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Il significato antico e sempre nuovo del presepe

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

Cammino di Avvento dans Avvento Pregare-accanto-al-presepe

Il primo presepe fu voluto da san Francesco. Di ritorno dalla Terra Santa, Francesco pensò di rappresentare la nascita di Gesù in Betlemme perché i fedeli, “vedendo con gli occhi del corpo” il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, si disponessero a “vederLo anche con gli occhi del cuore”.
Ottenuta la licenza da Papa Onorio III, il santo chiese al cavaliere Giovanni Vellita di allestire, nel bosco introno a Greccio, il primo presepe con Bambinello, mangiatoia, bue e asino. Era la notte di Natale del 1223: nasceva così quella che sarebbe divenuta una delle principali tradizioni della cristianità.

Spiritualità popolare, cattolica, latina
Tradizione popolare, diffusa da principio grazie ai missionari francescani, divenuta presto comune espressione della spiritualità del Natale e nobilitata, in breve tempo, a vera e propria forma d’arte, tale da meritare l’interesse di artisti di varie epoche.
Tradizione eminentemente cattolica, estesa a tutte le latitudini e fortemente presente soprattutto nei Paesi di cultura latina, molto meno apprezzata, invece, nel mondo protestante che, soprattutto dal XVI secolo in poi, preferì l’uso dell’albero di Natale.
Tradizione, infine, che ha trovato un’accoglienza del tutto speciale nella cultura e nel sentimento nel Meridione d’Italia, e di Napoli particolarmente, dove il suo valore rappresentativo e simbolico è stato esaltato fino a divenire parte eminente del patrimonio storico, artistico, popolare e culturale.
Il presepe napoletano, infatti, presenta caratteristiche specifiche che lo differenziano dalla semplice ricomposizione della scena di Betlemme, anzi che se ne allontanano sostanzialmente e in modo che potrebbe sembrare totalmente antistorico, ma che, al contrario, esprime appieno il significato teologico dell’Incarnazione e la permanente attualità dell’evento evangelico.
Gli ambienti, i personaggi, le scene che animano il presepe napoletano sono il risultato di una lunga dimestichezza con la fede e con la dottrina, diffusa anche nei ceti sociali più popolari dall’insegnamento di grandi santi che vissero e predicarono a Napoli, da san Tommaso d’Aquino a sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autore tra l’altro del canto natalizio per eccellenza, Tu scendi dalle stelle, traduzione in italiano del precedente Quanno nascette Ninno.
Il presepe napoletano è la sintesi di una spiritualità popolare, sentita, vissuta e stratificata nei secoli, capace di riconoscere nell’apparente semplicità della nascita di un Bambino il mistero di un annuncio di salvezza dato a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi.

[…]

Quest’incredibile modo di rendere visibile e tangibile ciò che è spirituale, non ha che una motivazione: rammentare a ciascuno di noi che la nascita del Salvatore è un evento straordinario che accade proprio nella nostra vita e al quale ognuno di noi è chiamato ad essere presente.

di Maria Carresi – Radici Cristiane

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L’Immacolata Concezione

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

L'Immacolata Concezione dans Citazioni, frasi e pensieri Suor-Faustina-Kowalska

L’IMMACOLATA CONCEZIONE. Fin dal mattino ho avvertito la vicinanza della Madre SS.ma. Durante la santa Messa l’ho vista così splendente e bella, che non ho parole per poter esprimere almeno in piccola parte la Sua bellezza. Era tutta bianca, cinta da una sciarpa azzurra; anche il manto azzurro, la corona sul capo e da tutta la Sua persona s’irradiava uno splendore inconcepibile.

“Sono la Regina del cielo e della terra, ma soprattutto la vostra Madre”. Mi strinse al Suo Cuore e disse: Ti sono sempre vicina nelle sofferenze”.

Sentii la potenza del Suo Cuore Immacolato che si trasmise alla mia anima. Ora comprendo perché da due mesi mi sono preparata a questa festa e perché l’ho attesa con tanta nostalgia. Da oggi m’impegnerò per la massima purezza dell’anima, in modo che i raggi della grazia di Dio vi si riflettano in tutto il loro splendore. Desidero essere come il cristallo, per trovare compiacimento davanti ai Suoi occhi. In questo giorno ho visto un certo sacerdote circondato dallo splendore che proveniva da Lei; evidentemente quell’anima ama l’Immacolata.

Santa Faustina Kowalska

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“Babbo Natale non si è rimpicciolito. Piuttosto ho esteso l’idea”

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

“Babbo Natale non si è rimpicciolito. Piuttosto ho esteso l’idea” dans Citazioni, frasi e pensieri Babbo-Natale

Quello che mi è successo è l’opposto di quello che sembra essere l’esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. È successo in questo modo. Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono – lungi da me!

E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano “Santa Claus” era benevolmente disposto verso di me… Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente.

E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l’idea. Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.

Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi dollari e qualche biscotto. Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.

Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza. Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all’origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l’ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà.

di Gilbert Keith Chesterton
Tratto da: Gli Scritti

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GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare
di Francesco Baccanelli – Il Sussidiario

GUARESCHI/ Quella “favola di Natale” che il lager non ha potuto soffocare dans Articoli di Giornali e News amsh2e

Impedire a un artista di tradurre in arte i periodi più cupi della sua vita è un’impresa difficile. Se poi l’artista si chiama Giovannino Guareschi e sa spaziare tra i più disparati argomenti, vestendo tra l’altro con disinvoltura sia i panni dello scrittore che quelli del disegnatore, l’impresa si fa davvero impossibile. Non dobbiamo stupirci, perciò, se la sera del 24 dicembre 1944, nel lager di Sandbostel, Guareschi legge ai compagni di prigionia La favola di Natale, un racconto che tre muse d’eccezione – “Freddo, Fame e Nostalgia” – gli hanno suggerito nelle settimane precedenti.

Accompagnata dalla musica composta per l’occasione da un altro recluso, il sorrentino Arturo Coppola, la lettura offre un po’ di serenità ai presenti, che per qualche ora riescono a dimenticare il clima di angoscia in cui vivono e a tornare, almeno con il pensiero, dai loro cari. Il testo, infatti, racconta il favoloso viaggio che un bambino, Albertino, compie la sera della vigilia di Natale per andare a trovare il padre, rinchiuso in un campo di concentramento. Il viaggio, affrontato insieme alla nonna, si rivela ricco di sorprese. E nel Bosco degli Incontri, che la simpatica mappa disegnata da Guareschi situa a metà strada tra il Mondo della Pace e il Mondo della Guerra, Albertino riesce finalmente a riabbracciare il genitore, scappato in sogno dal lager (per sua fortuna, infatti, “i sogni non hanno piastrino; non c’è l’appello notturno dei sogni; non esistono ‘zone della morte’ per i sogni”). Così, nonostante il poco tempo a loro disposizione, i tre possono festeggiare insieme la nascita di Gesù. Il povero prigioniero sa di dover rientrare nel lager, ma prova ad assaporare fino in fondo quel piccolo grande momento di vita familiare.

A guerra conclusa, Guareschi decide di pubblicare la Favola. Prima di consegnarla all’editore, però, impreziosisce il testo con alcune illustrazioni. Il corredo grafico, votato alla semplicità, passa da un registro all’altro con sorprendente scioltezza. La poesia si alterna con la satira, la malinconia con la voglia di sorridere. E, descrivendo il viaggio di Albertino, i disegni evidenziano anche la vis polemica del racconto, una componente che i prigionieri del lager di Sandbostel, secondo la testimonianza dello stesso Guareschi, non avevano compreso del tutto. I riferimenti stilistici sono molti e, accanto a ripetute incursioni nel campo dell’illustrazione per l’infanzia e in quello della vignetta satirica, si notano figure che richiamano George Grosz (è il caso della gallina mascherata da uomo) e, se guardiamo alla rappresentazione del cimitero simbolico, perfino un accenno alle atmosfere di Caspar David Friedrich.

Il “ritratto” dell’addetto alla censura postale è indimenticabile. Guareschi, con modi che ricordano da vicino Honoré Daumier, lo raffigura grande e grosso, sgraziato, ottuso. L’uomo, chiamato a esprimersi sulla poesia che Albertino ha imparato a memoria per Natale – poesia che ha l’aspetto di un uccellino coperto di parole –  sembra piuttosto allarmato dal contenuto delle strofe.

Nel testo Guareschi racconta: «Cominciò a leggere i versi scritti sulle ali. Din-don-dan: la campanella / questa notte suonerà… “No!” disse. “Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!” E, con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò molte parole. Poi, di lì a poco, scosse ancora il capo. Una grande, argentea stella / su nel ciel s’accenderà… “Niente! Contravvenzione all’oscuramento!” disse. E giù pennellate nere. Latte e miele i pastorelli / al Bambino porteranno… “Niente! Contravvenzione al razionamento!” borbottò. E giù ancora col pennello. I Re Magi immantinente / sul cammello saliranno… “Niente!” urlò furibondo. “Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re!” E giù pennellate grosse così. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbrò le ali e disse che poteva entrare. La Poesia si mise a piangere. “E come faccio a entrare così? Con tutte queste cancellature io non sono più una poesia…”».

Oltre a questo gretto personaggio, nella favola si incontrano molti altri nemici del Natale. Ci sono le guardie del lager, ad esempio. Ci sono gli energumeni che tentano di sostituire Gesù Bambino con il dio della Guerra. E c’è perfino un ufficiale che ricorre ai cannoni contraerei per impedire agli «angeli bombardieri» di scaricare «sulle case, sopra gli ospedali, sopra i campi di prigionia, grossi carichi di sogni». Malgrado i loro sforzi, però, questi nemici del Natale non riescono ad avere la meglio sui sentimenti dei prigionieri. Non riescono a impedire che il padre di Albertino vada incontro, almeno in sogno, al figlioletto. I muri e il filo spinato possono incarcerare il corpo dell’uomo, ma non la mente.

Nel Diario clandestino Guareschi, rivolgendosi alla Germania di Hitler, scrive: «Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. È inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti».

È impossibile spezzare i legami che uniscono un uomo alla sua interiorità, alla sua famiglia, alle sue idee, al suo passato. È impossibile impedire a un prigioniero di vivere la speranza che il Natale porta con sé. E così nell’ultima illustrazione della Favola vediamo che il lager è costretto a incassare la sconfitta: nel cielo è comparsa la stella che annuncia a tutti la nascita di Cristo e non c’è modo di oscurarla. La stella è più che mai decisa a rischiarare di speranza le sofferenze dei prigionieri. La notte di Natale anzitutto, ma anche nel resto dell’anno.

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Questo nostro amore nato dietro le sbarre

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2014

Questo nostro amore nato dietro le sbarre
Lorenzo era in carcere per scontare una pena. Giuditta una giovane insegnante. Si incontrano al Meeting di Rimini, dove lui era volontario con altri compagni. Si innamorano, vivono il fidanzamento divisi e finalmente si sposano. «La nostra è una storia di conversione e misericordia».
di Barbara Garavaglia – Credere

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I buoni fuori e i cattivi dentro. E per favore, buttate via la chiave. Spesso vogliamo tracciare un confine netto tra i (presunti) buoni e i cattivi. Dimenticando un elemento fondamentale: la misericordia. È un’esperienza, quella della misericordia, che ben conoscono Giuditta e Lorenzo, sposi da pochi mesi. Ma la loro non è la storia romantica, di un bel sogno d’amore che viene coronato dallo scambio degli anelli. Lorenzo, infatti, è un detenuto che sta finendo di scontare la pena e, con Giuditta, sta sperimentando che cosa significa essere amati e accolti.

Giuditta Boscagli ha incontrato Lorenzo casualmente, e per poche ore, al Meeting di Rimini, promosso da Comunione e liberazione: lui volontario con altri detenuti del carcere di Padova, lei visitatrice abituale della kermesse agostana. È stato un incontro che li ha segnati, dando una svolta alle loro vite e facendo loro desiderare che quel legame fosse “per sempre”. Vivendo oggettive difficoltà e limitazioni. La scorsa primavera si sono sposati.

Giuditta, si può dire che la vostra storia è una storia di conversione?
«Ci è capitata una grande grazia. Per mio marito è stato un ritrovare la fede, grazie all’incontro con alcuni amici nel carcere. Per me è stato capire, giorno per giorno, quanto conti l’amicizia con Gesù. Dopo quel Meeting ho sentito l’esigenza della Messa quotidiana per vivere la fede fino in fondo. Per noi il punto fondamentale è stata la crescita nella fede e lo scoprire la convenienza dello stare insieme. Da qui il desiderio e la mancanza di paure di fronte al “per sempre”. E poi, non siamo mai stati soli, abbiamo amici, come angeli, discreti e presenti».

È difficile vivere la vostra realtà? In un periodo come questo, che cosa significa non potersi vedere liberamente da fidanzati e nemmeno pensare a un bel viaggio di nozze?
«È duro non avere la libertà di fare anche le più piccole cose. Finché Lorenzo non godeva del regime di semi-libertà c’erano solamente le lettere e un permesso ogni sessanta giorni. Insomma, un fidanzamento d’altri tempi… Siamo stati costretti ad andare all’essenziale. È faticoso, ma è un dono, perché mi ha invitata a pensare al fondo del valore del matrimonio, che è la grazia di questo sacramento, la grazia di essere consegnati l’uno all’altra, per sempre».

Qual è stata la reazione della sua famiglia alla notizia del fidanzamento con un carcerato?
«Non è stato semplice. La mia famiglia è sempre stata unita e ho sempre visto i miei genitori spendersi per noi figli. Mi hanno insegnato a essere accogliente, a stare con tutti. Hanno vissuto la fatica di pensare al futuro della propria giovane figlia con un detenuto di cui non sapevano nulla. Ma di me si fidavano e vedendomi sempre più certa e felice, si sono rasserenati. Quando hanno conosciuto il mio futuro sposo, quando hanno visto lui, che, proprio perché ha sbagliato tanto, è tanto capace di amare, è stato più semplice. Sgorga da qui, da questa ferita, la vita nuova. Chi sbaglia tanto, è anche chi desidera di più».

Suo marito, come si legge nel libro, ha deciso di vivere al meglio il periodo di detenzione. Quanto è importante questo atteggiamento?
«In carcere devi fare i conti con ciò che hai fatto. È fondamentale che non sia un parcheggio, ma un luogo in cui riprendersi la vita. Mio marito ha mantenuto questo atteggiamento. La sua famiglia non l’ha abbandonato e noi non siamo mai stati lasciati soli. Ci siamo accorti che Dio è un Padre buono e fedele. Quando poi ci sono i nomi e i volti degli amici che te lo ricordano, è più immediato. Mio marito, a Padova, ha incontrato amici veri, si è incuriosito, e ha accolto la loro proposta. Nelle carceri in cui i detenuti possono lavorare, in cui si possono instaurare dei rapporti umani autentici, la gente cambia davvero. Perdonare se stessi è la cosa più difficile, in assoluto. Con noi siamo spietati. Sentiamo il peso dei nostri sbagli. All’ingresso della nostra casa abbiamo posto questa frase di papa Benedetto XVI: “Anche chi sbaglia merita di essere amato”: serve a me, oggi, ogni giorno, in ogni rapporto».

La vostra è una bella favola?
«Non è una bella favola che si è conclusa con il matrimonio. I desideri non sono finiti quel giorno. Stiamo davanti alla realtà che c’è, più che correre avanti con i progetti. Abbiamo organizzato il matrimonio in cinque settimane, dopo che Lorenzo aveva ricevuto il decreto di affidamento ai servizi sociali; abbiamo confezionato le bomboniere e alcuni amici dei miei genitori ci hanno preparato il rinfresco nei locali dell’oratorio per noi e per i nostri quattrocento invitati. Era nostro intento infatti ringraziare tutti i nostri amici e desideriamo che questi amici continuino ad accompagnarci».

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