• Accueil
  • > Archives pour le Mardi 16 décembre 2014

«La forza del presepe». Meditare il Natale con Papa Francesco

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

«La forza del presepe». Meditare il Natale con Papa Francesco
Tratto da: La Civiltà Cattolica (Quaderno N°3947 del 06/12/2014, pag.417-422)
Presepe e Dio lontano dans Anticristo Presepe

«Ci avviciniamo al presepe, dove albeggia “una grande luce” (Mt 4,16) […], una luce nascosta nel silenzio di Nazaret e nella pace notturna di Betlemme; eppure presto si manifesterà a tutte le genti (Is 60,1-3; Mt 2,2-9) e ai discepoli (Mt 17,12; Lc 2,32). È la luce del mondo (Gv 8,12; 9,5; 12,46), la luce in cui dobbiamo camminare per esserne figli (Gv 12,36)». Queste sono le parole con le quali iniziava una meditazione dell’allora p. Jorge Mario Bergoglio su Dio visto come luce, raccolta nel volume Nel cuore di ogni padre (Milano, Rizzoli, 2014, p. 159).«Ci avviciniamo»: come per Ignazio di Loyola, così per Papa Francesco meditare non significa solamente «considerare» o «ragionare», ma soprattutto farsi presenti alla scena del mistero, essere testimoni anche grazie all’immaginazione. Se non si vede la scena della Natività, non si vede la luce. E se la luce non si vede, essa diventa un puro contenuto intellettuale, incapace di toccare il cuore e la sensibilità. Bisogna vivere quella che Papa Francesco ha definito la «teologia del “come se”» (ivi, 199), propria di sant’Ignazio, quella che ci fa entrare nella tensione della presenza: «come se fossi presente». In questo modo possiamo davvero sentirci nel presepe. Questo ci sembra un invito valido per il Natale: proviamo a entrare nella scena del mistero della Natività, sperimentiamo la pace notturna di Betlemme e il silenzio che domina la notte.Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

La «luce nascosta». Facciamo «come se» fossimo lì presenti, nella grotta di Betlemme. Quale luce vediamo? La luce abbagliante di un sole invitto che splende accecando con la sua gloria e imponendo adorazione per il solo fatto di risplendere come un faro?

No, vediamo la luce del Signore che è «luce nascosta», scrive Bergoglio; che è kindly light, «luce gentile», gli farebbe eco il beato John Henry Newman. Non è luce accecante, abbagliante, ma luce che si approssima, come la luce di una fiaccola che aiuta nel cammino. La luce, per Bergoglio, non suscita innanzitutto una contemplazione statica, ma apre il cammino. «Camminate mentre avete la luce», scrive l’evangelista Giovanni (12,35). Ecco allora che la «forza del presepe» consiste nell’innescare un processo, nell’iniziare un cammino.

Per Bergoglio, dunque, il mistero del Natale è intimamente dinamico: sveglia la coscienza intorpidita, riscuote l’animo e ci mette in partenza da pellegrini che credono con la fede salda di chi non svende la propria coscienza. Questo percorso, avverte, diventa autentico soltanto quando non rimane intrappolato nel chiacchiericcio alienante. Il mondo della «chiacchiera» nuoce al silenzio del cammino nella Notte santa (cfr J. M. Bergoglio, La forza del presepe. Parole sul Natale, Bologna, Emi, 2014, 23-34). «La strada che il presepe ci prospetta è diversa da quella vagheggiata dalla nostra ambizione» (ivi, 48). 

In questo cammino raccolto si diventa «figli della luce». P. Bergoglio scriveva che la luce «ci trasforma non soltanto avvolgendoci da fuori, ma cambiandoci il cuore, i desideri, l’amore (At 22,6.9.11.13; 9,3; 12,7)» (Id., Nel cuore di ogni padre…, cit., 159). Essere figli significa essere generati e rigenerati da questa luce: essa ci cambia persino i desideri, riorienta la nostra direzione di vita.

Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

I «figli della luce». Chi è in grado di essere generato dalla luce? «A ricevere questa luce sono i semplici, i fedeli: i pastori, i magi, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna, Giuseppe, Maria. Vengono tutti convocati dalla luce, nell’apparente penombra, nella mediocrità di una vita comune» (ivi, 160). È come se qui ci venisse detto: se credi di vivere sotto i riflettori, di vivere una vita illuminata dal successo o da una verità avvertita come possesso, la luce nascosta del Natale non potrà toccarti. «Davanti al presepe si sgretolano tante delle nostre cose che forse brillavano molto, oppure che credevamo importanti, solide! Ma a volte quel luccichio, quell’importanza e quella solidità non hanno alcun altro fondamento se non il pantano delle nostre ambizioni, che crollano davanti a colui che non ha esitato ad annullarsi fino alla morte e morte di croce» (Id., La forza del presepe…, cit., 48).

Solo la «classe media della santità», per citare Joseph Malègue, scrittore tanto caro a Papa Francesco, è in grado di farsi raggiungere da questa luce che rigenera. È davanti «alla semplicità, quasi quotidiana, del presepe» che si fa esperienza della gloria. Chi preferisce la «luce convenzionale» che ha imparato a usare da sempre, non sa aprire la porta al Signore che bussa (cfr Id., Nel cuore di ogni padre…, cit., 160). Davanti al «bambino che piange» prende corpo e forma l’immagine apocalittica del Signore che viene. Sono dunque «i semplici, i giusti, a comprendere che colui che è venuto a calcare la terra fu “la tua destra e il tuo braccio e la luce del tuo volto, perché tu li amavi” (Sal 44,4)» (ivi, 161).

Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

Una luce che risveglia. E allora ecco — prosegue Bergoglio in una meditazione sulla vocazione —, proprio «così, come siamo, con la nostra vita quotidiana, le nostre lealtà e i nostri peccati, le nostre aspirazioni e le nostre tentazioni, ci conviene avvicinarci al presepe di Gesù nel desiderio che la sua grazia ci tocchi e ci aiuti a continuare a crescere nel suo servizio. E, come schiavi indegni, rinnoviamo la nostra speranza contemplando come in mezzo alla senescenza della famiglia umana ci sia stato dato un bambino. La nostra carità apostolica potrà irrobustirsi davanti alla solitudine di una vergine, più feconda di chiunque altro, e al suo calore materno. E se guardiamo all’uomo che si assume il peso di colui che non ha generato, san Giuseppe, troveremo incoraggiamento ad avere più fede nella nostra peculiare paternità religiosa» (ivi, 254 s).

Essere dunque nella «compagnia di Gesù» significa innanzitutto proprio questo: essere come siamo, leali e peccatori, sapendo che «quel bambino sarà il nostro salvatore» (ivi, 252). E così assumerci le nostre responsabilità generative nei confronti del mondo che abbiamo intorno.

Il nostro compito, dunque, meditando come se fossimo presenti al presepe, è di svegliarci alla luce gentile del Signore che nasce, e imparare a camminare nel mondo. Sperimentare «l’infinita soavità e dolcezza della divinità» (Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, n. 124) non ci deve spingere a «fare la tenda» nel presepe, ma a metterci in cammino, a crescere con Gesù che cresce e non resta bambino nella grotta. «È ancora il Natale — prosegue Bergoglio — a suggerirci l’inizio di una vita nuova in ciascuno di noi, con tutta la speranza di una crescita che vi è connessa: “È tempo di svegliarvi”, ci ricorda san Paolo (Rm 12,11). Pensiamo qualche volta al mistero per cui due dei quattro evangelisti fanno partire la loro “Buona notizia” con l’incarnazione e il Natale del Signore? E al fatto che uno di loro, Luca, insista tanto sul mistero che “il Bambino cresceva”, come successivamente dirà — negli Atti degli Apostoli — che la Chiesa cresceva? […] Conserviamo ancora la speranza con cui l’abbiamo intrapresa [la vita religiosa e apostolica] allora? O forse l’abbiamo riposta, come facciamo con le cose che vediamo di tanto in tanto finché si scordano? Abbiamo la preoccupazione di “crescere” giorno dopo giorno nel servizio del Signore, di rinnovare il nostro cuore, di mantenerci in “formazione permanente”?» (J. M. Bergoglio, Nel cuore di ogni padre…, cit., 253).

Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

Lo sguardo vigile di Giuseppe. Contemplare il presepe stando lì come se si fosse presenti significa anche comprendere ciò che accade. Guardiamo a ciò che ha fatto Giuseppe: si è assunto «il peso di colui che non ha generato» (ivi, 255). Non è una definizione comune del patriarca, del padre putativo di Gesù. Eppure è chiaramente una definizione chiave. Bergoglio intuisce che la generatività di Giuseppe consiste proprio nella sua capacità di allevare un figlio non generato da lui, di aver accolto sostanzialmente una realtà non uscita né dal proprio corpo né dalla propria mente. Si è fatto carico del disegno di Dio, portandone il peso.

«Riassumendo — afferma il Papa —, si direbbe che a Giuseppe sia stato detto qualcosa del genere: ricevi la missione di Dio, lasciati guidare da Dio, abbraccia la difficoltà, per salvare il Salvatore. Giuseppe salva la buona fama di Maria, la stirpe di Gesù, l’integrità del bambino, il suo radicamento in terra d’Israele, ma al tempo stesso è stato il primo che Dio ha salvato da una coscienza di giustizia non aperta ai disegni di Dio, da un piano di vita isolato, da una vita, forse senza tante tribolazioni, senza però il conforto di tenere Dio tra le braccia» (ivi, 269).

Facendosi tenere in braccio da Giuseppe, Dio lo ha salvato «da una coscienza di giustizia non aperta ai disegni di Dio». Questa frase ci fa riflettere. A volte i credenti pretendono di avere una chiara e distinta consapevolezza di ciò che è giusto, attribuendo senza umiltà a Dio l’origine del loro senso di giustizia. In realtà, ci dice Bergoglio, solamente tenere in braccio Dio, cioè avere con lui un’esperienza intima, può aprire il nostro cuore ai suoi disegni, senza farli coincidere forzatamente con i nostri. Solo un’esperienza mistica della verità fatta persona — e non di una dottrina o di una legge o di una idea — può permetterci di dischiudere la nostra mente alla giustizia di Dio senza sentircene padroni. «Lo sguardo vigile di san Giuseppe» (ivi, 274) è quello del custode che intuisce di dover allevare e «salvare il Salvatore» della sua stessa vita.

Per Papa Francesco, anche noi, come Giuseppe e Maria, dobbiamo farci carico della speranza evangelica, accoglierla tra le nostre mani e consegnarla a tutto il popolo, specialmente nei tempi difficili e di crisi. Il mistero da contemplare è anche un impegno da vivere a favore di tutti. Non ci spinge solo all’interiorità, ma a farci carico della vita della gente, specialmente delle parti più deboli della società: lavorando, pregando, lottando, non incrociando mai le braccia, accostandoci alle persone di fronte alle quali vengono chiuse le porte, per aprirne loro delle altre, sostenendo gli anziani sofferenti e assimilando la loro saggezza, crescendo i bambini…

Scriveva il Papa in un’altra sua meditazione natalizia: «Nella lotta quotidiana, nella battaglia del momento e nella guerra del tempo, dobbiamo soffrire, e ciò richiede quest’atteggiamento di pazienza e costanza, di resistenza. Non siamo soli e apparteniamo a una famiglia. In seno a quella famiglia troviamo la dottrina, la sicurezza, l’affetto fecondo» (Id., La forza del presepe…, cit., 21 s).

Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

In una periferia dell’Impero. Da quanto si è detto si comprende perché le considerazioni natalizie di Jorge Mario Bergoglio non hanno nulla di «ideale» e fiabesco, ma sono sempre estremamente realistiche. La tenerezza della Natività coincide con «la forza del presepe»: non richiama mondi infantili e filastrocche. Per il Papa, Betlemme è il luogo di un servizio molto concreto, dove Maria, Giuseppe e tutti noi che contempliamo siamo chiamati a servire Dio e ad accudirlo nelle persone che ci stanno accanto, nello spazio ordinario e a volte ristretto delle cose di tutti i giorni. È molto caro al Papa il motto gesuitico: «Questo è divino: non lasciarsi costringere da ciò che è grande e tuttavia lasciarsi contenere da ciò che è piccolo» (Id., Nel cuore di ogni padre…, cit., 85). La radice di questo motto è proprio il Figlio del Dio di cui non si può pensare nulla di maggiore, che si è fatto piccolo bambino. Nell’orizzonte del Regno di Dio l’infinitesimale può essere infinitamente grande e l’immensità può essere una gabbia. Sembra un paradosso, ma non per Dio che si è fatto carne. Il grande progetto si realizza nel gesto minimo, nel piccolo passo: Dio è nascosto in ciò che è piccolo e in ciò che sta crescendo, anche se noi non siamo in grado di vederlo.

Un’ultima considerazione: nel corso degli anni, la contemplazione del Natale e la «forza del presepe» hanno molto affinato la sensibilità di Papa Francesco e lo hanno portato a comprendere che Dio, centro dell’universo e Signore della storia, si è fatto bambino in silenzio, illuminato da una «luce nascosta» in una periferia dell’Impero. Egli si manifesta a poveri pastori che vivono e sperimentano la periferia della vita. Proprio il significato profondo del Natale lo spingerà a considerare che gli eventi davvero centrali non avvengono mai al «centro», ma nelle periferie, siano esse geografiche o esistenziali.

Publié dans Fede, morale e teologia, Libri, Papa Francesco I, Riflessioni, San Giuseppe, Santo Natale, Sant’Ignazio di Loyola, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Il Natale secondo Bergoglio: fate spazio al silenzio

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

Il Natale secondo Bergoglio: fate spazio al silenzio
Tratto da: Avvenire

Il Natale secondo Bergoglio: fate spazio al silenzio dans Apoftegmi dei Padri del deserto Santo-Natale

VERSO IL NATALE
Le meditazioni del 1987
Il testo che qui pubblichiamo fa parte di un  libretto di Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco intitolato «La forza del presepe» che  l’editrice Emi manda in libreria domani (pagine 64, euro 6,90) con la prefazione di Antonio Spadaro. Il volume raccoglie alcune riflessioni del 1987, inedite in Italia, dell’allora padre gesuita, dedicate alla festa del Natale. Qui anticipiamo un’ampia parte di una meditazione sul silenzio. Per Bergoglio il Natale è la festa della vita e della luce, ma non va celebrato in maniera sdolcinata né tantomeno consumista. In questa ricorrenza si manifesta l’annuncio più radicale del cristianesimo: Dio si fa carne, creatura, bambino, per  salvare l’umanità tutta dal peccato. E di fronte a tale verità – scrive  Jorge Mario Bergoglio – «non possiamo restare inamidati o  rigidi». Queste meditazioni di Bergoglio ci fanno cogliere lo  spirito del Natale in un’accezione nuova, con la richiesta  di un coraggio rinnovato e di una fede adulta.

L’abate Arsenio diceva  d’essersi pentito  spesso d’aver parlato,  e mai d’aver taciuto.  Intendeva  che il silenzio è una  disciplina interiore alla quale va prestata attenzione. «Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno  anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche  tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte  da venti gagliardi, con un piccolissimo  timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre  membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna. Infatti ogni  sorta di bestie e di uccelli, di rettili  e di esseri marini sono domati e sono  stati domati dall’uomo, ma la lingua  nessuno la può domare: è un male  ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre,  e con essa malediciamo gli uomini  fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa  bocca escono benedizione e maledizione  » (Gc 3,2-10).

Dice santa Teresa: «È grave colpa quando una sorella abitualmente non osserva il silenzio». I Padri del deserto hanno molto insistito su questo punto.  A modo di esempio: «Ogni lavoro sarà fonte di abbondanza, ma parlare molto spesso sarà fonte di povertà». «Colui che parla molto fa un danno alla  sua anima»; «Il ciarlatano è sempre ignorante. Il saggio parla con parsimonia.  Parlare molto indica stupidità. La voce dell’insensato moltiplica le parole  e gli argomenti»; «Ciò che fai davvero  fallo in silenzio e in preghiera». Tutte queste sentenze si basano sul versetto della Scrittura: «Nel molto parlare non manca la colpa» (Pr 10,19). Infatti la troppa loquacità indica sempre  una certa mancanza di lavoro, un ozio cattivo. San Paolo lo ricorda a proposito  delle vedove giovani: «Non avendo  nulla da fare, si abituano a girare  qua e là per le case e sono non soltanto  oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene» (1Tm 5,13).
I mezzi di comunicazione di massa ci sottopongono a quella che potremmo chiamare un’«alluvione di parole». Mi domando:  «Sono capace  di vivere senza  la radio? Per quanti giorni?». Esiste  un consumismo  di parole: parole  dolci, seduttive,  oggettive, colleriche…  di ogni tipo. Parole che cercano di entrarci  rumorosamente  nel cuore e non apportano niente alla verità. La Parola ha creato l’universo, la Parola di Dio, che ha detto e tutto fu fatto. La parola che usiamo è stata depotenziata  della sua potenza creativa. E noi infatti lo sappiamo, perché istintivamente  diffidiamo delle parole che ci vengono dette, non vi prestiamo fede, diciamo: «Non sono altro che parole…  Non hanno niente a che vedere con la verità». Eppure, quanto ci piace  ascoltarle! E quando dobbiamo esprimere  un sentimento, siccome le parole sono così consumate, a volte non sappiamo come farlo; e allora ricorriamo a una serie di artifizi, anch’essi  menzogneri, che prostituiscono  il sentimento: la «formalità», la «provocazione», la parola «sdolcinata» dell’intimista.

Ma il sentimento resta dentro  e non sappiamo come esprimerlo  nella verità, come  esprimerlo in solitudine.  Ecco il cuore del problema: se non  c’è solitudine non  c’è silenzio, e senza  entrambi non  c’è verità. Il silenzio  è l’espressione  più alta della solitudine  del cuore. Il  silenzio trasforma  la solitudine in  realtà. E quando  non cediamo al  prurito di ascoltare  noi stessi, cioè  alla vanità dell’anti-  silenzio, sfuggiamo  alla solitudine  di quelle innumerevoli   maniere  formali, provocatorie,   intimistiche,  massificanti… Tutte parole che non danno vita, che non nascono da un cuore passato attraverso il crogiolo  della solitudine, nella costanza e nell’affetto. Non nascono – in sostanza  – da un cuore fecondo.

Le parole vere si forgiano nel silenzio. Più ancora: il nucleo stesso della parola  dev’essere silenzioso. Se la parola  è vera, nel suo cuore si annida il silenzio.  E la parola, una volta pronunciata,  torna al silenzio abissale e fecondo  da cui proveniva. La parola muore per fare posto all’amore, alla bellezza, alla verità, che proprio essa ha portato. Ce lo ricordava acutamente  sant’Agostino: «Giovanni la voce,  il Signore, invece, in principio era il Verbo. Giovanni voce nel tempo, Cristo  in principio Parola eterna. […] La voce, senza la parola, colpisce l’orecchio,  non apporta nulla alla mente. […] la parola, a te recata dal suono, è ormai nella tua mente e non si è allontanata  dalla mia. Perciò il suono, proprio il suono, quando la parola è penetrata in te, non ti sembra dire: Egli  deve crescere ed io, invece, diminuire?  La sonorità della voce ha vibrato  nel far servizio, quindi si è allontanata,  come per dire: questa mia gioia è completa. Conserviamo la parola, badiamo a non perdere la parola concepita nel profondo dell’essere».

La nostra parola, il nostro parlare, che nasce dal silenzio, dev’essere contenta di morire  tornando al silenzio da cui era uscita. Il silenzio c’insegna a parlare, dà forza  alla parola, la quale – per questo silenzio  che racchiude – non è mero rumore  (cfr. 1Cor 13,1). Il silenzio c’insegna  a parlare perché mantiene nel nostro intimo il fervore religioso, l’attenzione  allo Spirito Santo. Il silenzio alleva la vita dello Spirito Santo in noi. Al riguardo dice Diadoco di Fotica: «Tenendo aperte di continuo le porte del bagno si perde il calore dell’ambiente  interno; così, quando l’anima cede al desiderio del troppo parlare, anche se è bene ciò che dice, disperde  l’intima presenza a sé stessa per la porta della voce. Priva dei pensieri giusti,  manifesta in modo tumultuoso a  chiunque le capiti il susseguirsi dei  suoi pensieri, perché non possiede  più lo Spirito Santo che la  preservi dalla dissipazione,  con pensieri privi di immagini  sensibili. Il bene rifugge  dalla loquacità, alieno com’è  dal tumultuoso fantasticare.  Grande cosa è il silenzio opportuno,  è il padre del pensiero  penetrante». Altrove parla di «avida ricerca di silenzio» da parte del cuore che voglia custodire la vita divina dentro  di sé. Si tratta di quel «silenzio lungi  dal pesare ad alcuno» a cui si riferisce santa Teresa.

I Padri del deserto riferivano al silenzio  la nostra vita di pellegrini. Dicevano: Peregrinatio est tacere («Il pellegrinaggio  consiste nel tacere»). Questo «peregrinare » è «essere alla ricerca di una patria» (Eb 11,14) senza lasciarsi irretire da questa patria terrena. Parlare  ci inserisce nelle questioni del mondo. La nostra missione apostolica  ci obbliga a parlare. Ma quando in questo parlare manca il nucleo del silenzio  che ci rende pellegrini, finiamo per lasciarci corrompere dallo spirito del mondo, «piantiamo le tende nel mondo». Allora sperimentiamo quel sentimento interiore di fallimento che l’eccesso delle parole ha la caratteristica  di lasciare nel cuore. Le parole c’intrattengono e ci fanno scordare che siamo pellegrini. È proprio il silenzio a mantenerci nella nostra condizione di pellegrini. «Vigilerò sulla mia condotta  per non peccare con la mia lingua;  metterò il morso alla mia bocca finché [poiché sono pellegrino] ho davanti  il malvagio» (Sal 39,2).

Sant’Ignazio, quando si riferisce al silenzio,  parla volentieri di «tranquillità» e «modestia» dell’anima. È significativo  che tutte le doti del silenzio vengano  applicate all’immagine che egli delinea  dei fratelli coadiutori. Quasi che costoro debbano costituire il bastione silenzioso di una comunità, affinché quest’ultima sia in grado di parlare bene  agli uomini. Ci sono anche le Regole della modestia. Ma voglio piuttosto rimarcare  che sant’Ignazio non menziona  il silenzio soltanto come mezzo per la vita spirituale, per la preghiera, per gli Esercizi e via dicendo, ma invece mira a una concezione del silenzio che, nella vita del gesuita, è totalizzante. Il gesuita «tranquillo», «modesto», «silenzioso  » non è un ingenuo che esclude  dalla propria comprensione le voci e i rumori che gli giungono. Al contrario, dev’essere pienamente consapevole  di tutti questi suoni che vengono  a bussare alla porta del suo cuore,  così come dei suoni che escono dal suo stesso cuore, in modo da accogliere  quelli buoni e respingere quelli cattivi.
Parla del silenzio l’apostolo Giacomo quando scrive: «Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa,  non vantatevi e non dite menzogne  contro la verità» (3,14). Quando nel tuo cuore non c’è silenzio, quando  c’è un rumore cattivo, non esprimerlo  sotto le mille forme della vanagloria:  il sarcasmo, la vanità, l’intimismo,  la fatuità, il pettegolezzo, il fare contrariato e tormentato, il bisogno di avere sempre qualcosa da ridire. Amarezze,  affetti disordinati, risentimenti,  il cullarsi nel proprio egoismo…  tutte queste cose sono mancanza  di silenzio interiore e corrompono la verità.

Infine, il silenzio è l’espressione più  alta e più quotidiana della dignità.  Tanto più nei momenti di prova e  di crocifissione, quando la carne vorrebbe giustificarsi e sottrarsi alla croce. Nel momento supremo dell’ingiustizia,  «Gesù taceva» (Mt 26,63; cfr. anche Is 53,7; At 8,32). Non è stato al gioco del rispondere a quanti gli dicevano  di scendere dalla croce. Tutta la pazienza di Dio, la pazienza di secoli, e anche il suo affetto, emergono qui, in questo silenzio del Cristo umiliato. Nella storia degli uomini fanno irruzione  il silenzio eterno della Parola, la «contemplatività» amorosa del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, tutta la comunione trinitaria dal silenzio dei secoli. È Parola, ma Parola che – nell’ora  dell’annientamento provocato dall’ingiustizia – si fa silenzio. Iesus autem  tacebat. Contempliamo tutto il «viaggio» della Parola di Dio (cfr. Gv 1,1; 14,2-3; 14,10; 16,28); come si fa tenerezza  nel seno di una Madre. Questa  Madre «custodiva tutte queste cose,  meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51). Nel cuore silenzioso di Maria ha sede la memoria della Chiesa. Il silenzio  «incarnato» del Verbo si esprime  in quel momento d’ingiustizia, di umiliazione, di annientamento, nell’ora  del potere delle tenebre. Quella è la dignità di Gesù, ed è anche la nostra.

Publié dans Apoftegmi dei Padri del deserto, Fede, morale e teologia, Libri, Papa Francesco I, Riflessioni, Santo Natale, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Papa Francesco: “Chiediamo al Signore la grazia di sentirci peccatori”

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

Papa Francesco:  “Chiediamo al Signore la grazia di sentirci peccatori”

Papa Francesco: “Chiediamo al Signore la grazia di sentirci peccatori” dans Citazioni, frasi e pensieri 2r6fpfb

“Chiedo al Signore la grazia che il nostro cuore sia semplice, luminoso con la verità che Lui ci dà, e così possiamo essere amabili, perdonatori, comprensivi con gli altri, di cuore ampio con la gente, misericordiosi. Mai condannare, mai condannare. Se tu hai voglia di condannare, condanna te stesso, che qualche motivo avrai, eh?”. “Chiediamo al Signore la grazia che ci dia questa luce interiore, che ci convinca che la roccia è soltanto Lui e non tante storie che noi facciamo come cose importanti; e che Lui ci dica – Lui ci dica! – la strada, Lui ci accompagni nella strada, Lui ci allarghi il cuore, perché possano entrare i problemi di tanta gente e Lui ci dia una grazia che questa gente non aveva: la grazia di sentirci peccatori”. (15/12/2014)

“Se il tuo cuore non è un cuore pentito, se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in Lui, tu hai un cuore non pentito. Ma questi ipocriti che si scandalizzano di questo che dice Gesù sui pubblicani e le prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro o per sfogare le loro passioni o per fare affari – ma  tutto di nascosto – erano puri! E questi il Signore non li vuole”. (16/12/2014)

Tratto da: Radio Vaticana

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Misericordia, Papa Francesco I, Perdono, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Dare i propri peccati al Signore

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

O mio Gesù, in segno di riconoscenza per tante grazie, Ti offro l’anima ed il corpo, l’intelletto e la volontà e tutti i sentimenti del mio cuore. Coi voti mi sono data tutta a Te, non ho più nulla da poterTi offrire. Gesù mi disse:

«Figlia Mia, non Mi hai offerto quello che è effettivamente tuo».

Mi concentrai in me stessa e mi tesi conto che amavo Iddio con tutte le forze della mia anima e, non riuscendo a conoscere che cos’era che non avevo dato al Signore, domandai: «Gesù, dimmelo e Te lo do immediatamente con generosità di cuore». Gesù mi disse con amabilità:

«Figlia, dammi la tua miseria, che è l’unica tua esclusiva proprietà».

dal Diario di Santa Faustina Kowalska

Dare i propri peccati al Signore dans Citazioni, frasi e pensieri S-Faustina-Kowalska

Papa Francesco ricorda la storia di un santo che pensava di aver dato tutto al Signore, con estrema generosità:

“Ascoltava il Signore, andava sempre secondo la sua volontà, dava al Signore e il Signore: ‘Ma tu non mi hai dato una cosa, ancora”. E il povero era tanto buono e dice: ‘Ma, Signore, cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là…’. ‘Ma qualcosa tu non mi hai dato ancora’.- ‘Che, Signore?. ‘I tuoi peccati’. Quando noi saremo in grado di dire al Signore: ‘Signore, questi sono i miei peccati – non sono di quello, di quello, sono i miei… Sono i miei. Prendili tu e così io sarò salvo’ – quando noi saremo capaci di fare questo noi saremo quel bel popolo, ‘popolo umile e povero’, che confida nel nome del Signore. Il Signore ci conceda questa grazia”.

Tratto da: Radio Vaticana

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Misericordia, Papa Francesco I, Santa Faustina Kowalska | Pas de Commentaire »

La conversione è un impegno di ogni giorno

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

La conversione è un impegno di ogni giorno dans Fede, morale e teologia 5xo178

«Quando la Madonna invita alla conversione, intende un cammino di tutta la vita. A volte si sente qualcuno affermare: “Mi sono convertito”. E’, invece, più esatto dire: “Ho incominciato a convertirmi”. La nostra conversione è un impegno di ogni giorno e nessuno può dire: “Mi sono convertito”. Dobbiamo, invece, ripetere a noi stessi: “Io voglio, io voglio andare avanti nella mia conversione ogni giorno”. Poi pregare Dio per questo dono, perché mi dia la possibilità di capire e di vivere la mia conversione. Uno che si illude di essersi già convertito significa che non è andato avanti nel cammino e che per lui la conversione è solo una parola. La nostra conversione è sempre un andare avanti e non si dà che uno possa dire: “Io mi sono convertito”, ma al contrario deve dire: “Io voglio convertirmi”, e ripeterlo per tutta la vita, giorno dopo giorno».

Vicka Ivanković Mijatović

Publié dans Fede, morale e teologia, Medjugorje, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Contemplazione: la Natività

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2014

Contemplazione: la Natività
Tratto dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio

Contemplazione: la Natività dans Fede, morale e teologia Nativit

La solita preghiera preparatoria.

[111] Il primo preludio è il soggetto della contemplazione: nostra Signora, che era incinta di quasi nove mesi, seduta in groppa a un’asina (come si può piamente pensare), san Giuseppe e una domestica partirono da Nazaret conducendo con sé un bue, per andare a Betlemme a pagare il tributo che Cesare aveva imposto a tutte quelle regioni [264].

[112] Il secondo preludio è la composizione vedendo il luogo: qui sarà vedere con l’immaginazione la strada da Nazaret a Betlemme, considerando quanto è lunga e larga, e se corre in pianura o per valli o per alture; così pure vedere la grotta della natività, osservando se è grande o piccola, bassa o alta, e che cosa contiene.

[113] Il terzo preludio sarà lo stesso della contemplazione precedente e si farà allo stesso modo.

[114] Primo punto: vedo le persone, cioè nostra Signora, san Giuseppe, la domestica e il bambino Gesù appena nato; mi faccio come un piccolo e indegno servitorello guardandoli, contemplandoli e servendoli nelle loro necessità, come se mi trovassi lì presente, con tutto il rispetto e la riverenza possibili. Infine rifletterò su me stesso per ricavare qualche frutto.

[115] Secondo punto: osservo, noto e contemplo quello che dicono; e, riflettendo su me stesso, cerco di ricavare qualche frutto.

[116] Terzo punto: osservo e considero quello che fanno; per esempio, camminano e si danno da fare perché il Signore nasca in un’estrema povertà, per poi morire sulla croce, dopo aver tanto sofferto la fame e la sete, gli insulti e le offese: e tutto questo per me; infine, riflettendo,cerco di ricavare qualche frutto spirituale.

[117] Colloquio. Alla fine farò un colloquio, come nella contemplazione precedente, e dirò un Padre nostro.

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Novena di Natale del Beato Don Giustino Maria Russolillo

Freccia dans Viaggi & Vacanze Catechesi sul Natale di Benedetto XVI

Publié dans Fede, morale e teologia, Santo Natale | Pas de Commentaire »