• Accueil
  • > Archives pour septembre 2014

Péguy, i chierici e i padri di famiglia

Posté par atempodiblog le 6 septembre 2014

Péguy, i chierici e i padri di famiglia
di Andrea Tornielli – Sacri Palazzi

Péguy, i chierici e i padri di famiglia dans Andrea Tornielli ncbds0
Charles Péguy (Orléans, 7 gennaio 1873 – Villeroy, 5 settembre 1914)

[...] ricorrono cent’anni dalla morte di Charles Péguy, avvenuta durante la battaglia della Marna. Vi invito a leggere questo articolo di Gianni Valente, pubblicato poco fa su Vatican Insider, del quale ripropongo qui qualche stralcio.

Proprio ieri Papa Francesco, nell’omelia mattutina di Santa Marta (l’appuntamento quotidiano che conforta tutti coloro che guardano al Papa lasciandosi sorprendere dal suo sguardo di fede, ignorato invece, come la maggior parte del suo magistero, da quanti vivono come cecchini pronti per coglierlo in fallo e tirargli le loro pallottole di carta) ha parlato dei peccati come il “luogo privilegiato” per l’incontro con Gesù.

Dall’articolo che vi invito a leggere, emerge una interessante sintonia tra l’approccio di Francesco e quello di Peguy. Scriveva quest’ultimo: «le peggiori miserie, le peggiori grettezze, le turpitudini e i crimini, anche il peccato, spesso sono falle nell’armatura dell’uomo, falle della corazza, da dove la grazia può penetrare nella durezza dell’uomo». Mentre «sulla corazza inorganica dell’abitudine tutto scivola, ogni spada ha la punta smussata». Così – notava Péguy più di un secolo fa «la gente perbene, quelli che amano sentirsi chiamare così, non hanno falle nell’armatura, non sono feriti». Non hanno «quell’ingresso per la grazia che è essenzialmente il peccato». In loro, anche la morale intesa come capacità di coerenza autosufficiente diventa come «uno strato che rende l’uomo impermeabile alla grazia». Perché «Neanche la carità di Dio medica chi non ha piaghe». E «Colui che non è mai caduto non sarà mai rialzato; e colui che non è sporco non sarà mai asciugato».

A motivo della sua condizione Péguy sperimentò sulla sua pelle che i battezzati laici, i padri e le madri di famiglia presi dalla fatica di ogni giorno – quelli costantemente chiamati in causa nelle omelie e nei discorsi di Papa Bergoglio, anche come membri ordinari della «classe media della santità» – vivono nel mondo un’avventura senza pari. Stretti da condizionamenti e vincoli che rendono comunque più difficile snaturare anche l’esperienza cristiana in spiritualismo auto-compiaciuto. Secondo Péguy «c’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia». Al suo confronto gli altri, «i peggiori avventurieri, non sono nulla». Perché tutti gli altri, rispetto a lui, «non corrono assolutamente alcun pericolo». Gli altri «soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado». Invece solo il padre e la madre di famiglia soffrono per gli altri. «Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra». Tutti gli altri, compresi i chierici, possono sempre «scantonare», fare manovre diversive, perché con sé «non hanno bagagli». Mentre i padri – e le madri – di famiglia, «coinvolti da ogni parte nelle sofferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono come capi responsabili e appesantiti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi». (Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale).

Péguy era sposato civilmente con una donna atea, che non dava il consenso al battesimo dei figli. Per questa sua condizione matrimoniale, Péguy non poteva accostarsi ai sacramenti. Visse quindi tutta la vita come sulla soglia della Chiesa, il «punto sorgivo – come scrisse Hans Urs von Balthasar riferendosi a lui – dove il pagano diventa cristiano». In questa condizione segnata dalla precarietà del «principiante», dal cristianesimo generico «da peccatore che frequenta la messa domenicale in parrocchia», sempre ricondotto alla apparente fragilità del primo germogliare della speranza cristiana, Péguy dovette sopportare negli ultimi anni di vita anche l’assillo di alcuni amici (preti e intellettuali del mondo cattolico ufficiale, compreso Jacques Maritain e sua moglie Raissa) che lo accusavano di lassismo morale per le sue esitazioni a regolarizzare il suo ménage familiare, riportandolo entro i confini della regolarità canonica. Lo deridevano come uno che si illude «che la salvezza sia facile» e non accetta «il giogo intellettuale della fede, senza il quale non vi è vera fede» (Maritain). Alcuni gli suggerivano anche di abbandonare la moglie, se lei non avesse ceduto e non fosse scesa a patti.

Nelle intemperanze di quello che Péguy chiamava il «Partito dei devoti» si coglie la stessa impronta genetica delle prassi neo-clericali e da «dogana pastorale» tante volte stigmatizzate da Papa Francesco nella sua predicazione. Quelle pòse da «controllori» della fede altrui che mettono in soggezione il popolo di Dio e aumentano il senso di repulsione in tutti gli altri.

Publié dans Andrea Tornielli, Articoli di Giornali e News, Charles Péguy, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Nigeria: per la Chiesa quanto avviene nel Nord è simile all’Iraq

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

Nigeria: per la Chiesa quanto avviene nel Nord è simile all'Iraq dans Articoli di Giornali e News 1584ld2

“Quello che sta accadendo nel nord-est della Nigeria è molto simile a quello che è avvenuto di recente nel nord Iraq” dice all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja, commentando le recenti conquiste territoriale della setta islamista Boko Haram nel nord della Nigeria. “Come i guerriglieri dello Stato Islamico in Iraq, Boko Haram ha iniziato da almeno due anni a minare il morale della popolazione e dei militari con una serie di attentati sempre più spettacolari, per poi sferrare l’attacco volto alla conquista territoriale”.

“Hanno iniziato ad attaccare le scuole, con la scusa che non vogliono l’educazione occidentale, poi hanno colpito le stazioni della polizia, in seguito hanno alzato il tiro colpendo le caserme dell’esercito – spiega padre Patrick -. Boko Haram ha quindi preso di mira gli uffici governativi, da un Comune all’altro. Nel frattempo seminava il panico mettendo bombe nei mercati. Niente è stato fatto a caso. Si è trattato di un’attività preparatoria che è durata a lungo, per passare poi alla presa e al controllo del territorio. Mi sembra molto simile a quello che è successo in Iraq” osserva il sacerdote.

“Gli assalti alle chiese e ai cristiani rientravano quindi in questa strategia più ampia volta alla conquista del territorio, ‘liberato’ dalla presenza dei cristiani, proprio come è avvenuto in Iraq” precisa padre Patrick.

Il direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja ricorda che “di recente si è scoperto che finanziamenti per Boko Haram provengono dalla penisola arabica, attraverso Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico). A volte i fondi transitavano per alcuni uffici di cambiavalute. Per questo la Banca Centrale nigeriana ha imposto controlli più severi su queste attività”.

Padre Patrick ricorda che “per gruppi come Al Qaida la Nigeria è un obiettivo fondamentale, perché è uno dei Paesi con il più alto numero di musulmani al mondo. Su 170 milioni di abitanti, quasi la metà è musulmana. Gli estremisti sperano di trovare una base forte dalla quale lanciare l’attacco ad altri Paesi africani. Io dico che però non tengono conto della complessità della Nigeria, uno Stato federale formato da 36 Stati”. (R.P.)

Fonte: Radio Vaticana

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Preghiera a Madre Teresa di Calcutta

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

Madre Teresa dei poveri
Tratto da: Madre Teresa. Una goccia d’acqua pulita. Del Card. Angelo Comastri, Ed. Paoline

Preghiera a Madre Teresa di Calcutta dans Cardinale Angelo Comastri qrknbc

Madre Teresa dei poveri!
Mentre la società del benessere
spinge a moltiplicare i consumi,
tu hai spinto il mondo
a moltiplicare l’amore per i poveri:
così ci hai ricordato che la gioia
non si compra con i soldi,
ma si ottiene dando amore
e spendendo la vita per gli altri.

Madre Teresa degli ultimi!
Il tuo passo veloce è andato sempre
verso i più deboli e i più abbandonati
per contestare in silenzio coloro che sono
ricchi di potere e di egoismo:
l’acqua dell’ultima cena
è passata nelle tue mani instancabili
indicando a tutti coraggiosamente
la strada della vera grandezza.

Madre Teresa di Gesù!
Tu hai sentito il grido di Gesù
nel grido degli affamati del mondo
e hai curato il corpo di Cristo
nel corpo piagato dei lebbrosi.
Madre Teresa, prega affinchè diventiamo
umili e puri come Maria
per accogliere nel nostro cuore
l’amore che rende felici.
Amen

Publié dans Cardinale Angelo Comastri, Madre Teresa di Calcutta, Preghiere | Pas de Commentaire »

Papa Francesco ci invita ad unirci in preghiera per l’Iraq

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

Papa Francesco ci invita ad unirci in preghiera per l'Iraq dans Papa Francesco I 10e283o

“Prego ogni giorno per quanti soffrono in Iraq. Pregate con me”.

Papa Francesco

Publié dans Papa Francesco I | Pas de Commentaire »

«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria
Federica, Micol, Marta: cooperanti nelle terre dell’Isis malgrado i rischi. Le storie delle ragazze che continuano a partire per il Medio Oriente
di Elisabetta Andreis – Corriere della Sera

«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria dans Articoli di Giornali e News 15n5cav

L’ultima a partire, due giorni fa, è stata Micol Alberizzi, 24 anni: è atterrata col buio ad Erbil, nel nord dell’Iraq, per supportare come operatrice umanitaria di Terre des Hommes i profughi iracheni in fuga dall’Isis.  Cosciente dei rischi, prudente, a dispetto della giovane età, preparata. Ma soprattutto, tra brutali decapitazioni, sequestri come quello delle volontarie italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria, e violenze che scuotono l’opinione pubblica, molto coraggiosa. «È importante accantonare la paura e partire per dare supporto alle organizzazioni proprio adesso che l’emergenza è drammatica e molti volontari, visti i fatti di cronaca, spaventati si tirano indietro», dice con tono fermo.

Non è eroismo, il suo, ma qualcosa di diverso. E non è la sola: anche se sempre più alla spicciolata gli operatori delle onlus italiane, spesso giovani motivati, atterrano anche in questi giorni in Medio Oriente, sfiorando gioco forza le zone più calde e rischiose. Passione, senz’altro. Ma anche un senso del dovere che nasce dallo studio in facoltà come «Scienze della cooperazione per lo sviluppo e la pace», e dalla consapevolezza che in quei Paesi ogni conforto – pratico, tecnico e psicologico – non può che arrivare da fuori, da noi, dai Paesi «vicini».

«Chi vede con i propri occhi quanto bisogno c’è di aiuto non riesce più a stare tranquillo a casa, deve muoversi», testimonia Marta Galbiati via skype con un segnale a singhiozzo che restituisce l’idea dell’estrema precarietà del contesto. Trentun anni, tornata in Italia dopo quasi un anno a Kabul, è subito ripartita con Emergency per Khanaquin, nella parte del Kurdistan vicina al confine iraniano. E in un attimo si è attivata come logista in una clinica dove ogni giorno accorrono «almeno cinquanta» profughi iracheni da visitare. Si trova a 20 chilometri da Jalawla, città controllata dall’Isis, e intorno combattono i peshmerga (le forze di sicurezza curde): «La paura ti soffia sul collo – racconta -. Ci dicono di questi uomini che girano con Suv ed enormi pick up, armati fino ai denti, poco lontano da qui». Ma come si vince il terrore? «L’unica difesa è appoggiarsi agli altri, e usare mille precauzioni. Ogni volta, prima di uscire di casa, noi ci informiamo su ciò che dice la gente perché la situazione potrebbe essere cambiata in modo improvviso. E poi bisogna stare sempre in gruppo, non andare nei luoghi affollati». La sicurezza, qui, si guadagna sul campo.

Non è un caso, infine, che in questo pezzo siano tutte donne: se – come pare – i reporter lì, in questo momento, sono per lo più uomini, è certo per contro che in forza alle onlus è l’altra metà del cielo ad essere più attiva. Eppure essere donna, con le violenze e le sopraffazioni di cui le operatrici purtroppo raccolgono testimonianze dirette, «fa sentire ancora più vulnerabili». Pesa la poca libertà di movimento, spiace dare pensieri a chi si lascia a casa («Cerco di chiamare il più spesso possibile i miei, c’è una sorta di egoismo nell’andare, me ne rendo conto, ma loro sono anche orgogliosi», si fa forza Deborah Da Boit, 33 anni, che ha appena lasciato il «piccolo paradiso» di Macugnaga per decollare verso Damasco in Siria e distribuire kit igienico-sanitari e latte in polvere a donne e bambini ai paesi lì intorno.

La motivazione è più forte di tutto, pare di capire. «Ho studiato i protocolli di sicurezza, cercato di capire ogni angolo di questo territorio, so l’arabo e vorrei imparare il curdo, posso offrire competenze e umanità – convince Federica Gino, torinese di 29 anni arrivata in Kurdistan con Intersos -. Da quando sono arrivata, dieci giorni fa, soltanto nel nostro quartiere si sono ammassate 20.000 persone in più. Le milizie estremiste dell’Isis han messo a ferro e fuoco le province settentrionali del Paese, il numero di sfollati sfiora il milione e mezzo, e 400.000 persone hanno trovato rifugio precario in scuole, parchi, chiese. La paura, di fronte a tutto questo, rimane secondaria». L’importante è «sapere individuare il limite entro cui ce la si può fare da soli e quando invece è necessario scappare o chiedere aiuto», dice ancora Marta. E Federica: «Ci sono zone precise in cui si lavora bene, e aree pericolose dove è sconsigliato andare. Magari sono a pochi chilometri di distanza, ma c’è una bella differenza». Loro lo sanno bene.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Nessun groviglio è senza uscita

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2014

L’eloquente devozione di Papa Francesco per l’immagine della «Vergine che scioglie i nodi»
Nessun groviglio è senza uscita
di Stefania Falasca – Avvenire

Nessun groviglio è senza uscita dans Apparizioni mariane e santuari 2me33bl

Non si può comprendere a fondo la tenerezza e  la misericordia che caratterizzano la peculiare  fisionomia del magistero di papa Francesco  senza cogliere l’immanenza della Madre di Dio nella  sua vita. E senza tener presente il titolo particolare con  il quale egli sovente ama venerarla e invocarla:  Colei  che scioglie i nodi. È questa una speciale devozione  mariana, poco conosciuta in Europa, ma largamente estesa oggi nel Sud America, soprattutto in Argentina, grazie proprio alla promozione e alla diffusione del culto operate da Bergoglio.

La venerazione della «Vergine che scioglie i nodi» ha origine da un’immagine votiva bavarese risalente al 1700 (Maria Knotenlöserin)  ad opera del pittore tedesco Johann Melchior Schmidtner, ora conservata come pala d’altare in una cappella della chiesa romanica di San Peter in Perlach, tenuta dai gesuiti nel cuore della città di Augsburg, in Baviera.  Ed è lì che negli anni Ottanta, durante i suoi soggiorni di studio a Ingolstadt, padre Bergoglio la scoprì. Tornato in Argentina egli iniziò a divulgarne la conoscenza, incontrando grande rispondenza nel popolo. Divenuto poi vescovo ausiliare di Buenos Aires, si adoperò affinché all’effige della Vergine scioglitrice dei nodi venisse dedicato un santuario. Un’artista locale dipinse una riproduzione del quadro e l’8 dicembre 1996, nella chiesa porteña  di San José del Talar, Nuestra Señora la que Desata los Nudos  venne intronizzata alla presenza di migliaia di fedeli.

Come arcivescovo, Bergoglio ne consolidò il culto continuando a inaugurare cappelle in suo onore e a servirsi dell’effige anche come personale ‘biglietto da visita’, scrivendo a vicini e lontani.  Chi guarda per la prima volta il dipinto resta sorpreso dal motivo inconsueto. Il singolare e suggestivo dipinto, infatti, non presenta la consueta immagine della Madonna con il bambino, bensì la Vergine Immacolata nel suo stato di Assunta in cielo che schiaccia la testa del serpente mentre è intenta a sciogliere con le sue mani nodi da un nastro sorretto da due angeli. Posto al suo fianco uno dei due angeli porge alla Madonna il nastro aggrovigliato di nodi piccoli e grandi.  Dall’altro lato il nastro, in cui si rispecchiano la luce della misericordia e della salvezza divina, scivola ormai liscio nelle mani dell’angelo che lo mostra con uno sguardo eloquente al fedele la cui preghiera è stata ascoltata, il cui nodo è stato sciolto per l’intercessione, le mani di Maria.

Il dipinto, come ex voto, intendeva evocare semplicemente la grazia ricevuta dal committente per la ricomposizione del suo matrimonio (il nastro, infatti, secondo l’usanza del tempo, stava a indicare l’unione coniugale). L’immagine iconografica e il gesto di Maria sono tuttavia carichi di significati allegorici più ampi, sottolineati e suggeriti da Bergoglio, che rimanda alle parole di Ireneo di Lione nella sua opera Adversus haereses  riportate nella Costituzione dogmatica conciliare sulla Chiesa Lumen gentium:  «Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione della predestinata Madre precedesse l’incarnazione, perché così, come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse a dare la vita… ‘Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che Eva legò con la sua incredulità, la Vergine Maria sciolse con la fede’».

Maria, dunque, era ed è presente in ogni tempo come scioglitrice dei nodi della colpa e dei mali. «Tutti – ha spiegato più volte Bergoglio – abbiamo nodi nel cuore, mancanze, e attraversiamo difficoltà. Il nostro Padre buono, che distribuisce la grazia a tutti i suoi figli, vuole che noi ci fidiamo di Lei, che le affidiamo i nodi dei nostri mali, i grovigli delle nostre miserie che ci impediscono di unirci a Dio, affinché Lei li sciolga e ci avvicini a suo figlio Gesù. Questo è il significato dell’immagine».  Come è detto anche nella preghiera rivolta a «Maria che scioglie i nodi» diffusa con l’imprimatur dell’allora arcivescovo di Buenos Aires (e che riproduciamo qui sotto, ndr):  «Il maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni… e intercendo insieme a tuo Figlio per le nostre difficoltà, con tutta semplicità e pazienza ci desti un esempio di come dipanare la matassa delle nostre vite».

Il vescovo ausiliare di Madrid e segretario generale della Conferenza episcopale spagnola, Juan Antonio Martinez Camino, ha recentemente proposto di pregare la «Vergine che scioglie i nodi» per papa Francesco affinché lo custodisca e lo sostenga con la sua materna sollecitudine nel compito che gli è stato affidato.

2v01ggj dans Fede, morale e teologia

Ecco il testo della
«Preghiera a Maria che scioglie i nodi»
diffusa con l’imprimatur dell’allora arcivescovo di Buenos Aires monsignor Bergoglio 

Santa Maria, piena della Presenza di Dio, durante i giorni della tua vita accettasti con tutta umiltà la volontà del Padre, e il Maligno mai fu capace di imbrogliarti con le sue confusioni. Già insieme a tuo Figlio intercedesti per le nostre difficoltà e con tutta semplicità e pazienza ci desti un esempio di come dipanare la matassa delle nostre vite. E rimanendo per sempre come Madre Nostra poni in ordine e fai più chiari i legami che ci uniscono al Signore. 

Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, tu che con cuore materno sciogli i nodi che stringono la nostra vita, ti chiediamo di ricevere nelle tue mani… e che ci liberi dai legacci e dalle confusioni con cui ci tormenta colui che è nostro nemico. 

Per tua grazia, per tua intercessione, con il tuo esempio liberaci da ogni male, Signora nostra, e sciogli i nodi che impediscono di unirci a Dio affinché, liberi da ogni confusione ed errore, possiamo incontrarlo in tutte le cose, possiamo tenere riposti in lui i nostri cuori e possiamo servirlo sempre nei nostri fratelli. Amen.

Publié dans Apparizioni mariane e santuari, Fede, morale e teologia, Maria che scioglie i nodi (Knotenloeserin), Papa Francesco I, Preghiere | Pas de Commentaire »

Fondamentalismo barbarie moderna. Il nuovo nemico dell’umanità

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2014

Fondamentalismo barbarie moderna. Il nuovo nemico dell’umanità
Editoriale dell’arcivescovo Bruno Forte, di Chieti-Vasto, pubblicato su « Il Sole 24 Ore » di domenica 31 agosto
Tratto da: Zenit

Fondamentalismo barbarie moderna. Il nuovo nemico dell'umanità dans Articoli di Giornali e News ieny4j

Nel dialogo con i giornalisti sul volo da Seoul a Roma, dopo il terzo viaggio internazionale del suo pontificato, Papa Francesco ha parlato della situazione irachena e della necessità di fermare l’aggressore ingiusto con un impegno multilaterale, promosso e garantito dall’Onu. In questo contesto il Pontefice ha denunciato la “crudeltà inaudita” dei mezzi bellici non convenzionali e della tortura, impiegati dai Jihadisti, constatando dolorosamente: “Siamo nella Terza guerra mondiale, ma a pezzi”. dans Fede, morale e teologia

L’affermazione è tanto grave, quanto fondata, e mette in luce il peso che le forze fondamentaliste islamiche stanno avendo nel destabilizzare l’ordine internazionale, promuovendo un’azione vasta e capillare di lotta contro gli stessi loro fratelli musulmani, oltre che contro il cristianesimo e le altre religioni e visioni del mondo cui si contrappongono. È comunque l’Occidente a essere identificato da questi nuovi barbari come il nemico principale da abbattere. Dall’Iraq alla Siria, dalla Libia alla Somalia, la “guerra santa” sembra lanciare la sua offensiva in modo ampio e sincronizzato, con mire espansionistiche tutt’altro che velate. Minimizzare la gravità di questa situazione sarebbe da irresponsabili. Ridurre i problemi a semplici conflitti locali non ha fondamento nella realtà.

La verità è che il nuovo nemico dell’umanità è più che mai il fondamentalismo, che non va assolutamente confuso con le forme dell’Islam autentico e con le aspirazioni alla pace e alla giustizia che pervadono il cuore e l’impegno di tanti musulmani. Una presa di posizione interreligiosa di denunzia ferma e senza appello dell’integralismo fondamentalista è allora più che mai necessaria. Per favorirla e sollecitarla non è inutile riflettere sui caratteri assolutamente disumani e perversi delle ideologie fondamentaliste. Provo a farlo partendo da un’affermazione evangelica, in cui Gesù rimprovera l’ipocrisia degli scribi e dei farisei che si ferma all’esteriorità, trasgredendo “le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà” (Mt 23,23). Sono queste le tre idee chiave che il fondamentalismo snatura, fino a rovesciarle nel loro contrario, idee su cui occorre convergere per opporre alla barbarie e alla violenza cieca un impegno autentico al servizio della pace per tutti.

In primo luogo, la giustizia: se nell’accezione positiva essa consiste nel rispetto e nella promozione dei diritti di ognuno, nel riconoscere, cioè, “a ciascuno il suo” (“unicuique suum”, secondo l’assioma latino), nella deformazione ideologica giustizia diventa l’imposizione della legge del più forte, identificata come la sola norma e misura del bene e del male in nome del fine in grado di giustificare ogni mezzo. Questo fine sarebbe la distruzione del diverso per imporre l’unica visione del mondo ritenuta vera, affidando il successo dell’impresa alla forza delle armi. La “jihad”, che nell’accezione originaria è l’impegno per il bene e la lotta contro il male in se stessi e nella storia, diventa così la guerra contro l’altro, da annientare ad ogni costo.

L’identificazione fra giustizia e violenza in nome della verità e della sovranità divine ne consegue come terribile motivazione di ogni sorta di sopruso e di offesa alla dignità della persona umana, immagine di Dio. Proprio così, questa logica si rivela perversa, tale da offendere proprio Colui cui vorrebbe rendere gloria: il Dio Signore e Padre di tutti, il Creatore dell’uomo, non può certo rallegrarsi dell’offesa inferta alla Sua creatura, viene anzi a essere vilipeso da chi in qualunque modo ferisca l’essere umano, creato a Sua immagine e somiglianza. Ogni violenza in nome di Dio è bestemmia e incredulità! Nessuna fede religiosa autentica può motivare la violazione dei diritti inalienabili della persona umana, a cominciare da quello alla vita e alla tutela della propria libertà di espressione e di realizzazione.

Si comprende di qui come l’idea di misericordia risulti fondamentale per contemperare quella di giustizia: nell’accezione biblica la parola “rahamim”, che rende appunto l’idea di misericordia, richiama le viscere materne, il grembo originario della vita da cui viene ognuno di noi. Essere misericordiosi significa allora riconoscere questa comune, originaria appartenenza a una medesima origine e ad uno stesso destino. Proprio così, la misericordia rimanda a una medesima sorgente materna – paterna da cui tutti deriviamo. Il Dio misericordioso della Bibbia, il Padre di Gesù, ma anche il Dio clemente e misericordioso di cui parla il Corano, sono questo Dio dai tratti paterni e materni.

Il fondamentalista, sentendosi padrone dell’immagine della divinità, applica la misericordia a se stesso soltanto e ai propri simili, o comunque a quanti gli sono affini per interessi: da categoria universale, fondamento di pace con tutti, la misericordia diventa appropriazione gelosa, autogiustificazione e tolleranza del male fatto per la propria causa, convertendosi in offesa all’amore universale dell’unico Dio. L’accesso alla misericordia passa allora attraverso il rifiuto deciso di ogni sua falsificazione. Si sperimenta la misericordia se si sa accogliere e perdonare l’altro, anche il nemico, in nome di un amore più grande: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 27,36).

Infine, la fedeltà è valore che umanizza e salva se è impegno a mantenere il giusto patto di amore e di vita stabilito con Dio e con il prossimo, nell’esperienza della misericordia ricevuta e donata. Dove il fondamentalismo fa della fedeltà il principio di una coerenza scellerata con la giustificazione della violenza in nome del fine, dove cioè fedeltà diventa integralismo, cieca imposizione della verità di cui ci si sente padroni, lì non resta più nulla dell’accezione originaria della parola, quella per cui nella Bibbia essa è sinonimo di verità (‘emet), di stabilità nel bene e di adesione obbediente alla legge morale scritta nelle Tavole del Decalogo e nei cuori di tutti. Fedele al Dio vivo è chi mette in pratica la Sua misericordia e si lascia plasmare dal Suo amore.

Bestemmia il nome dell’Altissimo chi fa della presunta fedeltà al divino la giustificazione della violenza e del sopruso esercitati sugli altri. Giustizia, misericordia e fedeltà sono insomma le tre idee chiave su cui si costruisce l’onesta convivenza umana secondo il progetto del Creatore: ogni abuso di queste idee per asservirle agli interessi della propria causa, facendone contraffazione ideologica, è offesa alla signoria di Dio e alla dignità della creatura, fatta a immagine di Lui. Fare chiarezza su questo è compito di tutti i maestri e i testimoni delle fedi religiose autentiche: una loro corale mobilitazione risulta pertanto oggi più che mai necessaria, per isolare e svuotare alla radice ogni risorgente barbarie fondamentalista, che voglia giustificarsi in nome di un Dio ridotto a idolo, asservito ai propri aberranti deliri di onnipotenza.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Monsignor Bruno Forte, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Il Papa: è lo Spirito non le lauree a dare identità a un cristiano

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2014

Papa Francesco \ Messa a Santa Marta
Il Papa: è lo Spirito non le lauree a dare identità a un cristiano
L’autorità del cristiano viene dallo Spirito Santo, non dalla sapienza umana o dalle lauree in teologia. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha quindi ribadito che l’identità cristiana è avere lo Spirito di Cristo, non lo “spirito del mondo”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana
Il Papa: è lo Spirito non le lauree a dare identità a un cristiano dans Fede, morale e teologia xbbwb8

La gente era stupita dell’insegnamento di Gesù, perché la sua parola “aveva autorità”. Papa Francesco ha preso spunto da questo passaggio del Vangelo odierno per soffermarsi proprio sulla natura dell’autorità del Signore e, conseguentemente, del cristiano. Gesù, ha constatato, “non era un predicatore comune”, perché la sua “autorità” gli viene dall’“unzione speciale dello Spirito Santo”. Gesù, ha proseguito, è “il Figlio di Dio unto e inviato” a “portare la salvezza, a portare la libertà”. E alcuni, ha annotato, “si scandalizzavano” di questo “stile di Gesù”, della sua identità e libertà:

“E noi possiamo domandarci quale sia la nostra identità di cristiani? E Paolo oggi lo dice bene. ‘Di queste cose – dice San Paolo – noi parliamo non con parole suggerite dalla sapienza umana’. La predicazione di Paolo non è perché ha fatto un corso alla Lateranense, alla Gregoriana… No, no, no! Sapienza umana, no! Bensì insegnate dallo Spirito: Paolo predicava con l’unzione dello Spirito, esprimendo cose spirituali dello Spirito in termini spirituali. Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: l’uomo da solo non può capire questo!

E per questo, ha ripreso, “se noi cristiani non capiamo bene le cose dello Spirito, non diamo e non offriamo una testimonianza, non abbiamo identità”. Per loro, ha proseguito, “queste cose dello Spirito sono follia, non sono capaci di intenderle”. L’uomo mosso dallo Spirito, invece, “giudica ogni cosa: è libero, senza poter essere giudicato da nessuno”:

“Ora, noi abbiamo il pensiero del Cristo e cioè lo Spirito di Cristo. Questa è l’identità cristiana. Non avere lo spirito del mondo, quel modo di pensare, quel modo di giudicare… Tu puoi avere cinque lauree in teologia, ma non avere lo Spirito di Dio! Forse tu sarai un gran teologo, ma non sei un cristiano, perché non hai lo Spirito di Dio! Quello che dà autorità, quello che ti dà identità è lo Spirito Santo, l’unzione dello Spirito Santo”.

Per questo, ha detto il Papa, “il popolo non amava quei predicatori, quei dottori della legge, perché parlavano davvero di teologia, ma non arrivavano al cuore, non davano libertà”. Costoro, ha aggiunto, “non erano capaci di far in modo che il popolo trovasse la propria identità, perché non erano unti dallo Spirito Santo”:

“L’autorità di Gesù – e l’autorità del cristiano – viene proprio da questa capacità di capire le cose dello Spirito, di parlare la lingua dello Spirito. Viene da questa unzione dello Spirito Santo. E tante volte, tante volte noi troviamo fra i nostri fedeli, vecchiette semplici che forse non hanno finito le elementari, ma che ti parlano delle cose meglio di un teologo, perché hanno lo Spirito di Cristo. Quello che ha San Paolo. E tutti noi dobbiamo chiedere questo. Signore donaci l’identità cristiana, quella che Tu avevi. Donaci il Tuo Spirito. Donaci il Tuo modo di pensare, di sentire, di parlare: cioè Signore donaci l’unzione dello Spirito Santo”.

Publié dans Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Riflessioni | Pas de Commentaire »

La maldicenza uccide. E mai è innocente

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2014

Il Papa e il crimine che i cristiani poco considerano
La maldicenza uccide. E mai è innocente
di Stefania Falasca – Avvenire

La maldicenza uccide. E mai è innocente dans Articoli di Giornali e News zswqpy

Cristiani da salotto, cristiani di pasticceria, cristiani omicidi… Omicidi!? Sì. Proprio così. E chi sono? Sono quelli che sparlano. Quelli che dicono male degli altri. Quelli che invidiano, che con le loro lingue dividono, calunniano, diffamano. Non usa mezzi termini, papa Francesco. E tiene a sottolineare che «su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della storia». La questione è ritornata inesorabile, e più attuale che mai, anche nell’ultima udienza di mercoledì scorso. «Le chiacchiere – ha ribadito il Papa – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti».

Parole dure. Durissime. Senza scampo, per un aspetto della vita sociale che riguarda e si estende, pressoché a tutti; chi più, chi meno. Ma quanti tra i cristiani, tra le comunità cattoliche, si sono accorti di entrare dritti con le loro chiacchiere, i loro piccoli gossip parrocchiali – spesso reputati naturali, leggeri, innocenti – in questa fonda e cupa «dimensione criminale»? Quanti si sentono killer e carnefici? Non sarà un’esagerazione? Ce lo chiediamo, dando quasi per scontato il mal comune. Ma di fronte a parole così crude, che mettono a nudo interiori oscurità, anche meccanismi di autodifesa possono scattare automatici. E questo, come la scarsa coscienza, può far sì che tra le tante cose dette da Francesco tali riferimenti scivolino, anche con sussiego, in second’ordine di considerazione e di confronto.

Fatto è, però, che forse nessun altro pontefice, nella storia recente, con un linguaggio puntuto ed efficace ha battuto tanto su questo male. E di fatto non c’è piaga dolente come questa della maldicenza, così sentita e additata da papa Bergoglio, che è – ed è stata – oggetto della sua predicazione ordinaria fin dall’inizio. Unita a un altro aspetto distruttivo per la Chiesa: quello della mondanità spirituale. I due « caini » hanno viaggiato, viaggiano insieme. Di pari passo. A quella vile «lebbra» del «darsi gloria gli uni gli altri» – spirito mondano che corrode le fondamenta della comunità ecclesiale – sempre s’accompagnano (e scorazzano gioconde) la superbia e l’invidia, radici del pettegolezzo più distruttivo: la calunnia.

Del resto il male biforcuto prodotto dalla «clericas invidia», come la definiva il celebre moralista Haring ai tempi del Concilio, è ben noto. E non c’è qui bisogno di scomodare Dante che definiva l’invidia «meretrice delle corti». La «radice di mali infiniti» è inconciliabile con lo spirito della fede, e nella tradizione della Chiesa, da san Crisostomo a sant’Agostino e san Tommaso, ne viene descritto l’aspetto diabolico. Le maldicenze, le calunnie che portano alle divisioni, nascono infatti dall’«Invidia prima», quella che appartiene a Satana. Il primo calunniatore della storia è stato Satana, la sua prima calunnia è nei confronti di Dio. La calunnia è perciò il modello di Satana nel suo parlare. Egli sa che questa può distruggere in un attimo quello che è stato costruito in tanto tempo con amore, amicizia, rispetto reciproco.

Egli sa che così ostacola l’unità. Egli sa che il corpo di Cristo non può essere diviso. Ci sono pochi peccati che la Bibbia condanna con altrettanta severità come essa fa con la calunnia. Lo stesso san Francesco di Sales, sul modello di altri, parla in modo efficace della maldicenza come «crimine» e «causa diabolica di omicidi». Dunque, non si tratta di una personale espressione, né di una particolare esagerazione o fissazione di papa Francesco. «Un cristiano omicida… Non lo dico io, eh?, lo dice il Signore… Quello che ha nel suo cuore un po’ d’odio contro il fratello è un omicida»; e in un’altra omelia, a Santa Marta, riprende: «anche l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera, lo dice, chiaro: colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre».

E così nell’ultima udienza, significativamente, afferma anche riguardo all’unità dei cristiani: «Quando noi parliamo di peccati contro l’unità dei cristiani pensiamo agli scismi, alle sfide ecumeniche, alle guerre di religione. Ma tutto nasce dalle divisioni nel nostro cuore alle quali dobbiamo fare un esame di coscienza». E continua: «Pensiamo a mancanze molto comuni nelle nostre comunità… tristemente segnate da invidie, gelosie… alle chiacchiere che sono alla portata di tutti… In una comunità cristiana la divisione è uno dei peccati più gravi, perché la rende segno non dell’opera di Dio, ma dell’opera del Diavolo, il quale è per definizione colui che separa, che rovina i rapporti, che insinua pregiudizi… è opera gravissima perché è opera del Diavolo» cui noi prestiamo collaborazione.

La maldicenza provoca la disunione nella famiglia di Dio. Sempre è fonte di separazione e danneggia assai più la Chiesa di quanto lo facciano altri peccati più scandalosi. È ciò, in sostanza, che non ci fa Chiesa di Cristo.

Papa Francesco ci chiama quindi «a convertire il cuore» a «chiedere la grazia di non sparlare, di non criticare», di «non imitare il gesto di Caino», a bloccare sul nascere ogni maldicenza o interpretazioni calunniose che distruggono noi stessi e le altre persone e impediscono l’unità dei figli Dio nel vincolo supremo della carità. E forse può essere d’aiuto, in proposito, un aneddoto di Socrate, che data la gravità del «nefando crimine» riguardante tutti, potrebbe essere opportuno non prendere come un semplice fervorino. A un amico che stava per riferirgli in gran segreto una notizia sul conto di un altro, Socrate chiese: «Hai passato la tua intenzione ai tre colini?». Interpellato su cosa volesse dire con questa frase, Socrate spiegò: «Uno: sei sicuro che la cosa che stai per dirmi è vera? Due: sei sicuro che stai per dirmi una cosa buona? Tre: sei sicuro che sia proprio utile che io lo sappia?». L’amico comprese e rinunciò al suo proposito.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Mormorazione, Papa Francesco I, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Il ritorno del decisionismo

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2014

Il ritorno del decisionismo
di Andrea Monda

Pugno-150x150

Decido io. Queste le prime parole di Antonio Conte nel momento in cui è diventato C.T. della nazionale italiana. Parole molto efficaci, che colpiscono e che fanno sperare bene per la nostra malridotta nazionale di calcio. Mi sembrano parole in perfetta corrispondenza con il clima culturale della società italiana contemporanea. Può sembrare paradossale o anche forzato, ma a me la frase di Conte mi è suonata simile a quella pronunciata negli stessi giorni da Richard Dawkins, noto scienziato e ateo, che ha definito immorale il non abortire un figlio malformato. Anche qui si tratta di una decisione e di un “io” che se ne prende tutta la libertà e la (tragica) responsabilità.

Viviamo l’epoca della prima persona singolare, di quella ipertrofia dell’ego di cui il decisionismo è solo una sfaccettatura. C’è un altro personaggio emblematico di questo atteggiamento oggi così diffuso e vincente: il nostro attuale primo ministro Matteo Renzi. Non perde occasione l’ex-sindaco di Firenze per ricordare che c’è “un solo uomo al comando” e di questo potere decisionale si assume tutte le responsabilità, se dovesse fallire la colpa sarà solo sua e delle sue decisioni.

Venti anni prima gli aveva spianato la strada, sulla via del decisionismo, Silvio Berlusconi che però alla fine ha deciso ben poco, ma solo promesso di farlo. Nelle sue intenzioni c’era la rivoluzione liberale di cui necessitava l’Italia che andava tirata fuori dalla palude del consociativismo e della concertazione a oltranza, ma le buone intenzioni si sa dove portano. Forse una delle cause del declino di Berlusconi è stato proprio questo aver promesso e non mantenuto, proprio in termini di decisionismo. Questa brutta parola, gli -ismi non brillano mai particolarmente, ricordo che venne usata, forse per la prima volta, per Bettino Craxi negli anni ’80, quando il leader socialista si presentò con un atteggiamento simile, riassumibile nelle parole: “io decido”, come a dire: al contrario di tutti questi vecchi politici che in Parlamento discutono e basta, io sono uno che fa le cose, agisce. Anche Craxi aveva in mente una rivoluzione liberale, così come Berlusconi e come oggi Renzi. I tre hanno colto un’esigenza reale del nostro paese. Colpisce che oggi sia uno come Renzi, segretario del PD, a fronteggiare questa esigenza, ma se Berlusconi in venti anni non l’ha fatto qualcuno doveva pur pensarci: in politica, come in fisica, i vuoti non esistono, si colmano. Oggi Renzi colma un vuoto e un ritardo di almeno due decenni e lo fa con il piglio del decisionista, di chi si fa vedere “poco politico” e “molto leader”.

Ma la politica, appunto, non è qualcosa di leggermente diverso? Non è far maturare una scelta che goda della condivisione più ampia? Non nel senso di “noi decidiamo”, perchè poi è sempre una parte che deve assumersi le responsabilità ed è giusto che ogni decisione debba infine scontentare qualcuno, ma il dubbio maggiore viene soprattutto sull’aspetto del “far maturare”: siamo sicuri che questo atteggiamento del “decido io”, sia il più adatto per operare scelte ponderate e intelligenti?

Il ritorno del decisionismo dans Riflessioni Moro1

L’intelligenza degli avvenimenti, proponeva Aldo Moro, un uomo politico che oggi sembra appartenere ad un’era lontanissima, con la sua lentezza, la ricerca anche spasmodica dell’ultima mediazione possibile, l’esatto opposto del “decido io” ora così di moda. Moro predicava e prediceva la necessità della nascita di una nuova “stagione dei doveri” da affiancare alla “stagione dei diritti” emersa con prepotenza con il ’68 pena il tracollo dell’Italia; oggi viene da pensare che a fianco alla rivoluzione liberale è necessario che si realizzi anche una “rivoluzione sociale”. Proprio nel momento in cui “l’ultimo apache” del comunismo nostrano, Fausto Bertinotti, si dichiara pentito degli errori commessi e appassionato neofita liberale, viene da pensare che un po’ di “socialismo” deve restare, se mai è stato realizzato, in modo sano, nel nostro paese.

Chi legge questo mio blog, così lento negli aggiornamenti, sa che il mio motto, così inattuale, è “fare il bene, farlo bene, farlo insieme”, non potrebbe essere un motto per la politica leggermente migliore di “decido io”?

Publié dans Riflessioni | Pas de Commentaire »

123