi e coloro che li assistono e tutti coloro che per giusta causa non possono abbandonare la casa o svolgono un’attività non differibile a vantaggio della comunità, potranno conseguire l’Indulgenza plenaria nella Domenica della Divina Misericordia, se con totale detestazione di qualunque peccato, come è stato detto sopra, e con l’intenzione di osservare, non appena sarà possibile, le tre consuete condizioni, reciteranno, di fronte ad una pia immagine di Nostro Signore Gesù Misericordioso, il Padre Nostro e il Credo, aggiungendo una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p.e. “Gesù Misericordioso, confido in Te”).

Se neanche questo si potesse fare, in quel medesimo giorno potranno ottenere l’Indulgenza plenaria quanti si uniranno con l’intenzione dell’animo a coloro che praticano nel modo ordinario l’opera prescritta per l’Indulgenza e offriranno a Dio Misericordioso una preghiera e insieme le sofferenze delle loro infermità e gli incomodi della propria vita, avendo anch’essi il proposito di adempiere non appena possibile le tre condizioni prescritte per l’acquisto dell’Indulgenza plenaria.

I sacerdoti, che svolgono il ministero pastorale, soprattutto i parroci, informino nel modo più conveniente i loro fedeli di questa salutare disposizione della Chiesa, si prestino con animo pronto e generoso ad ascoltare le loro confessioni, e nella Domenica della Divina Misericordia, dopo la celebrazione della Santa Messa o dei Vespri, o durante un pio esercizio in onore della Divina Misericordia, guidino, con la dignità propria del rito, la recita delle preghiere qui sopra indicate; infine, essendo “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5, 7), nell’impartire la catechesi spingano soavemente i fedeli a praticare con ogni possibile frequenza opere di carità o di misericordia, seguendo l’esempio e il mandato di Cristo Gesù, come è indicato nella seconda concessione generale dell’“Enchiridion Indulgentiarum”.

Il presente Decreto ha vigore perpetuo. Nonostante qualunque contraria disposizione.

Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 29 giugno 2002, nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo 2002.

LUIGI DE MAGISTRIS Arcivescovo tit. di Nova Pro-Penitenziere Maggiore

GIANFRANCO GIROTTI, O.F.M. Conv. Reggente

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Tempo di Pasqua, tempo di Misericordia

Posté par atempodiblog le 8 avril 2015

Gesù a santa Faustina:

«Voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia. Desidero che i sacerdoti annuncino la Mia grande Misericordia per le anime dei peccatori. Il peccatore non deve aver paura di avvicinarsi a Me. Le fiamme della Misericordia Mi divorano; voglio riversarle sulle anime degli uomini».

Domenica 12 Aprile: Festività della Divina Misericordia

La domenica dopo Pasqua si celebra la festa della Divina Misericordia istituita da Giovanni Paolo II. Nell’omelia i sacerdoti devono parlare dell’infinita misericordia che zampilla dal Cuore divino del Salvatore. I fedeli possono ottenere l’indulgenza plenaria alle solite condizioni.

Tratto da: Radio Maria

Tempo di Pasqua, tempo di Misericordia dans Fede, morale e teologia z282t

Insieme di don Antonio Rizzolo
Tempo di Pasqua, tempo di Misericordia
Tratto da: Credere

Cari amici lettori, la seconda domenica di Pasqua è detta anche della Divina Misericordia. Così ha voluto Giovanni Paolo II, a partire dall’anno 2000. Ed è proprio questa l’occasione scelta da papa Francesco per indire ufficialmente l’Anno santo della Misericordia.

In questa cerimonia, che si svolge sabato 11 aprile, viene resa pubblica la bolla d’indizione, di cui si leggono alcuni brani davanti alla Porta santa della basilica di San Pietro. Seguono i Primi Vespri della festa della Divina Misericordia, presieduti dal Papa.

Nella bolla d’indizione di un Giubileo sono indicati i tempi, le date di apertura e di chiusura e le principali modalità di svolgimento del grande evento. Soprattutto, però, il Papa spiega lo spirito con cui ha indetto l’Anno santo, le intenzioni e i frutti da lui sperati. Il tema della misericordia di Dio sta molto a cuore a Francesco, è il centro del suo pontificato. Ma è anche il messaggio fondamentale del tempo di Pasqua che, come ogni anno, stiamo vivendo dopo il Triduo della passione, morte e risurrezione del Signore. Che cos’è infatti la Pasqua? La parola significa passaggio e ricorda, appunto, il passaggio di Cristo dalla morte alla vita. Egli, Figlio eterno del Padre ma anche uomo come noi, è il primo ad aver superato l’abisso della morte.

Ha così aperto anche per noi la via verso la vita eterna. La Pasqua di Cristo diventa così la nostra: un passaggio dalla morte alla vita che avverrà sì nell’ultimo giorno, nella risurrezione finale, ma inizia fin d’ora con il nostro passaggio dal peccato alla vita nuova in Cristo, dall’egoismo all’amore, dalla vendetta alla misericordia. Nella sua Pasqua Gesù ci rivela il vero volto di Dio: un Padre misericordioso che sempre perdona, che ci ha amato a tal punto da consegnare suo Figlio alla morte di croce per salvarci. Cristo ci ha amato fino alla fine (cfr Giovanni 13,1), fino a dare la vita. Essere cristiani non è seguire una morale o una filosofia, ma fare esperienza di questo amore, lasciarci commuovere e trasformare da un Dio che ci ama così follemente da lavare i nostri piedi, da farsi servo, da morire per noi.

È la grande scoperta di san Paolo: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Galati 2,20). Essere cristiani vuol dire lasciarci amare da Dio, riconoscerci peccatori e accogliere il suo perdono, diventare misericordiosi come lui è misericordioso (cfr Luca 6,26). È il passaggio, la Pasqua, che siamo chiamati a fare nella nostra vita, giorno per giorno. Cari amici, viviamo così questo tempo pasquale. Buona festa della Misericordia a tutti.

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