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“Babbo Natale non si è rimpicciolito. Piuttosto ho esteso l’idea”

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

“Babbo Natale non si è rimpicciolito. Piuttosto ho esteso l’idea” dans Citazioni, frasi e pensieri Babbo-Natale

Quello che mi è successo è l’opposto di quello che sembra essere l’esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. È successo in questo modo. Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono – lungi da me!

E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano “Santa Claus” era benevolmente disposto verso di me… Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente.

E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l’idea. Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.

Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi dollari e qualche biscotto. Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.

Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza. Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all’origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l’ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà.

di Gilbert Keith Chesterton
Tratto da: Gli Scritti

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GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare
di Francesco Baccanelli – Il Sussidiario

GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare dans Articoli di Giornali e News amsh2e

Impedire a un artista di tradurre in arte i periodi più cupi della sua vita è un’impresa difficile. Se poi l’artista si chiama Giovannino Guareschi e sa spaziare tra i più disparati argomenti, vestendo tra l’altro con disinvoltura sia i panni dello scrittore che quelli del disegnatore, l’impresa si fa davvero impossibile. Non dobbiamo stupirci, perciò, se la sera del 24 dicembre 1944, nel lager di Sandbostel, Guareschi legge ai compagni di prigionia La favola di Natale, un racconto che tre muse d’eccezione – “Freddo, Fame e Nostalgia” – gli hanno suggerito nelle settimane precedenti.

Accompagnata dalla musica composta per l’occasione da un altro recluso, il sorrentino Arturo Coppola, la lettura offre un po’ di serenità ai presenti, che per qualche ora riescono a dimenticare il clima di angoscia in cui vivono e a tornare, almeno con il pensiero, dai loro cari. Il testo, infatti, racconta il favoloso viaggio che un bambino, Albertino, compie la sera della vigilia di Natale per andare a trovare il padre, rinchiuso in un campo di concentramento. Il viaggio, affrontato insieme alla nonna, si rivela ricco di sorprese. E nel Bosco degli Incontri, che la simpatica mappa disegnata da Guareschi situa a metà strada tra il Mondo della Pace e il Mondo della Guerra, Albertino riesce finalmente a riabbracciare il genitore, scappato in sogno dal lager (per sua fortuna, infatti, “i sogni non hanno piastrino; non c’è l’appello notturno dei sogni; non esistono ‘zone della morte’ per i sogni”). Così, nonostante il poco tempo a loro disposizione, i tre possono festeggiare insieme la nascita di Gesù. Il povero prigioniero sa di dover rientrare nel lager, ma prova ad assaporare fino in fondo quel piccolo grande momento di vita familiare.

A guerra conclusa, Guareschi decide di pubblicare la Favola. Prima di consegnarla all’editore, però, impreziosisce il testo con alcune illustrazioni. Il corredo grafico, votato alla semplicità, passa da un registro all’altro con sorprendente scioltezza. La poesia si alterna con la satira, la malinconia con la voglia di sorridere. E, descrivendo il viaggio di Albertino, i disegni evidenziano anche la vis polemica del racconto, una componente che i prigionieri del lager di Sandbostel, secondo la testimonianza dello stesso Guareschi, non avevano compreso del tutto. I riferimenti stilistici sono molti e, accanto a ripetute incursioni nel campo dell’illustrazione per l’infanzia e in quello della vignetta satirica, si notano figure che richiamano George Grosz (è il caso della gallina mascherata da uomo) e, se guardiamo alla rappresentazione del cimitero simbolico, perfino un accenno alle atmosfere di Caspar David Friedrich.

Il “ritratto” dell’addetto alla censura postale è indimenticabile. Guareschi, con modi che ricordano da vicino Honoré Daumier, lo raffigura grande e grosso, sgraziato, ottuso. L’uomo, chiamato a esprimersi sulla poesia che Albertino ha imparato a memoria per Natale – poesia che ha l’aspetto di un uccellino coperto di parole –  sembra piuttosto allarmato dal contenuto delle strofe.

Nel testo Guareschi racconta: «Cominciò a leggere i versi scritti sulle ali. Din-don-dan: la campanella / questa notte suonerà… “No!” disse. “Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!” E, con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò molte parole. Poi, di lì a poco, scosse ancora il capo. Una grande, argentea stella / su nel ciel s’accenderà… “Niente! Contravvenzione all’oscuramento!” disse. E giù pennellate nere. Latte e miele i pastorelli / al Bambino porteranno… “Niente! Contravvenzione al razionamento!” borbottò. E giù ancora col pennello. I Re Magi immantinente / sul cammello saliranno… “Niente!” urlò furibondo. “Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re!” E giù pennellate grosse così. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbrò le ali e disse che poteva entrare. La Poesia si mise a piangere. “E come faccio a entrare così? Con tutte queste cancellature io non sono più una poesia…”».

Oltre a questo gretto personaggio, nella favola si incontrano molti altri nemici del Natale. Ci sono le guardie del lager, ad esempio. Ci sono gli energumeni che tentano di sostituire Gesù Bambino con il dio della Guerra. E c’è perfino un ufficiale che ricorre ai cannoni contraerei per impedire agli «angeli bombardieri» di scaricare «sulle case, sopra gli ospedali, sopra i campi di prigionia, grossi carichi di sogni». Malgrado i loro sforzi, però, questi nemici del Natale non riescono ad avere la meglio sui sentimenti dei prigionieri. Non riescono a impedire che il padre di Albertino vada incontro, almeno in sogno, al figlioletto. I muri e il filo spinato possono incarcerare il corpo dell’uomo, ma non la mente.

Nel Diario clandestino Guareschi, rivolgendosi alla Germania di Hitler, scrive: «Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. È inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti».

È impossibile spezzare i legami che uniscono un uomo alla sua interiorità, alla sua famiglia, alle sue idee, al suo passato. È impossibile impedire a un prigioniero di vivere la speranza che il Natale porta con sé. E così nell’ultima illustrazione della Favola vediamo che il lager è costretto a incassare la sconfitta: nel cielo è comparsa la stella che annuncia a tutti la nascita di Cristo e non c’è modo di oscurarla. La stella è più che mai decisa a rischiarare di speranza le sofferenze dei prigionieri. La notte di Natale anzitutto, ma anche nel resto dell’anno.

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Questo nostro amore nato dietro le sbarre

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

Questo nostro amore nato dietro le sbarre
Lorenzo era in carcere per scontare una pena. Giuditta una giovane insegnante. Si incontrano al Meeting di Rimini, dove lui era volontario con altri compagni. Si innamorano, vivono il fidanzamento divisi e finalmente si sposano. «La nostra è una storia di conversione e misericordia».
di Barbara Garavaglia – Credere

Questo nostro amore nato dietro le sbarre dans Articoli di Giornali e News npm1br

I buoni fuori e i cattivi dentro. E per favore, buttate via la chiave. Spesso vogliamo tracciare un confine netto tra i (presunti) buoni e i cattivi. Dimenticando un elemento fondamentale: la misericordia. È un’esperienza, quella della misericordia, che ben conoscono Giuditta e Lorenzo, sposi da pochi mesi. Ma la loro non è la storia romantica, di un bel sogno d’amore che viene coronato dallo scambio degli anelli. Lorenzo, infatti, è un detenuto che sta finendo di scontare la pena e, con Giuditta, sta sperimentando che cosa significa essere amati e accolti.

Giuditta Boscagli ha incontrato Lorenzo casualmente, e per poche ore, al Meeting di Rimini, promosso da Comunione e liberazione: lui volontario con altri detenuti del carcere di Padova, lei visitatrice abituale della kermesse agostana. È stato un incontro che li ha segnati, dando una svolta alle loro vite e facendo loro desiderare che quel legame fosse “per sempre”. Vivendo oggettive difficoltà e limitazioni. La scorsa primavera si sono sposati.

Giuditta, si può dire che la vostra storia è una storia di conversione?
«Ci è capitata una grande grazia. Per mio marito è stato un ritrovare la fede, grazie all’incontro con alcuni amici nel carcere. Per me è stato capire, giorno per giorno, quanto conti l’amicizia con Gesù. Dopo quel Meeting ho sentito l’esigenza della Messa quotidiana per vivere la fede fino in fondo. Per noi il punto fondamentale è stata la crescita nella fede e lo scoprire la convenienza dello stare insieme. Da qui il desiderio e la mancanza di paure di fronte al “per sempre”. E poi, non siamo mai stati soli, abbiamo amici, come angeli, discreti e presenti».

È difficile vivere la vostra realtà? In un periodo come questo, che cosa significa non potersi vedere liberamente da fidanzati e nemmeno pensare a un bel viaggio di nozze?
«È duro non avere la libertà di fare anche le più piccole cose. Finché Lorenzo non godeva del regime di semi-libertà c’erano solamente le lettere e un permesso ogni sessanta giorni. Insomma, un fidanzamento d’altri tempi… Siamo stati costretti ad andare all’essenziale. È faticoso, ma è un dono, perché mi ha invitata a pensare al fondo del valore del matrimonio, che è la grazia di questo sacramento, la grazia di essere consegnati l’uno all’altra, per sempre».

Qual è stata la reazione della sua famiglia alla notizia del fidanzamento con un carcerato?
«Non è stato semplice. La mia famiglia è sempre stata unita e ho sempre visto i miei genitori spendersi per noi figli. Mi hanno insegnato a essere accogliente, a stare con tutti. Hanno vissuto la fatica di pensare al futuro della propria giovane figlia con un detenuto di cui non sapevano nulla. Ma di me si fidavano e vedendomi sempre più certa e felice, si sono rasserenati. Quando hanno conosciuto il mio futuro sposo, quando hanno visto lui, che, proprio perché ha sbagliato tanto, è tanto capace di amare, è stato più semplice. Sgorga da qui, da questa ferita, la vita nuova. Chi sbaglia tanto, è anche chi desidera di più».

Suo marito, come si legge nel libro, ha deciso di vivere al meglio il periodo di detenzione. Quanto è importante questo atteggiamento?
«In carcere devi fare i conti con ciò che hai fatto. È fondamentale che non sia un parcheggio, ma un luogo in cui riprendersi la vita. Mio marito ha mantenuto questo atteggiamento. La sua famiglia non l’ha abbandonato e noi non siamo mai stati lasciati soli. Ci siamo accorti che Dio è un Padre buono e fedele. Quando poi ci sono i nomi e i volti degli amici che te lo ricordano, è più immediato. Mio marito, a Padova, ha incontrato amici veri, si è incuriosito, e ha accolto la loro proposta. Nelle carceri in cui i detenuti possono lavorare, in cui si possono instaurare dei rapporti umani autentici, la gente cambia davvero. Perdonare se stessi è la cosa più difficile, in assoluto. Con noi siamo spietati. Sentiamo il peso dei nostri sbagli. All’ingresso della nostra casa abbiamo posto questa frase di papa Benedetto XVI: “Anche chi sbaglia merita di essere amato”: serve a me, oggi, ogni giorno, in ogni rapporto».

La vostra è una bella favola?
«Non è una bella favola che si è conclusa con il matrimonio. I desideri non sono finiti quel giorno. Stiamo davanti alla realtà che c’è, più che correre avanti con i progetti. Abbiamo organizzato il matrimonio in cinque settimane, dopo che Lorenzo aveva ricevuto il decreto di affidamento ai servizi sociali; abbiamo confezionato le bomboniere e alcuni amici dei miei genitori ci hanno preparato il rinfresco nei locali dell’oratorio per noi e per i nostri quattrocento invitati. Era nostro intento infatti ringraziare tutti i nostri amici e desideriamo che questi amici continuino ad accompagnarci».

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L’umiltà mi serve da specchio

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2014

L'umiltà mi serve da specchio dans Fede, morale e teologia 281haur

O Dio! Se io potessi dare ad intendere in che modo il Signore, ora mi fa conoscere questa virtù! Ma, nel medesimo tempo, pare che mi faccia radicare, nell’intimo del mio interno, il valore e sostentamento che ella è a tutte le altre virtù. Ora, quando delle volte e quasi in tutto il mio operare, sto con questo atto pratico di conoscere, con certo sentimento, la mia impotenza, in operare, in patire, e in tutto, pare che tutto ciò mi dia cognizione di me stessa. Mi sembra di stare come, per esempio, in una camera nella quale vi sia uno specchio, ove, stando io guardando, vedo ivi dentro me medesima con tutto quello che si trova dentro la medesima camera. Senza che io mi giri a mirare cosa per cosa, per conoscere la preziosità di ciascuna, in un istante, se io guardo nello specchio, vedo tutto nello stesso tempo.

Così pare a me, ora. Quando il signore mi fa grazia di darmi, con certo atto pratico, questa virtù di umiltà come è di presente, mi serve di specchio, ove, per mezzo di essa, vedo il brutto e il bello che si trova, nell’interno e nell’esterno e, con certa cognizione viva ed intima, apprendo e conosco tutti i difetti e le colpe commesse, ma con lume (tale), che non mi pare di avere mai compreso ciò, come fo di presente. E, nel medesimo tempo, vedo il bello, (cioè), tutto quello che Iddio ha operato ed opera con doni e grazie. Così l’umiltà mi serve da specchio ove, per mezzo di essa, ritrovo e miro quanto mi dico.

Il modo, il come mi fa operare, è tutto quello che pratico nell’intimo, colla cognizione propria, non posso descriverlo. Ho detto qualche cosa, per obbedire.

Se un’anima camminasse per il sentiero verso l’umiltà, in poco tempo arriverebbe a conoscere e a possedere il riconoscimento dell’essere suo, e, con questo, verrebbe a conoscer anco Iddio, ove si trova il principio, mezzo e fine di quanto dobbiamo cercare, possedere ed amare, ed è vero bene delle anime nostre. In una parola, chi pratica l’umiltà, trova la verità, cioè, Iddio solo; chi cammina con umiltà non sa più cosa sia umanità e volontà.
Dunque, l’umiltà ha questo di proprio: ci fa scordare di noi e di tutto il momentaneo; ci fa apprendere un bene infinito; e ci stacca da ogni cosa terrena. E tutto ciò non è in speculazione ma in atto pratico. E, in tutto il vivere nostro, per fare questo non bisogna servirsi d’altro, che dell’umiltà. Questo è uno specchio ove l’anima vede ogni macchia e bruttezza che ella abbia in sé.

S. Veronica Giuliani – Il Diario, Ed. Cantagalli. A cura di Maria Teresa Carloni

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Lasciatevi consolare dal Signore

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2014

Lasciatevi consolare dal Signore dans Avvento o9qtso

Il messaggio di Isaia, che risuona in questa seconda domenica di Avvento, è un balsamo sulle nostre ferite e uno stimolo a preparare con impegno la via del Signore. Il profeta, infatti, parla oggi al nostro cuore per dirci che Dio dimentica i nostri peccati e ci consola. Se noi ci affidiamo a Lui con cuore umile e pentito, Egli abbatterà i muri del male, riempirà le buche delle nostre omissioni, spianerà i dossi della superbia e della vanità e aprirà la strada dell’incontro con Lui.

E’ curioso, ma tante volte abbiamo paura della consolazione, di essere consolati. Anzi ci sentiamo più sicuri nella tristezza e nella desolazione. Sapete perché? Perché nella tristezza ci sentiamo quasi protagonisti. Invece nella consolazione è lo Spirito Santo il protagonista! E’ Lui che ci consola, è Lui che ci dà il coraggio di uscire da noi stessi. E’ Lui è che ci porta alla fonte di ogni vera consolazione, cioè il Padre. E questa è la conversione. Per favore, lasciatevi consolare dal Signore! Lasciatevi consolare dal Signore!

La Vergine Maria è la “via” che Dio stesso si è preparato per venire nel mondo. Affidiamo a Lei l’attesa di salvezza e di pace di tutti uomini e le donne del nostro tempo.

Papa Francesco

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Maria è necessaria per giungere a Dio

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2014

Maria è necessaria per giungere a Dio dans Fede, morale e teologia k3pxmu

Non credo che nessuno possa acquistare una intima unione con Nostro Signore e una perfetta fedeltà allo Spirito Santo senza una grandissima unione alla Santissima Vergine e senza una grande dipendenza dal suo soccorso.

Solamente Maria ha trovato la grazia davanti a Dio (Lc 1,30), senza l’aiuto di nessun’altra creatura. Tutti coloro che hanno trovato grazia davanti a Dio dopo di lei, l’hanno trovata per suo mezzo, e solamente per lei la troveranno tutti coloro che verranno d’ora in avanti. Essa era piena di grazia quando fu salutata dall’arcangelo Gabriele (Lc 1,28), essa fu riempita di grazie sovrabbondanti dallo Spirito Santo, quando la coprì della sua ineffabile ombra (Lc 1,35); ed essa ha aumentato (talmente) questa doppia pienezza di giorno in giorno, di attimo in attimo, che essa è arrivata ad un grado di grazia immenso ed inconcepibile: di modo che l’Altissimo l’ha fatta unica tesoriera dei suoi tesori e dispensatrice delle sue grazie per nobilitare, elevare ed arricchire chi essa vuole, per far entrare chi vuole nella via stretta del cielo, per far passare, malgrado tutti, chi vuole attraverso la stretta porta della vita e per dare a chi vuole il trono, lo scettro e la corona di re. Gesù è dappertutto e sempre il frutto e il Figlio di Maria; e Maria è dappertutto l’albero vero che porta il frutto di vita, e la vera madre che lo produce

A Maria sola Dio ha dato le chiavi delle dispense (Ct 1,3) del divino amore, e il potere di entrare nelle vie più sublimi e più segrete della perfezione e di farvi entrare gli altri. Solamente Maria fa entrare nel paradiso terrestre i miserabili figli dell’infedele Eva, per passeggiarvi piacevolmente con Dio, per nascondervisi al sicuro contro i nemici, per nutrirvisi deliziosamente, senza più temere la morte col frutto degli alberi di vita e della scienza del bene e del male, e per bere a lunghi sorsi le acque celesti della bella fontana che vi zampilla in abbondanza. O piuttosto, siccome essa stessa è questo paradiso terrestre, questa terra vergine e benedetta da cui Adamo ed Eva, peccatori, sono stati scacciati, essa fa entrare presso di sé quelli che vuole per farli divenire santi.

Tutti i ricchi del popolo, per servirmi dell’espressione dello Spirito Santo (Sal 44,13), secondo la spiegazione di San Bernardo, tutti i ricchi del popolo supplicheranno il tuo viso di secolo in secolo, ed in modo particolare alla fine del mondo; vale a dire che i più grandi santi, le anime più ricche di grazia e di virtù saranno le più assidue a pregare la Santissima Vergine e ad averla sempre presente come perfetto modello da imitare; e potente aiuto per soccorrerli.

Dal ‘Trattato della vera devozione alla santa Vergine’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

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Nulla ci viene da Dio se non per mezzo di Maria

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2014

Nulla ci viene da Dio se non per mezzo di Maria dans Citazioni, frasi e pensieri 295sr4z

Il culto non di adorazione ma, ma di venerazione infinita e di amore senza limiti per Maria, è di una tale importanza che, senza di esso, tutto resta sterile […].

Finché non avrai conosciuto Maria e non le avrai dato il tuo cuore, sarai nelle tenebre, perché è in lei e grazie a lei che ci viene concesso lo Spirito Santo.

Ciò che ti ho detto, mia cara, mio dolce amore, è profondamente serio, e nessun altro te lo dirà… Tu sentirai, tu comprenderai che, poiché il Verbo fatto carne, Gesù redentore, è stato donato al mondo attraverso Maria, sua madre, bisogna che anche noi, che siamo sue membra e suoi fratelli, siamo generati da lei, non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.

La Chiesa, che parla di solito con un linguaggio misterioso, perché è obbligata a parlare come Dio stesso ci ha parlato, ci insegna che nessuna grazia, nessuna forza, nessun amore, nulla, assolutamente nulla ci viene da Dio se non per mezzo di Maria, cioè attraverso l’amore di Dio, e la sua gloria.

di Léon Bloy, lettera alla sua fidanzata del 14 febbraio 1890

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La libertà, il rispetto che Dio ha per noi

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2014

La libertà, il rispetto che Dio ha per noi dans Citazioni, frasi e pensieri 332166d

La libertà, questo dono prodigioso, incomprensibile, inqualificabile, con cui ci è dato di vincere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, di uccidere il Verbo incarnato, di pugnalare sette volte l’Immacolata Concezione, di agitare con una sola parola tutti gli spiriti creati nei cieli e nell’inferno, di trattenere la volontà, la giustizia, la misericordia, la pietà di Dio sulle sue labbra e di impedirle di discendere sulla sua creazione; questa ineffabile libertà altro non è che questo: il rispetto che Dio ha per noi.

di Léon Bloy – Nelle tenebre

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Quanto glorifichiamo Dio quando ci sottomettiamo a Maria

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2014

Quanto glorifichiamo Dio quando ci sottomettiamo a Maria dans Citazioni, frasi e pensieri 13zts01

Oh! quanto glorifichiamo altamente Dio quando ci sottomettiamo, per piacergli, a Maria, sull’esempio di Gesù Cristo, nostro unico modello! […] Dio Spirito Santo essendo sterile in Dio, cioè non generando altra persona divina, divenne fecondo per mezzo di Maria da lui sposata. È con lei e in lei e da lei che egli formò il suo capolavoro, che è un Dio fatto uomo, e che egli forma tutti i giorni fino alla fine del mondo i predestinati e i membri del corpo di questo capo adorabile: perciò più trova Maria, sua cara e indissolubile Sposa, in un’anima, più diviene operante e potente per formare Gesù Cristo in quest’anima e quest’anima in Gesù Cristo.

Con ciò non si vuol dire che la santissima Vergine dia allo Spirito Santo la fecondità, come se non l’avesse, poiché, essendo Dio, egli ha la fecondità o la capacità di generare, come il Padre e il Figlio, sebbene non la riduca in atto, non generando altra persona divina. Ma si vuol dire che lo Spirito Santo, tramite la santissima Vergine, di cui vuol servirsi, sebbene non ne abbia assolutamente bisogno, riduce in atto la sua fecondità, generando in lei e per mezzo di lei Gesù Cristo e i suoi membri. Mistero di grazia sconosciuto anche ai più dotti e spirituali tra i cristiani.

Dal ‘Trattato della vera devozione alla santa Vergine’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

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La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano
Sarà la pace il tema centrale delle prediche di Avvento che da domani il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, terrà per il Papa e la Curia Romana nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano. Nei tre venerdì che precedono il Natale le meditazioni di padre Cantalamessa aiuteranno a riflettere sulla pace come dono di Dio in Gesù Cristo, come compito per cui lavorare e come frutto dello Spirito. “Pace in terra agli uomini che Dio ama”: così il predicatore della Casa Pontificia ha voluto chiamare questo ciclo di prediche d’Avvento.
di Tiziana Campisi – Radio Vaticana

La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano dans Avvento Avvento-bimba

R. – Spieghiamo il titolo: è l’annuncio dei pastori nella Notte di Natale e come risulta pure dall’annuncio natalizio, la pace è anzitutto qualcosa che scende dal Cielo, è un dono di Dio, è il filo dall’alto che regge tutta la trama delle paci umane, senza la quale le paci umane sono sempre fragili. Certamente, però, questo dono di Dio diventa anche dovere e compito da svolgere. E infatti, nella seconda predica penso proprio di parlare della pace come compito.

D. – Lei affronterà anche il tema della pace come frutto dello Spirito …

R. – … quella che tutti desideriamo, perché quando parliamo di pace, quando la gente parla di pace, pensa alla pace del cuore, alla pace della famiglia, a questa pace che – secondo la Bibbia – è una virtù, è frutto anche di sforzo personale, è un dono di Dio però accolto e sviluppato anche attraverso la libertà della risposta umana. Ed è questa pace che poi diventa condizione di vita, anche, e di santità, perché tutti i santi hanno parlato di questa pace interiore del cuore che viene dal fare la volontà di Dio. Il nostro poeta, Dante Alighieri, ha fatto un verso su questo che dice tutto: “E’ la sua voluntate nostra pace”, cioè la pace del cuore dipende dall’adesione alla volontà di Dio.

D. – Su quali testi ci invita a meditare per questo Avvento?

R. – I testi principali che io utilizzo sono sempre quelli della Scrittura, che è ricchissima di riferimenti alla pace: grazia e pace è un binomio quasi indissociabile nella Bibbia. La ricchezza di questa parola nella Bibbia è veramente inesauribile. E poi, dopo, nei testi della Bibbia, specialmente nella seconda predica, mi sono stati molto, molto utili i testi di Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”. Mi dispiace di costringerlo a sentire quello che lui sa bene, che ha scritto lui, ma credo che faccia bene a noi risentire alcune parole di quella Lettera.

D. – Come si costruisce concretamente la pace? Quali sono gli ingredienti per la pace?

R. – Lo si ripete spesso, ne ha scritto San Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco ne parla spesso: il dialogo. Il dialogo a un certo livello, soprattutto politico. Ma il dialogo è l’unica alternativa alle armi. Quindi, per noi cristiani accanto al dialogo c’è anche la preghiera, e di fatti la Chiesa prega continuamente: a ogni Messa prega per la pace, quella invocazione prima della Comunione: da pacem, Domine – concedi la pace ai nostri giorni. Quindi, direi, il dialogo, la preghiera, la comprensione, anche, il conoscere perché spesso il conoscere gli altri trasforma i nemici in amici: quelli che si credevano dei nemici, quando uno poi conosce bene la fragilità, i limiti, il contesto in cui una persona agisce, molto spesso questo facilita la pace.

D. – E qual è il contributo che ogni singolo può dare?

R. – Io dico, di solito, che come miliardi di gocce d’acqua sporca non faranno mai un mare pulito, così miliardi di cuori senza pace non faranno mai un’umanità in pace. Quindi, come diceva il messaggio per la Giornata mondiale della pace di Giovanni Paolo II, “la pace nasce dal cuore”. Quindi, coltivare la pace a livello personale, ma non essere turbati, non essere ansiosi. E poi, diffondere intorno questa pace nella comunità, nell’ambiente in cui si lavora è un contributo personale alla pace.

D. – Con quali parole può accompagnare questo Avvento?

R. – La parola migliore è quella che Gesù ci ha lasciato: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. E la sera di Pasqua era quasi respirabile, palpabile la pace donata da Gesù …

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La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot)

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot) dans Avvento Glade-Jul-di-Viggo-Johansen
Glade Jul, di Viggo Johansen

Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale
E alcuni il possiamo trascurare:
Il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
Il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
E l’infantile – che non è quello del bimbo
Che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato
Spieganti l’ale alla cima dell’albero
Non solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo stupisce di fronte all’albero di Natale
Lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
Di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto.
Così che il rapimento splendido, e lo stupore
Del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto
Dei primi doni ricevuti (ognuno
Con un profumo inconfondibile e eccitante),
E l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento
Atteso e che stupisce al suo apparire.
E reverenza e gioia non debbano
Essere mai dimenticate nella più tarda esperienza
Nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio.
Nella consapevolezza della morte, nella coscienza del fallimento
Nella pietà del convertito
Che si potrebbe tingere di vanagloria
Spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(E qui ricordo con gratitudine anche
Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco):
Così che prima della fine, l’ottantesimo Natale
(Significando qui per “ottantesimo” l’ultimo qualunque
esso sia)
Le accumulate memorie dell’emozione annuale
Possano concentrarsi in una grande gioia
Simile sempre a un grande timore, come nell’occasione
In cui il timore giunse ad ogni anima:
Perché l’inizio ci ricorderà la fine
E la prima venuta la seconda venuta.

di Thomas Stearns Eliot

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Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

Il gesuita Sonnet
Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio
Roberto I. Zanini – Avvenire
Tratto da: Una casa sulla Roccia

Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio dans Articoli di Giornali e News 2vjsaax
“Lasciate che i bambini vengano a me” di Fritz von Uhde (1884)

Da una parte ci sono gli idoli che costruiamo  a nostra immagine, che pretendiamo  e nei quali ci riflettiamo egoisticamente  come in uno specchio; dall’altra ci sono i  figli, che sono un dono, sono altro da noi  e proprio per questo ci stupiscono e ci  mettono alla prova con le loro azioni, con le loro domande. E dopo aver acquisito questa disposizione  ad accogliere e a stupirsi (per nulla scontata), è al momento delle domande che i genitori mostrano davvero  la loro capacità di essere padri e madri: sulle loro risposte,  infatti, i figli costruiranno il racconto della loro vita.  Perché è il racconto che ci insegna a vivere. Perché il racconto di quelle risposte si inserirà nel racconto della vita del figlio (della nostra vita). Perché… Perché il racconto è la forma pedagogica con la quale Dio ci indica la strada  della fede; con la quale Gesù ci mostra la realtà del Regno.  «Perché i figli (ciò che siamo stati capaci di accogliere come dono) sono il racconto della  nostra vita; e il figlio, come fu per Abramo, per Isacco, per Elisabetta e per Maria, è colui attraverso il quale Dio visita la nostra storia».

Padre Jean Pierre Sonnet è un gesuita francese,  teologo, scrittore e poeta. Insegna Esegesi dell’Antico testamento alla Gregoriana. il suo ultimo libro Generare è narrare (Vita e pensiero,  pp. 166, euro 16) – che viene presentato dall’autore  e da Silvano Petrosino giovedì 11 dicembre  alle ore 16 alla Libreria della Cattolica in Largo Gemelli 1 a Milano – è un viaggio affascinante  nell’arte del generare alla fede attraverso  la narrazione. «E i veri maestri in questo  non possono che essere i genitori. Io appartengo a un ordine religioso al quale per secoli le famiglie hanno affidato  i figli affinché fossero educati alla fede. Oggi credo  sia giunto il tempo di riaffidare i figli ai genitori aiutandoli  nel difficile compito di indicare la strada di Dio. I genitori, soprattutto oggi, sono gli unici a poterlo fare. E il racconto resta una strada privilegiata di educazione».

Nonostante l’attuale crisi del rapporto fra le generazioni?
«La nostra è una cultura in cui ogni generazione deve reinventarsi al ritmo delle nuove tecniche. Non è più il padre che trasmette le conoscenze al figlio: anzi, fa persino  la figura dell’incapace. Ma di cosa si ricorderanno un giorno i figli divenuti adulti? Non credo della penultima  versione dell’iPhone, ma della voce della mamma.
Così come non dimentico mia mamma che cantava canzoncine  con delle storie bibliche. Una sulla storia di Zaccheo  la ricordo molto bene… e io che giravo intorno al tavolo in cucina…».

Perché lo ricorda così bene?

«Perché le storie raccontate dai genitori si legano ai ricordi  della vita. E quelle storie hanno una loro storia nella  nostra vita: rilette a varie età mostrano contenuti sempre  diversi. Per questo i genitori devono cominciare da subito a raccontare. Il racconto è un po’ come un’opera di artigianato che si trasmette di padre in figlio: ci lavora  il padre e poi ci lavorano i figli e spesso anche i figli dei figli».

Tanti genitori oggi non raccontano e non saprebbero nemmeno cosa raccontare.

«Da giovane prete, in Francia, mi capitava di passare ore  in confessionale e spesso per penitenza invitavo a raccontare  una storia biblica ai figli o ai nipoti. Una donna anziana un giorno mi rispose: ‘Padre, non sarebbe meglio un rosario?’. Quella donna evidentemente non aveva sperimentato quell’alleanza speciale che c’è fra nonni e nipoti quando si raccontano storie. Anche Papa Francesco  ha parlato del suo particolare rapporto con nonna Rosa.  Nella dedica che ho fatto nella copia di questo libro che ho inviato a Francesco ho scritto: ‘A Papa Francesco che ci ha raccontato di come nonna Rosa gli raccontava’.  Ecco, i nonni hanno un dono speciale. E se, come i genitori, hanno paura di raccontare, credo che nostro compito, il compito della Chiesa, sia di incoraggiarli, di confermarli in questa loro funzione essenziale: ‘Quando  tuo figlio domani ti chiederà perché? Tu gli risponderai:  Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto…’  (Es 13, 14). Quando Dio si rivela a Mosè nel roveto  ardente (Es 3, 6) gli dice: ‘Io sono il Dio di tuo padre.
Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’,  e in Dt 26, 5 Dio insegna a raccontare: ‘Mio padre era un arameo errante…’. Insomma, le generazioni sono  direttamente implicate nella trasmissione del mistero e della fede».

Legandolo alla famiglia, lei scrive che il racconto è ospitale come una casa.
«Noi abitiamo le storie come una casa nella quale col tempo cambiamo l’arredamento: nella casa c’è posto per tutti, così come del racconto c’è una versione adatta a ciascuno. Le parabole che raccontava Gesù hanno vari  livelli di comprensione e ognuno trova il suo. Il racconto  è una dimensione che non esclude e che tutti possono approfondire. Il racconto aggrega. Pensi alle storie che, soprattutto una volta, nelle case si narravano  sugli antenati: ti facevano sentire parte di una storia, di una famiglia».

Un cristiano non può fare a meno di raccontare?

«Il nucleo della nostra fede è narrativo. Gli ebrei raccontano:  ‘Eravamo schiavi e Dio ci ha liberati…’.  Per noi cristiani ‘il Signore Gesù alla vigilia  della sua morte prese il pane…’, oppure: ‘Il  Signore Gesù ci ha liberati dalla morte…’. Storie  del passato, ma strettamente legate alla  vita di oggi. Tocca a noi continuare a renderle  vive. Il Salmo 78 ci invita: ‘Ciò che abbiamo  udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno  raccontato non lo terremo nascosto ai nostri  figli…’. E i bambini sono affascinati dal  passato, soprattutto se è possibile riviverlo per il presente».

Lo dicevamo all’inizio: in tante famiglie non si raccontano nemmeno più le favole… E poi qual è il momento per raccontare?
«Io sono un prete, non ho figli, ma ho 18 nipoti e seguo tante famiglie. La mia esperienza mi dice che bisogna sfruttare il sacro momento in cui il bambino si corica, non ha più la tv e i videogiochi. C’è il libricino illustrato e la voce della mamma, del papà, dei nonni. Perché in quel momento non raccontare storie bibliche? Ce n’è una per ogni situazione. Ma si può raccontare anche in vacanza, durante una gita, camminando insieme. Del resto l’elaborazione  del racconto apre a un cammino interiore e la Bibbia è densa di personaggi che raccontano e camminano.  Gesù è un grande camminatore e un grande narratore.  Spero davvero che il Sinodo sulla famiglia proponga  strade e offra consigli a questo riguardo: questa è la chiesa domestica».

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La storia di Húrin: una voce di speranza cristiana in un mondo triste, brutto e disperato

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2014

“Può darsi, se questo lo chiami cadere in basso”, replicò Túrin “può darsi. Ma così è andata; e le parole mi sono rimaste chiuse in gola. Ho letto rimprovero, negli occhi di Mablung, senza che me ne chiedesse ragione, per un atto che non avevo commesso. Fiero era il mio cuore d’Uomo, come ha detto il Re degli Elfi. E tale è ancora, Beleg Cúthalion. Né ancora sopporta che io ritorni in Menegroth e mi attiri sguardi di pietà e perdono, come un ragazzino scapestrato e pentito. Dovrei essere io a concedere, non già a ricevere, perdono. E non sono più un ragazzo, bensì un uomo, secondo quel che è tipico della mia razza; e un uomo tenace per mia sorte”.

J. J. R. Tolkien – I figli di Húrin

La storia di Húrin: una voce di speranza cristiana in un mondo triste, brutto e disperato dans John Ronald Reuel Tolkien dc4uh2

[…] in questo racconto drammatico e oscuro c’è […] tutta un’allegoria di radice religiosa. Tutta l’opera del grande scrittore è infatti intrisa di significati e simbolismi religiosi: Morgoth, ad esempio, un tempo era un angelo, proprio come Lucifero. Ma per rabbia, superbia e invidia aveva abbandonato Dio e aveva iniziato una terrificante lotta contro di lui e contro il suo creato, tra cui elfi e uomini.

Se in questo libro Tolkien scrive di situazioni in cui è il male che sembra prevalere, e dove si sente la nostalgia dell’umorismo e dell’ottimismo dei piccoli grandi Hobbit, tuttavia anche in questa vicenda tragica riesce a far trasparire la speranza cristiana che il male possa essere redento.

Non è pessimismo, dunque, ma realismo cristiano, lo stesso che lo aveva aiutato ad affrontare le difficoltà della vita reale. A conferma della profonda ispirazione religiosa, e peculiarmente cattolica, della sua opera, ci sono le parole che lo stesso Tolkien scrisse in una lettera al padre gesuita Robert Murray: «Dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so». Fa parte del simbolismo cristiano […] anche lo stesso concetto di eroe: un eroe del sacrificio, e della rinuncia del potere, ovvero del male. E non c’è amore più grande di quello di chi sacrifica la vita per i propri amici.

[…]

La storia di Hurin, così come tutta l’opera di Tolkien, non è solo spettacolarità e battaglie, è anche una grandiosa rappresentazione della condizione umana, è una riflessione mitica, intrisa di fascino e di bellezza, sulle questioni umane fondamentali. E’ anche una voce di speranza cristiana che grida in un mondo triste, brutto e disperato.

di Paolo Gulisano

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Violenza e profondità

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2014

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La violenza di una passione fa credere spesso alla sua profondità quando, più spesso, invece, la esclude. Una superficie sconvolta attira lo sguardo e turba il cuore più di un abisso silenzioso. Perciò, le passioni generate dalla carne e dall’immaginazione (l’amore dei sensi e gli entusiasmi politici in particolare) sono così inebrianti e così fallaci al tempo stesso. Inebrianti come ho spettacolo di una tempesta sul mare e come essa fugaci…

Gustave Thibon, Il pane di ogni giorno, Morcelliana, Brescia 1949, p. 22
Tratto da: Ritorno al reale

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Real Madrid, tifosi in rivolta: “Non toglieteci la croce”

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2014

Real Madrid, tifosi in rivolta: “Non toglieteci la croce”
di Gian Antonio Orighi – La Stampa

Real Madrid, tifosi in rivolta: “Non toglieteci la croce” dans Articoli di Giornali e News e0lts5

No allo stemma del Real Madrid senza croce. Enraizados (Radicati), un gruppo cattolico, sta raccogliendo le firme contro l’accordo tra i Meregues e la banca di Abu Dhabi Nbad (sponsor della squadra spagnola) che prevede il lancio negli Emirati Arabi Uniti di una credit card con lo scudo del club, ma senza il simbolo della cristianità. La ragione della cancellazione? Non ferire i fedeli di Allah. In una settimana, gli osservanti hanno già raccolto 2 mila adesioni, mentre sul web si è scatenata la polemica. «Toglieranno anche la corona per sostituirla con un turbante?»; «Cambieranno il nome di Ronaldo, Cristiano, in Musulmano?», attaccano i tifosi del Bernabeu.

Il Real Madrid, fondato nel 1902, è nato senza croce. Ma nel 1920 il re Alfonso XIII, grande fan dei Merengues (Meringhe, così soprannominati per il dolce che ha lo stesso colore delle magliette del club), concesse il titolo onorifico di Real alla squadra, che da allora esibisce nello stemma la corona borbonica, che culmina con una croce. La II Repubblica, proclamata nel 1931 dopo la cacciata di re Alfonso XIII, l’abolì insieme alla corona. Il dittatore Franco, cattolicissimo e grande ammiratore del club, le restaurò nel ’41. Da allora, la croce aveva sempre svettato senza polemiche, anche con giocatori maomettani come Benzema. «So che ogni partita si vive lì con speciale emozione e che il vincolo con gli Emirati Arabi Uniti è sempre più forte – ha commentato Florentino Pérez, presidente del Real, sulle cui magliette non a caso c’è la pubblicità della linea aerea degli Emirates -. Vogliamo che il Real Madrid continui a conquistare il cuore dei suoi fan. E desidero che questa alleanza di 3 stagioni possa trasformarsi in qualcosa di permanente». Pérez sogna un parco tematico dei Merengues ad Abu Dhabi, il Real Madrid Resort Island (hotel di lusso, installazioni sportive e campo da calcio in riva al mare), un investimento da 1 miliardo di dollari al momento fermo, ma che Nbad ha promesso di riattivare (utile annuo stimato di 50-60 milioni).

Enraizados, però, snobba i petrodollari. E sul suo sito attacca: «Il Real Madrid usa uno stemma differente a seconda di dove va. Se gioca in Europa, la corona ha la croce. Se invece lo fa negli Emirati, non ce l’ha. Insomma, sono più importanti i soldi che la storia del club». E ancora: «Chiediamo a Pérez di rettificare. Questa decisione significa disprezzare i cristiani perseguitati nel mondo, le radici cristiane dell’Europa». Ma un precedente già esiste: nelle magliette del Barcellona vendute nei Paesi Arabi è sparita la croce di San Giorgio dallo scudo. E vanno a ruba.

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