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Seppi-Paris: è orgoglio italiano

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2015

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La giornata sportiva azzurra brilla per i due grandi successi di italiani: nella notte è arrivato il trionfo di Andreas Seppi agli Australian Open. L’altoatesino ha clamorosamente eliminato Roger Federer al terzo turno del primo grande slam della stagione. Quattro set tiratissimi (6-4, 7-6, 4-6, 7-6) per una vittoria storica: dal 2007 nessun italiano era riuscito a battere King Roger. [...]

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L’altro grande italiano di oggi è Dominik Paris che in 1.09.99 ha vinto il supergigante di cdm di Kitzbuehel, gara di apertura della 75 edizione delle storiche gare dell’Hahnenkamm.

Tratto da: Tutti convocati

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Dio perdona tutto e dimentica

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2015

“Perdonare vuol dire dimenticare per sempre”.
San Giovanni Bosco

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Dio perdona tutto e dimentica
La confessione non è un “giudizio”, ma un “incontro” con un Dio che perdona e dimentica ogni peccato alla persona che non si stanca di chiedere la sua misericordia. È il pensiero di fondo dell’omelia di Papa Francesco, pronunciata durante la Messa del mattino presieduta in Casa S. Marta.

di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

E’ il “lavoro” di Dio, ed è un lavoro “bello”: riconciliare. Perché “il nostro Dio perdona” qualsiasi peccato, lo perdona “sempre”, fa “festa” quando uno gli chiede perdono e “dimentica” tutto. Francesco riflette sul brano di Paolo agli Ebrei, nel quale l’Apostolo parla in modo insistito della “nuova alleanza” stabilita da Dio col suo popolo eletto, e l’omelia diventa un’appassionata meditazione sul perdono.

Dio perdona sempre
“Il Dio che riconcilia”, afferma il Papa, sceglie di mandare Gesù per ristabilire un nuovo patto con l’umanità e il caposaldo di questo patto è fondamentalmente uno: il perdono. Un perdono che ha molte caratteristiche:

“Prima di tutto, Dio perdona sempre! Non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Ma Lui non si stanca di perdonare. Quando Pietro chiese a Gesù: “Quante volte io devo perdonare? Sette volte?” – “Non sette volte: settanta volte sette”. Cioè sempre. Così perdona Dio: sempre. Ma se tu hai vissuto una vita di tanti peccati, di tante cose brutte, ma alla fine, un po’ pentito, chiedi perdono, ti perdona subito! Lui perdona sempre”.

Dio perdona tutto e dimentica
Eppure, il dubbio che potrebbe sorgere nel cuore umano è sul “quanto” Dio sia disposto a perdonare. Ebbene, ripete Francesco, basta “pentirsi e chiedere perdono”: “non si deve pagare niente”, perché già “Cristo ha pagato per noi”. Il modello è il figliol prodigo della parabola, che pentito prepara un discorso da fare a suo padre, il quale invece non lo fa nemmeno parlare ma lo abbraccia e lo tiene stretto a sé:

“Non c’è peccato che Lui non perdoni. Lui perdona tutto. ‘Ma, padre, io non vado a confessarmi perché ne ho fatte tante brutte, tante brutte, tante di quelle che non avrò perdono…’ No. Non è vero. Perdona tutto. Se tu vai pentito, perdona tutto. Quando… eh, tante volte non ti lascia parlare! Tu incominci a chiedere perdono e Lui ti fa sentire quella gioia del perdono prima che tu abbia finito di dire tutto”.

Confessione non è giudizio ma incontro
E un’altra cosa, continua a elencare il Papa: quando perdona, Dio “fa festa”. E infine, Dio “dimentica”. Perché quello che importa per Dio è “incontrarsi con noi”.

E qui, Francesco suggerisce un esame di coscienza ai sacerdoti dentro al confessionale. “Sono disposto a perdonare tutto?”, “a dimenticarmi i peccati di quella persona?”. La confessione, conclude, “più che un giudizio, è un incontro”:
“Tante volte le confessioni sembrano una pratica, una formalità : ‘Po, po, po, po, po… Po, po, po… Vai”. Tutto meccanico! No! E l’incontro dov’è? L’incontro con il Signore che riconcilia, ti abbraccia e fa festa. E questo è il nostro Dio, tanto buono. Anche dobbiamo insegnare: che imparino i nostri bimbi, i nostri ragazzi a confessarsi bene, perché andare a confessarsi non è andare alla tintoria perché ti tolgono una macchia. No! E’ andare a incontrare il Padre, che riconcilia, che perdona e che fa festa”.

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Sposalizio della Santa Vergine con Giuseppe (23 gennaio)

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2015

Sposalizio della Santa Vergine con Giuseppe (23 gennaio) dans Maria Valtorta zjcojk2prebso dans San Giuseppe
Sposalizio di Maria, fontana di Hohen Markt (Vienna), di Antonio Corradini

Dice Gesù a Maria Valtorta (05/09/1944):

«Che dice il libro della Sapienza cantando le lodi di essa? Nella sapienza è infatti lo spirito d’intelligenza, santo, unico, molteplice, sottile”. E continua enumerandone le doti, terminando il periodo con le parole: …che tutto può, tutto prevede, che comprende tutti gli spiriti, intelligente, puro, sottile. La sapienza penetra con la sua purezza, è vapore della virtù di Dio… per questo nulla in lei vi è d’impuro… immagine della bontà di Dio. Pur essendo unica può tutto, immutabile come è rinnovella ogni cosa, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti”. (Sap. 7, 22-27)

Tu hai visto come Giuseppe, non per cultura umana ma per istruzione soprannaturale, sappia leggere nel libro sigillato della Vergine intemerata, e come rasenti le profetiche verità col suo vedere” un mistero soprumano là dove gli altri vedevano unicamente una grande virtù. Impregnato di questa sapienza, che è vapore della virtù di Dio e certa emanazione dell’Onnipotente, si dirige con spirito sicuro nel mare di questo mistero di grazia che è Maria, si intona con Lei con spirituali contatti in cui, più che le labbra, sono i due spiriti che si parlano nel sacro silenzio delle anime, dove ode voci unicamente Dio e le percepiscono coloro che a Dio sono grati, perché servi a Lui fedeli e di Lui pieni.

La sapienza del Giusto, che aumenta per l’unione e vicinanza con la Tutta Grazia, lo prepara a penetrare nei segreti più alti di Dio e a poterli tutelare e difendere da insidie d’uomo e di demone. E intanto lo rinnovella. Del giusto fa un santo, del santo il custode della Sposa e del Figlio di Dio.

Senza sollevare il sigillo di Dio, egli, il casto, che ora porta la sua castità ad eroismo angelico, può leggere la parola di fuoco scritta sul diamante virginale dal dito di Dio, e vi legge quello che la sua prudenza non dice, ma che è ben più grande di quel che lesse Mosè sulle tavole di pietra. E, perché occhio profano non sfiori il Mistero, egli si pone, sigillo sul sigillo, arcangelo di fuoco sulla soglia del Paradiso, entro il quale l’Eterno prende le sue delizie passeggiando al rezzo della sera” e parlando con Quella che è il suo amore, bosco di gigli in fiore, aura profumata di aromi, venticello di freschezza mattutina, vaga stella, delizia di Dio. La nuova Eva è lì, davanti a lui, non osso delle sue ossa né carne della sua carne, ma compagna della sua vita, Arca viva di Dio, che egli riceve in tutela e che a Dio egli deve rendere pura come l’ha ricevuta.

“Sposa a Dio” era scritto in quel libro mistico dalle pagine immacolate… E quando il sospetto, nell’ora della prova, gli fischiò il suo tormento, egli, come uomo e come servo di Dio, soffrì, come nessuno, per il sospettato sacrilegio. Ma questa fu la prova futura. Ora, in questo tempo di grazia, egli vede e mette sé al servizio più vero di Dio. Dopo verrà la bufera della prova, come per tutti i santi, per esser provati e resi coadiutori di Dio.

Cosa si legge nel Levitico (Lev, 16, 2-4)? Dì ad Aronne tuo fratello di non entrare in ogni tempo nel santuario che è dietro al Velo dinanzi al propiziatorio che copre l’Arca, per non morire – ché Io apparirò nella nuvola sopra l’oracolo, se prima non avrà fatto queste cose: offrirà un vitello per il peccato e un montone in olocausto, indosserà la tunica di lino e con brache di lino coprirà la sua nudità”.

E veramente Giuseppe entra, quando Dio vuole e quanto Dio vuole, nel santuario di Dio, oltre il velo che cela l’Arca sulla quale si libra lo Spirito di Dio, e offre sé e offrirà l’Agnello, olocausto per il peccato del mondo e l’espiazione di esso peccato. E questo fa, vestito di lino e con mortificate le membra virili per abolirne il senso, che una volta, al principio dei tempi, ha trionfato ledendo il diritto di Dio sull’uomo, e che ora sarà conculcato nel Figlio, nella Madre e nel padre putativo, per tornare gli uomini alla Grazia e rendere a Dio il suo diritto sull’uomo. Fa questo con la sua castità perpetua.

Non vi era Giuseppe sul Golgota? Vi pare non sia fra i corredentori? In verità vi dico che egli ne fu il primo e che grande è perciò agli occhi di Dio. Grande per il sacrificio, la pazienza, la costanza e la fede. Quale fede più grande di questa, che credette senza aver visto i miracoli del Messia?

Sia lode al mio padre putativo, esempio a voi di ciò che in voi più manca: purezza, fedeltà e perfetto amore. Al magnifico lettore del Libro sigillato, istruito dalla Sapienza a saper comprendere i misteri della Grazia ed eletto a tutelare la Salvezza del mondo contro le insidie di ogni nemico».

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Voltaire, padre (illegittimo) della tolleranza

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2015

Dobbiamo screditare gli autori (che non la pensano come noi); dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose. [...] Se ci mancano i fatti, dobbiamo farne supporre l’esistenza fingendo di tacere parte delle loro colpe. Tutto è permesso contro di essi”. (frase di Voltaire, tratta da ‘La rivoluzione francese’ di Pierre Gaxotte, Mondadori, Milano 1989, p.63)
Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Il Voltaire sconosciuto

Voltaire, padre (illegittimo) della tolleranza dans Articoli di Giornali e News 2qdvhn6
Immagini tratte dalle slide “Il mito di Voltaire” del prof. Mauro Mosconi

Eugenio Scalfari e Michela Marzano, domenica scorsa, si sono lanciati in un’apologia di François-Marie Arouet (1694–1778), più noto come Voltaire, il primo presentandolo fra i massimi «campioni di libertà», la seconda sottolineando come costui, nella sua opera, faccia «non solo l’elogio della ragione, ma anche della dolcezza» (La Repubblica, 19/1/2015, p.47). Peccato che entrambi, forse abbagliati dall’entusiasmo, abbiano omesso ai loro lettori dettagli, se così si può dire, che se non demoliscono quanto meno ridimensionano la statura del loro amato filosofo. Tanto per cominciare, avrebbero potuto spiegare che l’Autore del celebre Traité sur la tolérance (1763), contrariamente a quanto i più pensano, non disse mai quel «non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle», frase che invece dobbiamo alla scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall (1868–1956).

La sua stessa esistenza non fu così esemplare come uno, leggendo Scalfari e Marzano, si immaginerebbe: Voltaire amava il gioco d’azzardo, lucrosi affari fra i quali il prestito (a tassi stellari) e investimenti in azioni nella Compagnia delle Indie, che si occupava di compravendita di schiavi. Nulla di che stupirsi: il Nostro detestava gli zingari – «un ammasso disprezzabile di gente sconosciuta» – gli ebrei – «non crederemmo che un popolo tanto abominevole abbia potuto esistere sulla terra» – e, soprattutto, gli uomini di colore, che considerava null’altro che animali: «L’uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione» (Trattato di Metafisica, 1978, p. 63).

Tutto questo suonerà probabilmente nuovo, forse incredibile, per i lettori di Repubblica. Ma è la pura realtà storica, come gli studiosi sanno bene, a partire da Carlo Ginzburg, il quale, pur sottolineando che Voltaire «non aderì mai pienamente al razzismo in senso stretto», ammette senza mezzi termini, fra le altre cose, come costui fosse «senza dubbio un razzista in senso lato» (Il filo e le tracce, Feltrinelli 2006, p.123).

Si dice questo, si badi, non già per ridimensionare, anzi per esaltare il valore della tolleranza. Che, proprio perché importante ai fini della convivenza civile, meriterebbe testimoni, ecco, un tantino più credibili di quello che Scalfari e Marzano con troppa superficialità osannano nella segreta speranza che in nessuno dei loro lettori si accenda mai la curiosità di andare a verificare l’effettiva fondatezza storica dei loro sperticati ed incauti elogi.

di Giuliano Guzzo

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