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Essere innamorati non vuol dire amare

Posté par atempodiblog le 14 février 2015

“Ma essere innamorati non vuol dire amare. Si può essere innamorati e odiare. Ricordatelo!”.

Fëdor Dostoevskij – I fratelli Karamazov

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In realtà, per quanto se ne dica, la condizione dell’«essere innamorati» di solito non dura. Se la vecchia frase finale delle favole, «e vissero sempre felici», significasse: «si sentirono, nei cinquant’anni seguenti, esattamente come si sentivano il giorno prima di sposarsi», direbbe una cosa che probabilmente non è mai stata vera né mai lo sarà, e che sarebbe, se si avverasse, indesiderabilissima. Chi sopporterebbe di vivere in quello stato di eccitazione anche solo per cinque anni? Che ne sarebbe del nostro lavoro, del nostro appetito, del sonno, delle amicizie? Ma va da sé che cessare di essere «innamorati» non significa cessare di amare. L’amore in questo secondo senso – l’amore distinto dall’«essere innamorati» – non è soltanto un sentimento.

Clive Staples Lewis – Il cristianesimo così com’è

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Concistoro. Francesco: cardinale è uomo di carità e speranza

Posté par atempodiblog le 14 février 2015

Concistoro. Francesco: cardinale è uomo di carità e speranza
Quella cardinalizia non è una dignità “decorativa”, perché chi vi è chiamato deve avere una sola “parola-guida”: la carità. È quanto Papa Francesco ha detto ai 20 nuovi cardinali creati durante il Concistoro presieduto nella Basilica di San Pietro. Alla cerimonia ha preso parte anche il Papa emerito, Benedetto XVI.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

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Una berretta rossa non è il fregio posto sul capo di un uomo di comando, ma il simbolo di un uomo chiamato a un servizio più grande. Grande come la carità cristiana, che trabocca di benevolenza, è orientata alla giustizia, è piena di speranza, è incline al perdono. Un uomo che non ha altro amore che la Chiesa e sostiene il Papa come un fratello.

Non siete decorativi
Papa Francesco pone se stesso e i 20 nuovi cardinali – 19 presenti in Basilica, unica eccezione l’ultranovantenne colombiano Pimiento Rodríguez – di fronte al manifesto dell’eccellenza cristiana, quella descritta da San Paolo nel suo “Inno alla carità”. Lì, afferma, un cardinale soprattutto trova il suo dover essere, poiché dice subito, nelle prime righe della sua allocuzione…

“…quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – ‘cardinale’ – che evoca il ‘cardine’; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità”.

Amate senza confini
La cerimonia inizia e si snoda con grande solennità. Banditi gli applausi, a rimarcare non l’assenza di gioia, ma il bisogno di raccoglimento. Davanti all’altare, sulla sinistra, lo spesso emiciclo scarlatto delle porpore culmina nel punto in bianco dove siede il Papa emerito Benedetto. L’ascolto è di un silenzio solido quando Francesco, scomponendo l’Inno paolino, ricorda quali sentimenti debbano battere in un “cardine” della Chiesa:

“Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi (…) Saper amare con  gesti benevoli. Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.

Vostro interesse sia il bene di tutti
La carità inoltre “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio” – tentazioni, riconosce il Papa, dalle quali “non sono immuni” neanche le “dignità ecclesiastiche” – e poi non “non manca di rispetto” e “non cerca il proprio interesse”. In questo caso, osserva Francesco, il problema nasce in chi è troppo “autocentrato” su di sé da non badare alla dignità degli altri:

“Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale ‘interesse’ può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto sotto è sempre il ‘proprio interesse’. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri”.

Dio ci scampi dal rancore
Trasparente Papa Francesco nel punto in cui si sofferma a considerare la carità che non si arrabbia, né tiene la contabilità del “male ricevuto”. Certo, ammette, “al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi”. E ancor più non gli difettano nel rapporto “tra confratelli”, perché “in effetti noi siamo meno scusabili”. Ma anche qui, ribadisce, “è la carità, e solo la carità, che ci libera”:

“Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, ‘covata’ dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!”.

Uomini di perdono e speranza
Un uomo della carità, ancora, “non gode dell’ingiustizia e si rallegra della verità”, quest’ultima un’espressione che Francesco sottolinea con piacere perché chi è di Dio, dice, “è affascinato dalla verità” che ritrova nella carne di Gesù. Il commento finale è sulle ultime quattro virtù della carità, che “tutto” scusa, crede, spera e sopporta:

“L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati”.

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Dite “Amici” ed entrate

Posté par atempodiblog le 14 février 2015

Sentite bene questo: saper entrare con cortesia nella vita degli altri. E non è facile, non è facile. A volte invece si usano maniere un po’ pesanti, come certi scarponi da montagna! L’amore vero non si impone con durezza e aggressività. Nei Fioretti di san Francesco si trova questa  espressione: «Sappi che la cortesia è una delle proprietà di Dio… e la cortesia è sorella della carità, la quale spegne l’odio e conserva l’amore» (Cap. 37).

Papa Francesco

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Dite “Amici” ed entrate
di don Fabio Bartoli – La fontana del villaggio

Nel Signore degli Anelli c’è una scena in cui Gandalf deve decifrare un enigma per entrare nelle miniere di Moria, l’antico regno dei Nani, e la risposta all’enigma è: dite “amici” ed entrate.

Amico è la parola d’ordine segreta che apre la via verso il profondo, verso l’intimità dell’altro, verso il regno splendente nascosto in fondo all’uomo. Solo chi si dichiara “amico” sarà fatto entrare perché chi facesse entrare altri che non sono amici mostrerebbe di aver poca considerazione di sé e del proprio valore. Mi lascerò abitare solo da chi si lascia abitare da me. Mi consegnerò solo a colui che si arrende a me.

La soglia di Moria è tenebrosa, entrare nell’amicizia, nel cuore dell’altro, non vuol dire necessariamente entrare in un luogo di delizie. La Compagnia dell’Anello giunge a Moria credendo di trovare in essa un luogo di riparo e un rifugio e si trovano invece a dover affrontare mille pericoli nell’attraversarla.

Così ciò che distingue l’amicizia non è il fatto che sia in sé piacevole, anzi, a volte non lo è affatto, ma è sempre uno scendere nel profondo, un avanzare dentro l’amico passo dopo passo, uno scendere nelle sue profondità, che a volte sono profondità infernali, insieme. Anzi nel fondo della miniera quasi sempre è nascosto un balrog, un demone infernale, e solo la presenza dell’amico mi darà il coraggio di affrontarlo e scacciarlo.

Per questo l’amico è essenziale, perché senza di lui non inizierei questo cammino dentro di me, è troppo faticoso, troppo oscuro. L’amico è colui che mi permette di conoscermi davvero, colui che apre a me stesso la via delle mie profondità, colui che mi dà il coraggio di riappropiarmi del mio regno perduto.

Come accade a Gimli e Legolas, mentre si addentrano nelle miniere, aprendogli la mia casa interiore e lasciandomi abitare dall’amico, visito io stesso questa casa: dò aria a stanze dove non entravo magari da decenni, scopro corridoi e collegamenti che nemmeno sapevo che esistessero e lui mi mostra bellezze che ignoravo, il suo sguardo amante su di me mi restituisce fiducia in me stesso, la sua presenza mi consente di affrontare nemici che mi avevano sempre terrorizzato.

Essendo penetrato nel mio intimo, l’amico è il solo autorizzato a giudicarmi. Si sente spesso dire che per essere oggettivi bisogna giudicare le cose “da fuori”, cioè senza farsi influenzare da valutazioni personali. In realtà però, tutti noi quando veniamo giudicati vorremmo essere giudicati “da dentro”, cioè a partire dalle nostre motivazioni e dai nostri sentimenti. Solo un amico può giudicarci così, conoscendo pienamente il perché delle nostre scelte e il processo che le ha generate.

Non voglio essere troppo tranciante, ma non credo che sia davvero possibile una vita interiore senza amicizia, perché credo che senza un amico sia impossibile conoscersi davvero. Nel nostro immaginario l’uomo spirituale è il solitario che dedica lunghe ore all’introspezione e alla meditazione e sicuramente queste due dimensioni sono indispensabili a chi voglia crescere interiormente, ma la sapienza della Chiesa ha sempre saputo quanto è difficile inoltrarsi da soli in certe vie e l’eremitaggio è sempre stata una eccezione, mentre i monaci, cioè i pionieri dell’interiorità, si sono generalmente organizzati in cenobi, comunità di amici appunto, che si sostengono a vicenda in questa avventura. Basta leggere anche pochi degli apoftegmi dei padri del deserto per rendersi conto di quanta stima avessero del valore dell’amicizia quelle aquile solitarie dello spirito.

Nell’amore dell’amico capisco di essere amabile io stesso. Proprio perché è libero e gratuito, proprio perché non ho alcun diritto ad esso, il fatto che l’amico mi ami mi dice che c’è in me qualcosa di prezioso e degno di essere amato in sé. Per questo bisogna avere il coraggio di farlo entrare senza riserve nelle proprie profondità, perché solo se si rischia, aprendosi incondizionatamente, si può ricevere la guarigione interiore prodotta dall’amore incondizionato. Per questo si dice che chi trova un amico trova un tesoro, è proprio così: è il tesoro di te stesso, o meglio è te stesso come un tesoro ciò che trovi lasciando entrare l’amico nelle tue profondità.

Naturalmente chi entra nelle profondità dell’altro dovrà farlo con una delicatezza infinita. Dimostrerebbe di non aver compreso quanto è rara e preziosa la fiducia ricevuta colui che si addentrasse nell’intimità di un amico con il passo spavaldo del conquistatore, con l’occhio del padrone, di chi dispone di qualcosa che è suo.

È vero, egli si è donato a me, in un certo modo mi ha autorizzato ad entrare, ma questo non lo rende mia proprietà, anzi, proprio la confidenza che mi è stata data deve riempirmi di timore, nella preoccupazione di ferire colui che con tanta generosità mi ha offerto i suoi tesori più preziosi. “La mia casa è la tua casa”, dicono i sudamericani accogliendo un ospite e lo stesso vale nell’amicizia, ma questo non ci autorizza a sporcare ed invadere la casa che ci accoglie.

Grazie all’amico infine io percepisco la mia vita come storia. Una storia non è un semplice succedersi di eventi, ma è il filo che collega questi eventi tra loro. Senza un amico la vita assomiglia ad un libro le cui pagine siano state strappate e rimescolate a caso, è una vita senza una trama. Aiutandomi a riconciliarmi con il mio passato, rendendomi amabile il presente, l’amico mi proietta verso il futuro, mi permette di guardare avanti con speranza. Accanto all’amico vedo con più lucidità la meta ed ho la consapevolezza che il cammino sarà meno faticoso.

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