La morte spiegata da una bambina con cancro terminale

Posté par atempodiblog le 9 mars 2015

La morte spiegata da una bambina con cancro terminale
“Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”
Fonte: Aleteia

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Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.

Ricordo con emozione l’Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l’infermeria infantile e mi sono innamorato dell’oncopediatria.

Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!

Vedo quell’angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L’ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!

Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.

“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”.

“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.

“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all’epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.

“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”

Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.

“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.

Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos’è la nostalgia per te, tesoro?”

“La nostalgia è l’amore che rimane!”

Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l’amore che rimane!

Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.

Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.

Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l’aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L’amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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La carezza della misericordia

Posté par atempodiblog le 8 mars 2015

La carezza della misericordia
Francesco a Cl: carisma è fuoco vivo di Dio non un’etichetta
Tenete vivo il fuoco del vostro incontro con la misericordia di Gesù e non pensate al carisma che condividete come a “un museo dei ricordi”. Sono due delle indicazioni che Papa Francesco ha dato ai membri di Comunione e Liberazione, incontrati in massa in Piazza San Pietro, a 60 anni dall’inizio del Movimento fondato da don Luigi Giussani.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

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Un fuoco scoppiettante e non uno strato di nobile cenere, da conservare con cura. Papa Francesco usa questa e un’altra mezza dozzina di immagini per spiegare che un carisma – in quanto dono di Dio – è e sarà sempre un dono che produce vita, anche a distanza di anni, e mai un polveroso monumento alla memoria, sbiadito e inerte.

Una Persona, non un’idea
Il carisma in questione è quello che condividono le almeno 80 mila persone, aderenti al Movimento Comunione e Liberazione, che riempiono Piazza San Pietro e danno calore a una mattina che della primavera ha ancora solo la luce. Francesco fa un lungo giro in papamobile tra la Piazza e Via della Conciliazione prima di mettersi in piedi davanti alla folla e confidare subito il “bene” che don Giussani ha fatto alla sua persona e al suo sacerdozio. In particolare, per quel suo insistere sull’esperienza dell’“incontro”, “non con un’idea, ma con una Persona”, con la “carezza della misericordia di Gesù”:

“La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa questa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura ‘ingiusta’ secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me”.

“Essere decentrati”
Francesco batte a lungo sull’essenza di un carisma che 60 anni fa accese in don Giussani “l’urgenza” di “ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo”, creando così un corpo ecclesiale innervato dal Vangelo:

“Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù: Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere ‘decentrati’: al centro c’è solo il Signore!”.

Né guide da museo né adoratori di ceneri
E poi, osserva il Papa, “il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata” e fedeltà al carisma “non vuol dire ‘pietrificarlo’”, giacché – ribadisce – è solo “il diavolo quello che ‘pietrifica’”:

“Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione ma fedeltà alla tradizione – diceva Mahler – ‘significa tenere vivo il fuoco,  e non adorare le ceneri’. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!”.

Sinceri e “in uscita”
E da questa libertà, conclude Francesco, nascono “braccia, mani, piedi”, mente e cuori a servizio “di una Chiesa ‘in uscita’”:

“‘Uscire’ significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una ‘spiritualità di etichetta’: ‘Io sono CL’ questa è l’etichetta; e poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una Ong”.

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La Croce di Cristo è tacere

Posté par atempodiblog le 7 mars 2015

La Croce di Cristo è tacere dans Citazioni, frasi e pensieri b7nn9w

“Bisogna unire, bisogna comprendere, bisogna scusare. Non alzare mai una croce soltanto per ricordare che qualcuno ha ammazzato qualcun altro. Sarebbe lo stendardo del diavolo. La Croce di Cristo è tacere, perdonare e pregare gli uni per gli altri, perché tutti trovino la pace”.  (Via Crucis, 8.3)

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Casoria, città di Santi e Beati: canonizzata suor Maria Cristina Brando. Tornano le ossa di San Ludovico

Posté par atempodiblog le 6 mars 2015

Casoria, città di Santi e Beati: canonizzata suor Maria Cristina Brando. Tornano le ossa di San Ludovico
di Domenico Maglione – Il Mattino

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Dopo Santa Giulia Salzano e San Ludovico da Casoria arriva il momento tanto atteso anche per madre Maria Cristina Brando che sarà proclamata Santa il prossimo 17 maggio. In attesa dell’evento che avverrà in piazza San Pietro, parte un ricco programma di manifestazioni in onore della fondatrice delle suore “Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato”.

Il 7 marzo a Napoli sarà scoperta una targa presso la chiesa di San Liborio. La celebrazione sarà presieduta da don Nunzio D’Elia, postulatore della causa dei Santi. Il 18, a Casoria, invece, ci sarà la manifestazione intitolata il “Cammino dei Santi”, un percorso che partirà dalla casa madre di Santa Giulia Salzano, in piazza Pisa, per poi passare per piazza Cirillo e sostare, infine, davanti alla casa natale di San Ludovico e davanti all’istituto delle suore Francescane Adoratrici della Croce la cui fondatrice, Luigia Velotti, sarà beatificata entro l’anno. Dopo 130 anni, intanto, torneranno a Casoria anche i resti mortali di San Ludovico, canonizzato il 23 novembre scorso.

Le sue ossa, riposte in un’urna, dal 10 al 12 marzo saranno a Casoria e poi ad Arzano, nella chiesa Maria Assunta in Cielo in via Colombo. Dal 16 al 19 aprile, invece, l’urna sarà traferita ad Assisi, presso l’istituto serafico fondato da padre Ludovico; dal 20 al 26 aprile le spoglie del Santo saranno a Roma preso la casa generale delle suore Elisabettine bigie mentre dal 19 al 21 giugno a Pompei, per ricordare l’opera di Ludovico nella fondazione del santuario dedicato alla Madonna.

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Il balsamo della soavità

Posté par atempodiblog le 5 mars 2015

Il balsamo della soavità  dans Citazioni, frasi e pensieri San-Francesco-di-Sales

“Se volete attender con frutto alla conversione delle Anime, vi conviene gittar il balsamo della soavità sul vino del vostro zelo; affinché questo non sia troppo ardente, ma benigno, pacifico, sofferente e pieno di compassione. Poiché lo spirito umano è d’una tempra tale, che col rigore diventa più crudo: laddove la soavità l’ammollisce interamente. E poi dobbiam ricordarci, che Gesù Cristo è venuto per benedire le buone volontà, e se gliele lasceremo governare, a poco a poco  le renderà fruttuose”.

San Francesco di Sales

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«Oh no, la predica!». Decalogo per sacerdoti per fare un’omelia come Dio comanda

Posté par atempodiblog le 4 mars 2015

“Non si offendano le persone con ironie o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo.

Il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità.

Le invettive non ottengono le conversioni: l’amor proprio si ribella. Era questo il metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perché non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri”.

San Giovanni Bosco

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Quando si cerca di ascoltare il Signore è normale avere tentazioni. Una di esse è semplicemente sentirsi infastidito o oppresso, e chiudersi; altra tentazione molto comune è iniziare a pensare quello che il testo dice agli altri, per evitare di applicarlo alla propria vita.

Papa Francesco – Evangelii Gaudium

«Oh no, la predica!». Decalogo per sacerdoti per fare un’omelia come Dio comanda dans Cardinale Robert Sarah 25690mx 

«Oh no, la predica!». Decalogo per sacerdoti per fare un’omelia come Dio comanda
«Non è un pezzo di oratoria, né uno spettacolo, né tanto meno una sfilza di rimproveri». Consigli ai nostri cari sacerdoti (talvolta un po’ logorroici)
di Tempi.it

«Oh no, la predica!». Dite la verità, quante volte, con spirito poco cristiano, vi sono scappate per la mente queste parole quando il sacerdote ha cominciato l’omelia durante la Messa? Non dev’essere un pensiero solo di molti fedeli se anche il Vaticano ha voluto [...] ribadire l’importanza dell’omelia durante le celebrazioni. La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha pubblicato il Direttorio omiletico, un testo che vorrebbe aiutare i sacerdoti a recuperare il senso di questa parte così importante della funzione liturgica.

«Non è un pezzo di oratoria, né uno spettacolo, né tanto meno una sfilza di rimproveri», ha scritto l’Osservatore Romano, ricordando le parole del prefetto della Congregazione, il cardinale Robert Sarah: questo è un testo che «non nasce senza un perché». Già Benedetto XVI aveva parlato della necessità di un predicazione che deve essere «arte» e anche papa Francesco nell’Evangelii gaudium ha sottolineato l’importanza di questo «importante ministero».

LA LUNGHEZZA. Sia Sarah sia il segretario della Congregazione, l’arcivescovo Arthur Roche, hanno insistito sull’esigenza che l’omelia non sia improvvisata, ma preparata e che – come insegnato da grandi oratori come sant’Ambrogio e san Leone Magno – essa sia d’aiuto ai fedeli nella comprensione del contesto liturgico in cui è inserita. E quanto deve essere lunga? Non esiste un timer, anche perché, ha notato Sarah, «dipende dalle circostanze: in Europa forse venti minuti sembrano troppi, ma in Africa non bastano. Lì la gente arriva da lontano per ascoltare la parola di Dio». L’importante – e come dargli torto – è che «non sia noiosa», ha chiosato Roche.

IL DECALOGO. Avvenire ha schematizzato in un decalogo i suggerimenti dati ai sacerdoti (tra parentesi, la fonte).

  1. L’omelia va preparata accuratamente, ancorandola a una profonda conoscenza della Sacra Scrittura, in particolare del Vangelo. (Prop. 19, Sinodo dei Vescovi 2005) 
  2. Non è un discorso qualsiasi, ma un parlare ispirato dalla Parola di Dio. Si può ricorrere ad immagini o a leggende per non annoiare i fedeli. (Card. Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti) 
  3. L’omelia non è uno spettacolo di intrattenimento, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione (Evangelii Gaudium, n. 138) 
  4. L’omelia non può essere improvvisata: al contrario merita “un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessività e creatività pastorale” (Evangelli Gaudium, n. 145) 
  5. La predicazione deve essere positiva perché offra “sempre speranza” e non lasci “prigionieri della negatività” (Evangelii Gaudium). 
  6. Il buon omileta guida “a intendere e gustare ciò che esce dalla bocca di Dio, aprire i i cuori al rendimento di grazie a Dio, alimentare la fede, preparare a una fruttuosa comunione sacramentale con Cristo”. Sarà un cattivo omileta che “pur essendo magari un grande oratore, non sarà capace di suscitare questi effetti”. (Mons. Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti) 
  7. Il predicatore deve organizzare la sua omelia seguendo questa traccia: scegliere cosa dire, perché dirlo, come dirlo a “questa” assemblea specifica. Le omelie si differenziano a seconda della celebrazione: nella messa feriale si raccomanda una omelia breve. (Padre Corrado Maggioni, sottosegretario della Congregazione) 
  8. Una omelia efficace instilla in chi ascolta il desiderio di conoscere o ri-conoscere Dio, presentandolo nel modo più diretto e chiaro, non accartocciato o parziale (Filippo Riva, Officiale del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali) 
  9. Una omelia efficace mette in pericolo ciò che chi ascolta “sa già”. (Filippo Riva) 
  10. Il parlare di un sacerdote dovrà essere incarnato, dovrà cioè testimoniare un atteggiamento di fronte alla vita, una posizione umana. (Filippo Riva)

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Decalogo della parola (per imparare a comunicare correttamente con gli altri)

Posté par atempodiblog le 4 mars 2015

Decalogo della parola (per imparare a comunicare correttamente con gli altri)
di don Pino Pellegrino e di don Marino Gobbin

Decalogo della parola (per imparare a comunicare correttamente con gli altri) dans Citazioni, frasi e pensieri 140m7v9

1. Prima di parlare controlla che il cervello sia inserito.

2. Non parlare di te: lascia che siano gli altri a scoprirlo.

3. Regala parole buone: la scienza sta ancora cercando una medicina più efficace delle parole buone.

4. Non dire tutto ciò che pensi, ma pensa a tutto ciò che dici.

5. Adopera ragioni forti con parole dolci.

6. Quando parli, pensa all’insalata: è buona se ha più olio che aceto.

7. Non basta parlare: bisogna comunicare. Chi parla difficile non comunica.

8. Ascolta! Ascoltare è la forma più raffinata di parlare.

9. Quando senti altrui mancamenti, serra la lingua tra i denti.

10. Parla per ultimo: sarai ricordato per primo.

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La confessione

Posté par atempodiblog le 4 mars 2015

[Álvaro del Portillo] Confessava spesso di vedersi davanti a Dio con le mani vuote, incapace di rispondere a tanta generosità. Peraltro, la confessione della povertà umana non è frutto della disperazione, ma di un fiducioso abbandono in Dio che è Padre. È aprirsi alla sua misericordia, al suo amore capace di rigenerare la nostra vita. Un amore che non umilia, non fa sprofondare nell’abisso della colpa, ma ci abbraccia, ci solleva dalla nostra prostrazione e ci fa camminare con più decisione e allegria. Il servo di Dio Álvaro conosceva bene il bisogno che abbiamo della misericordia divina e spese molte energie per incoraggiare le persone con cui entrava in contatto ad accostarsi al sacramento della confessione, sacramento della gioia. Com’è importante sentire la tenerezza dell’amore di Dio e scoprire che c’è ancora tempo per amare.

Papa Francesco

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“Abbiate pazienza (con gli altri) come il Signore l’ha con ciascuno di noi. Accoglieteli sempre con affetto: possano ricorrere a voi per riacquistare l’entusiasmo dopo una sconfitta, perché si sentano compresi, stimolati, amati…”.

“Non dimenticate che la gioia è conseguenza della pace interiore, e che la vera pace è inseparabile dalla compunzione, dal dolore umile e sincero per le nostre mancanze e per i peccati che Dio perdona nel santo Sacramento della Penitenza”.

“Vi sono poche gioie tanto grandi come quella di provare, dopo una Confessione ben fatta, quello che provò il filgiol prodigo: l’abbraccio di Dio nostro Padre che ci perdona”.

Beato Álvaro del Portillo

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Pensieri del beato Álvaro del Portillo

Posté par atempodiblog le 4 mars 2015

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“Perché i santi appaiono pieni di pace, anche in mezzo al dolore, al disonore, alla povertà, alle persecuzioni. La risposta si delinea chiaramente: perché cercano di identificarsi con la volontà del Padre nel Cielo, imitando Cristo”.

“L’umiltà si manifesta nel profondo e sincero convincimento che non siamo migliori degli altri e, nello stesso tempo, nella ferma certezza di essere stati chiamati specificamente da Dio per servirLo nelle diverse situazioni di ogni momento e portarGli molte anime.  Questa certezza ci riempie di ottimismo”.

Beato Álvaro del Portillo

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Dove comincia Misericordia

Posté par atempodiblog le 3 mars 2015

Lo sguardo del Papa sul limite umano
Dove comincia Misericordia
di Marina Corradi – Avvenire

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«Vado per la strada, passo davanti al carcere: “Eh, questi se lo meritano”, “Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, e anche peggio ancora?”».

Ieri il Papa è tornato su un tema che gli è caro, e che anzi, ha ricordato, è il primo passo per un cammino cristiano: il riconoscersi peccatori, e non solo nelle parole che la domenica, all’inizio della Messa, si possono magari distrattamente ripetere. La saggezza del sapere riconoscere in sé anche il male che non si vede. Come l’invidia, ha esemplificato Francesco; che è in effetti quel male che ci sfiora, almeno, quasi tutti, ma può restare nascosto in fondo al cuore. Non è un reato, certo, l’invidia – anche se può essere all’origine delle peggiore violenza. È un ospite che ci abita, indisturbata, come un virus con cui l’organismo convive.

Le parole del Papa interpellano quelli che mai, dicono, ucciderebbero o ruberebbero; e lavorano onestamente, e pagano rigorosamente le tasse. Quelli che passando, qui a Milano, davanti alle mura grigie di San Vittore, pensano con un sentimento di disprezzo e rivalsa: «A quei delinquenti, ben gli sta». O evocano con nostalgia la pena di morte, o dicono, di un assassino: «Che lo chiudano dentro, e buttino via la chiave». Affermando nella stessa durezza del giudizio la certezza di essere “altri”, del tutto altri uomini, rispetto a “quelli là”.

E anche nella quotidianità di questo Paese, da anni, come è cresciuta l’onda di un’“onestà” innalzata come uno stendardo: che divide “noi”, gli onesti, da loro, sempre “loro”, i ladri. Dove per onestà si intende una fedina penale immacolata. Ma, parlando cristiano, quanto male può avere nel cuore un cittadino modello, che paghi fino all’ultimo le tasse, e non violi una virgola del codice della strada. Quanto male c’è in un uomo che induce una donna a buttare via il bambino che aspetta, in un genitore che non perdona, in un figlio che abbandona i suoi vecchi.
Non sono reati, certo. Niente che ti porti in galera. Ma peccati sì, e quali. E allora passando davanti a San Vittore o a Regina Coeli ognuno, insegna il Papa, dovrebbe farsi cosciente del male che ha in sé. Magari, solo per grazia di Dio nella vita nostra non c’è stato quell’incontro, quell’occasione, quell’attimo che precipitano in una voragine la strada di altri. Per grazia di Dio c’è stata invece una madre, un padre, un amico, a fermarci. A quei segreti scambi che disegnano il nostro destino, per grazia di Dio abbiamo preso il binario giusto. Tutto qui.

Perché il rischio, anche maggiore per i credenti che fin da bambini sono stati rispettosi di ogni precetto morale e continuano a esserlo, è di sentirsi “bravi”. Al modo del fariseo del Vangelo, ringraziano di non essere come quel pubblicano. Ma è un grande male, quello che ci ricorda il Papa in questo inizio di Quaresima: «Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che quei carcerati hanno fatto, e anche peggio ancora?».
Beh, molti di noi no, non lo pensano. Alcuni ne sono addirittura sicuri. E in certi frangenti di cronaca questo sentimento esplode, violento e oscuro: come quando un arresto avviene tra una folla inferocita e festante, tra cui qualcuno grida minacciosamente: «Datelo a noi!», e si respira odore di linciaggio. Oppure quando l’accusata di un omicidio clamoroso, come la madre del bambino Loris, entra in prigione: e dalle celle i detenuti le urlano, come è avvenuto, insulti e auguri di morte. In un coro d’inferno che per un attimo svela la profondità vertiginosa del male degli uomini, che si credono migliori degli altri.

Ma, in quel riconoscersi peccatori (questa parola desueta, e quasi pubblicamente imbarazzante) sta, dice Francesco, una grande speranza: «Quando uno impara ad accusare se stesso, è misericordioso con gli altri». Misteriosamente, nell’uomo che non va fiero di una fasulla probità ed è conscio della sua capacità di male, accade una metamorfosi. Lo sguardo cambia, e si guarda all’altro come guarderemmo a un figlio; e a nessuno si nega una possibilità di conversione. E se una sera al tg dicono che è morto il camorrista detto “’o animale”, 67 omicidi sulla coscienza, può accadere di pensare con sgomento al suo destino. Ma nemmeno della salvezza di Pasquale Barra possiamo disperare – nella certezza del nostro Dio, che è un Dio di misericordia.

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Autocritica

Posté par atempodiblog le 3 mars 2015

“Ciò che inasprisce il mondo non è un eccesso di critica, ma una mancanza di autocritica”.

Gilbert Keith Chesterton

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Papa Francesco ci invita a non giustificarci ma a riconoscere che in ciascuno di noi ci sono radici di peccato da sradicare:

“Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

In questa Quaresima ciascuno può individuare le radici di male cui è più legato.

Quando vedo qualcosa di sbagliato intorno a me, sono pronto ad accusare gli altri, oppure riconosco che anche io ogni giorno devo convertirmi? Penso di combattere il male con la vendetta oppure con il bene, cambiando il mio stile di vita? Attacco i nemici con la calunnia oppure taccio e prego per loro?

Tratto da: Radio Maria Fb

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Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso

Posté par atempodiblog le 2 mars 2015

Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso
E’ facile giudicare gli altri, ma si va avanti nel cammino cristiano solo se si ha la sapienza di accusare se stessi: è quanto ha detto il Papa riprendendo, dopo gli esercizi spirituali, a celebrare la Messa a Santa Marta con i gruppi.
di Sergio Centofanti- Radio Vaticana

Papa: sapienza del cristiano è non giudicare gli altri e accusare se stesso dans Fede, morale e teologia jtuyif

Le letture del giorno sono incentrate sul tema della misericordia. Il Papa, ricordando che “siamo tutti peccatori” – non “in teoria” ma nella realtà – indica “una virtù cristiana, anzi più di una virtù”: “la capacità di accusare se stesso”. E’ il primo passo di chi vuole essere cristiano: “Tutti noi siamo maestri, siamo dottori nel giustificare noi stessi: ‘Ma, io non sono stato, no, non è colpa mia, ma sì, ma non era tanto, eh… Le cose non sono così…’. Tutti abbiamo un alibi spiegativo delle nostre mancanze, dei nostri peccati, e tante volte siamo capaci di fare quella faccia da ‘Ma, io non so’, faccia da ‘Ma io non l’ho fatto, forse sarà un altro’: fare l’innocente. E così non si va avanti nella vita cristiana”.

“E’ più facile accusare gli altri” – osserva il Papa – eppure “accade una cosa un po’ strana” se proviamo a comportarci in modo diverso: “quando noi incominciamo a guardare di quali cose siamo capaci”, all’inizio “ci sentiamo male, sentiamo ribrezzo”, poi questo “ci dà pace e salute”. Per esempio – afferma Papa Francesco – “quando io trovo nel mio cuore un’invidia e so che questa invidia è capace di sparlare dell’altro e ucciderlo moralmente”, questa è la “saggezza di accusare se stesso”. “Se noi non impariamo questo primo passo della vita, mai, mai faremo passi sulla strada della vita cristiana, della vita spirituale”:

“E’ il primo passo, accusare se stesso. Senza dirlo, no? Io e la mia coscienza. Vado per la strada, passo davanti al carcere: ‘Eh, questi se lo meritano’, ‘Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, anche peggio ancora?’. Questo è accusare se stesso, non nascondere a se stesso le radici di peccato che sono in noi, le tante cose che siamo capaci di fare, anche se non si vedono”.

Il Papa sottolinea un’altra virtù: vergognarsi davanti a Dio, in una sorta di dialogo in cui noi riconosciamo la vergogna del nostro peccato e la grandezza della misericordia di Dio:

“‘A te, Signore, nostro Dio, la misericordia e il perdono. La vergogna a me e a te la misericordia e il perdono’. Questo dialogo con il Signore ci farà bene di farlo in questa Quaresima: l’accusa di se stessi. Chiediamo misericordia. Nel Vangelo Gesù è chiaro: ‘Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso’. Quando uno impara ad accusare se stesso è misericordioso con gli altri: ‘Ma, chi sono io per giudicarlo, se io sono capace di fare cose peggiori?’”.

La frase: “Chi sono io per giudicare l’altro?” – afferma il Papa – obbedisce proprio all’esortazione di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Invece, rileva – “come ci piace giudicare gli altri, sparlare di loro!”.

“Che il Signore, in questa Quaresima – conclude il Pontefice – ci dia la grazia di imparare ad accusarci”, nella consapevolezza che siamo  capaci “delle cose più malvagie”, e dire: “Abbi pietà di me, Signore, aiutami a vergognarmi e dammi misericordia, così io potrò essere misericordioso con gli altri”.

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Trasfigurazione

Posté par atempodiblog le 1 mars 2015

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Trasfigurazione di Gesù Cristo (Giovanni Bellini, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli)

Come seguirti senza vederti! Come ascoltarti senza udirti! Come operare senza restare uniti a te, poiché senza di te non possiamo far nulla! E come vederti, ascoltarti, sentirti senza essere inondati di luce, di pace, di amore e di gaudio! Senza essere come in una perenne e ascendente trasfigurazione della visione di fede, nel gaudio della carità, nello stadio sublime della virtù perfetta! Fa’ che io entri presto in questo vero paradiso terrestre, in cui l’anima si prepara al paradiso celeste!

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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La perla

Posté par atempodiblog le 1 mars 2015

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La perla nelle profondità dei mari nasce da sola dalla carne viva: pura e tonda si distingue nella sua immortalità dall’essere effimero che l’ha generata. Essa è l’immagine di quella ferita che provoca in noi il desiderio di perfezione che, lentamente, si concretizza in quel globo inestimabile.
Ecco la perla, il seme metafisico racchiuso nelle pieghe della nostra sostanza, sottratto sia alla minaccia dei germi interni che alla critica dall’esterno grazie all’assenza di qualsiasi vocazione terrena; una condensazione di valore, una goccia di latte, un frutto staccato e senza picciolo, una solidificazione della coscienza, l’astrazione di tutti i colori che giunge fino alla luce, una concezione immacolata. L’anima ferita e fecondata possiede al fondo di se un apparecchio che le permette di solidificare il tempo in eternità. E’ la perla, è questa realizzazione dell’essenza, è l’Uno necessario, è questo tenere in una mano quell’avere che, ci dice l’Apocalisse, ci farà da porta d’ingresso alla Gerusalemme Celeste […]. E’ per procurarci questo inestimabile pois che il Vangelo ci consiglia di vendere tutto.

di Paul Claudel, L’oeil écoute, Éditions Gallimard, Paris 1946
Tratto da: Dostoevskij. Il sacro nel profano di Tat’jana Kasatkina, BUR saggi

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Calcio, la dimensione della festa

Posté par atempodiblog le 1 mars 2015

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La sera di Torino-Napoli comincia con un abbraccio. In attesa della sfida dell’Olimpico, infatti, tifosi granata e azzurri fanno foto insieme. (Tuttosport)

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“Da ragazzo sono andato parecchie volte allo stadio, e ho dei bei ricordi. Sono andato solo e con la mia famiglia. Momenti gioiosi, di domenica, insieme con i miei familiari. Vorrei augurare che il calcio e ogni altro sport molto popolare recuperi la dimensione della festa. [...] Lo sport contiene in sé una forte valenza educativa, per la crescita della persona: crescita personale, nell’armonia di corpo e di spirito, e crescita sociale, nella solidarietà, nella lealtà, nel rispetto. Che il calcio possa sempre sviluppare questa potenzialità!”.

Papa Francesco
Tratto da: Bollettino (Sala stampa della Santa Sede)

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