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La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano
Sarà la pace il tema centrale delle prediche di Avvento che da domani il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, terrà per il Papa e la Curia Romana nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, in Vaticano. Nei tre venerdì che precedono il Natale le meditazioni di padre Cantalamessa aiuteranno a riflettere sulla pace come dono di Dio in Gesù Cristo, come compito per cui lavorare e come frutto dello Spirito. “Pace in terra agli uomini che Dio ama”: così il predicatore della Casa Pontificia ha voluto chiamare questo ciclo di prediche d’Avvento.
di Tiziana Campisi – Radio Vaticana

La pace al centro delle prediche di Avvento in Vaticano dans Avvento Avvento-bimba

R. – Spieghiamo il titolo: è l’annuncio dei pastori nella Notte di Natale e come risulta pure dall’annuncio natalizio, la pace è anzitutto qualcosa che scende dal Cielo, è un dono di Dio, è il filo dall’alto che regge tutta la trama delle paci umane, senza la quale le paci umane sono sempre fragili. Certamente, però, questo dono di Dio diventa anche dovere e compito da svolgere. E infatti, nella seconda predica penso proprio di parlare della pace come compito.

D. – Lei affronterà anche il tema della pace come frutto dello Spirito …

R. – … quella che tutti desideriamo, perché quando parliamo di pace, quando la gente parla di pace, pensa alla pace del cuore, alla pace della famiglia, a questa pace che – secondo la Bibbia – è una virtù, è frutto anche di sforzo personale, è un dono di Dio però accolto e sviluppato anche attraverso la libertà della risposta umana. Ed è questa pace che poi diventa condizione di vita, anche, e di santità, perché tutti i santi hanno parlato di questa pace interiore del cuore che viene dal fare la volontà di Dio. Il nostro poeta, Dante Alighieri, ha fatto un verso su questo che dice tutto: “E’ la sua voluntate nostra pace”, cioè la pace del cuore dipende dall’adesione alla volontà di Dio.

D. – Su quali testi ci invita a meditare per questo Avvento?

R. – I testi principali che io utilizzo sono sempre quelli della Scrittura, che è ricchissima di riferimenti alla pace: grazia e pace è un binomio quasi indissociabile nella Bibbia. La ricchezza di questa parola nella Bibbia è veramente inesauribile. E poi, dopo, nei testi della Bibbia, specialmente nella seconda predica, mi sono stati molto, molto utili i testi di Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”. Mi dispiace di costringerlo a sentire quello che lui sa bene, che ha scritto lui, ma credo che faccia bene a noi risentire alcune parole di quella Lettera.

D. – Come si costruisce concretamente la pace? Quali sono gli ingredienti per la pace?

R. – Lo si ripete spesso, ne ha scritto San Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco ne parla spesso: il dialogo. Il dialogo a un certo livello, soprattutto politico. Ma il dialogo è l’unica alternativa alle armi. Quindi, per noi cristiani accanto al dialogo c’è anche la preghiera, e di fatti la Chiesa prega continuamente: a ogni Messa prega per la pace, quella invocazione prima della Comunione: da pacem, Domine – concedi la pace ai nostri giorni. Quindi, direi, il dialogo, la preghiera, la comprensione, anche, il conoscere perché spesso il conoscere gli altri trasforma i nemici in amici: quelli che si credevano dei nemici, quando uno poi conosce bene la fragilità, i limiti, il contesto in cui una persona agisce, molto spesso questo facilita la pace.

D. – E qual è il contributo che ogni singolo può dare?

R. – Io dico, di solito, che come miliardi di gocce d’acqua sporca non faranno mai un mare pulito, così miliardi di cuori senza pace non faranno mai un’umanità in pace. Quindi, come diceva il messaggio per la Giornata mondiale della pace di Giovanni Paolo II, “la pace nasce dal cuore”. Quindi, coltivare la pace a livello personale, ma non essere turbati, non essere ansiosi. E poi, diffondere intorno questa pace nella comunità, nell’ambiente in cui si lavora è un contributo personale alla pace.

D. – Con quali parole può accompagnare questo Avvento?

R. – La parola migliore è quella che Gesù ci ha lasciato: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. E la sera di Pasqua era quasi respirabile, palpabile la pace donata da Gesù …

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La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot)

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

La coltura degli alberi di Natale (T. S. Eliot) dans Avvento Glade-Jul-di-Viggo-Johansen
Glade Jul, di Viggo Johansen

Vi sono molti atteggiamenti riguardo al Natale
E alcuni il possiamo trascurare:
Il torpido, il sociale, quello sfacciatamente commerciale,
Il rumoroso (essendo i bar aperti fino a mezzanotte),
E l’infantile – che non è quello del bimbo
Che crede ogni candela una stella, e l’angelo dorato
Spieganti l’ale alla cima dell’albero
Non solo una decorazione, ma anche un angelo.
Il fanciullo stupisce di fronte all’albero di Natale
Lasciatelo dunque in spirito di meraviglia
Di fronte alla Festa, a un evento accettato non come pretesto.
Così che il rapimento splendido, e lo stupore
Del primo albero di Natale ricordato, e le sorprese, l’incanto
Dei primi doni ricevuti (ognuno
Con un profumo inconfondibile e eccitante),
E l’attesa dell’oca o del tacchino, l’evento
Atteso e che stupisce al suo apparire.
E reverenza e gioia non debbano
Essere mai dimenticate nella più tarda esperienza
Nella stanca abitudine, nella fatica, nel tedio.
Nella consapevolezza della morte, nella coscienza del fallimento
Nella pietà del convertito
Che si potrebbe tingere di vanagloria
Spiacente a Dio e irrispettosa verso i fanciulli
(E qui ricordo con gratitudine anche
Santa Lucia, con la sua canzoncina e la sua corona di fuoco):
Così che prima della fine, l’ottantesimo Natale
(Significando qui per “ottantesimo” l’ultimo qualunque
esso sia)
Le accumulate memorie dell’emozione annuale
Possano concentrarsi in una grande gioia
Simile sempre a un grande timore, come nell’occasione
In cui il timore giunse ad ogni anima:
Perché l’inizio ci ricorderà la fine
E la prima venuta la seconda venuta.

di Thomas Stearns Eliot

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Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2014

Il gesuita Sonnet
Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio
Roberto I. Zanini – Avvenire
Tratto da: Una casa sulla Roccia

Genitori, raccontate ai figli la storia di Dio dans Articoli di Giornali e News 2vjsaax
“Lasciate che i bambini vengano a me” di Fritz von Uhde (1884)

Da una parte ci sono gli idoli che costruiamo  a nostra immagine, che pretendiamo  e nei quali ci riflettiamo egoisticamente  come in uno specchio; dall’altra ci sono i  figli, che sono un dono, sono altro da noi  e proprio per questo ci stupiscono e ci  mettono alla prova con le loro azioni, con le loro domande. E dopo aver acquisito questa disposizione  ad accogliere e a stupirsi (per nulla scontata), è al momento delle domande che i genitori mostrano davvero  la loro capacità di essere padri e madri: sulle loro risposte,  infatti, i figli costruiranno il racconto della loro vita.  Perché è il racconto che ci insegna a vivere. Perché il racconto di quelle risposte si inserirà nel racconto della vita del figlio (della nostra vita). Perché… Perché il racconto è la forma pedagogica con la quale Dio ci indica la strada  della fede; con la quale Gesù ci mostra la realtà del Regno.  «Perché i figli (ciò che siamo stati capaci di accogliere come dono) sono il racconto della  nostra vita; e il figlio, come fu per Abramo, per Isacco, per Elisabetta e per Maria, è colui attraverso il quale Dio visita la nostra storia».

Padre Jean Pierre Sonnet è un gesuita francese,  teologo, scrittore e poeta. Insegna Esegesi dell’Antico testamento alla Gregoriana. il suo ultimo libro Generare è narrare (Vita e pensiero,  pp. 166, euro 16) – che viene presentato dall’autore  e da Silvano Petrosino giovedì 11 dicembre  alle ore 16 alla Libreria della Cattolica in Largo Gemelli 1 a Milano – è un viaggio affascinante  nell’arte del generare alla fede attraverso  la narrazione. «E i veri maestri in questo  non possono che essere i genitori. Io appartengo a un ordine religioso al quale per secoli le famiglie hanno affidato  i figli affinché fossero educati alla fede. Oggi credo  sia giunto il tempo di riaffidare i figli ai genitori aiutandoli  nel difficile compito di indicare la strada di Dio. I genitori, soprattutto oggi, sono gli unici a poterlo fare. E il racconto resta una strada privilegiata di educazione».

Nonostante l’attuale crisi del rapporto fra le generazioni?
«La nostra è una cultura in cui ogni generazione deve reinventarsi al ritmo delle nuove tecniche. Non è più il padre che trasmette le conoscenze al figlio: anzi, fa persino  la figura dell’incapace. Ma di cosa si ricorderanno un giorno i figli divenuti adulti? Non credo della penultima  versione dell’iPhone, ma della voce della mamma.
Così come non dimentico mia mamma che cantava canzoncine  con delle storie bibliche. Una sulla storia di Zaccheo  la ricordo molto bene… e io che giravo intorno al tavolo in cucina…».

Perché lo ricorda così bene?

«Perché le storie raccontate dai genitori si legano ai ricordi  della vita. E quelle storie hanno una loro storia nella  nostra vita: rilette a varie età mostrano contenuti sempre  diversi. Per questo i genitori devono cominciare da subito a raccontare. Il racconto è un po’ come un’opera di artigianato che si trasmette di padre in figlio: ci lavora  il padre e poi ci lavorano i figli e spesso anche i figli dei figli».

Tanti genitori oggi non raccontano e non saprebbero nemmeno cosa raccontare.

«Da giovane prete, in Francia, mi capitava di passare ore  in confessionale e spesso per penitenza invitavo a raccontare  una storia biblica ai figli o ai nipoti. Una donna anziana un giorno mi rispose: ‘Padre, non sarebbe meglio un rosario?’. Quella donna evidentemente non aveva sperimentato quell’alleanza speciale che c’è fra nonni e nipoti quando si raccontano storie. Anche Papa Francesco  ha parlato del suo particolare rapporto con nonna Rosa.  Nella dedica che ho fatto nella copia di questo libro che ho inviato a Francesco ho scritto: ‘A Papa Francesco che ci ha raccontato di come nonna Rosa gli raccontava’.  Ecco, i nonni hanno un dono speciale. E se, come i genitori, hanno paura di raccontare, credo che nostro compito, il compito della Chiesa, sia di incoraggiarli, di confermarli in questa loro funzione essenziale: ‘Quando  tuo figlio domani ti chiederà perché? Tu gli risponderai:  Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto…’  (Es 13, 14). Quando Dio si rivela a Mosè nel roveto  ardente (Es 3, 6) gli dice: ‘Io sono il Dio di tuo padre.
Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’,  e in Dt 26, 5 Dio insegna a raccontare: ‘Mio padre era un arameo errante…’. Insomma, le generazioni sono  direttamente implicate nella trasmissione del mistero e della fede».

Legandolo alla famiglia, lei scrive che il racconto è ospitale come una casa.
«Noi abitiamo le storie come una casa nella quale col tempo cambiamo l’arredamento: nella casa c’è posto per tutti, così come del racconto c’è una versione adatta a ciascuno. Le parabole che raccontava Gesù hanno vari  livelli di comprensione e ognuno trova il suo. Il racconto  è una dimensione che non esclude e che tutti possono approfondire. Il racconto aggrega. Pensi alle storie che, soprattutto una volta, nelle case si narravano  sugli antenati: ti facevano sentire parte di una storia, di una famiglia».

Un cristiano non può fare a meno di raccontare?

«Il nucleo della nostra fede è narrativo. Gli ebrei raccontano:  ‘Eravamo schiavi e Dio ci ha liberati…’.  Per noi cristiani ‘il Signore Gesù alla vigilia  della sua morte prese il pane…’, oppure: ‘Il  Signore Gesù ci ha liberati dalla morte…’. Storie  del passato, ma strettamente legate alla  vita di oggi. Tocca a noi continuare a renderle  vive. Il Salmo 78 ci invita: ‘Ciò che abbiamo  udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno  raccontato non lo terremo nascosto ai nostri  figli…’. E i bambini sono affascinati dal  passato, soprattutto se è possibile riviverlo per il presente».

Lo dicevamo all’inizio: in tante famiglie non si raccontano nemmeno più le favole… E poi qual è il momento per raccontare?
«Io sono un prete, non ho figli, ma ho 18 nipoti e seguo tante famiglie. La mia esperienza mi dice che bisogna sfruttare il sacro momento in cui il bambino si corica, non ha più la tv e i videogiochi. C’è il libricino illustrato e la voce della mamma, del papà, dei nonni. Perché in quel momento non raccontare storie bibliche? Ce n’è una per ogni situazione. Ma si può raccontare anche in vacanza, durante una gita, camminando insieme. Del resto l’elaborazione  del racconto apre a un cammino interiore e la Bibbia è densa di personaggi che raccontano e camminano.  Gesù è un grande camminatore e un grande narratore.  Spero davvero che il Sinodo sulla famiglia proponga  strade e offra consigli a questo riguardo: questa è la chiesa domestica».

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