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Radio Maria in Rwanda: aiutiamola

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

RADIO MARIA IN RWANDA: AIUTIAMOLA

Radio Maria in Rwanda: aiutiamola dans Kibeho radio-maria-rwandaRM Rwanda ha celebrato lo scorso 26 ottobre il 10° anniversario, alla presenza del segretario del Nunzio Apostolico. Il Ruanda è un paese che ha conosciuto gli anni sanguinari e violenti del genocidio e RADIO MARIA HA PARTECIPATO ATTIVAMENTE ALLA RICONCILIAZIONE E AL RIPRISTINO DELLA PACE INTERNA. Attualmente RM Rwanda è al lavoro per i seguenti progetti:

° NUOVA SEDE NELLA CAPITALE KIGALI: costo complessivo  di circa € 215.000 – i lavori da affrontare sono quelli consueti per la creazione di una sede: costruzione uffici, impiantistica (elettrica, idraulica, …), allestimento studi, acquisto strumentazione tecnica, formazione collaboratori.

° STUDIO PRESSO IL SANTUARIO DI KIBEHO, il più importante luogo di pellegrinaggio dell’Africa, dove la Vergine Maria è apparsa tra il 1981 e il 1989. Il progetto ha un costo di circa € 240.000. Sono iniziati i lavori di costruzione dopo l’acquisto del terreno, su una collina poco distante dalla chiesa.

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Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Novena a Nostra Signora di Kibeho (da recitarsi dal 19 al 27 novembre)

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Quando gli emigrati eravamo noi italiani

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

Quando gli emigrati eravamo noi italiani
Tratto da: Radio Maria Facebook

Quando gli emigrati eravamo noi italiani dans Riflessioni 2eb71pu

QUANDO GLI EMIGRANTI ERAVAMO NOI ITALIANI
Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”. “Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

Non ci andava meglio in Svizzera, negli anni ’70 con i leader che scrivevano: “Le mogli e i bambini degli immigrati? Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del fardello». «Dobbiamo respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s’ingegnano: mettono addirittura in crisi la tranquillità dell’operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti, magari in poltrona, l’ex guitto italiano». In quegli anni – ieri rispetto alla Storia – in Svizzera c’erano circa 30.000 bambini italiani clandestini, portati di nascosto dai genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle rigorose leggi elvetiche contro i ricongiungimenti familiari, genitori terrorizzati dalle denunce dei vicini che raccomandavano perciò ai loro bambini: non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Prima degli anni ’50 gli italiani andavano a Bucarest per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere e alla scadenza del permesso di soggiorno restavano in Romania, clandestini. Nel 1942 il Ministro dell’Interno fu costretto ad inviare a tutti i Questori una circolare con la quale li si invitava a non far espatriare gli italiani in Romania. In India, nel 1893, il console italiano scriveva a Roma per dire che in quella città tutti quelli che sfruttavano la prostituzione venivano chiamati “italiani”. Tra la prima e la seconda guerra mondiale molti italiani andavano in America con passaporti falsi o biglietti inviati da pseudo parenti italo americani. In realtà una volta sbarcati li attendevano turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. Non sono aneddoti. E’ storia, tratta dalla Mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo” (Parma, 15 aprile 2009). Gian Antonio Stella, nel suo bellissimo libro “Quando gli albanesi eravamo noi”, ci ricorda che “….Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio” o ancora che il primo attentato nella storia con un’auto imbottita di esplosivo è stato fatto a New York, non da terroristi ma da criminali italiani contro una banda avversaria. Dal 1861 sono state registrate circa ventiquattro milioni di partenze dalla nostra lingua di terra, per altri lidi.

FATTO CURIOSO
E’ che inizialmente furono le sole popolazioni del nord a formare il grande esodo. Solo in un secondo momento saranno Calabria, Campania e Sicilia a dare l’addio a circa nove milioni di uomini. Prevalentemente ci dirigevamo in Argentina (circa 15 milioni), Stati Uniti (circa 12 milioni), Brasile (circa 8 milioni). I lavoratori italiani, e le loro famiglie, erano spesso al centro di fenomeni quali sfruttamento e razzismo: “braccianti Italiani, come quelli Marocchini o dell’Europa dell’Est oggi in Italia, accettavano paghe più basse dei braccianti locali; ad Aigues Mortes, in Francia, nove italiani furono assassinati con un banale pretesto da una folla di lavoratori francesi nel 1893. Stessa sorte toccò ad undici siciliani a New Orleans nel 1901, accusati di appartenere alla Mafia. Oltre a queste vere e proprie stragi gli episodi di pestaggi o omicidi singoli furono molto numerosi. (da emigrati.it)”. Non era poi così raro sui giornali leggere articoli come questo: “abbiamo all’incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l’industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con se un attaccamento per le loro attività originarie” (New York Times, 1 gennaio 1894) e ancora:  “Gli Italiani del Meridione erano accusati di essere sporchi, rumorosi, arretrati come qualità della vita e nelle relazioni interpersonali, e di praticare rituali religiosi primitivi, di trascurare l’istruzione dei figli, di costringere in una condizione di assoluta subordinazione la donna all’interno della famiglia. I Siciliani erano inseriti nel censimento del 1911 come “not white”, non bianchi, di pelle scura e comunque le statistiche censivano separatamente gli Italiani del Nord e quelli del Meridione come appartenenti a due razze diverse: una “celtica » e l’altra “mediterranea”. (da emigrati.it )”. Forse ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono ma i clandestini restano anche se hanno un colore diverso. Fuggono da Paesi in cui l’unica prospettiva è morire per fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente può solo correre, correre, correre impazzita verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che credono essere orizzonti migliori.

EMIGRAZIONE ITALIANA: UNA STORIA DI RAZZISMO
Linciaggi, proclami razzisti, leggi restrittive, colpirono i milioni di italiani emigrati all’estero nei secoli scorsi in cerca di fortuna. Molti rimasero vittime di cieca violenza, per le colpe di altri. Un’orda di selvaggi, brutti, sporchi e cattivi, da tenere a debita distanza, nei sudici ghetti delle grandi città. Dagli Stati Uniti all’Australia, passando per l’Europa, il sentimento xenofobo contro gli immigrati italiani dilagò come un fiume in piena tra la fine dell’800 e i primi anni del 1900, provocando significativi straschici fino alla metà del secolo scorso.  Titoli di giornali e proclami politici, bollavano inostri connazionali come geneticamente tendenti alla criminalità, dunque pericolosi nel complesso, per la sicurezza civile.

LA XENOFOBIA DILAGANTE
 Il 1 gennaio del 1894 il New York Times scriveva: “Abbiamo all’incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l’industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con se un attaccamento per le loro attività originarie”. Ad essere bersagliati, soprattutto gli italiani di origine meridionale, catalogati come “razza mediterranea” a fronte di quella “celtica” degli italiani provenienti dal Nord. I siciliani vennero censiti nel 1911 come “not white », “non bianchi”. Gli appellativi precisi, che li identificavano, erano “dago” e “wop”, riservati peraltro in senso dispregiativo a persone dalla pelle scura di origine portoghese, spagnola e messicana. L’intolleranza crescente verso i flussi migratori,  non solo italiani, in continuo aumento al’epoca (dal 1920 al 1921 l’incremento fu di 800mila nuovi immigrati, provenienti per due terzi dall’Europa meridionale e orientale), portò la politica americana a varare, dopo la diminuzione del bisogno di manodopera, alcuni provvedimenti che ponessero un argine all’immigrazione. Il cosiddetto “Quota Act”, del 19 maggio 1921, si proponeva di mettere un freno al numero di migranti ammesso annualmente, e per nazionalità, al 3 per cento del numero dei rispettivi connazionali stabilitisi negli Stati Uniti nel 1910. Questa prima quota limitò l’emigrazione italiana a 42mila individui ammessi. Similarmente agli Stati Uniti, il colore della pelle aveva un peso significativo anche in Australia, dove sempre i siciliani venivano considerati “semi-coloured”. La forte discriminazione, portò il primo governo in carica, collegato a quello inglese, a formare una società di etnia anglo-celtica operando un programma politico definito della “White Australia”. Diverso, ma non meno carico di pregiudizio, l’epitetoche gli emigranti nostrani si erano guadagnati in Brasile, dove il flusso migratorio provocò notevoli conflitti con i locali: considerati commercianti disonesti, venivano definiti “carcamano” dal gesto di calcare la mano alterando il peso misurato dalla bilancia. La maggior parte di loro, era alla ricerca di un lavoro qualsiasi, anche con paghe da fame. In pochissimi riuscivano a mettere su un’attività commerciale, che tuttavia diveniva bersaglio della follia xenofoba, che distruggeva i negozi di immigrati italiani. La miseria e la rabbia, condusse molti di loro, soprattutto negli Stati Uniti, a entrare nella cerchia della malavita locale, seminando però il pregiudizio su tutta la comunità. Contro i nostri connazionali, si scagliò l’opinione pubblica, che li considerava tutti sovversivi, anarchici, camorristi, mafiosi, assassini.

VITTIME INNOCENTI
I singoli fatti di cronaca, in cui capitava fossero coinvolti criminali italiani soprattutto in America, a cui la stampa dava enorme spazio e allarme, scatenavano così violente ondate di razzismo, da sfociare in più di un’occasione in linciaggi di gruppo verso innocenti o incarcerazioni e condanne a morte sommarie.

IL MASSACRO DI NEW ORLEANS
Uno dei più drammatici e feroci attacchi contro italiani che si ricordi, è quello del 1891 a New Orleans. Nella zona, dove molta manodopera italiana era stata impiegata nei campi di cotone, con turni massacranti per sostituire gli schiavi neri affrancati da una legge, un gruppo di siciliani venne ritenuto responsabile, senza prove, di un omicidio. Ma la loro assoluzione a seguito di regolare processo provocò l’inferno. La popolazione locale, non soddisfatta del verdetto, si riversò in strada per un linciaggio. Una folla inferocita di 20mila persone, prelevò dal carcere gli 11 italiani e li trucidò senza pietà, per un reato che non avevano commesso.Ma mentre il presidente americano dell’epoca, Harrison, per aver osato definire il linciaggio “un’offesa contro le legge e l’umanità” rischiava l’incriminazione, i giornali tentavano di giustificare l’accaduto con la “natura” negativa degli immigrati che lì approdavano: “Il clima mite, la facilità con la quale ci si può assicurare il necessario per vivere e la natura poliglotta dei suoi abitanti hanno fatto sì che, sfortunatamente, questa parte del Paese sia stata scelta dai disoccupati e dagli emigrati appartenenti alla peggiore specie di europei: i meridionali italiani (…) Gli individui più pigri, depravati e indegni che esistano (…). Tranne i polacchi non conosciamo altre persone altrettanto indesiderabili”.

IL MASSACRO DI AIGUES-MORTES
Il 17 agosto 1893 nove operai italiani vengono linciati a morte da una folla inferocita, nelle saline di Aigues-Mortes, in Camargue, Francia. Il massacro si consuma, dopo una violenta caccia all’italiano, da parte dei manovali francesi che provoca la morte di un numero imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Il sindaco del paese, si impegna ad alimentare l’odio, cavalcando le proteste dei lavoratori locali, emanando anche atti ufficiali a sfondo razzista, che affiggerà poi anche sui muri della cittadina.

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Maria dei nodi (canto)

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

Maria dei nodi (canto)

Maria dei nodi (canto) dans Canti vg0uub

Maria dei nodi, io vengo a Te e porto molte gioie e molte pene con me.
Maria dei nodi, che non senta – i nodi sono molti, non vanno via.

Maria dei nodi, come questo sembra consolante: c’è una mano, che scioglie i nodi.
Maria dei nodi, guarda qui il groviglio! Io non riesco scioglierlo – aiutami Tu, Santa Vergine.

Maria dei nodi, il groviglio sono io – infine confuso: abbi compassione!
Maria dei nodi, Tu sei già nella Luce, Tu sai già di cosa ancora ho bisogno.

Testo Josef Weiger con l’aiuto di Günter Grimme. Musica: Paderborn 1765

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Nella Chiesa ti senti un servo inutile o un “eletto”?

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

Nella Chiesa ti senti un servo inutile o un “eletto”? dans Fede, morale e teologia 159iyd

Il Santo Padre ci ha invitato a non considerarci “privilegiati”, guardando poi dall’alto chi è emarginato, disprezzato, semplice. “Questa è una tentazione dei discepoli: dimenticare il primo amore, cioè dimenticare anche le periferie, dove io ero prima, anche se devo vergognarmi”, esortandoci a non dimenticare la “Chiesa emarginata” dei bambini, degli ammalati, dei carcerati, il popolo fedele che prega per chiedere grazia, non privilegi.
E io vivo la mia vita di fede, partecipo alle attività ecclesiali considerandomi un eletto, un privilegiato, o al contrario per servire e salvare gli altri? Quando prego ho lo sguardo fisso sul Signore o su me stesso? Sono pronto ad accogliere il mio prossimo, con tutte le sue ferite e debolezze (magari le stesse che non voglio riconoscere in me)? Fai le tue considerazioni.

di Padre Livio Fanzaga

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Il cammino della vita insieme a Dio abolisce il sentimento della solitudine

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

L’infanzia e la vecchiaia estrema dovrebbero essere le due grandi prove dell’uomo. Ma è dal sentimento della propria debolezza che il bambino ricava umilmente il principio stesso della sua gioia. Confida in sua madre, capisci? Presente, passato, futuro - tutta la sua vita, la vita intera è racchiusa in uno sguardo, e questo sguardo è un sorriso.
Ebbene, ragazzo mio, se avessero dato mano libera a noialtri la Chiesa avrebbe trasmesso agli uomini questo genere di suprema sicurezza. Ma bada che ognuno avrebbe avuto la sua razione di guai. Fame e sete, povertà e gelosia. Non saremo mai così forti da metter nel sacco il diavolo, figurati. Però l’uomo avrebbe saputo di essere il figlio di Dio, ecco il miracolo! Sarebbe vissuto e morto con quest’idea cacciata in testa - e non un’idea imparaticcia, libresca, no!
Perché grazie a noi avrebbe ispirato i costumi e le consuetudini, le distrazioni, i piaceri e persino le più umili necessità. Non per questo l’operaio avrebbe smesso di zappare la terra né lo scienziato di consumarsi gli occhi sulla tavola dei logaritmi o l’ingegnere di costruire i suoi giocattoli per adulti.
Però avremmo abolito il sentimento della solitudine, lo avremmo estirpato dal cuore d’Adamo.

Georges Bernanos – Diario di un parroco di campagna

Il cammino della vita insieme a Dio abolisce il sentimento della solitudine dans Citazioni, frasi e pensieri 24gt076

Con gli atei bisogna stare attenti, non bisogna offenderli. Una volta facevo le polemiche, ma adesso la Madonna (a Medjugorje) ci ha fatto capire che tu potevi essere come uno di loro, se non avevi la grazia. Gli atei, la maggior parte della gente è atea pratica, nella vita vivono da soli. Il credente fa il cammino della vita insieme a Dio. Questa è la differenza. Non è una differenza da poco perché Dio è la luce, la bellezza, la gioia, l’amore. L’ateo fa il cammino della vita da solo, il credente fa il cammino con Gesù, che è il Figlio di Dio, e con la Madonna. L’ateo dice che non è da solo, che ci sono gli altri,.. no, no… Gli altri son sempre fuori di te, ricordalo bene. Dentro di te o c’è Dio o non c’è nessuno, anzi c’è la tenebra del male. Gli altri non potranno mai entrare in te.
Chi può entrare nel cuore di un altro? Nessuno… anzi meno ti fidi, meglio è. Ne ho visti di tutti i colori… per carità non è che bisogna esser diffidenti, però l’uomo oggi è così e domani è cosà. Anche con le persone più care sei solo, o sei chiuso nella tua monade senza porte e senza finestre e lì rimugini o sei con Dio. Se Dio ti bussa alla porta e gli hai aperto… ed è entrato il Signore. Quando è entrato il Signore tu nella vita hai incontrato Gesù, tu nella vita non sei più solo ma cammini tutta la vita con Lui, cammini per tutta l’eternità con Lui. Nel momento della morte non farai che vederlo e abbracciarlo.
Questa è la differenza tra chi crede e chi non crede, per quello la Madonna ci dice “voi che avete incontrato Gesù portate questo amore, questa luce a chi non lo conosce, aiutate anche gli altri a incontrare Gesù”. L’evangelizzazione è questo, il Papa ha ragione quando dice che non è proselitismo, che non è lavaggio di cervello, ma è da donare l’amore di Gesù agli altri, i quali se non altro si sentono invogliati perché poi Gesù bussa alla porta del loro cuore. Aprire è la più grande grazia che si possa avere. Aprire non è poi così difficile, ci vuole un atto di umiltà.

di padre Livio Fanzaga ai microfoni di Radio Maria

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Caro Veronesi Dio esiste. E la prova è l’universo

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2014

Il cancro è questione di cellule. Ma l’universo è la prova di Dio
Auschwitz e cancro sono tragiche realtà, ma dietro a stelle e galassie c’è una logica. E quindi un autore
di Antonino Zichichi – Il giornale

Caro Veronesi Dio esiste. E la prova è l'universo dans Articoli di Giornali e News 11rf5hc

«Dopo Auschwitz, il cancro è la prova che Dio non esiste?». Lo sostiene Umberto Veronesi nel suo ultimo libro «Il mestiere di uomo». Ma ora a rispondergli è Antonino Zichichi, fisico e presidente Wfs (World federation of scientists).
L’oncologo così racconta il suo progressivo allontanamento: «Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima (…)».
A 18 anni andò in guerra. «(…) oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: “Dov’era Dio ad Auschwitz?”». E infine l’incontro con la tragedia del cancro: «Allo stesso modo di Auschwitz, è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?».

Alle nove del mattino del giorno dedicato alla celebrazione di tutti i Santi (primo novembre 1755), il terrore si abbatté sulla splendida e ricca capitale del Portogallo. Una serie di scosse telluriche seguite da inondazioni e incendi devastarono la splendida Lisbona: diecimila i morti e tre quarti delle case distrutte. La catastrofe sconvolse l’Europa e Voltaire concluse che questa era la prova della non esistenza di Dio.

Nel secolo scorso, la follia politica ha causato milioni di vittime innocenti. Auschwitz e cancro sono due esempi di tragiche realtà. Una dovuta alla follia politica del nazismo, l’altra alla natura. Perché Dio non interviene per evitare il ripetersi di tante tragiche realtà? Nel secolo in cui viviamo, la potenza distruttiva nelle mani dell’uomo potrebbe cancellare qualunque segno di vita su questo piccolo e indifeso satellite del Sole. Chi osservasse da una lontana galassia questa nostra navicella spaziale e ciò che in essa accade, dovrebbe concludere che la Terra deve produrre facilmente più esplosivi che cibo. Per ciascun abitante ci sono infatti migliaia di chili di potenza esplosiva e mancano quelle poche centinaia di chili di cibo per evitare che milioni di persone – ancora oggi – muoiano per fame.

Come se non bastasse, la potenza del calcolo elettronico è tale da poter mettere sotto controllo un numero di persone superiore a quello di tutti gli abitanti della Terra.

Come la mettiamo con l’esistenza di Dio?

Se la nostra esistenza si esaurisse nell’immanente, il discorso sarebbe chiuso qui. Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell’evoluzione biologica. C’è però un’altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l’evoluzione culturale. L’evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l’uomo a scoprire se esiste o no il supermondo, come facciamo al Cern. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Né a vincere su tante forme di malattia che affliggevano i nostri antenati. La nostra vita media ha superato gli 80 anni e le previsioni vanno oltre i cento anni, grazie alla scoperta che il mondo in cui viviamo è retto da leggi universali e immutabili. Nel «libro della natura», aperto poco meno di quattro secoli fa da Galileo Galilei, mai una virgola è stata trovata fuori posto.

La speranza all’uomo del terzo millennio, solo la scienza e la fede possono darla. Questa speranza ha due colonne. Nella sfera trascendentale della nostra esistenza la colonna portante è la fede. Nella sfera immanentistica della nostra esistenza la colonna portante è la scienza.

Noi siamo l’unica forma di materia vivente dotata della straordinaria proprietà detta ragione. È grazie a questa proprietà che è stata inventata la memoria collettiva permanente, meglio nota come scrittura. È così che possiamo sapere cosa pensava Voltaire sulla catastrofe naturale che distrusse Lisbona. Ed è sempre grazie alla scrittura che i nostri posteri potranno sapere cosa stiamo facendo noi avendo a disposizione la logica rigorosa teorica (meglio nota come matematica) e la logica rigorosa sperimentale (meglio nota come scienza). La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall’universo sub-nucleare all’universo fatto con stelle e galassie. Se c’è una logica deve esserci un Autore. L’ateismo, partendo dall’esistenza di tutti i drammi che affliggono l’umanità, sostiene che se Dio esistesse queste tragedie non potrebbero esistere. Cristo è il simbolo della difesa dei valori della vita e della dignità umana. Che sia figlio di Dio è un problema che riguarda la sfera trascendentale della nostra esistenza. Negare l’esistenza di Dio però equivale a dire che non esiste l’autore della logica rigorosa che regge il mondo. Tutto dovrebbe esaurirsi nella sfera dell’immanente la cui più grande conquista è la scienza.

La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla.

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