Dostoevskij, il mondo salvato dal «sottosuolo»
Posté par atempodiblog le 23 mars 2015
Dostoevskij, il mondo salvato dal «sottosuolo»
di Alessandro D’Avenia – Avvenire
Tratto da: Una casa sulla Roccia
Il primo Dostoevskij è come il primo Van Gogh: ci racconta l’uomo in modo romantico, quasi melodrammatico, il mondo dei poveri. Lo guarda con la compassione di colui che è già salvo, infatti lo fa dall’esterno. In Siberia è stato a contatto con i poveri, è stato lui stesso spogliato di tutto. E dopo esser tornato alla vita, scrive le Memorie del sottosuolo, in cui quello che fa è proprio quello che hanno fatto Dante con la Divina Commedia e Agostino con le Confessioni.
Ha scoperto il principio trasformante della vita, a partire da sé, la prima compassione l’ha sperimentata su di sé. Leggendo il Vangelo, ha scoperto che Cristo ha passato trent’anni della sua vita a essere uno qualunque, a lavorare, a fare il falegname. Scopre che ogni storia umana può diventare quella narrazione divina, perché Dio si è fatto carne e ha assunto, come Dio, tutta la condizione umana: pianto, sudore, incomprensione, dolore, fatica, sorriso, gioia, festa.
Tutto. Tutto il ventaglio, tutta la polifonia dell’umano, da quando Dio si è fatto uomo, è dentro Dio. Si è soprattutto fatto carico di una cosa che l’uomo non vede o non vuole vedere, e da cui si ripara con le sue narrazioni auto-fondanti: il peccato. Questo è fondamentale per capire il Dostoevskij del Sottosuolo.
Dalle Memorie del sottosuolo in poi, Dostoevskij scrive solo romanzi potentissimi, che hanno come centro propulsore e chiave di volta una scena del Vangelo, o nella frase in esergo (il brano dei porci nei Demoni) o mescolata alla narrazione, chiave di lettura di tutto il romanzo (le nozze di Cana nei Karamazov, Lazzaro in Delitto e Castigo…).
Le Memorie del sottosuolo sono lo snodo, la Damasco narrativa di Dostoevskij: il protagonista è sprofondato nel sottosuolo e cerca di fondare la sua identità senza Dio, e titanicamente cerca di costruire quest’io, che si deve puntellare da qualche parte, e lo auto-fonda. E lo auto-fonda a tal punto che ne consegue l’agire: amore per la distruzione, annichilimento, annullamento. Dante e Agostino la chiamano dannazione infernale.
Lui: sottosuolo. Il tipo di lettura del reale è analogo a quello di Dante e Agostino: c’è senso e sovrasenso, lettera e spirito, storia umana e storia della salvezza coincidono, a saperne leggere l’intreccio. I personaggi dei romanzi successivi escono tutti dal sottosuolo, per la loro dannazione definitiva o per la loro salvezza. Prendiamo Raskol’nikov.
Chi è? Un ragazzo che decide (riduzione) di essere al di là del Bene e del Male: ucciderà senza pentirsene, perché è convinto di poter decidere il Bene e il Male, proprio mangiando il frutto della conoscenza del bene e del male, per farsi dio a sé stesso. Decide di farsi creatore di se stesso e diventa dio: e chiunque diventa dio deve gestire un’esistenza da dio (rifiutare l’incarnazione produce il movimento contrario): questa è la sua vera condanna. La polifonia di voci che lo abitano, tra loro in conflitto, come l’uomo nudo di Dio dopo il peccato, esplode. Ragione, volontà e corpo divorziano e lo spirito è titanicamente sostituito dal fiato corto dell’uomo. Dostoevskij racconta il peccato originale con altri mezzi, e sa che solo la redenzione porta il divorzio a unità, nella narrativa come nella vita.
Dostoevskij nel ghiaccio e nella carne ha scoperto che il Vangelo non è un testo che riguarda il passato, ma è la Storia di ogni storia, e la narrazione che provoca ogni narrazione. Ogni storia umana è solo proseguimento del Vangelo e il Vangelo è la chiave di lettura di ogni storia. Dostoevskij scrive i suoi romanzi come prosecuzione del Vangelo.
Raskol’nikov alla fine si è reso conto che il male e il bene non può “deciderli” l’uomo da solo: ma lo scopre proprio grazie al suo delitto (felix culpa): l’uomo, per quanto razionalmente e volontaristicamente (quindi con ogni tipo di narrazione riduzionistica rispetto alla sua creaturalità aperta al Creatore) cerchi di fondare la propria identità a partire da sé stesso, fallisce. Finisce in prigione, vuole espiare il suo delitto, grazie alla grazia dell’amore: ha trovato una donna capace di amarlo com’è, questa donna è tra gli ultimi, è una prostituta. Anche lei a contatto con Raskol’nikov si “converte”.
Quando il personaggio si trasforma, in Dostoevskij, c’è sempre un momento cosmico, il mondo partecipa in ogni dettaglio come in una liturgia del creato, che non è mai neutro, ma sempre in tensione verso Dio («Amando una mela si può amare l’uomo», scrive nel suo taccuino. «Se amerete ogni cosa, in ogni cosa scorgerete il mistero di Dio», dice uno dei suoi personaggi principali). In questo caso il ragazzo si affaccia dalla sua prigione (reale e spirituale), vede la steppa immensa e ricorda Abramo [...].
Poi in quella prigione dialoga con Sonja e ricorda il momento in cui hanno letto insieme, quando lei ha aperto «a caso» (il Logos parla sempre) il Vangelo (la sua àncora nella vita da prostituta), la pagina della risurrezione di Lazzaro. Chi è Raskol’nikov? È la ri-scrittura di Lazzaro, è la prosecuzione nella storia nostra della storia di Lazzaro.
Il Lazzaro risorto è Raskol’nikov: storia e sovra-storia coincidono, e l’una trova compimento nell’altra; quello che accade nella storia di ogni giorno non è altro che la prosecuzione di una storia che è già stata detta e che si può rinnovare, in modalità nuove rispetto a come è stato raccontato, perché nuovo è ogni giorno l’incontro della grazia con la storia («Ecco, io faccio nuove tutte le cose», si legge nell’Apocalisse). Ecco la bellezza di cui parla Dostoevskij! Non è la bellezza estetica come compiacimento della seduzione delle forme e dell’armonia, la bellezza consumabile.
Quando dice in L’idiota: «Il mondo lo salverà la bellezza», parla di qualcos’Altro. Quando nei Karamazov, parlando di bellezza, contrappone l’ideale della Madonna a quello di Sodoma, svela questo: la bellezza trasformante si accoglie, quella distruttiva si consuma.
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