La santa confessione (di San Francesco di Sales)

Posté par atempodiblog le 31 mars 2015

La santa confessione (di San Francesco di Sales) dans Fede, morale e teologia Confessionale

[...] Abbi sempre un sincero dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma decisione di correggerti. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine, quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali.

Se, per esempio, ti confessi di aver mentito senza recar danno, o di aver detto qualche parola grossolana, o di aver giocato troppo, pentiti e fa proposito di correggerti; è un abuso confessare un peccato, sia mortale che veniale, senza aver intenzione di emendarsene, perché la Confessione è stata istituita proprio per quello scopo.

Non fare accuse generiche, come fanno molti, in modo macchinale, tipo queste: Non ho amato Dio come era mio dovere; Non ho ricevuto i  Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti chiarisco il motivo: Ciò dicendo tu non offri alcuna indicazione particolare che possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i Santi del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la stessa cosa. Cerca qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata, accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza.

Se, per esempio, ti accusi di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; vedi un po’ tu il motivo!

Similmente non accusarti di non aver pregato Dio con la dovuta devozione; ma specifica se hai avuto delle distrazioni volontarie perché non hai avuto cura di scegliere il luogo, il tempo e il contegno atti a favorire l’attenzione nella preghiera; accusati con semplicità di quello in cui  trovi di aver mancato, senza ricorrere a quelle espressioni generiche che, nella confessione, non fanno né caldo né freddo.

Non accontentarti di raccontare i tuoi peccati veniali solo come fatto; accusati anche del motivo che ti ci ha portato.

Non dimenticarti, per esempio, di dire che hai mentito senza coinvolgere nessuno; ma chiarisci, se è stato per vanità, se era per vantarti o  scusarti, o per gioco, o per cocciutaggine. Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per il piacere della conversazione, e così via.

Dì anche se sei rimasto per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato. C’è molta differenza tra la vanità di un  momento, che ha occupato il nostro spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è rimasto immerso per uno, due o tre giorni!

In conclusione, bisogna esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre vero che coloro che vogliono  pulire per bene l’anima per raggiungere più speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire.

Non  trascurare di aggiungere quanto serve per far capire il tipo dell’offesa, come il motivo che ti ha fatto montare in collera, o ti ha fatto accettare il vizio di qualcuno. Per esempio, se un uomo che non mi va a genio, mi provoca con qualche leggera parola per ischerzo, io la prendo a male e monto in collera: cosa che se l’avesse fatta un altro che mi è simpatico, l’avrei accettata, anche se avesse caricato la dose.

Preciserò dunque con chiarezza: Mi sono lasciato trasportare a parole di collera contro una persona, perché ho preso a male ciò che mi aveva detto, non per le parole in se stesse, ma perché mi è antipatico colui che le ha dette.

E se fosse necessario precisare le parole per farti capire meglio, penso che faresti bene a dirle. Accusandoci in questo modo, con naturalezza, non  solo mettiamo fuori i peccati fatti, ma anche le cattive inclinazioni, le usanze, le abitudini e le altre radici del peccato, in modo che il padre spirituale abbia una chiara conoscenza del cuore che gli è affidato e quindi predisponga i rimedi più opportuni. Tuttavia non fare il nome di chi ha eventualmente cooperato al tuo peccato, almeno finché  ti sarà possibile.

Fa attenzione a numerosi peccati che vivono e spadroneggiano, spesso senza essere avvertiti, nella coscienza e accusali per potertene liberare.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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Misericordia, cosa ci chiede Francesco

Posté par atempodiblog le 31 mars 2015

Verso il Giubileo
Misericordia, cosa ci chiede Francesco
di Stefania Falasca – Avvenire

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Alla misericordia non si chiede il conto: «O siamo gente che si lascia amare da Dio o siamo degli ipocriti». Dopo l’annuncio dell’Anno giubilare sulla misericordia, le omelie di Santa Marta, in particolare, sono il pulpito della coscienza per molti fedeli. Francesco proprio in queste ultime settimane ha ripreso il tema con parole efficaci, perché «la misericordia è centrale, fondamentale, non è solo un atteggiamento pastorale, è la sostanza stessa del Vangelo di Gesù», il volto e l’agire di Dio, ed è missione suprema della Chiesa lasciare che essa si manifesti. Così la predicazione di Francesco apre quotidianamente a questo percorso personale e collettivo di conversione che – come ha chiarito ai cardinali nell’ultimo Concistoro – è quello «di effondere la misericordia divina a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero, di non condannare eternamente nessuno, di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani, di adottare integralmente la logica dell’amore Dio».

Sempre le sue parole si tessono sulle letture liturgiche del giorno conformandosi a quella logica ermeneutica che san Paolo definisce «i sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Questo affinché «la misericordia, che è la potente forza di reintegrazione che sgorga dal cuore di Cristo», grazie alla voce della Chiesa possa toccare ogni persona, adesso. Con san Tommaso d’Aquino Francesco afferma che «alla misericordia spetta donare ad altri» soprattutto ciò che «più conta: sollevare le miserie altrui». «Compito» questo, dice san Tommaso, che riguarda «specialmente chi è superiore» (Eg 37). Le parole del Papa si fanno particolarmente incisive nei confronti di coloro che chiudono non solo a loro stessi, ma anche agli altri le porte al manifestarsi dell’amore Dio. Si fanno anche severe con coloro «che non aperti alla parola del Signore» si rendono impermeabili alla grazia a causa dell’indurimento e della corruzione del loro cuore, come lo sono le parole di Gesù nel Vangelo nei confronti dell’ipocrisia farisaica, dei corrotti, che vivono il peccato in modo nascosto e senza pentimento approfittando della loro posizione.

Nell’omelia del 12 marzo ha affermato: «O tu sei sulla via dell’amore o tu sei sulla via dell’ipocrisia. O tu ti lasci amare, accarezzare dalla misericordia di Dio, o fai quello che tu vuoi secondo il tuo cuore che si indurisce sempre di più». Non c’è, ha ribadito Francesco, una terza via. E chi «non raccoglie con il Signore» non solo «lascia le cose come stanno», ma «peggio: disperde, rovina; è un corrotto che corrompe». Per questa infedeltà «Gesù pianse su Gerusalemme» e «su ognuno di noi». Nel capitolo 23 di Matteo, ha ricordato il Papa, si leggono parole terribili contro i «dirigenti che hanno il cuore indurito e vogliono indurire il cuore del popolo». «Dice Gesù: “Verrà su di loro il sangue di tutti gli innocenti, incominciando da quello di Abele”». Per i corrotti «Gesù usa quella parola: ipocriti, sepolcri imbiancati, belli fuori ma dentro pieni di putredine». Questo, ha sottolineato il Papa, succede anche alle istituzioni. Ma «dove non c’è misericordia, non c’è giustizia». E su tale aspetto si è soffermato nell’omelia del 23 marzo, partendo dalle letture del libro di Daniele e dal Vangelo di Giovanni sui giudici corrotti. Il problema di fondo, ha spiegato, è che questi «non conoscevano cosa fosse la misericordia», perché «la loro corruzione li portava lontano dal capirla». Invece «la Bibbia ci dice che proprio in essa è il giusto giudizio».

A fare le spese della sua mancanza, sottolinea Francesco, «è ancora oggi il popolo di Dio che soffre quando trova – anche nella Chiesa, che è santa, peccatrice, bisognosa – giudici affaristi, viziosi e rigidi, che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima». Papa Francesco desidera che nella Chiesa regni la misericordia che è il manifestarsi di Dio e anche le due assemblee sinodali dedicate alla famiglia e alle sue fragilità sono state pensate e strutturate in modo tale che la Chiesa si possa interrogare su di essa e si faccia carico della miseria umana e la sollevi a immagine del suo Signore, come è nel Vangelo. «La Chiesa – ha ripreso nell’omelia del 17 marzo – è la casa di Gesù, e Gesù accoglie, ma non solo accoglie: va a trovare la gente». «E se la gente è ferita – si è chiesto – cosa fa Gesù? La rimprovera, perché è ferita? No, viene e la porta sulle spalle». Questa, ha affermato il Papa, «si chiama misericordia». Proprio di questo parla Dio quando «rimprovera il suo popolo: “Misericordia voglio, non sacrifici!”». Il Papa ritorna così sui cristiani che si comportano come gli scribi e i farisei che si scandalizzano. Anche oggi ci sono cristiani che si comportano come i dottori della legge e «fanno lo stesso che facevano con Gesù», obiettando: «Ma questo dice un’eresia, questo non si può fare, questo va contro la disciplina della Chiesa, questo va contro la legge».

«I giudei perseguitavano Gesù perché faceva il bene anche il sabato e non si poteva fare» e attualizzando la sua riflessione spiega: «Questo avviene anche oggi. Un uomo, una donna che si sente malato nell’anima, triste, che ha fatto tanti sbagli nella vita, a un certo momento sente che le acque si muovono, c’è lo Spirito Santo che muove qualcosa; o sente una parola». Ma quell’uomo «quante volte oggi nelle comunità cristiane trova le porte chiuse». Forse si sente dire: «Tu non puoi, no, tu non puoi; tu hai sbagliato qui e non puoi. Se vuoi venire, vieni alla messa domenica, ma rimani lì, ma non fare di più». Succede così che «quello che fa lo Spirito Santo nel cuore delle persone, i cristiani con psicologia di dottori della legge distruggono». Nell’omelia del 26 marzo mostrando sempre gli effetti della mancanza di misericordia appare ancora più efficace: «Erano dottori della legge ma senza fede!», perché essendo la fede l’incontro con una Persona non con un sistema astratto di dottrine «questi dottori avevano perso anche la legge! Perché il centro della legge è l’amore, l’amore per Dio e per il prossimo».

Il Papa si è espresso con molta chiarezza su questo. Purtroppo accade a volte come a Giuda, che «non ha saputo leggere la misericordia negli occhi del Maestro». Se infatti non si riconosce più il Misericordioso, il cristianesimo si snatura riducendosi a ideologia, a sistema di idee, delle quali farsi proprietari per poi brandirle come clava verso gli altri. Considerarsi comunità di eletti, distinti da ingiusti e peccatori, ravvisabili sempre negli altri fuori, non appartiene allo sguardo di Cristo. Chi è il peccatore? «Innanzitutto io», dice il cristiano.

Nell’omelia del 17 marzo, papa Francesco ha concluso la riflessione suggerendo un impegno per la vita quotidiana di ognuno: «È tempo per convertirci». Qualcuno potrebbe ancora replicare: «Ma Padre, ci sono tanti peccatori sulla strada… noi disprezziamo questa gente». «Ma a costui va detto: “E tu? Chi sei? E tu chi sei, che chiudi la porta del tuo cuore a un uomo, a una donna, che ha voglia di migliorare, di rientrare nel popolo di Dio, perché lo Spirito Santo ha agitato il suo cuore?”». «Tu chi sei?». «“Neanch’io ti condanno”. Così Cristo è stato di fronte all’adultera», ha ricordato il Papa. Per concludere: «Chiediamo oggi al Signore la conversione alla misericordia di Gesù». Solo così «la legge sarà pienamente compiuta, perché la legge è amare Dio e il prossimo, come noi stessi».

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Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci

Posté par atempodiblog le 31 mars 2015

Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci
di Radio Vaticana

“La Confessione è il sacramento della tenerezza di Dio, il suo modo di abbracciarci”. È il messaggio per il Martedì Santo che Papa Francesco ha affidato a un tweet: un invito ad accostarsi al Sacramento della Riconciliazione, tante volte ripetuto in due anni di Pontificato. Alessandro De Carolis ha chiesto all’arcivescovo di Chieti-vasto, mons. Bruno Forte, cosa gli suggeriscano i richiami di Francesco alla Confessione come tenerezza e abbraccio di Dio:

Papa: Confessione è abbraccio di Dio. Mons. Forte: riconciliamoci dans Fede, morale e teologia Confessionale

R. – Suggerisce un’immagine evangelica e cioè quella del Padre del Figliol prodigo che sta alla finestra, vede il figlio tornare di lontano, gli corre incontro e lo abbraccia. Dunque, mi sembra che Papa Francesco abbia voluto evocare la profonda misericordia di Dio, il fatto che il Dio di Gesù Cristo è un Padre che ci ama, che ci rispetta anche quando noi scegliamo qualcosa che è contro la sua volontà ed egli è sempre pronto ad accoglierci, ad aspettare il nostro ritorno e a far festa quando torniamo. Dunque, piuttosto che la visione del tribunale – che a volte nel passato aveva dominato la visione del Sacramento della penitenza, dove il sacerdote era in qualche modo il giudice che doveva poi assolvere – siamo di fronte all’immagine di un incontro d’amore, di un’attesa, di un’accoglienza festosa, di una misericordia traboccante.

D. – Lei ricorda l’immagine di Dio come quella di un Padre che perdona sempre. Papa Francesco lo ha detto dall’inizio del Pontificato: “Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. Perché si perde la fiducia nel perdono di Dio?

R. – Il meccanismo del peccato è un meccanismo che intacca profondamente l’integrità della persona umana e l’effetto primo, devastante, del male è il male che si fa a se stessi. Si perde il senso della propria dignità e si smarrisce proprio per questo la fiducia nelle possibilità che Dio ci ha dato. Ecco perché il volto della misericordia è fondamentale per ritrovare la strada della riconciliazione. Un Dio giudice manterrebbe ancora lontani coloro che hanno peccato. Un Dio di misericordia infinita, come ama sottolineare Papa Francesco, è un Dio che ti attrae, che sollecita il tuo cuore ad aver fiducia di Lui nonostante tutto.

D. – Papa Francesco una volta, da Santa Marta, parlando della Confessione ha detto: bisogna avere semplicità e anche coraggio. Perché queste qualità tante volte sembra siano smarrite dai cristiani quando si avvicinano al Sacramento della Riconciliazione?

R. – La semplicità è necessaria perché essere semplici significa essere veri, cioè saperci porre davanti a Dio senza alibi e senza difese. Senza quelle sovrastrutture che a volte complicano i rapporti umani e a volte complicano anche il nostro rapporto con Dio. Ciò che Papa Francesco non si stanca di ricordare è che Dio è amore e che dunque ogni rapporto con Dio deve essere vissuto nel segno dell’amore, che significa della fiducia, dell’affidamento, della libertà dalla paura e del coraggio di ritrovare nell’amore la forza per essere se stessi secondo il disegno di Dio. In fondo, il coraggio è una virtù inseparabile dalla fiducia e dall’amore. Se non hai amore, se non hai fiducia, se non ti senti amato, anche il coraggio viene meno. Se invece c’è tutto questo, il coraggio ti fa aprire a quelle che un grande teologo evangelico come Karl Barth chiamava le “impossibili possibilità di Dio”: proprio quelle che nella Settimana Santa ci vengono rivelate.

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Sempre in prima elementare

Posté par atempodiblog le 30 mars 2015

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“Non c’è nessuno da cui tu non possa apprendere. Dinanzi a Dio che parla in tutti sei sempre in prima elementare”.

Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld

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Aereo caduto/ E se anche noi fossimo “complici” di Andreas Lubitz?

Posté par atempodiblog le 30 mars 2015

Aereo caduto/ E se anche noi fossimo “complici” di Andreas Lubitz?
di don Federico Pichetto – Il Sussidiario

Aereo caduto/ E se anche noi fossimo “complici” di Andreas Lubitz? dans Articoli di Giornali e News 11i23gp

La verità che emerge dalla tragedia dell’Airbus della Germanwings, schiantatosi martedì mattina sulle Alpi francesi, è quanto mai amara e dolorosa. Il copilota tedesco del velivolo, Andreas Lubitz, 27 anni, ha deliberatamente e lucidamente voluto — fino all’ultimo — far precipitare l’aereo su quelle montagne. La notizia è stata di quelle capaci di togliere il fiato e, benché le motivazioni di una tale decisione siano ancora da appurare, i “coriandoli” che le immagini ci mostrano sulla nuda roccia lasciano attoniti e interdetti a fronte di un fatto per cui non ha alcun senso cercare altri responsabili o altri colpevoli.

La vicenda, al netto di ciò che riscontrerà la magistratura, acquista così un forte valore simbolico e quelle centocinquanta vite scomparse nella brezza dell’Alta Provenza ci appaiono improvvisamente come il segno — diceva Gaber — di qualcosa che “forse stiamo per capire”. L’Airbus A320 della costola low cost della Lufthansa sembra infatti sempre di più il Titanic di questo nostro secolo: come il naufragio della nave salpata da Southampton rappresentò per gli europei il naufragio della Belle Époque e della fiducia incondizionata nel futuro e nel progresso, così lo schianto di quel volo ci appare oggi come lo schianto di un’intera epoca in cui — sempre in Europa — si è creduto che l’uomo fosse ormai un “mistero risolto” e che bastassero alcuni test attitudinali, per altro certamente di altissima professionalità, per conoscerlo e dominarlo.

Purtroppo non è così: nel giro di ottanta giorni Merkel e Hollande si sono trovati più volte alle prese con “umanità fuori controllo” capaci di uccidere a Parigi, di portare il terrore in Libia o a Tunisi e di farsi precipitare nei cieli di Francia. Nessun addestramento o principio democratico li ha fermati, nessun sistema di controllo li ha individuati e bloccati nelle loro azioni criminose. C’è, in tutto questo, qualcosa che va al di là dell’Isis e di qualunque altra giustificazione morale o psicologica, qualcosa che ha le sue radici profonde nell’occidente e che fa diventare gli stessi occidentali carnefici del loro mondo.

Ognuno degli episodi di questi ultimi mesi, infatti, è sorto nella libertà e nel cuore di alcuni esseri umani, nell’Io di individui ostaggio dei propri pensieri e della propria mente, nell’animo di gente che, ultimamente, hanno la stessa mia statura e stoffa umana: quello che è successo a loro, insomma, è qualcosa che riguarda me, che è possibile che accada a me. Oggi più che mai ci troviamo di fronte ad un’umanità intimamente malata che continua a dare valore di verità a ciò che pensa, a ciò che sente e a ciò che vuole, un’umanità che pretende che la propria opinione e la propria percezione delle cose siano l’unico argine per il proprio agire, un’umanità che rivendica i suoi bisogni, ma che è sempre più incapace di ascoltare, accogliere ed incontrare davvero i bisogni degli altri. 

S’avanza dunque dentro di noi un’umanità crudele, talmente occupata dal proprio dolore da non riuscire più a percepire quello di chi sta accanto e a vivere l’altro — ogni altro — come un ostacolo. Per i giornali e i media è facile attribuire la colpa di tutto questo ad una fazione, ad un’etnia o a un disturbo patologico, è difficilissimo — invece — riconoscere in quello che sta accadendo un ultimo disagio del cuore, un ultimo urlo che trova solo nella rabbia e nella violenza la sua vera espressione.

Questo, in effetti, comporterebbe prendere coscienza di un bisogno più grande che nessuna legge o nessun diritto potrà mai colmare: il bisogno di un Altro, di un Qualcuno, che ci salvi. Dalla vita domestica al rapporto con i colleghi di lavoro, dall’amore alla politica, tutto sembra segnato da un’ultima rabbia e da un’ultima paura verso la vita. I pensieri e le ideologie diventano gli abili carcerieri della nostra felicità e la vita di chi ci sta accanto si trasforma in qualcosa “a nostra disposizione” sia che si tratti di una donna, di un bambino o della vita di centocinquanta persone.

Il vero tema del nostro tempo, allora, non è il male, e neppure il dolore, ma la salvezza, il bisogno di essere salvati da tutta questa crudeltà che si fa strada e che ci invade. L’uomo, però, non si salva da solo. Occorre che Uno venga e assuma su di sé il grido del cuore. Senza Redenzione, senza l’atto di “una qualche parola rivelata di un Dio”, i fatti rimarranno prigionieri di sterili analisi ideologiche o psicologiche che attribuiranno a “facili nemici” la causa di comportamenti e scelte che invece derivano da un disagio più profondo che nessun capriccio può davvero colmare, ossia il bisogno di sapere se siamo amati, se qualcuno davvero ci vuole, se qualcuno — almeno — ci può perdonare.

Su quella montagna si sono schiantate non solo centocinquanta vite, ma tutto il desiderio che abbiamo di vivere, di esserci, di sperimentare felicità. Su quel monte si è schiantato l’Occidente e davvero stasera mi domando se tutto quel sangue innocente grondi solo dalle mani di Andreas Lubitz o, in verità, non sia anche un po’ dentro le parole e gli atteggiamenti di ciascuno di noi. Pronti a giudicare tutto, pronti a piangere in piazza e a “corteggiare morbosamente” il dolore degli altri, ma mai pronti a guadarci allo specchio e ad ammettere che siamo noi i primi che hanno realmente bisogno di essere redenti.

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L’abbraccio del Padre Misericordioso

Posté par atempodiblog le 29 mars 2015

La confessione sacramentale
L’abbraccio del Padre Misericordioso

«Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia… Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto» (Papa Francesco).

“Padre con il figliol prodigo”, scultura di Ferdinando Perathoner.

La nostra vita è una continua battaglia contro quell’unico peccato, che è origine di tutti gli altri peccati: l’idolatria di sé. Una lotta dalla quale non si esce senza qualche ferita.

Dio ha mandato il suo Figlio «non per condannare, ma per salvare; non per curare i sani, ma i malati» (Gv 3,17; Mt 9,12). Con questa stessa missione il Risorto ha inviato nel mondo i suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Si tratta di offrire la misericordia e il perdono di Dio a quanti, pur credendo a quei valori di vita incarnati da Gesù, devono umilmente riconoscere anche la propria infedeltà a quel modello di vita.

Il sacramento della Penitenza ( = confessione) non è omologabile ad un tribunale umano e tanto meno ad “una sala di tortura” (Papa Francesco).

Il sacramento della Penitenza è espressione visibile di quella Chiesa che è chiamata dal suo Fondatore ad «essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (Papa Francesco). Nel sacramento della penitenza, infatti, non è tanto importante ciò che si è fatto in passato, quanto piuttosto ciò che si intende fare per il futuro, per quanto possibile.

di Silvano Sirboni, liturgista
Nella foto: “Padre con il figliol prodigo”, scultura di Ferdinando Perathoner.
Tratto da: La Domenica

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La Confessione pasquale

Posté par atempodiblog le 28 mars 2015

La Confessione pasquale
di Padre Livio Fanzaga – Il giornalino di Radio Maria

Confessione dans Citazioni, frasi e pensieri Confessione

La Confessione in occasione della Pasqua ha un valore particolare, perché è dalla croce di Cristo che viene la remissione dei peccati. Gesù è l’Agnello di Dio che porta sulle sue spalle il peccato del mondo e anche i nostri peccati personali. Con la sua passione e la sua morte li ha espiati al nostro posto e per nostro amore, ottenendoci la riconciliazione col Padre e la vita eterna.

La remissione dei peccati ci viene donata nei sacramenti del Battesimo e della Penitenza, grazie ai quali moriamo con Cristo al peccato e risorgiamo con lui alla vita nuova della grazia. Noi viviamo la Pasqua unendoci alla morte e alla risurrezione di Gesù, attraverso un profondo cambiamento interiore.

La Confessione è un momento fondamentale della celebrazione della Pasqua. Comporta una revisione di vita e uno sguardo sui peccati che la macchiano. Guardando alla croce con gli occhi della fede possiamo contemplare l’amore prodigo e senza confini del Figlio di Dio che ha dato la sua vita per la nostra salvezza.

Lasciamo che il cuore sia conquistato dalla contrizione e dal desiderio di cambiare vita. Accogliamo con gratitudine il perdono dei peccati e il dono di una rinnovata amicizia con Gesù, nostro Signore e Redentore. Allora potremo sperimentare la dolcezza della pace, il dono che Gesù ha portato agli Apostoli rinchiusi nel cenacolo. Non vi è dono più grande che l’uomo possa desiderare sulla terra.

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Radio Maria nelle carceri

Posté par atempodiblog le 28 mars 2015

Radio Maria nelle carceri
Il gran lavoro dei nostri volontari per portare sorriso e conforto ai detenuti
Tratto da: Il giornalino di Radio Maria

Radio Maria nelle carceri dans Amicizia Radio-Maria-nelle-carceri

“Non ero mai passata davanti a una chiesa in vita mia, ma ringrazio Dio per aver vissuto questo momento di preghiera”. Il ricordo della testimonianza di una giovane del carcere Pagliarelli fa ancora commuovere Giuseppe che due anni fa, insieme agli altri volontari dello Studio mobile di Palermo, ha trasmesso l’“Ora di Spiritualità” da uno dei carceri più affollati d’Italia (1181 persone, tra uomini e donne): “È stata un’esperienza incredibile: siamo stati accolti benissimo sia dai cappellani che dalle autorità, che in occasione della nostra diretta hanno dimostrato una grande carità nei confronti dei 200 detenuti  che hanno preso parte alla trasmissione. Prima di andare in onda siamo andati quattro volte a fare le prove e tutti hanno sempre partecipato, due di loro ci hanno addirittura aiutato a risolvere un problema tecnico”.

Stessa grande accoglienza, l’anno scorso, nel carcere di Trapani, che ospita 445 persone: “Il detenuto-artista che ha decorato il salone da dove abbiamo trasmesso ha voluto anche disegnare una bellissima Madonna in onore di Radio Maria”, dice Giuseppe, che non vede l’ora di tornare al Pagliarelli l’8 maggio, per trasmettere il Rosario e la santa Messa con i Vespri.

Non c’è dubbio: ogni volta che i volontari di Radio Maria entrano in uno dei 233 istituti di pena italiani per realizzare una trasmissione di preghiera è sempre una festa e alla fine, nel cuore di tutti, rimane sempre qualcosa di speciale, un sentimento di gioia e di gratitudine che rappresenta il giusto premio per un lavoro molto impegnativo. Dietro ogni diretta, infatti, c’è un’organizzazione che coinvolge detenuti, volontari, personale carcerario e che parte con diverse settimane di anticipo, necessarie per prendere contatto con i cappellani, ottenere il via libera dalle autorità, inoltrare le richieste d’ingresso negli istituti, risolvere i problemi tecnici che, in strutture così protette, inevitabilmente si moltiplicano. Eppure, nonostante tutte le difficoltà, ogni mese i nostri Studi mobili ci assicurano almeno una trasmissione dal carcere e, nel 2015, il numero dei collegamenti potrebbe addirittura aumentare.

Merito del progetto “Madre di Misericordia”, un altro “miracolo di volontariato” che ha reso ancora più stretto e fecondo il rapporto che da sempre lega Radio Maria al mondo del carcere. Dal 2011, infatti, la piccola squadra di volontarie capitanata dalla signora Giò Carrozza è stata in grado di contattare pressoché tutti i 242 cappellani italiani e di inviare loro rosari, vangeli, libretti di preghiera, immagini e soprattutto ben 15mila delle nostre radioline a forma di Madonna stilizzata, appositamente studiate per rispettare gli standard di sicurezza imposti per l’ingresso in carcere. Sussidi molto apprezzati dai sacerdoti e soprattutto dai detenuti, che ci mandano lettere commoventi.

“Ringrazio particolarmente Padre Livio che pregando si ricorda sempre di noi – ha scritto di recente un detenuto di Rebibbia –: stia certo che le nostre preghiere arriveranno anche a lui e a tutta l’associazione Radio Maria. Sono qui in attesa di una vostra parola di conforto che sempre mi portate”. Un conforto che si avverte in modo particolare ascoltando “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi”, la trasmissione condotta da don Giacomo Martino, cappellano del carcere di Genova-Pontedecimo, in onda il quarto e quinto lunedì del mese alle 22.45: un appuntamento molto apprezzato non solo da detenuti e addetti ai lavori, ma anche dagli ascoltatori che intervengono numerosi per porre le loro domande e conoscere più da vicino questo pezzo di società intriso di sofferenza ma anche di grande speranza, che troppo spesso tendiamo a rimuovere.

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Pakistan: Il giovane eroe sacrificatosi per salvare centinaia di cristiani

Posté par atempodiblog le 26 mars 2015

Pakistan: Il giovane eroe sacrificatosi per salvare centinaia di cristiani
Akash Bashir ha braccato un kamikaze che stava per entrare in una chiesa per compiere una strage. Per il suo coraggio si chiede il conferimento del più alto riconoscimento civile
di Federico Cenci – Zenit

Pakistan: Il giovane eroe sacrificatosi per salvare centinaia di cristiani dans Articoli di Giornali e News 2jdlwrt

Laddove alligna l’odio verso i cristiani che sfocia in violente persecuzioni, si consumano atti d’eroismo incommensurabili. Lahore, città del Pakistan al confine con l’India, situata pochi chilometri a sud della regione del Kashmir, è uno di quei luoghi che più spesso compare nelle cronache dei giornali come scenario di atroci attentati in odium fidei. È in territori come questo che i cristiani (che in Pakistan rappresentano la minoranza, 2% della popolazione, più marginalizzata) sono sempre più facile bersaglio degli estremisti.

Il 15 marzo scorso, domenica, attacchi terroristici hanno preso di mira due chiese di Lahore gremite di fedeli in preghiera, causando 16 morti e almeno 90 feriti. Gli attentati, coordinati tra loro, sono stati rivendicati dal gruppo Jamaat-ul-Ahrar, vicino ai talebani. Il bilancio delle vittime, nella chiesa cattolica di St. John, a Youhanabad, periferia della città, sarebbe potuto essere più grave. Tuttavia, l’intervento sprezzante del pericolo di un giovane si è rivelato risolutore avendo impedito al kamikaze di introdursi nell’edificio sacro.

Il fatto è il seguente. Un giovane parrocchiano, di nome Akash Bashir, in qualità di “security guard” (guardia di sicurezza) insieme a un amico stava controllando chi entrasse all’ingresso della chiesa. Insospettitosi dall’atteggiamento irruento di un uomo con un giaccone, Akash gli si è avvicinato e lo ha fermato prima che questi varcasse la porta. L’uomo ha provato a fare resistenza, e proprio in quel momento il giovane cristiano si è accorto del carico esplosivo che nascondeva sotto il giubbotto, così lo ha abbracciato per arrestare ogni suo movimento. L’attentatore, sentendosi braccato, ha quindi deciso di muovere la leva dell’esplosivo, che ha ucciso il giovane Akash.

La morte di questo parrocchiano è valsa come un sacrificio, avendo salvato la vita a centinaia di fedeli che in quel momento affollavano la chiesa. A diffondere la notizia dell’accaduto sono stati i salesiani, attraverso la loro agenzia di notizie Ans: era un giovane ex allievo della scuola tecnica salesiana del quartiere in cui è avvenuta la tragedia. “Ha abbracciato il suo assalitore, facendo scudo col suo corpo”, raccontano i religiosi.

“È grazie a lui – prosegue l’ordine di don Bosco – se il bilancio delle vittime accertate non è stato terribile come gli attentatori si prefiguravano ». I salesiani hanno inoltre annunciato che la loro scuola rimarrà chiusa “fino a che non possa essere garantita la sicurezza; alcuni giovani attualmente non possono nemmeno fare ritorno alle loro case, per via dei continui disordini e delle violenze stradali”.

Il giorno dei funerali delle vittime del duplice attentato, il 17 marzo, manifestazioni contrapposte di cristiani e musulmani sono state contenute a fatica dalla polizia, che ha evitato che i due gruppi venissero a contatto. “Come minoranza cristiana ci sono momenti in cui la nostra sola speranza è nell’aiuto di Dio e di sua Madre, Maria”, affermano ancora i salesiani.

La stessa fiducia in Dio animava il cuore di Akash Bashir, che i suoi genitori descrivono come un ragazzo “ubbidiente, laborioso e molto regolare nella preghiera”. Nei giorni successivi al suo sacrificio, la sua casa è stata meta di un continuo pellegrinaggio di fedeli giunti lì per lodare il valore di questo giovane eroe e per esprimere condoglianze alla sua famiglia. A rendergli omaggio anche mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore.

La richiesta che giunge al primo ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, e al Governatore della regione del Punjab, Shahbaz Sharif, è che al giovane Akash sia conferito il più alto riconoscimento civile (Son of Nation) per il coraggio dimostrato. Sarebbe, questo, un gesto concreto di pacificazione per un Paese che ne ha davvero bisogno.

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Il cristiano non è mai un solitario

Posté par atempodiblog le 26 mars 2015

Il cristiano non è mai un solitario dans Citazioni, frasi e pensieri 29lmg6a

“La vita cristiana deve essere vita di preghiera incessante, sforzandoci di stare alla presenza di Dio dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Il cristiano non è mai un solitario, perché vive in una continua intimità con Dio, che è vicino a noi e nei Cieli”.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Papa Francesco: Dio ci aiuti a non essere cristiani “sì, ma…”

Posté par atempodiblog le 26 mars 2015

Una dottrina propria

La maggior parte dei cattolici ormai oggi, in totale buona fede, pensando di continuare ad essere cattolici, dicono “mah, si la Chiesa… sono d’accordo su quasi tutto, però su questa cosa per esempio no”, sulla questione dei divorziarti-risposati no, oppure sulla questione dell’aborto no, oppure sulla questione del divorzio no, oppure sulla questione dell’eutanasia no, oppure su tutte queste cose insieme no. Quindi su tutta una serie di questioni i cattolici si fanno una morale, una teologia, una dottrina propria. E’ ovvio che chiunque dissenta in qualche cosa che riguarda la struttura fondamentale della fede, della dottrina… non è più cattolico, però questo sembra  difficile da far capire oggi. Spesso le persone più disorientate dalla ferma dottrina che sta ribadendo Benedetto XVI sono tanti cattolici, i quali non si rendono conto di come un Papa possa dire delle cose che non vanno discusse, vanno imparate. Questo verbo “imparare” piace molto poco.

Alessandro Gnocchi – Radio Maria

Papa Francesco: Dio ci aiuti a non essere cristiani “sì, ma…” dans Fede, morale e teologia 24yoc5i

“Anche noi fra i cristiani, quanti, quanti troviamo anche noi, ci troviamo noi un po’ avvelenati per questo scontento della vita. Sì, davvero, Dio è buono, ma cristiani sì, ma… Cristiani sì, ma… Che non finiscono di aprire il cuore alla salvezza di Dio, sempre chiedono condizioni. ‘Sì, ma così!’. ‘Sì, sì, sì, io voglio essere salvato, ma per questa strada’…  Così il cuore diviene avvelenato”.

[...]

“Tante volte diciamo che siamo nauseati dello stile divino. Non accettare il dono di Dio col suo stile: quello è il peccato quello è il veleno. Quello ci avvelena l’anima, ti toglie la gioia, non ti lascia andare”.

Papa Francesco

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Il senso della Grazia che pervade l’opera di Tolkien

Posté par atempodiblog le 26 mars 2015

Il senso della Grazia che pervade l’opera di Tolkien
Tratto da: Il Timone

Il senso della Grazia che pervade l'opera di Tolkien dans John Ronald Reuel Tolkien 2zf92mb

Michael White, autore di libri di giornalismo scientifico, ha pubblicato anche La vita di J.R.R. Tolkien (trad. it., Bompiani, Milano 2002). White è tutto tranne che un apologeta del cattolicesimo di Tolkien – che presenta costantemente sotto una luce irreale o addirittura come esempio di fanatismo – e decisamente non è un esegeta meticoloso della sua produzione narrativa. Che quindi White sia in grado, del tutto liberamente, di mettere in evidenza quanto segue, costituisce un elemento di valore non secondario. Infatti,

«[...] l’aspetto religioso più curioso del libro [Il Signore degli Anelli] non riguarda tanto gli elementi che concorrono a creare i personaggi chiave, ma una sottile tendenza nascosta implicita nel raccontare la storia, e nella scansione del tempo. Nell’Appendice B del Signore degli Anelli ci viene detto che la Compagnia lascia Granburrone per iniziare la sua missione il 25 dicembre. Il giorno in cui Frodo e Sam riescono a distruggere l’Anello, il giorno in cui viene gettato nella Voragine del Fato e la nuova Era inizia davvero, nel calcolo degli anni di Gondor, è il 25 marzo. Anche se questa data non significa nulla per la maggior parte della gente, nella vecchia tradizione inglese (materia con cui Tolkien aveva molta familiarità), il 25 marzo era la data del primo venerdì santo, la data della crocifissione di Cristo».

Inoltre, «[p]er altre due ragioni il 25 marzo è una data significativa nella tradizione cristiana. È la felix culpa, la data della cacciata di Adamo ed Eva e anche la data dell’Annunciazione e del concepimento di Cristo, esattamente nove mesi prima della sua nascita il 25 dicembre».

Secondo White, ciò significa
«[...] che gli eventi principali nella storia dei come viene distrutto l’Anello e sconfitto Sauron si svolgono nel mitico [sic] periodo fra la nascita di Cristo (il 25 dicembre) e la sua morte (il 25 marzo). Non ci sarebbe ragione di inserirlo nella storia se non come forma di sottile “messaggio nascosto”. Tolkien sta imponendo la sua fede su un mondo pagano, i suoi personaggi svolgono il loro ruolo in un vuoto non cristiano, ma il loro “subcreatore” può farli muovere in una struttura temporale che è cristiana; dopo tutto, ha lui l’ultima parola. Oltre a questo, quello che voleva dire Tolkien quando sosteneva che la sua opera era di natura cristiana, e persino cattolica, era il senso della Grazia che pervade l’opera. I suoi personaggi vivono in un mondo [...] in cui la fede da sola può far accadere le cose. Non è una semplice questione di forza di volontà o di determinazione [...]. E anche se nella narrativa di Tolkien non c’è un cristianesimo specifico, non ci sono Bibbie, crocifissi o altari, “lo spirito cristiano” è dappertutto».

Non scordiamoci questa fondamentale impostazione narrativa di Tolkien quando ne facciamo un fenomeno da baraccone buono per ogni palato. Tolkien, infatti, ci parla costantemente, in maniera immaginifica e bella, dell’unica verità che salva, la verità di Cristo.

Per approfondire ulteriormente la dimensione cattolica dell’opera tolkienana, non scordatevi il dossier pubblicato da Freccia dans Libri Il Timone.

Freccia La vita dell’uomo non è una tragedia, ma un felice ritorno a casa

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Incarnazione dell’eterna Sapienza

Posté par atempodiblog le 25 mars 2015

Incarnazione dell’eterna Sapienza
Da ‘L’amore dell’eterna Sapienza’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

Incarnazione dell'eterna Sapienza dans Angeli 2isxncg

Il Verbo eterno, la Sapienza increata, avendo deciso nel consiglio della Trinità Santa di farsi uomo per restaurare l’uomo decaduto, fece conoscere ad Adamo – come si crede – e promise agli antichi patriarchi – come dice la S. Scrittura – che si sarebbe incarnato per riscattare l’umanità.
Per questo nel corso delle migliaia di anni seguenti alla creazione, tutti i santi personaggi della Legge antica chiesero il Messia con insistenti preghiere. Gemevano, piangevano, gridavano: «O nubi, piovete il Giusto! O terra, produci il Salvatore!». «O Sapienza che esci dalla bocca dell’Altissimo, vieni a liberarci!».
Ma le loro grida, preghiere e sacrifici non ebbero sufficiente forza per attirare dal seno del Padre l’eterna Sapienza, il Figlio di Dio. Levavano le braccia al cielo, ma non erano abbastanza lunghe per raggiungere il trono dell’Altissimo.
Facevano continuamente a Dio dei sacrifici, anche del loro cuore, ma non erano di tale valore da meritare questa grazia somma.

Da ultimo, essendo giunto il momento stabilito per la redenzione degli uomini, la Sapienza si costruì una casa, un’abitazione degna di sé. Creò e formò la divina Maria nel seno di sant’Anna, con un gaudio maggiore di quello provato nel creare l’universo. È impossibile esprimere le ineffabili comunicazioni della Trinità santissima a questa bella creatura, ed anche indicare la fedeltà con la quale Maria corrispose alla grazia del suo Creatore.

Il travolgente fiume dell’infinita bontà di Dio, bruscamente arrestato dal peccato degli uomini all’inizio del mondo, si riversa con veemenza e pienezza nel cuore di Maria. La Sapienza eterna le concede tutte le grazie che Adamo ed i suoi discendenti avrebbero ricevuto dalla sua generosità se fossero rimasti nella giustizia originale. Infine – dice un santo – l’intera pienezza della divinità si diffuse in Maria per quanto una creatura ne era capace.
O Maria! Capolavoro dell’Altissimo, miracolo della Sapienza increata, prodigio dell’onnipotenza, abisso di grazia! Riconosco con tutti i santi che soltanto chi ti ha creata può capire l’altezza, la larghezza e la profondità delle grazie che t’ha fatto.

In quattordici anni di vita, la divina Maria ebbe una tale crescita in grazia e sapienza di Dio ed una così perfetta fedeltà all’amore di lui, da rapire in ammirazione non solo tutti gli angeli, ma pure lo stesso Dio. La sua profonda umiltà spinta fino al nulla, lo incantò; la sua divina purezza, l’attirò; la sua viva fede e le sue frequenti ed amorose preghiere gli fecero dolce violenza. La Sapienza fu amorosamente vinta da così amorose richieste.«Quanto fu l’amore di colei che vinse l’Onnipotente!» esclama sant’Agostino.
Cosa sorprendente! La Sapienza vuole discendere dal seno del Padre fino al seno di una vergine in cui adagiarsi tra i gigli della purezza, e darsi interamente a lei facendosi uomo in lei. Le invia quindi l’Arcangelo Gabriele perché le porga i suoi saluti, e le dica che gli ha conquistato il cuore e che desidera farsi uomo in lei, purché ella ne dia il consenso.
L’Arcangelo esegue l’ambasciata. Assicura Maria che rimarrà vergine pur diventando madre, ed ottiene, vincendo la resistenza di una profonda umiltà, l’ineffabile consenso che la santa Trinità, gli angeli e l’universo attendevano da lunghi secoli.
Inchinata davanti al Creatore, Maria risponde: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto».

Notiamo che nel medesimo istante in cui Maria accondiscende a diventar madre di Dio, si compiono parecchi prodigi. Lo Spirito Santo forma, con il più puro sangue del cuore di Maria, un corpicino, e lo struttura con perfezione. Dio crea la più perfetta anima che sia mai uscita dalle sue mani. La Sapienza eterna, il Figlio di Dio, si unisce, in unità di persona, a quel piccolo corpo ed a quell’anima. Ecco compiersi la più alta meraviglia del cielo e della terra, il prodigioso eccesso dell’amor di Dio: «E il Verbo si fece carne». La Sapienza eterna si è incarnata. Dio è diventato uomo continuando ad essere Dio. E questo Uomo-Dio si chiama Gesù Cristo, cioè Salvatore.

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Celebrazione speciale del mistero dell’Incarnazione

Posté par atempodiblog le 24 mars 2015

Celebrazione speciale del mistero dell’Incarnazione
dal ‘Trattato della vera devozione alla santa Vergine’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

Celebrazione speciale del mistero dell'Incarnazione dans Fede, morale e teologia Annunciazione-Incarnazione

[I devoti di Maria] Avranno una speciale devozione per il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo, il 25 marzo, che è il mistero tipico di questa devozione. Essa infatti è stata ispirata dallo Spirito Santo:

1°. per onorare e imitare la misteriosa dipendenza che il Figlio di Dio ha voluto avere da Maria, a gloria di Dio suo Padre e per la nostra salvezza; tale dipendenza appare in modo particolare in questo mistero, nel quale Gesù Cristo è come prigioniero e schiavo nel seno della divina Maria e da lei dipende in ogni cosa;

2°. per ringraziare Dio delle grazie eccezionali che ha fatto a Maria e particolarmente di averla scelta come sua degnissima Madre: scelta che è avvenuta in questo mistero. Ecco i due fini principali della schiavitù di Gesù Cristo in Maria.

Ti prego di osservare come io dica di solito: schiavo di Gesù in Maria, o schiavitù di Gesù in Maria. In verità, come molti hanno fatto finora, si può anche dire: schiavo di Maria, o schiavitù della Santa Vergine; ma credo sia meglio dirsi schiavo di Gesù in Maria, come il Tronson, superiore generale del Seminario di San Sulpizio, famoso per la sua rara prudenza e per la pietà consumata, lo ha consigliato a un ecclesiastico che lo consultava a questo proposito. Ecco il perché.

1°. Poiché viviamo in un secolo pieno di orgogliosi, con tanti intellettuali pieni di se, spiriti forti e critici, che trovano a ridire anche sulle pratiche di pietà più solide e meglio motivate, per non dare loro occasione di critica senza necessità, è meglio dire schiavitù di Gesù Cristo in Maria, o dirsi schiavo di Gesù Cristo, piuttosto che schiavo di Maria. Così facendo, la presente devozione prende nome da Gesù Cristo, suo fine ultimo, piuttosto che da Maria, che è il cammino e il mezzo per arrivare a questo fine; ma in realtà si può usare l’una o l’altra espressione, senza scrupolo, come faccio io. Per esempio, se uno viaggia da Orleans a Tours, passando per Amboise, può ben dire che va ad Amboise, o che va a Tours; che è in cammino per Amboise, o per Tours; la differenza tuttavia è che Amboise rappresenta la strada dritta per andare a Tours, e che in effetti è Tours il fine ultimo e il termine del viaggio.

2°. Poiché il mistero principale che si vuol celebrare e onorare in questa devozione è il mistero dell’Incarnazione, nel quale Gesù Cristo appare in Maria, fatto uomo nel suo grembo, è più appropriato dire schiavitù di Gesù in Maria, di Gesù che abita e regna in Maria, come dice quella bella preghiera recitata da persone illustri: “O Gesù vivente in Maria, vieni e vivi in noi, nel tuo spirito di santità…”.

3°. Questo modo di esprimersi sottolinea meglio l’intima unione che c’è tra Gesù e Maria. Essi sono così intimamente uniti, che l’uno è tutto nell’altro: Gesù è tutto in Maria, e Maria è tutta in Gesù; o piuttosto, ella non esiste più, ma è Gesù solo che è in lei; si potrebbe più facilmente separare la luce dal sole, che Maria da Gesù: tanto che Gesù Cristo Signore può essere chiamato Gesù di Maria, e la Vergine Santa può essere detta Maria di Gesù.

Il tempo non mi permette qui di fermarmi a spiegare le eccellenze e le grandezze del mistero di Gesù che vive e regna in Maria, cioè dell’Incarnazione del Verbo. In due parole, voglio solo dire che abbiamo qui il primo mistero di Gesù Cristo, il più nascosto, il più alto e il meno conosciuto. E’ in questo
mistero che Gesù, in accordo con Maria e nel suo grembo – chiamato per questo dai santi: la sala dei segreti di Dio – ha scelto tutti gli eletti. In questo mistero egli ha operato tutti i misteri della sua vita che sono venuti in seguito, poiché li aveva accettati: Entrando nel mondo, Cristo dice: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà…”. Perciò questo mistero è una sintesi di tutti i misteri; esso contiene la volontà e la grazia di tutti gli altri. E infine, questo mistero è il trono della misericordia, della liberalità e della gloria di Dio. Trono della sua misericordia verso di noi, poiché non ci possiamo avvicinare a Gesù, né parlargli, se non per mezzo di Maria; non possiamo vedere Gesù, né parlargli, se non mediante Maria. Ora Gesù ascolta sempre la sua cara Madre e concede sempre la sua grazia e la sua misericordia ai poveri peccatori: “Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia”. E’ il trono della sua liberalità verso Maria poiché, mentre questo nuovo Adamo dimorava in questo paradiso terrestre, operava tante meraviglie nel segreto, che né gli angeli, né gli uomini possono comprendere; ecco perché i santi chiamano Maria la magnificenza di Dio, come se Dio non fosse magnifico che in Maria. Ed è il trono della gloria che Gesù rende al Padre suo: è infatti in Maria che Gesù Cristo ha placato in modo perfetto il Padre suo, irritato contro gli uomini; ed ha riparato in modo perfetto la gloria che il peccato aveva portato via; con il sacrificio che gli fece della sua volontà e di se stesso, gli rese più gloria che non tutti i sacrifici dell’Antica Legge; insomma gli ha reso una gloria infinita che mai il Padre aveva ancora ricevuto da parte dell’uomo.

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Atto di devozione per l’Annunciazione del Signore

Posté par atempodiblog le 24 mars 2015

Atto di devozione per l’Annunciazione del Signore (nel giorno della sua festa liturgica –  25 marzo)
del Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

Atto di devozione per l'Annunciazione del Signore dans Angeli Annunciazione-di-Filippo-Lippi-Alte-Pinakothek-Monaco
Annunciazione, di Filippo Lippi (Alte Pinakothek, Monaco)

Veniamo con l’arcangelo Gabriele a salutarti da parte della SS. Trinità, o SS. Vergine Maria! O piena di grazia sin dal primo istante della concezione immacolata, la pienezza iniziale della tua divina grazia non ha giammai cessato di elevarsi e di arricchirsi di nuovi tesori di grazie.

O Vergine Maria, per la tua pienezza di grazie, ottienici di mai perdere la grazia di Dio, di crescere sempre nella grazia di Dio e di compiere tutte le nostre azioni con una perfezione che corrisponda a tutta la potenza di grazia, di virtù e doni presenti nell’ anima!

Il Signore è con te, o SS. Maria! Per tua intercessione sia sempre anche con noi! E come in te, così anche in noi, per il suo amore infinito che non dice mai “basta”, venga per elevarci ad un grado di unione con lui sempre più alto!

O SS. Maria, tu non hai mai contristato o dimenticato la divina inabitazione, tu hai sempre cooperato con la divina azione, tu hai sempre corrisposto alla divina relazione! Ottienici perfetta contrizione del modo indegno con cui sinora abbiamo trattato Dio in noi!

Benedetta tu fra tutte le donne, santissima Vergine Maria, perché con la tua verginità piacesti al Signore e con la tua umiltà divenisti sua madre, per virtù dello Spirito Santo, che ti aveva preparata con prodigi di santificazione e così, in te, operava l’incarnazione del Verbo!

Confessiamo, pieni di confusione, la nostra superbia che ci fa, in tutto e per tutto, non graditi a Dio e al prossimo, e glorifichiamo, nel cielo della tua umiltà, il sole delle umiliazioni del Verbo incarnato, umiliato e immolato in ogni suo atto e stato di uomo, Dio e specialmente nella sua ubbidienza sino alla morte di croce!

O SS. Vergine Maria, non cesseremo di glorificare tre volte al giorno la tua annunciazione e la conseguente divina incarnazione del Verbo in te e la tua divina maternità verginale! E tu non cessare di operare, con lo Spirito Santo, la formazione di Gesù in noi.

Nulla è impossibile al cospetto di Dio,o Maria! Nulla si nega alla tua preghiera. Il tuo “fiat” rassomiglia al “fiat” del Creatore! Uniamo il nostro al “fiat” di Dio e tuo, o Maria. Ecco, o SS. Trinità, ecco i tuoi servi e amanti, si faccia in noi secondo la tua gloria, amore e volontà!

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