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Il venerabile don Placido Baccher, la Madonna e il “Sabato privilegiato”

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

Sabato_Privilegiato

I teologi gesuiti napoletani, come quelli di tutta la Compagnia di Gesù, seguendo l’esempio di altre Università, specie della Sorbona, s’impegnarono con giuramento a difendere l’Immacolata Concezione, e i membri dell’ordine nei secoli XVII-XIX stesero ben 900 studi sull’argomento. Vanno ricordate, per il loro influsso alla vigilia della definizione dogmatica dell’Immacolata, le opere poderose di Giovanni Perrone e Carlo Passaglia.

Grande fu a Napoli, nel Settecento, il contributo di S. Alfonso de’ Liguori e, nella prima metà dell’Ottocento, quella del venerabile don Placido Baccher (Napoli 5 aprile 1781-10 ottobre 1851).

Quest’ultimo, durante la repubblica partenopea, ebbe esiliato il padre, fucilati due fratelli ed egli stesso, imprigionato in Castel Capuano in attesa di condanna, in giorno di sabato fu riconosciuto innocente e liberato. Egli il giorno precedente con fede viva aveva così pregato: «Domani è sabato; questo giorno non mi può arrecare sventura, perché è il giorno della Madonna, giorno della divina misericordia».

La sera, mentre egli si assopiva recitando il Rosario, gli apparve la Madonna, che gli disse: «Confida, figliuolo; domani sarai liberato da questo orrido carcere. Tu poi dovrai essere mio; e sarai chiamato in una delle principali chiese di Napoli a zelare le glorie del mio immacolato concepimento».

Grato al Signore e alla Vergine, Placido Baccher abbracciò la vita clericale e il 31 maggio 1806 fu ordinato sacerdote nella Basilica di Santa Restituta. Collaborando con D. Pignataro, rettore della chiesa di S. Tommaso d’Aquino, promosse intensamente una cosciente partecipazione ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, l’adorazione frequente del Cristo eucaristico, la devozione all’Immacolata e un’intensa attività evangelizzatrice e caritativa.

Nominato ben presto rettore della chiesa del Santissimo Salvatore, detta del Gesù Vecchio, egli, dopo essersi consigliato col suo confessore, il barnabita Francesco Saverio Bianchi, poi canonizzato, accettò l’incarico e subito si mise all’opera per sistemare questa artistica chiesa che con la soppressione della Compagnia di Gesù era passata al Demanio e adibita a teatro, ad aula magna dell’Università e, per diversi anni, persino abbandonata. A sue spese don Placido riparò il tetto e la cupola, acquistò suppellettili ed arredi sacri, riportò all’antico splendore marmi e bronzi, e fece costruire un organo idoneo per rendere più solenni le funzioni liturgiche.

Malgrado tutto, don Placido soleva dire che la chiesa gli sembrava una casa senza padrona e una reggia senza regina. Fece perciò modellare dall’artista napoletano Nicola Ingaldi la Madonnina, come gli era apparsa durante la sua prigionia in Castel Capuano. La statua è di proporzioni ridotte, è parte in creta e parte in legno; le sue vesti sono di lino ingessato e inargentato; sul manto, sulla veste e sopravveste sono dipinti fiori, stelle e frange dorate. La Madonnina sorregge sul braccio sinistro il Bambino, mentre col piede schiaccia la testa del serpente.

Don Placido volle porre nelle mani della Madonna e del Bambino la corona del Rosario, e ai piedi della Vergine, sul globo, simbolo del mondo, un gruppo di teste di angeli; a destra e a sinistra due angeli recanti nelle mani un giglio e una stella; e ancora a destra uno specchio e a sinistra una rosa quasi a richiamare le litanie lauretane.

La Madonnina fu collocata su un trono composto di colonne e cornici di legno indorato e ghirlandato di lauro, con in alto, a rilievo, le persone della Santissima Trinità. Vi si accede con due rampe di scale in marmo, sulle quali si adagiano due angeli sostenenti candelabri di bronzo dorato.

A questo punto va menzionata una data storica di grande importanza per la devozione dell’Immacolata a Napoli. Leone XII, a chiusura dell’anno giubilare del 1825, concesse all’Archidiocesi partenopea di celebrarlo ancora per tutto il 1826. Don Placido promosse ed ottenne dal Capitolo Vaticano che la Madonnina fosse incoronata il 30 dicembre 1826 dal card. Luigi Ruffo di Scilla, arcivescovo di Napoli.

La celebrazione fu solennissima e vi presenziò il re Francesco II con la regina Elisabetta. Incessante fu il pellegrinaggio dei fedeli e straordinaria la partecipazione ai Sacramenti. Allora don Placido scrisse al cardinale arcivescovo che la gran Signora gli aveva imposto di riferirgli queste sue parole: «Beati i sacerdoti che celebreranno al mio altare e beati i fedeli che vi faranno la comunione nel sabato seguente alla mia incoronazione».

Da allora sino ad oggi nel cosiddetto Sabato privilegiato accorrono a venerare la Madonnina di don Placido innumerevoli pellegrini a confessarsi e a ricevere l’Eucaristia da Napoli e dalla Campania. All’altare maggiore si celebrano ininterrottamente sante Messe durante la notte e il giorno e vari sacerdoti e diaconi distribuiscono l’Eucaristia. Non manca mai a presenziare l’Eucaristia e a confessare il cardinale arcivescovo.

Tratto da: GiuseppeMoscati.it
Per approfondire Il venerabile don Placido Baccher, la Madonna e il “Sabato privilegiato” dans Apparizioni mariane e santuari Freccia Napoli città dell’Immacolata

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Cosa significa amare

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

Cosa significa amare dans Citazioni, frasi e pensieri 2nqbih1

Ora credo di aver imparato che cosa significa amare: essere capaci, non di prendere iniziative di rilancio di sé e di “esagerazione”, ma di essere attenti all’altro, di rispettare il suo desiderio e i suoi ritmi, di non chiedere nulla ma imparare a ricevere e ricevere ogni dono come una sorpresa della vita, ed essere capace, senza alcuna pretesa, sia dello stesso dono sia della stessa sorpresa verso l’altro, senza usargli la minima violenza. Insomma, la semplice libertà. Perché mai Cézanne avrebbe dipinto la montagna Sainte-Victoire a ogni istante? Perché la luce di ogni istante è un dono.

In questo modo, la vita può ancora, nonostante i suoi drammi, essere bella. Ho sessantasette anni, ma mi sento finalmente — io che non ho avuto mai giovinezza, perché non sono stato amato per me stesso — giovane come non mai, anche se non sarà per molto.

Sì, in questo modo l’avvenire dura a lungo.

Louis Althusser — L’avvenire dura a lungo

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“Abbi un cuore…”

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

“Abbi un cuore...” dans Charles Dickens 2q904nl

“Abbi un cuore che mai indurisce, un carattere che mai si stanca, ed un tocco che mai ferisce”.

Charles Dickens
Tratto da:
Riflessi d’acqua

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La vera Sapienza

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

La vera Sapienza dans Citazioni, frasi e pensieri ip48pg

Ci affacciamo su questo nuovo anno cominciando con questa proclamazione del Prologo di Giovanni, che abbiamo già ascoltato nella Messa del giorno del Natale. Ecco: la chiave che la liturgia ci dà è quella del capitolo 24° del libro del Siracide, dove si parla della Sapienza che fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto e proclama la sua gloria, apre la bocca dinanzi alle schiere dell’Altissimo e anche nell’assemblea viene ammirata. E’ interessante perché c’è un dualismo in questa proclamazione della Sapienza.

La Sapienza proclama la sua gloria nell’assemblea dell’Altissimo, cioè alla Sua presenza… questo è il Cielo, è la dimensione non umana, però a un dato momento “nella città che Egli ama, mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso. Nella porzione del Signore la mia eredità”, cioè questa Sapienza che sta in Dio scende nel popolo di Dio e, cioè, mette radici in mezzo a un popolo.

E’ interessante l’aspetto del popolo perché noi abbiamo un’idea di Sapienza come di una realtà individuale; noi crediamo che la Sapienza sia un’erudizione personale, sia una forma di possesso di dati e di sintesi, tutto collegato alla nostra intelligenza ossia a un intelletto… No, la Sapienza è l’esperienza di un popolo: è la vita di un popolo. C’è nascosta Sapienza nella vita di un popolo. Nell’assemblea di questa povera gente che Dio ha scelto, lì è la Sapienza e, quindi, non è conoscenza, ma è arte di campare, è vivere, ma vivere non da soli ma con gli altri.

Cos’è la vera Sapienza? Chi è il Sapiente? Colui che si ricorda a memoria il volume della sfera? La Sapienza è saper stare con gli altri.

Esistono molti eruditi che sono degli ignoranti relazionali, degli analfabeti affettivi. La Sapienza è l’amore, la Sapienza è il vivere.

Infatti, guardiamo come si presenta la Sapienza nel Vangelo:

primo è Dio, è presso Dio ed è la vita stessa di Dio e tutto è stato fatto in questa chiave; tutto è nella chiave di questa vita di Dio, che è stare davanti a Lui, essere in Lui, essere Lui, cioè la comunione totale con Dio, che è ciò che poi vediamo compiersi come questa immagine che nella prima lettura viene denominata Sapienza. Allora in Lui è la vita, questo che sta arrivando è la Vita e la Vita sa annunciarsi attraverso san Giovanni Battista, viene incontro a noi ed è la Luce vera, quella che illumina ogni uomo, alla fin fine di tante cose che possiamo fare o non fare, capire o non capire, essere o non essere, tante prerogative che possiamo avere o non avere, la Luce che ci illumina è proprio il Signore Gesù, che è Sapienza, ma non è una Sapienza da studiare nei libri, come abbiamo già abbondantemente ripetuto, la Sapienza è Qualcuno che viene e può essere rifiutato, può essere non accolto, può essere buttato via, cioè è amore che non si impone. La Sapienza è l’Amore Vero, autentico, che non è violenza, che non conosce aggressività, ma a chi la accoglie dona una nuova identità.

Quando io ho sapienza, quella umana, io ho semplicemente altri dati… quando ho la vita di Dio che è la Sua Sapienza, divento un altro, sfodero qualcosa che in me non era evidente, che è la mia potenzialità di figlio di Dio, perché io posso accogliere il Suo potere, la Sua potenza, la Sua forza, la Sua bellezza, la Sua tenerezza in me… e il Verbo sa farsi carne, questa Sapienza non resta astratta, sa entrare nel reale, sa entrare nelle cose.

Ogni giorno siamo chiamati ad incarnarci, ogni giorno siamo in questa tentazioni di restare incapsulati nei nostri schemi, nelle nostre idee e, invece, la Sapienza è entrare nel reale, mettere la tenda fra gli uomini. Lo fa Gesù Cristo e dobbiamo farlo noi, stare nella realtà. Non vivere aspettare chissà che cosa, non vivere di progetti. E’ saper entrare nella pienezza e ricevere grazia su grazia, ciò che alla fin fine canta questo Prologo, questa poesia meravigliosa, con cui inizia il Vangelo di Giovanni è la rivelazione del Padre, cioè “Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio Unigenito che è Dio ed è nel Seno del Padre, è Lui che Lo ha rivelato”, in fondo è tutto qui il punto, cioè tutto quello che ha fatto “è sceso fra gli uomini”, “ha piantato le sue radici nel popolo”, come diceva la prima lettura, ha posto la Sua dimora in mezzo a noi, ha piantato la Sua tenda fra noi, dà le cose ha chi lo accoglie… alla fin fine tutto questo è rivelare il Padre, rivelare ciò che Adamo aveva perso e fa di Adamo un teoreta, un astratto, che vive di proiezioni, uno che vive di idoli, uno che vive di aspettative.

L’uomo è infelice della sua realtà perché non entra nella realtà in comunione con il Padre perché non crede che Dio sia Padre. Cosa rivela il Figlio? Il Padre. Rivela l’amore del Padre. Quando nel nostro cuore entra l’intuizione, che è dono dello Spirito Santo, della tenerezza di Dio, della Provvidenza sapiente della paternità di Dio, entra la pace.

Io posso entrare in una vita meravigliosa, posso vivere in Lui, abbandonato a Lui senza angustiarmi, senza entrare in ansia, senza dover vivere di possessi, di autoaffermazioni o non so cosa. Vivendo veramente la vita reale, incarnandomi, stando nell’anno che Dio mi dà.

Comincia un anno… un anno per incarnarsi, un anno per fidarsi di Dio, un anno per vivere nella realtà. Non c’è felicità fuori dalla realtà. Se esiste una felicità è nel reale, non può essere in un paradiso fittizio, ideale o chimico, di appagamenti o confort, di fughe dalla realtà o di alienazioni. Se esiste un paradiso è lì dove ognuno di noi sta, quando entra in comunione con il Padre.

Don Fabio Rosini (catechesi audio)

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La devozione al SS. Nome di Gesù è battagliera

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

La devozione al SS. Nome di Gesù è battagliera  dans Anticristo SS-Nome-di-Ges

Quello che abbiamo detto circa la guerra offensiva contro satana e tutti gli altri spiriti del male – perché, insieme a satana, si può includere anche lo spirito del mondo (per quanto, su questo, non possiamo esercitare la nostra influenza come sullo spirito del male) – corrisponde alla devozione pratica al Nome di Gesù. È vero che essa può essere considerata come esercizio d’amore, ma l’amore si esercita sempre e dovunque.

Propriamente parlando, la devozione al SS. Nome di Gesù è devozione battagliera perché il Nome di Gesù è la bandiera sotto cui militiamo. Così l’ha intesa S. Bernardino da Siena.

Mai appare tanto la potenza di questo Nome come quando, mediante la sua virtù, mettiamo in fuga tutta l’armata diabolica. Con questa pratica, tuttavia, non si toglierebbero che gli impedimenti alla diffusione del regno di Dio, ma bisogna fare qualcosa di più.

Il Signore ce ne dà ampi poteri. Ci troviamo, così, di fronte alla devozione al preziosissimo Sangue di Gesù, perché non vi è altro prezzo di riscatto.

del Beato Giustino Maria Russolillo

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L’ingiustizia per i bambini

Posté par atempodiblog le 3 janvier 2015

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“Nel piccolo mondo in cui tutti i bambini, comunque vengano educati, vivono la loro vita, non c’è nulla di più sentito e avvertito dell’ingiustizia, anche se si tratta di una ingiustizia di poco conto; ma il bambino è piccolo e piccolo è il suo mondo, e il suo cavallo a dondolo è per lui molto più alto di lui, e lui lo vede e lo considera come un cavallo da caccia irlandese dalle ossa grosse”.

Charles Dickens

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